[1/3] darling

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  1. call me lancaster!
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    preside di salem | neutrale | 55 y.o.
    william lancaster
    one shall stand
    and one shall fall
    It's all a bit tragic, really, isn't it? || 03.07.17 - 21:00
    Si poteva sudare freddo? Si poteva. Lancaster si portò due dita alla fronte, un rapido ed indolore saluto militare al Ministro Britannico. Le sorrise perfino, gli occhiali da sole ancora ben calcati sulla radice del naso, ma non ottenne alcuna risposta: beh, uno ci provava sempre ad usare un po’ di charme. Tornò a respirare solamente quando la donna si smaterializzò insieme al suo esercito, portandosi appresso i caduti in battaglia, ed i due presidi – che confidava e sperava fossero ancora vivi, per il bene di tutti loro. Dondolò sui talloni finchè anche l’ultimo ministeriale non lasciò la radura, e solo quando furono soli, si concesse un sospiro di sollievo.
    Che vita di stenti, quella dei William Lancaster.
    «ora dobbiamo parlare» approfittando della folla che cominciava a diradarsi abbandonando la zona di guerra, una ragazza gli si avvicinò – determinato palmo aperto nella sua direzione, sguardo vacuo di un impossibile blu. La trasse gentilmente in disparte, il preside di Salem; le porse con discrezione il fascicolo da lei richiesto, da loro voluto, eppure ella non si mosse.
    Ed allora ascoltò le richieste, sussurrate ad un tono di voce così basso che a malapena riuscì ad udirle. Ignorò le accuse, la rabbia a ribollire in quelle parole: tutto ciò che Lancaster riusciva a vedere, raggiunti ormai la veneranda età di cinquantacinque anni, era una giovane donna triste. Non peccava d’empatia, William Lancaster – semplicemente, non lasciava che offuscasse il suo giudizio; non fu facile rimanere impassibile, ma glielo doveva. Lo doveva a tutti quei ragazzi, uomini, bambini, ch’erano tornati indietro al solo scopo di salvare il mondo, consapevoli che così avrebbero perso tutto. Così ascoltò e tacque, così ascoltò e promise, pregando silenziosamente di riuscire a mantenere quelle promesse – strappate ad un cuore troppo debole, bisognava dirlo. Era fatto d’una pasta tenera e grumosa, Lancaster.
    Promise che ci avrebbe provato, perché era il massimo che potesse offrirle.
    Che potesse offrire a tutti loro.
    Il preside di Salem era a conoscenza di buona parte dei segreti del mondo magico e non; non si trattava di presunzione o di arroganza, né del non essere in grado di farsi i fatti propri: era parte del suo contratto, sempre che così potesse essere definito. Per poter mantenere equità ed ordine, bisognava essere a conoscenza di ogni altarino, di ogni missione – di ogni scheletro nell’armadio. Ciò che Lancaster non conosceva, rientrava nella sfera del caos: ciò che Lancaster non conosceva, minacciava un già labile equilibrio.
    E di conseguenza, andava distrutto. Guardò la ragazza sfogliare il tomo sottile, rivolgendo poi uno sguardo allusivo ad un’altra donna al suo fianco; le vide prendere delle siringhe – buon Signore, cosa si portavano appresso i giovani, di quei tempi? – dirigersi verso due bionde teste poco distante. L’istinto di conservazione degli esseri umani, quello che li spingeva a strenue ed inutili lotte, lo lasciava sempre perplesso: perché salvare un mondo sull’orlo dell’abisso? A che pro cercare una Cura nel loro universo, quand’erano alla soglia di un apocalisse? Quel mondo avrebbe cessato d’esistere, per quel motivo era stata organizzata la Missione – eppure non disse loro nulla mentre, rapide, premevano le siringhe nella carne dei due, estraendo una fiala di sangue ciascuno. Non sapeva se avessero utilizzato qualche genere d’incanto, o se semplicemente fossero state incommensurabilmente veloci: nessuno le guardò, eccetto Lancaster.
    Se non volevano essere viste, lungi da William attrar su di loro le attenzioni sbagliate. Guardò ancora l’orologio, borbottando piano qualcosa fra sé e sé. Quando sollevò gli occhi sulla radura, si rese conto che un paio di persone, mannaggia, più d’un paio di persone, lo stavano guardando; tentò inutilmente qualcuno alle proprie spalle, la speranza nel cuore che non stessero puntando proprio lui, ma dovette infine cedere all’ovvietà della situazione: con due presidi K.O., lui era l’unico rimasto che potesse fornire loro alcuna spiegazione in merito.
    In merito a cosa? A qualunque, cosa. E forse, si disse, era anche giunto il momento che sapessero: mai Lancaster si sarebbe sbottonato da sé, ma se avessero posto le domande giuste… forse. Soltanto in quel caso, però, avrebbero ottenuto qualcosa da lui – e quello spiegava perché, poco prima, avesse cercato di far ragionare loro, per la ricerca d’un antidoto per il veleno di Vasilov: già detto che era un fan del libero arbitrio, sì? Senza contare che sarebbe stata una partita assai invalidante, se William fosse stato incluso nei giochi: l’aveva creata Lancaster, quella scacchiera. Sapeva le regole, sapeva le eccezioni, sapeva come vincere.
    Non poteva fornire sotterfugi, vie di fuga: dovevano arrivarci da soli, dovevano rispettare i tempi. Tutti s’intestardivano nel voler bruciare le tappe, senza rendersi conto che era quella stessa cocciutaggine, a distruggerli. La pazienza era la dote dei sopravvissuti.
    William Lancaster, era uno di loro.
    Infilò pigramente una pipa fra le labbra, allontanandosi dalla zona del palco dove ancora sostavano i bambini. Si mise sul primo scalino del piano rialzato, un pugno sul fianco a sollevare di poco la giacca antracite, e l’altra mano impegnata a reggere il pregiato oggetto in mogano – mentirei se dicessi che v’era solo una miscela di tabacco, in quella pipa. Ma non ditelo ai pargoli. Inspirò a palpebre serrate, masticando vacuo il denso fumo in bocca. «non dovete tornare a casa?» domandò sbrigativo alla folla ancora ivi riunita, costringendo le labbra ad uno stanco sorriso tirato. «se volete un autografo, mettetevi in fila – ci vuole ordine» ancora sorrise, e sempre non lo fece mai: tipico del preside di Salem girare attorno al nocciolo della questione, obbligando i propri interlocutori a sfondarlo d’interrogativi come arieti su porte serrate.
    Non si trattava di cattiveria, ma mero pragmatismo: di suo, non avrebbe fornito alcuna chiave di lettura.
    Forniva un codice, William Lancaster, solo quando espressamente richiesto - solo quando ritenuto opportuno.
    A ciascuno, il proprio modus operandi.

    | ms.



    Potete portare un massimo di due pg a player; i pg che parteciperanno a questa role, non potranno partecipare anche a quelle successive. Ovviamente, potete postare anche con fittizi, ed anche con pg che non avete postato all'evento di poco precedente (il funerale).
    La role si concluderà il 31.08. Potete fare a Lancaster tutte le domande che volete - ma, come prevedibile, lui potrebbe non rispondere. O peggio, farlo.
    Prendetevi le vostre risposte, ragazzi miei. Ve le siete meritate.
    Ma non dite che non vi avevo avvisato.


    Edited by ‚soft boy - 4/2/2021, 11:59
     
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    Aspettava ancora la risposta di Elijah, quando notò l'acqua. Nathaniel abbassò confuso lo sguardo ai propri piedi ormai sempre più immersi in quel laghetto improvvisato. Forse non era un espertone di guerriglie ai funerali, ma gli sembrava assai improbabile che fosse normale finissero con un pool party improvvisato. Come spiegazione di cosa stava capitando, il primo pensiero andò ad un qualche special che, incapace di controllare il proprio potere, aveva fatto bordello con le forze della natura. Nate fece vagare lo sguardo, cercando tale special sbarbatello, ma i suoi occhi finirono appena in tempo verso il palco, dove lo stesso Lancaster stava usando la magia per inondare la radura (e Nate non era neanche un espertone in biologia, ma il terreno non dovrebbe assorbire l'acqua?). Confuso, non ebbe neanche il tempo di chiedere un parere qualsiasi a Eli, preso com'era a seguire la scena che capitava a qualche metro da lui. Da dov'era non riuscì a leggere il labiale dell'americano, ma era piuttosto sicuro che Lancaster avesse chiesto qualcosa a Donnie Armstrong.
    Donnie. Manipolazione dell'elettricità. Acqua. Elettricità, acqua.
    «Sali sulla sedia SALISULLASEDIASALISULLASEDIA!»
    Più che invitarlo a salire, diciamo che Nathaniel si buttò sulla sedia Ikea più vicina per poi afferrare Elijah e metterselo in grembo, le braccia a circondargli la vita, i piedi ben alzati e lontani dall'acqua giusto in tempo prima che la scarica si diffondesse e qualche persona, fra cui i presidi della scuola francese e quella scandinava (e fortunatamente i loro soldatini), cadesse. Sperò che per le altre persone nella radura fosse sufficiente vedere l'effetto della prima scossa (evidentemente non troppo forte, sicuramente non mortale) per rendersi conto di doversi mettere in salvo in qualche modo. Una scossa, se modulata, poteva forse stordire, ma di più non era sicuro che non avrebbe arrecato danni peggiori. Cercò velocemente amici e studenti nella folla di persone, per assicurarsi che nessuno ne stesse rimanendo troppo ferito; non vedeva Aveline e Lydia da un po', ma decise, visto che comunque non poteva alzarsi in quel momento, che stavano bene #8mismo.
    Gli cadde l'occhio su Idem. Passò da lei a quello che stava guardando, e la vide, concentrata mentre imponeva ai suoi inferi di tenere a terra i due presidi. La vide, quasi felice di quella violenza, e quasi familiare. Sembrava più Aiden. «IDEM!», la richiamo forse più per istinto, senza sapere se l'avrebbe sentito, se sarebbe bastato. Lafayette e Vasilov non potevano morire fritti o affogati con la testa nell'acqua, non a un funerale, non su terra inglese. Senza un tribunale ad averli giudicati erano innocenti, e ucciderli, nonostante fossero stati i primi ad aprire le ostilità, sarebbe stato controproducente per la pace.
    Alla fine, i due presidi persero i sensi, ma apparentemente sopravvissero. Se era quello l'obiettivo di Lancaster, l'aveva raggiunto. Nate si chiese come William facesse a sapere che il terreno non avrebbe risucchiato l'acqua, e come mai, soprattutto, non l'aveva fatto subito, prima che la vita di tutti quei ragazzini non venisse messa a rischio da soldati esperti.
    «Tutto ok?» Fece scendere Elijah, ma il suo sguardo era già oltre, alla ricerca di Lydia, Aveline, Jay, Eugene, Rea... Stavano tutti bene? Non era neanche sicuro che durante il combattimento non fossero stati feriti.
    Sì, facciamo finta che stessero tutti bene, se risponderanno scopriremo se qualcuno ha parlato con Nathaniel, perchè io non mi oso muovervi troppo i pg, ma intanto UH NUOVO MINISTRO. Kim a Nate piaceva; forse non quanto Sales, ma sembrava badass e pronta a proteggere i suoi cittadini, e tanto bastava. Anche se non aveva particolarmente apprezzato la sua assenza ad un funerale pubblico, la donna si rifece agli occhi di Nate finalmente facendo qualcosa di intelligente, e non dettato dal cuore e dalla foga del momento. Nate poteva essere un idiota, un bambino nel corpo di un ventiseienne che agiva quasi sempre d'istinto, ma riguardo alla politica non era così stupido come poteva sembrare, e apprezzava della sana diplomazia. Cattivo Damian che hai invece chiamato l'esercito, cattivo!
    Salutò la nuova ministra della magia ricambiando il rispettoso inchino (quanto era figa la cultura giapponese?), e di nuovo non so se qualcuno pensa bene di andare a parlare a Nathaniel. Ovviamente, lui si preoccupò delle ferite dei suoi conoscenti («Se hai preso la scossa devi farci la pipì sopra» «...Ew. E quello non era per le meduse?» «... e io che ho detto»), salutò tutti quelli che pensavano di andarsene, chi con gentili cenni del capo chi con più sentiti abbracci, nonchè anche uno sguardo alla ragazza che gli ricordava Aveline.
    Fu da quest'ultima (Aveline, non la bionda #wat) che tornò infine, circondandole il fianco con un braccio, stringendola a sè. Dopo aver cercato di evitare la terza guerra mondiale e aver combattuto perchè nessuno dei civili morisse, sentiva nuovamente attorto a sè tutto il peso delle ultime notti in bianco. Ma aveva ancora qualcosa da fare.
    Avvicinò il labbro all'occhio della ragazza, sfiorandoglielo in un bacio e dire: «Ti dispiace se ti raggiungo più tardi? Se vuoi puoi tornare a casa mia, altrimenti ti chiamo dopo»
    Non voleva obbligarla ad andare via e lasciarla sola, ma neanche obbligarla a restare dove aveva dovuto vedere poco prima il fantasma della sorella.
    Finalmente la radura iniziò a svuotarsi. Nate si passò stancamente una mano sugli occhi, la voglia di tè alle stelle, e quando si rese conto di non essere l'unico ad avere delle domande, si avvicinò insieme agli altri a Lancaster. Le domande sull'uomo e il suo rapporto con gli altri due presidi Nate aveva iniziato a porsele già a Brecon, ma ora diventava sempre più importante saperlo. Se dovevano fermare una guerra internazionale, tanto vale farlo avendo in mano ogni informazione possibile.
    «se volete un autografo, mettetevi in fila – ci vuole ordine»
    «Sapevi che qualcosa del genere sarebbe successo» era una domanda, un'affermazione, entrambe le cose e nessuna delle due. Nate spalancò le braccia, indicando il coas intorno a loro, l'erba ancora bagnata. «Sembra sempre che tu sappia esattamente quello che sta per succedere, come se l'avessi orchestrato tu stesso o l'avessi già visto» si rese conto che il suo tono poteva sembrare di accusa, così, come fosse stato appena beccato dalla polizia, alzò le mani per dimostrare di essere innocuo. «Non fraintendermi, il tuo intervento in extremis è apprezzato» ovviamente, si riferiva soprattutto alla strana negromanzia che aveva diretto a Brecon e aveva salvato Eli, Run, Al, Alec, Heli eccetera «Ma è assai... particolare. Sembra quasi che tu sappia più di quanto dia a vedere» eh beh, questo ormai era certo. Insomma, aveva resuscitato delle persone. Tanto comune William Lancaster non era. «E pare che tu, miss Lafayette e sir Vasilov siate particolarmente interessati alla Gran Bretagna» pausa ad effetto «e ai suoi cittadini» ok forse la pausa non serviva.
    Non è propriamente una domanda, ma Arianna voleva rompere il ghiaccio, e non sapeva come fare.
    | ms.


    Dai, faccio compagnia anche se nate non dice cose utili #wat ra sapete che c'è anche lui, spero entro il 31 di riuscire a fargli fare qualche domanda vera e intelligente se non la fate prima voi
     
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    La nicotina raggiunse i suoi polmoni, distruggendo tutto ciò che si trovava nel corso del tragitto per raggiungere quei due organi, e successivamente diede loro fuoco, facendogli provare quella sensazione che il Thanatos adolescente aveva tanto ripudiato, cominciando successivamente a tossire come un dannato, ma che il Dadrian adulto, quello che solitamente sedeva al bancone del Friendfyre, invece amava più di ogni altra cosa. Trattenne il fiato per una manciata di secondi, assaporando quella sensazione di morte che s'insinuava silenziosamente nel suo corpo, e poi, dopo aver trattenuto tutte le sostanze tossiche presenti all'interno della sigaretta, espulse nuovamente il fumo, formando una piccola nebbiolina a pochi centimetri di distanza dal suo viso e che, dopo appena qualche attimo, si dissolse nel nulla, lasciando soltanto quel profumo forte, che s'insinuava nelle narici altrui, e che in quel momento parve mescolarsi a quella nebbia densa che si era formata all'interno del locale. Era incredibile constatare come all'interno di quel locale non ci fosse neppure un briciolo d'innocenza, erano tutti corrotti, angeli esiliati dal Paradiso che continuavano imperterriti a compiere i peccati più disparati, fregandosene altamente di cosa si diceva ai piani alti, di quei messaggi di pace ed amore che il padre eterno divulgava come fossero dei dogmi ma che ben poche persone ascoltavano per davvero. Thanatos, ovviamente, non era mai stato compreso in questa ristretta cerchia di individui, e di certo non bramava farne parte: considerava se stesso ed il proprio stile di vita un'entità indivisibile, conscio che se avesse anche solo rinnegato una piccola parte delle sue abitudini allora avrebbe rinnegato anche la sua essenza. Mai aveva cercato di cambiarsi, ma alcune persone che aveva incontrato lungo il tragitto della sua esistenza avevano provato a farlo, ad aggiustarlo come fosse un giocattolo rotto, quando era chiaro a tutti che del Dadrian innocente non fosse rimasto più nulla, nemmeno un piccolo squarcio all'interno della sua anima. Era un danno troppo irreparabile, perché qualcuno potesse intervenire in una maniera efficace, e nonostante lo sapessero tutti, ecco sempre che spuntava il genio di turno che provava ad andare contro quella consapevolezza, tentando di forzare la mano e di modificare quella situazione.
    Percepì l'indice di Fimmel percorrere la vena sul braccio del mercenario con decisione, come sapesse esattamente su che terreno stesse giocando, e Dadrian sentì un brivido attraversargli la spina dorsale: alcuni avrebbero definito il gesto della giovane un po' troppo azzardato, ma a lui piaceva. Gli piacevano le persone sfacciate, quelle che affrontavano gli altri a viso aperto, e Fimmel era senz'altro comprese tra queste, con quei suoi modi di fare piuttosto singolari. « Ho un lavoro per te, Byrn. I miei uccellini mi hanno detto che qualcosa sta succedendo. Aetas, adesso. » Un sorriso avrebbe voluto manifestarsi sulle sue labbra, ma il ragazzo si ritrovò, come suo solito, ad alzare soltanto l'angolo destro della bocca, lasciandosi sfuggire la sua solita smorfia sghemba. Subito dopo ascoltò le sue parole con una certa nota d'interesse, facendo, di tanto in tanto, qualche tiro dalla sigaretta. « Questa volta mi pagherai in natura, Fi? »

    -Poco dopo -



    La pazienza era sempre stata, in lui, una cosa fin troppo latente; un po' come un animale che tentava dapprima di nascondersi per poi trovare il momento giusto per scappare e mettersi al sicuro, il tutto senza produrre alcun rumore.
    Due giorni, all'incirca, erano passati dagli avvenimenti di quel famosissimo giorno che aveva strappato molte vite, ed altrettanti ne erano passati da quando Dadrian aveva cominciato a capire che fosse giunto il momento di iniziare a guardarsi intorno con molta più attenzione, conscio che il pericolo si nascondesse perfino dietro le persone che lo circondavano. Che non potesse fidarsi di nessuno lo sapeva già fin troppo bene, ma dopo quegli avvenimenti del tutto inaspettati anche per uno come lui, in realtà, non bastasse affatto. Agire prima che qualcuno potesse colpirlo era diventato di vitale importanza, muoversi in un modo tale da non attirare occhi indiscreti lo era ancora di più.
    E fu quello che l’ex serpeverde fece in quel momento: muoversi con la testa china e coperta dal cappuccio in mezzo alla folla di persone che lentamente si accalcava davanti a quello che sembrò un uomo di mezz’età la cui pensione era già vicina. Sempre se prima non si fosse fatto ammazzare: però gli piaceva, la sua battutina di ingresso aveva conquistato lo sguardo del giovane Byrn che si lasciò sfuggire un sorriso.
    « Io lo voglio davvero un autografo. Sulle tette, magari. E’ possibile? » e con il brontolio di un altrettanto vecchia signora che Thanatos riuscì a comprendere chi davvero fosse quell’uomo. Il preside di Salem.
    Fece spallucce ed arricciò appena le labbra, d'altra parte cosa poteva saperne, quel tipo di cosa fosse successo? Nulla, ecco cosa, e fu per questo che si chiese, per almeno una manciata di secondi, per quale motivo fosse lì. Scosse il capo velocemente e poi si guardò intorno, appurando che tutti rimasero in silenzio per un paio di minuti fino a quando un uomo parlò. Cazzo, era per caso uscito da Disneyland? « Il mio vecchio amico pirata con l’eye-liner qui a ragione.» Disse con una certa nota di ironia, per poi estrarre il proprio pacchetto di Winston blu con tanto di accendino: necessitava di ammazzare un po' il tempo, e quello era il miglior modo che conosceva per farlo. Fumare e parlare a vanvera, magari urtando qualcuno per dar inizio ad una rissa. « L’America è venuta qui per ricambiarci il favore? Non credo che sia una cosa cool. Noi inglesi non abbiamo la faccia da chi viene colonizzato. » Schioccò la lingua contro il palato, lasciando che la sigaretta penzolasse dalle proprie labbra mentre il proprio braccio andò a poggiarsi sulla spalla dell'uomo dopo avergli dato qualche pacca sulla spalla.
    Forse avrebbe dovuto restare ad ascoltare ancora per un po’, non era stato pagato per bighellonare.


    role code made by effe don't steal, ask




    Thanatos viene ingaggiato dal suo capo per andare a curiosare dopo che alle sue orecchie è arrivata la notizia di quello che è successo al funerale.
    Dadrian arriva tutto tranqui (?) e segue il fiume di gente che si accalca per vedere William. Dice qualche cosa random e si mette vicino a Nath ed inizia a molestarlo con qualche pacca sulla spalla.
    In sostanza non fa nulla di interessante, sob.
     
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    can't take the kid from the fight
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    Accavallò le gambe sopra la sedia più vicina, le spalle poggiate contro lo schienale dell’ennesima – e molto presumibilmente anche dell’ultima – che era stato costretto a cambiare mano a mano che il combattimento si espandeva, minacciando la propria e personale quiete. A Daveth Gallagher, di quel conflitto, non poteva importare di meno. Di quei caduti, di quel funerale, della guerra che sembrava essere scoppiata, se ne fregava altamente: non erano più affar suo, battaglie del genere; la sua presenza nell’Aetas era completamente disinteressata, uno svago come un altro in un’ordinaria giornata qualunque – da quando le onoranze avevano preso una svolta inconsiderata, non aveva mosso un dito in favore di nessuno dei contendenti, limitandosi a gettare mozziconi ancora accesi a chi gli si avvicinava troppo, spostandosi unicamente quando era inevitabile per non finire nel fuoco incrociato. Passava lì per caso, Thane: se lo ripeteva ad ogni celebrazione pubblica cui prendeva parte, così tanto da essersene convinto col passare del tempo, ignorando tutti i veri perché che lo spingevano ad uscire di casa ogni mattina procacciando eventi simili come un famelico predatore il suo pasto quotidiano – che li aveva rinchiusi in un cassetto, quei perché, ignorandoli abbastanza a lungo da renderli ormai irreali ai suoi stessi occhi.
    Distante dalla folla, orecchie da mercante alle proclamazioni pubbliche e lo sguardo basso, indifferente e lontano da scambi di occhiate – a meno che non gli fosse strettamente necessario incontrare gli occhi altrui, nelle più varie sfumature delle iridi il ritratto della prossima vittima che gli era stata designata sotto lauto compenso -; Dave assisteva senza prendere parte né parti a gran parte delle mondane occasioni come la degenerata commemorazione, attendendo solo il momento in cui queste sarebbero terminate, le folle a disperdersi già dimentiche di quanto accaduto fino ad allora, scivolando anch’egli nella fiumana di gente che faceva ritorno alle proprie dimore: uno spettro come un altro in un mondo di replicanti, che soltanto si nutriva di quella calca ad opprimere il respiro fino a quando questa non sarebbe scemata - che aveva bisogno, di quella calca. Che fosse esattamente ciò che aveva avuto, sin dal principio, intenzione di fare anche quel giorno, non era da discutere: se aveva atteso tanto prima di sloggiare, era solamente perché bramava un possibile banchetto alla fine. Tuttavia, era andata in maniera decisamente diversa da come aveva potuto aspettarsi – ed ancora, niente cibo né soprattutto alcolici. Se avesse conosciuto meglio chi dalla partenza aveva preso parola, sostituendosi prepotentemente alla voce della Withpotatoes, allora avrebbe potuto immaginare come la situazione sarebbe tragicamente evoluta: di Vasilov, Lafayette e amici, però, il Gallagher sapeva ben poco – lo stretto indispensabile, dacché aveva messo piede nel mondo magico; tutti quei dissapori che avevano dimostrato mano a mano non erano di certo riportati in giro per la rete, né tantomeno aveva mai avuto così a cuore interessarsi della vita e dei profili psicologici dei presidi da chiedere in giro notizie scottanti sull’allegra compagnia. Sapere che tipi di persone fossero, di certo, non lo avrebbe fatto allontanare tanto facilmente dal boschetto: non voleva sporcarsi le mani di una futile battaglia di cui non conosceva i presupposti, soprattutto sullo stesso terreno nel quale poco prima si stavano ricordando dei morti, ma non poteva nemmeno perdersi uno spettacolo del genere. Quando non era portato a tenere un kalashnikov tra le mani e militare sul campo di guerra, o quando non era egli stesso a seminare zizzania inaugurando una lotta – anche quelle più stupide, non faceva alcun tipo di distinzione se c’era da creare un po’ di caos -, gli piaceva semplicemente ammirare un tale spreco di energie. In quel disordine, Daveth trovava una pace non indifferente – che se avesse avuto popcorn e coca-cola, sarebbe stato perfetto. C’era stato poco che di tutto il siparietto gli aveva fatto puntare lo sguardo un po’ più a lungo, a bruciare sulle labbra non solo l’ennesimo filtro di sigaretta mentre CJ veniva casualmente preso di mira dalle angherie del preside di Durmstrang – aveva capito quanto fosse attitudine del Knowles ricevere quel tipo di attenzione dalle figure autoritarie, ma era una questione di principio, la sua -, o quando una sconosciuta chioma biondo cenere dalle familiari movenze sfrecciava nel mezzo della battaglia davanti la sua postazione: per il resto aveva solo osservato i combattenti dimenarsi tra la folla, nei lineamenti di taluni una familiarità a cui non riusciva a dare una forma definita, e con maggiore interesse chi, in quello scontro, si proclamava neutrale. C’era qualcosa di così incommensurabilmente sbagliato, in tutta la situazione, che poteva quasi diventare interessante agli occhi di chi a tutto quello era completamente estraneo.
    Accese con pigrizia un altro cilindro di tabacco, mentre l’acqua evocata dal proclamatore del palco come nuova Svizzera dei poveri andava ad accumularsi sul terreno, ed attese sdraiato sul suo giaciglio di fortuna che le scariche terminassero, osservando apatico l’entrata in scena del nuovo Ministro inglese e l’uscita dei più quando la marea aveva trovato un nuovo equilibrio, riassestando la quieta pace dell’inizio.
    Era quello, il momento in cui Daveth Thanatos Gallagher usciva di scena: non c’erano più cause da prendere in considerazione, niente che potesse tornargli utile per la propria vita od il proprio lavoro – che lì non c’era andato in veste di sicario, quanto più di curioso spettatore a riempire le file, il mai esplicito bisogno di comprendere un po’ di più quel mondo che gli spettava di diritto dalla nascita ed al quale era stato precluso per vent’anni. Non c’erano più fratelli da cercare tra la folla, quando la folla si smaltiva; non c’era più una massa in cui sentirsi più al sicuro, rispetto alla tetra solitudine pregna di incubi ricorrenti.
    Che non era affar suo, continuò a ripeterselo mentre si alzava dalla sedia, le scarpe a sguazzare negli ultimi centimetri d’acqua che il terreno ancora faticava ad assorbire. Che aveva finito di prendere parte a guerre e battaglie, tenendo per sé unicamente le proprie, lo ricordava ad ogni sospiro, ad ogni passo che lo avvicinava al palco anziché al limitare della radura. Che non gli interessava, lo sapeva da sempre.
    La verità, era che non poteva farne a meno - can’t take the kid from the fight.
    E detestava, il biondo, prendere parte a simili avvenimenti senza saperne abbastanza. Avrebbe potuto continuare sulla propria lunghezza d’onda, se quello si fosse limitato ad essere un semplice funerale; tuttavia. Raggiunse in tempo la piccola ressa che s’era adunata ai piedi di Lancaster per udire di questo solo le ultime farneticazioni riguardo autografi e file, prendendo poco distante una sedia rimasta incolume e ivi sedendosi. Le iridi celesti, sovrappensiero, non poterono che posarsi sul primo fan che aveva avuto l’onore di prendere la parola – e ancora prima delle sentenze ch’egli sputò, ci fu qualcosa nell’uomo che lo costrinse per un attimo a fissarlo, la fronte corrugata ed un prurito a solleticare il palato: lo conosceva? Era stato uno dei tanti da cui aveva tratto profitto eliminando chi gli veniva richiesto?
    Che ne poteva sapere, Daveth, di tutti i tè delle cinque del pomeriggio che Finnigan Dallaire aveva preso con Nathaniel Henderson, di tutte le giornate condivise con lo zio a giocare con i vari modellini di navi pirata collezionate dal Lowell nel corso di una vita intera. Come poteva, ricordarlo.
    Decise di concentrarsi unicamente sulle sue parole, sulle sue accuse, distogliendo lo sguardo per riportarlo su Lancaster, e su chi aveva avanzato ipotesi. L’americano, a dir degli altri, sembrava un personaggio scomodo - uno di quelli che aveva sulla testa una taglia da milioni di sterline, che su commissione tutti avrebbero voluto morto. «perché è ancora vivo?» domandò sottovoce, il tono caldo a perdersi tra le volute di fumo di sigaretta. Che era quello, il campo in cui Thane sapeva destreggiarsi maggiormente. «perché non l’hanno uccisa?» Era sempre stato lì, sotto tiro di tutti: se davvero sapeva che qualcosa bolliva in pentola, se era una figura così eminente, nonostante per quanto ne poteva sapere il Gallagher avesse reso il palco una zona intoccabile sia dai nordici che dai francesi, di occasioni ce ne potevano essere state a bizzeffe; perché non era stato eliminato?
    You Sit And Stay I Don'T Obey // by ms. atelophobia


    eeee niente, post a caso e inutile SCUSATE (?)
     
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  5. Lethal Cinnamon Roll
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    cronocinesi | neutrale | 24 y.o.
    Helianta Moonarie
    TO DO LIST:
    ☑ everything i can

    Lancaster
    It's all a bit tragic, really, isn't it? || 03.07.17 - 21:00
    Helianta Moonarie era stanca. Era stanca di essere inghiottita dalle inarrestabili correnti degli eventi, come una foglia in un fiume in piena, sballottata da una sponda all'altra, che scendeva sotto il pelo dell'acqua per riaffiorare subito dopo. Non era fondamentale, dopotutto, e se ne era resa conto quando nemmeno il suo discorso era riuscito ad arginare lo scontro. Ci provava la cronocineta, cazzo se ci provava, ma nulla pareva essere abbastanza. Poteva usare i suoi poteri, sì, poteva fermare il tempo e ridisporre le carte a proprio piacere, scegliendo la mano vincente, ma non le piaceva giocare sporco, non le piaceva imbrogliare. In un mondo in cui si poteva risolvere qualsiasi problema con uno sventolio di bacchetta, la babbana voleva ancora mantenere fede alle sue abitudini, forse non usava così spesso i suoi assi nella manica per dimostrare agli altri che i non maghi, gli esseri inferiori, potevano essere altrettanto validi, forse ancora non sentiva la cronocinesi come un sesto senso, come un terzo occhio per poter vedere da una prospettiva diversa. Dopotutto la sua vita babbana era fatta della solita routine, il piacevole senso di potenza sulla propria tabella di marcia e la sicurezza nel girare il manubrio della bici secondo una strada sicura, tutte cose che le mancavano, tutte cose che per colpa di quel dono non avrebbe potuto avere mai più. Era stanca, era debole, scoraggiata, delusa, triste, disperata. Era le prime lacrime che qualcuno avrebbe pianto per quei soldati fulminati, era il primo paio di ginocchia a cadere sconsolato sul terreno fradicio. Era la prima a guardare le proprie mani immacolate, senza il sangue a testimoniare un tentativo di salvataggio, senza il sudore a marcare la fatica di chi si era impegnato. Non amava voltare le spalle, non voleva essere indifferente ad una realtà che si stava modellando in quel momento, non poteva fingere di non essere curiosa di sapere cosa i libri di storia avrebbero raccontato di quel giorno. Scese dal palco, le gambe tremolanti e il volto malamente asciugato dalle lacrime con il dorso della mano. Era stanca ma, come la foglia nel fiume, sarebbe ritornata a galla pronta a riprovare, pronta a rivedersi esclusa, chiusa fuori da un mondo che forse non le apparteneva abbastanza, un mondo che forse non le apparteneva affatto. I tacchi affondavano nel suolo umido, il passo incerto poteva essere ben mascherato da questo fattore, ma Helianta aveva ben altro di cui preoccuparsi che l'impressione che avrebbe dato agli altri: non era sotto i riflettori, non le interessava esserlo, voleva solo che fosse fatta luce sulla verità.
    Poteva scorgere i capelli scompigliati ma comunque ordinati di Lancaster anche senza essere in prima fila e poteva sentirlo invitare tutti a fargli domande, chiedere. Lo faceva sempre, chiedeva agli altri di chiedere, come un motore di ricerca pronto a darti a risposta solo se fai la domanda giusta, perchè nessuno avrebbe mai dato loro nulla senza fatica. La guerra era, in un modo o nell'altro, iniziata e ogni brandello di conoscenza andava sudato, meritato. La Moonarie era curiosa, era sempre desiderosa di osservare i dettagli per trovare l'indizio che l'avrebbe condotta alla fine del giallo, ma adesso non era più tra le sicure e innocue pareti di carta del suo mondo: l'impegno era reale, la ricompensa di inesprimibile grandezza. Non ascoltò davvero le altre domande, troppo concentrata a trovare l'interrogstivo giusto, quello che avrebbe dissipato tutti i dubbi. Era certa che esistesse, era certa che William celasse un segreto mai detto ad alta voce, un segreto che avrebbe aperto il sipario su una platea di scomode verità e pungenti rivelazioni: era chiaro a tutti che le risposte sarebbero state dolorose e spiacevoli, perchè non c'era altro modo di fermare una guerra se non facendo aprire gli occhi a tutto il mondo e quale modo migliore per far sgranare le pupille se non uno shock?
    Nella sua testa un gomitolo di pensieri si arrovellava tortuoso, sena un capo e senza una coda, innumerevoli nodi rimaneva impigliati tra le dita, ancor più filamenti si distaccavano dalla matassa fondamentale, il filo di Arianna che Lancaster voleva che trovassero. William sapeva quali domande erano quelle giuste, stava solo aspettando qualcuno abbastanza acuto da chiederle e diamine se Helianta Moonarie voleva essere qualcuno. Non lo sapeva ancora, ma aveva un inconscio e impellente bisogno di dare prova di sè stessa, di dare conferma al mondo che era ancora lì tra i vivi perchè era effettivamente utile: fino a quel momento i risultati erano stati scarsi, ma si sarebbe riscattata. Lo sapeva.
    Lo voleva.
    «Cosa c'entri tu in tutto questo? La tua scuola non si è mai sbilanciata verso i buoni o i cattivi, qualunque essi siano, quindi cosa ti obbliga ad essere lì quando la storia sta cambiando, quando la storia ne ha bisogno. Chi ti ha dato questo compito? Perchè lo hai accettato? E' forse un castigo? Come fai a custodire tutti questi segreti e continuare a non interferire? Non è che tu sia fuori da questo mondo, dopotutto è anche il tuo, la tua stessa Nazione viene influenzata da ciò che accade in Europa: è o non è questa la culla della magia moderna?» si era fatta più vicina, era difronte all'uomo vestito nel completo quasi per niente sgualcito, probabilmente magico dunque. Lo osservava, con lo stesso sguardo che un turista avrebbe rivolto ad un animale affascinante e misterioso allo zoo, con gli occhi che da una parte erano desiderosi di sapere e che dall'altra volevano solo liberare quell'uomo dal suo peso. Un tappeto di morte precedeva il suo arrivo, un futuro incerto si animava lì dove aveva lasciato segno del suo passaggio: che uomo era uno che poteva permettersi di non interagire sebbene fosse a conoscenza della verità. Era un giudice? Un custode? Un semplice spettatore o addirittura il regista di questa messa in scena?
    Nulla era impossibile a quel punto, nulla avrebbe fatto spalancare la bocca della giovane donna dallo stupore, o così credeva. Sapeva che la magia riservava una sorpresa ad ogni passo, il suo svantaggio stava nel non averci ancora fatto l'abitudine: era come passeggiare sapendo di poter essere derubati ma non ricordare dove si aveva lasciato lo spray al peperoncino.
    «William Lancaster, qual è il tuo ruolo in questo mondo? Cosa sai che noi ancora non sappiamo?» una volta saputo ciò, sperò che i vetri si sarebbero spannati, rivelando un quadro completo di tutto ciò che stava accadendo, rivelando anche i più profondi e segreti avvenimenti. «prova a fare una battuta e giuro che ti colpisco così forte che non basteranno tutti i triumvirati di questo mondo a riportarti in vita». Non fraintendetela, era profondamente debitrice al mago ed era anche affascinata dalla figura misteriosa che egli era, apprezzandone i lati che conosceva e osservando affascinata le facce ancora in penombra, ma l'attesa era durata abbastanza, nessuno avrebbe retto un ulteriore mistero senza dare di matto, lei compressa.
    Dopotutto,
    Helianta Moonarie era stanca.
    «perchè gli piace giocare al dio, gli piace vedere gli altri implorare la sua sapienza. Si crede onnisciente, forse lo è, forse è l'unico in modo in cui riesce a darsi importanza»
    | ms.

    Ignora tutti perchè sono stanco non ha tempo dei convenevoli (Killian e Elysian vi conviene essere vivi o vi ammazza) e mi pesa anche riassumere la domanda quindi ve la copio qui
    «William Lancaster, qual è il tuo ruolo in questo mondo? Cosa sai che noi ancora non sappiamo?»


    non chiedetemi perchè lo spoiler è incluso nel code, sono troppo stanco per capirlo/aggiustarlo
    EDIT:lol anche questa scritta lo è, wat is html
    sara!EDIT: risolto, non ringraziarmi #wat ♥

    Edited by pipe dream: - 1/9/2017, 02:05
     
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    Heidrun Crane era stanca. Era stanca di fingere che fosse tutto una meraviglia, stanca di pretendere che le accuse ed il rancore le scivolassero​ addosso senza tangerla; era stanca di ignorare ed essere ignorata, stanca di interessarsi e stanca del non farlo.
    Ed era stanca, Dio!, di quello - quell'odio a scivolarle denso sulla pelle, strappandola dai muscoli parola per parola; quei rimproveri cinici spremuti d'ironia. Qualcuno ci scherzava, qualcuno glielo faceva pesare con malizia; taluni si limitavano a frecciatine, altri a sottile biasimo.
    Non dovevi morire.
    Ed era stanca di fingere che morire non avesse contato un cazzo, Run. Era stanca di lasciarsi incolpare, una bara fatta di critiche - era stanca che le venisse rinfacciato di essere fottutamente morta. Credevano che a lei fosse piaciuto? Che fra una tequila e l'altra, nel suo fottuto tempo libero, si dilettasse a spararsi in testa per risorgere come Gesù Cristo? Che non le pesasse l'essere tornata? Avrebbe dovuto essere una meraviglia, un sollievo, una seconda possibilità. Avrebbe dovuto approfittarne, Heidrun, di quei battiti dietro le costole e quei fiati nei polmoni - non avrebbe dovuto aver timore di uscire da casa e mettere in pericolo la vita d'altri; non avrebbe dovuto sentirsi diversa; non avrebbe dovuto sviluppare assuefazione per pasticche atte a donarle sonni privi di sogni; non avrebbe dovuto sentirsi in colpa, guardando la sua famiglia ed i suoi amici, per averli delusi fottutamente morendo. Non era così che si era immaginata la sua seconda vita.
    Non era così che avrebbe dovuto essere.
    È colpa tua.
    Ovviamente. Non le bastavano i conosciuti a dipingerla come un errore, dovevano mettercisi d'impegno anche persone della quale Run ignorava l'esistenza: avrebbe voluto, avrebbe potuto, riderne, la Crane. Ma era stanca di quella leggerezza che poco aveva a che fare, con la reale morsa a stringerle la gola.
    Non le rispose. Non batté ciglio quando il pugno della giovane si schiantò nell'erba vicino al suo viso; la guardò e basta, Run, chiedendosi distrattamente cosa le fosse successo - cosa vedesse, lei, al posto di Roy: perché non dubitava di non essere altro che un capro espiatorio, il sacco da pugilato sul quale scaricare la propria tensione. Non poteva esserci nulla di personale, fra loro - nulla a giustificare quelle lacrime umide a scivolarle sul collo. Così sospirò e basta, le palpebre serrate.
    Che le avrebbe volentieri tirato una testata, la mimetica, ma... Stava piangendo, l'altra: poco importava che non avesse nulla a che fare con lei, quel magone.
    Heidrun Ryder Crane, Cristo, la capiva. Così sorrise sghemba, al cielo ed al volto tondo della ragazza; so cosa si prova, avrebbe voluto dirle; non serve a un cazzo, avrebbe voluto aggiungere.
    Invece non fece nulla, gli occhi chiusi a privarsi di quella disperazione che non le apparteneva, ed il capo a scuotersi debolmente sull'erba: che ne sapeva, Heidrun, di Adelaide Milkobitch. Che ne sapeva, la giovane dagli occhi blu, della ragazza che morta, lo era davvero.
    Non si mosse neanche quando il peso di lei venne a mancare, e respirare divenne più semplice. Si portó entrambe le mani al viso soffocando nei palmi sospiri simili a singhiozzi e risate lacere quanto tagli, le spalle a tremare dell'uno e dell'altro.
    Cristo Signore, stava impazzendo.
    Continuò a ridere, un braccio ora posato sugli occhi ed il sorriso libero di prendere aria; continuò a ridere come se tutto fosse normale, con la vivace ferocia di chi sapeva che di normale non c'era un cazzo, ma andava bene comunque.
    Cos'hai fatto?
    Cosa aveva fatto?
    Sapeva per certo cosa non avesse fatto: non se n'era andata quando ancora avrebbe potuto farlo - da quel funerale, dal capanno, dal mondo magico, dai laboratori; da suo padre, dai Quinn, da Gemes.
    Da quella vita.
    Se ne rendeva conto sempre tardi, quando andarsene non era più un opzione ammissibile - quando non poteva neanche più dire di voler tornare a cinque anni prima: se cinque anni prima Heidrun avesse ignorato la lettera di Joanna Harvelle, avrebbe evitato tutta quella merda - eppure ci sguazzava comunque senza rimpianto, sapendo che senza quella merda non avrebbe avuto una piccola sqwad di ballerini mimetici, un nipotino biondo ed ancora bruttino, due coinquilini stupidi, un tricheco. Non avrebbe avuto uno spaco, una Murphy, un Amos ed uno Sciaia - nessun Palmer, nessuna Akelei.
    Un fratello biondo ed abbastanza carino ma non quanto me. Un padre alcolizzato ed uno zio con l'artrosi.
    Alcuni mali esistevano per necessità.
    Rimase stesa al suolo, le gambe pigramente allungate davanti a sé, e gli occhi testardamente chiusi. Decise che, che cazzo, il suo dovere l'aveva fatto - non avevano più bisogno, di lei. Non aveva più bisogno di loro, lei. Si obbligò a respirare piano, a vivere piano. I suoni della battaglia le giunsero sempre più ovattati, le grida dei feriti più sottili - ed alla fine li abbandonò tutti, la Crane, serrata in una quiete egoista e codarda. L'erba a solleticarle le guance, l'odore della terra smossa a pungerle le narici, e quello del sangue ad accelerare il battito - l'istinto di autoconservazione era difficile da mettere a tacere, quando il cuore minacciava di scoppiare nel petto per l'adrenalina d'altri. Non i suoi, altri: niente di metafisico dai poli eumes, per una volta. Era il semplice delirio di massa ad accendere la mai sopita spia di Run del volersi far coinvolgere.
    Si costrinse a rimanere in disparte.
    Si costrinse a non pensare, espirando stanchezza ed inspirando colpe, coricata al centro della radura.
    Sarebbe rimasta lì ancora a lungo, forse sempre, se solo -
    Corrugò le sopracciglia, quando l'acqua le inumidí la schiena facendole aderire la maglia alla pelle. Spalancò gli occhi solamente quando il liquido le coprì le mani; si alzò infine a sedere, facendo leva sugli addominali, quando anche le braccia vennero sommerse. L'attenzione venne attratta da un oggetto sottile a galleggiare a poca distanza dalla sua gamba - lo prese, stringendolo delicata fra le dita.
    Si guardò attorno.
    «donnie, gentilmente...»

    Il cuore ancora gli pesava, a CJ. Più denso, più metallico sulla lingua e dietro le costole, mentre le palpebre calavano su un paio d'occhi verde acido. Non si capiva, il Knowles - non si fottutamente capiva. Vantava di sbattersene il cazzo, in quei sorrisi storti ad adombrare lo sguardo, ma nelle vene il sangue accelerava sempre - perché? Si interessava a cose che non comprendeva, persone che neanche conosceva, e lasciava da parte l'unico del quale avrebbe dovuto effettivamente fregargliene un cazzo di qualcosa - sé stesso.
    Era montato al contrario, CJ Knowles. Polmoni al cielo e pelle sotto la carne. Non capiva perché gli importasse delle parole di una donna qualunque, ad un funerale qualunque, di una vita qualunque: non capiva perché a lei dovesse importare di un ragazzino qualunque, ad un funerale qualunque, di una vita qualunque. Parlava solo una lingua, CJ, ed era quella della violenza - il resto gli sfuggiva, il resto non era mai stato cosa sua. Quindi odiava a mani basse, si arrabbiava a mani basse, lasciandosi consumare da istinti animali privi di raziocinio. Non sapeva come vivere in altro modo - non credeva gli potesse importare, di vivere in un altro modo.
    Ma non riusciva ad odiarla, la stronza dagli occhi blu - e quando non riusciva ad odiare gli altri, odiava sé stesso. Privo di remore, CJ, per CJ. Privo di compassione o limiti, solo risate taglienti e sangue a macchiare la pelle. Si odiò perché una sconosciuta si era interessata a lui; si odiò come quando, anni prima, s'era odiato davanti ai biscotti di Idem.
    Strinse il pugno attorno alle spine della mazza finché uno degli spuntoni non penetrò la carne del palmo, un sibilo fra i denti - quello lo capiva, CJ: il dolore, la carne a bruciare. Quello lo distraeva, riportando il cuore dov'era sensato fosse per ragazzi come lui, che vivevano una vita come la sua.
    Da nessuna parte.
    Chiuse gli occhi, inspirò. Finse di non essere nuovamente sull'orlo di un ingiustificato attacco di panico, mentre si mordeva a sangue l'interno della guancia. Riapri gli occhi solamente al rumore, un umido sfrigolare che poco aveva a che fare in quella radura. Chinò il capo verso i propri piedi, l'acqua a lambire gli scarponcini chiusi - ed avrebbe dovuto importargliene, avrebbe dovuto esserne perlomeno incuriosito: ed invece continuò a camminare strisciando le scarpe nel fango, lo sguardo a ricercare la ragazza di prima . Aveva bisogno di capire, CJ. Era stanco di non sapere un cazzo di niente, mentre tutti intorno a lui parevano aver compreso qualcosa che ancora gli sfuggiva.
    Il livello dell'acqua si alzava, e CJ persistette nell'ignorarlo; avrebbe continuato così, a sguazzare languido in un problema che a suo dire non lo riguardava, se solo tutti non fossero schizzati, come molle ben coordinate, sulle sedie ivi presenti: in quel momento il Knowles si rese conto che sì, poteva non essere un suo problema, ma gli altri? Che Cristo signore stava succedendo.
    Si bloccò, gli occhi sul palco ed il cuore a terra. Scisso lo era sempre, una guerra civile del quale non era arte né parte: voleva andare su quel fottuto palchetto di merda a prendersi le risposte che credeva di meritare, ma non.
    Ma non.
    Non poteva, non quando il panico pareva dilagare come lava dopo un eruzione; non quando altri cadevano a terra spinti da braccia frenetiche alla ricerca di una via di fuga, non quando in quel fottuto sprazzo erboso c'era tutto quel poco che aveva: si ritrovò davanti ad una scelta, CJ Knowles.
    Guardó ancora Adelaide, il Tassorosso.
    «vaffanculo» sbottò, dando le spalle a Lancaster: perché aveva delle responsabilità, CJ.
    E delle promesse da mantenere.
    Il brutto di avere degli amici outsider, oltre al loro metaforico passare inosservati, era che non erano fottutamente visibili anche in senso puramente fisico: nanetti che tendevano a non attirare l'attenzione, nati per tenere il capo chino ed i respiri calibrati nel petto. Il Tassorosso sibilò ingiurie fra i denti, mentre nella calca cercava i profili familiari di Sersha, Joey, e quell'idiota di Obi - che sarebbe stato ben visibile, con la sua usuale chioma argento, ma nella forma Cazzone Nerd era uguale a cento altri. Per Sun non ebbe bisogno di cercare a lungo: gli bastò voltarsi per trovarsela al proprio fianco, impettita nel suo seccato broncio - e pur conoscendolo più di quanto non conoscesse sé stesso, CJ non comprese il perché di quell'espressione. Come avrebbe potuto? Fu lei ad indicargli, con un distratto movimento del braccio, la posizione degli altri; il Knowles, dopotutto, aveva occhi solo per uno dei tanti coglioni che era riuscito a rintracciare nella folla - il cuore a pulsare dentro la gabbia toracica, nel rendersi conto di essere troppo lontano: non aveva idea, CJ, del perché qualcuno avesse cominciato a gridare di salire sulle sedie, ma chi era lui per ignorare così sentiti suggerimenti?
    Un fottuto CJ Knowles.
    Si spostò, seguito dalla sua fedele ombra De Thirteenth, in modo da non avere intralcio davanti a sé, ed allora puntò la bacchetta sul Reynolds: Dio Santo, BJ. Un preciso movimento del polso, dettato più dall'esigenza che dalla reale capacità (inesistente) di CJ - in incantesimo disperato, scagliato con il solo bisogno che riuscisse. Un levicorpus silenzioso, lo sguardo acquamarina incapace di lasciare la presa sul fratello.
    E prevedibilmente, del pericolo per sé stesso, se ne rese conto tardi - non importava abbastanza, a CJ, di CJ.
    «idioti» un grugnito sibilato a denti stretti sopra di lui, una mano ad agguantarlo dal braccio sinistro: non ebbe tempo di comprendere cosa fosse accaduto finché non si sentì mancare la terra sotto i piedi, uno sbuffo sofferente ora al proprio fianco: CJ, in piedi su una delle tante sedie, abbassò ed abbassò lo sguardo fino ad incontrare gli occhi zaffiro di una ragazza. La conosceva, CJ. E mentre la prima scossa cominciava a far crollare i nemici, con il petto premuto sulla giovane ed un braccio avvolto alle spalle di Sun, il Tassorosso sorrise: «pensavo di non piacerti, Lowell» un lampo di denti in direzione di Jericho. La telepata ricambiò piatta la sua occhiata, le labbra morbide tese in un ghigno: «infatti è così» quanto gli piacevano, quando lo trattavano male: tutto la sua mamma. Inutile dire che CJ, con la suddetta creatura malvagia formato tascabile, aveva tentato più di un approccio - e l'andare costantemente in bianco, non era certo stato un deterrente. «a me non sembra» una lama uscita da solo il cielo sapeva dove premuta sul fianco, un sibilo ammirato di Sunday. Quella sedia stava diventando troppo stretta, per tre persone. «jk on you now I'm horny» un sorriso lascivo, quello di CJ.
    Che aveva bisogno di distrarsi da sé stesso, il Knowles, con quel cuore che ancora esigeva di salire sul fottuto palco - ed era stupido, ed era insensato: così abbracciava sorridendo l'autodistruzione, lo sguardo d'un folle sul punto di premere il grilletto contro la propria tempia.
    Quando apparve il Ministro, CJ soffocò una risata amara nei propri piedi - e la ignorò, il Tasso: non era un esperto di politica, ma non aveva bisogno d'esserlo per sapere quanto fossero tutti nella merda. Parole vuote, per una guerra vuota.

    «cj» si era già scrollata gli abiti umidi, i capelli morbide onde scure sulle spalle. Aveva detto ai Milkobitch ed Al che li avrebbe raggiunti a casa, Run, e si era trattenuta a stento dal sollevare un dito medio verso Gemes: Cristo Signore, se fosse morta se ne sarebbe accorto. Non c'era bisogno di peccare di sfiducia in tal modo - muori una volta, e non te lo perdona nessuno. «cj?» non si chiamava così? Si era già assicurata che tutti i suoi bambini, eubeech compresi, fossero al sicuro; avrebbe tranquillamente potuto farsi i cazzi propri, Heidrun Crane, ed invece stava sprecando tempo vicino ad un ragazzino pelato con più cicatrici che pelle. Seguì lo sguardo del presunto CJ verso un punto nella folla, incrociando così gli occhi blu della giovane di poco prima.
    Le rivolse un impacciato cenno con il capo, le sopracciglia arcuate, quand'ella la salutò da lontano - e distolse subito lo sguardo, poco incline ad accettare quell'invasivo senso di familiarità. «ehi, cowboy, parlo con te» e quando CJ reclinò il capo verso di lei, Run avrebbe preferito non l'avesse fatto.
    C'era qualcosa di contorto, nelle iridi chiare di lui. Qualcosa di caldo e gelido, di disperato e lancinante, nel respiro con cui ingurgitò avido aria. Qualcosa di smarrito, su quel volto giovane e sottile.
    Qualcosa con cui Run non voleva avere nulla a che fare. «hai perso questo» gli lanciò l'oggetto che s'era ritrovata a galleggiare vicino alla gamba: un sottile braccialetto di cuoio. «non é mio» una voce ancora distratta, ancora annoiata - un'occhiata resa opaca da un emozione che Heidrun conosceva fin troppo bene. Si scrollò nelle spalle, un passo già rivolto lontano da quello strano Nessuno, che a lei nessuno non era mai parso. «c'è il tuo nome, sopra» «ti ho detto che non è m-» ma non concluse mai la frase, sputata stretta fra i denti, CJ Knowles: gli occhi sul bracciale, i polpastrelli a sfiorarne le lettere grezzamente incise. Lo vide deglutire, Run. Lo vide racimolare altra aria, altra vita, le dita strette convulsamente sul laccio. «dove l'hai trovato?» «per terra» che non ne voleva sapere nulla, di quella rabbia che già tentava di arrampicarsele sulle spalle - non era affar suo. Quindi rispose, perché si trattava pur sempre di una ragazza civile e ben educata, ma subito si ritrasse dallo strano giovanotto allampanato.
    Gli diede le spalle senza farsi troppi problemi, la Crane. Senza porsi domande. «dove cazzo l'hai-» le dita di lui strette al braccio.
    Heidrun Ryder Crane era stanca, di quelle accuse. Di quella rabbia, di quel continuo essere usata come fottuto capro espiatorio per l'eruzione che aveva raso al suolo Pompei.
    Così fece quel che le veniva meglio - istinto, non ragione.
    Si volse di scatto, il sorriso ormai dimentico sulla lingua; si strappò di dosso la mano di lui, e mentre la gamba premeva su quelle di CJ per fargli perdere l'equilibrio, le dita si serrarono attorno al colletto della sua giacca. I piedi ben piantati nel fango, Run resse il peso di entrambi nel trascinare il volto di lui contro al proprio, le fronti a sfiorarsi appena. «senti, ragazzino del cazzo, il tuo atteggiamento ha un po' rotto i coglioni» sussurrò, il tono di voce basso e denso che al buio avrebbe potuto essere miele o sangue. Strinse la presa sul colletto, premendo maggiormente la sua testa contro la propria. «o ti dai una regolata, o ti smonto come una fottuta sdraio dell'ikea. Ti senti uno smarrito cucciolo d'uomo incompreso? Benvenuto nell'adolescenza» Lui non le sorrise. «non sai un cazzo, di me » «perchè tu che cazzo sai degli altri?» corrugò le sopracciglia, ma non le rispose. «allora smettila di comportarti come se fossi l'unico stronzo ad avere dei problemi» ancora quel sibilo basso, le mani fermamente attorcigliate su di lui: sapeva dove premere per far male, Run. Avrebbe potuto piegarlo con il solo dannato alluce. «mi stai prendendo per il culo» ma non l'avrebbe fatto. «run» ignorò il richiamo di Will, occhi bosco a studiare i vicini occhi color giada di CJ - uno strano senso di déja vu, come la prima volta. «run, vacci piano» per tutta risposta, strinse la presa. «mi stai prendendo per il culo?» vaffanculo, era così prevedibile? Un sorriso le curvò malsano la bocca. «CRANE» Ironico che a voltarsi fu lui, mentr'ella rimase in posizione. «sí» ammise, un bacio sulla fronte mentre lo lasciava cadere al suolo.
    Quando mai Run aveva fatto la paternale a qualcuno per il proprio comportamento incivile - merlo al corvo, proprio. «siamo a posto, will» rassicurò, volgendo la muta risata sul suo secondo fake cugino preferito. Lui sollevò un sopracciglio, una sigaretta fra i denti: «sai che ho un debole per questi piccoli infami. Non maltrattarmeli» maltrattarli? CJ era chiaramente in stato di shock, aka un pericolo per sé stesso e gli altri: per superare un trauma, v'era bisogno di un altro evento improvviso.
    Semplice legge della fisica.
    «tu sei pazza.» eppure un angolo delle labbra di lui, era curvato in un incredulo sorriso. «e tu stupido.» si chinò al suo fianco, indicando una sedia poco distante. «non puoi fare il sassy con tutti, mastro lindo, perché non sono tutti simpatici quanto me - vedi quella donna laggiù?» Rea Hamilton, probabilmente sentendo il peso dello sguardo di Run su di sé, si prodigò a sfoderare un laccato e perfetto dito medio, senza neanche sprecarsi a ricambiare l'occhiata. «lei ti avrebbe davvero, davvero, fatto male» una pacca sulla spalla. «fidati di me. perché una ragazza morta dovrebbe mentire?» gli rivolse uno di quei sorrisi sottili ed enigmatici con i quali spesso amava dipingere le proprie labbra, prima di andarsene.
    Perché non le era sfuggita la folla riunita nei pressi del superstite Lancaster. Perché-«TI CONOSCO, OH CIELO GRAZIE» un ragazzo le si scagliò contro cingendole la vita. Heidrun si morse il labbro superiore, le sopracciglia inarcate. «stiles,» «mh-mh» «stai strofinando la faccia sulle mie...» «lo sto facendo?» «tette?» il fremello mago si fermò con ancora parte del viso affondata nel suo petto. «lo sto facendo» «levati?» «dai, ho perso tutti - qui. E ho perso karma.» brutti i cuori spezzati, mh. «guarda, là c'è jay - ciao jay, ciao stiles. stiles» «sí vado. Come sono morbid- AHIA, STO ANDANDO»
    Dicevamo.
    Non le era sfuggita, la situazione sul palco: ed aveva bisogno di sapere Run.
    Era per lui, e solamente per lui, che era rimasta in quella dannata radura.
    Salì al fianco di Lancaster, e lo superò.
    Si schiarì la voce quando si trovò infine al capezzale di un privo di sensi Harrison Palmer, gli occhi a scivolare dal cipiglio corrugato della professoressa Winston, al sorriso lieve di Liam Callaway.
    «non vorrei rovinare la sexual tension, ma potreste-» indicò loro di allontanarsi, ambedue troppo vicini all'uomo a terra. «hai sentito, principessa? Dobbiamo andarcene» «dobbiamo? Pensavo di essere stata chiara la prima volta: con te, non vengo da nessuna parte» «pretenzioso da assumere, con me vengono tutti» in un altro momento della sua vita, Run avrebbe amato lo scambio di battute - ne sarebbe stata silenziosa osservatrice, così da poter riferire tutto ad Amos più tardi. Avrebbe perfino applaudito ammirata alla pronta risposta del Callaway, ammiccando languida a Maeve - o forse avrebbe ignorato Maeve offrendosi come volontaria, oppure avrebbe spaccato la ship e ne sarebbe stata il terzo membro, chissà. Comunque, con Harrison Palmer svenuto ai loro piedi, non se la sentiva di rimanere spettatrice dello scambio di battute da fine fascia protetta: lo so, scioccante, perfino Heidrun aveva del pudore.
    Da qualche parte.
    «affascinante, ma potreste-» «no»
    No. No? Oh, dolcezza.
    Non esistevano no, per la Crane. Gli sorrise lenta, il capo reclinato; era stata esageratamente paziente in precedenza, ma lui? Lui non poteva permettersi quel tono arrogante e gonfio d'ego - sarà che Run ne aveva già abbastanza di suo, di palloni gonfiati, per tollerare anche un Callaway qualunque.
    Un pigro movimento con il braccio.
    «hai pronunciato male » lo scagliò violenta giù dal palco.
    Così, perché le andava.
    L'effetto fu un po' rovinato dall'incanto imbottito della bionda, ma immaginava che dalla vita non potesse avere tutto. Sospirò rivolgendole uno sghembo sorriso di scuse. «ecco,» Liam, dal basso, spolverò l'impeccabile camicia bianca. «ora mi tocca ucciderti - perché fate tutti così?» «provaci» rispose in fusa, avanzando nella sua direzione mentre lui si spostava verso di lei - l'idea di poter sfogare un altro po' di quella violenza repressa nelle vene, non le pareva così male.
    «va bene» Maeve si frappose fra loro, il palmo a premere contro il petto di Liam. «andiamo» nessuno dei due la guardò più.
    Heidrun si lasciò scivolare sul palco, le gambe incrociate. Prese il volto di Palmer fra le mani, «oh, Harry», posandoselo poi in grembo. Perché Kimiko non se l'era portato via? Perché era privo di sensi? Ma soprattutto.
    «com'è possibile?» un sussurro, gli occhi sollevati a cercare la piccola folla che si era riunita vicino a William Lancaster. «com'è successo?»
    Era morto, Harrison Palmer.
    È come me?

    «mi dispiace» CJ non sollevò lo sguardo. Lo tenne sulle proprie mani, a tremare serrate sulla mazza ancora sporca di sangue. Non riusciva a togliersi dalla testa quegli occhi, quel viso - quella voce, e quelle dita contro la pelle. Non riusciva a liberarsi della sensazione di essersi perso qualcosa.
    Di aver perso, qualcosa.
    Che non capiva, CJ, perché il cuore continuasse a battere disperato dietro le costole; non capiva perché la bocca sapesse di sangue, o perché signoriddio respirare fosse così complesso.
    Così non guardò Idem, CJ, pur riconoscendone la voce. Sorrise alle proprie dita, soffocando l'isteria di una risata in quella greve curva delle labbra. Anche a me, avrebbe voluto rispondere.
    Non lo fece mai.
    «non avrebbe dovuto finire così. Non avrebbero dovuto...» un fiato. Nessuno di loro si mosse. «stai bene?» se stava bene? La tasca dove aveva infilato l'assurdo ed impossibile bracciale bruciava; l'adrenalina, scemando, aveva lasciato solo la pallida forma di ciò che era stato fino a poche ore prima. Si sentiva debole, malfunzionante.
    Sbagliato, corrosivo.
    «e tu?» un'occhiata di sottecchi alla Withpotatoes, nel sorriso più ironico del mondo. «mi dispiace» CJ si inumidí le labbra.
    «avrei voluto conoscerli» indicò le foto dei fratelli di lei. Idem gli sorrise triste. «gli saresti piaciuto» ne dubitava. Ed avrebbe voluto ridere, sporco di cinismo e realtà, ma non lo fece: annuì, un sorriso smorzato nei denti. «già» che neanche ci riusciva, a risponderle con la dovuta concretezza richiesta dalle circostanze - non si rispondeva male, a gente come lei. Anche quando i debiti venivano estinti - l'aveva fatto, vero?
    «dovresti andare al San Mungo» sì, avrebbe dovuto. Le sorrise, sopracciglia inarcate, stringendo il bastone chiodato in cerca di perverso conforto.
    «ci si becca in giro» la circumnavigò proseguendo nel suo cammino, CJ.
    Occhi solo per Lancaster.
    «basta stronzate, vecchio» annunciò la sua presenza con un sorriso brillante di sangue, le braccia lungo i fianchi.
    Avrebbe voluto essere più arrabbiato, CJ. Più rigido, più formale - ma Dio, era solamente un ragazzo. Non aveva neanche diciassette fottuti anni, e si trovava a dover affrontare discorsi più grandi di lui.
    Mondi, più grandi di lui.
    Chi poteva prendere sul serio un Nessuno?
    Avrebbe potuto fargli qualunque domanda, approfittare di quella parentesi di quiete per prendersi qualsivoglia risposta - per darla a tutti loro. Avrebbe potuto mostrarsi maturo, chiedere del veleno, o di come proteggere la sua patria - ma fu egoista, e fu infantile. Così mascherò il bisogno in un ghigno, la disperazione in un filo di voce privo d'intonazione.
    Il suono piatto ed ovattato delle nubi prima d'un tuono.
    «chi era?»
    Solo quello.
    «non mi dica cazzate. Per una volta, basta manfrine a chi fra i presidi ce l'ha più lungo, o fottute risposte da biscotti della fortuna - una sola volta» privo di cattiveria, il turpiloquio di CJ Knowles.
    Così giovane, così spezzato.
    Così stanco.
    «chi era quella ragazza?» lo sapevano, loro due, di chi stesse parlando.
    Ed avrebbe potuto apparire il capriccio distratto d'un bambino in faccende fra adulti, non lo metteva in dubbio, ma indovinate a chi non fregava un cazzo?
    CJ, signori.
    La risposta è sempre e fottutamente CJ.
    | ms.


    Edited by later‚ sluts - 30/8/2017, 05:02
     
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    eugene jackson

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    and then dying apart.

    how the fuck do i move on from that? | 03.07.17

    Qualcuno stava piangendo. Altri ancora urlavano, grida di disperazione e rabbia, ansimi di fatica e dolore a mescolarsi con il frinire dei grilli nell’erba umida, la natura a fare da umile spettatrice; non un bello spettacolo, quello in corso ai piedi degli alberi secolari, ma quando mai l’uomo ne aveva proposti di tali? Guerre, scontri, incomprensioni e mere questioni politiche, pronti d ammazzarsi tra loro per un pugno di mosche, incapaci di proteggere ciò che davvero alla fine si rivelava prezioso. Umanità, la chiamavano, ma non ve n’era rimasta traccia tra incantesimi lanciati da mani troppo piccole e sangue a chiazzare il terreno, brillando alle luci delle prime stelle.
    Si voltò istintivamente alla sua destra, il pavor, occhi sgranati e a quel punto fin troppo presenti a cercare tra la folla i volti di coloro che mai avrebbe dovuto perdere di vista; com’era arrivato a quel punto? Se fosse stato in grado sin dal principio di contenere il proprio dolore, invece che lasciarlo esplodere incentivato dalla benzina a bruciare nello stomaco, la situazione sarebbe precipitata meno rapidamente? Perché, avanti, non siamo a raccontarci palle: non esisteva uno scenario in cui ingredienti come rabbia, dolore, Dragomir e un pizzico di Lafayette avrebbero potuto mescolarsi senza creare un gran casino, e l’aver lanciato il primo attacco effettivo aveva solo accelerato il processo. Continua a ripetertelo, Jackson. «Stai bene?» Spinse avanti la mano destra, mentre la mancina non abbandonava la presa attorno alla bacchetta, sfiorando con le dita tese una ciocca di fini capelli biondi incollati alla pelle del viso, lì dove un graffio l’aveva aperta in superficie. «Jade?» Non il solito principessa, nessun sorriso sghembo a piegargli le labbra in attesa di una sua sfuriata; doveva essere sicuro, prima, doveva essere certo che fosse- «OHI!» un pugno gli arrivò di prepotenza contro la spalla destra, le nocche a premere nel muscolo con la precisione che solo l’abitudine e l’esperienza in tale campo poteva donare. Jaden stava bene, e tanto bastava a strappargli dalla faccia quella patina di senso di colpa da dopo sbronza e preoccupazione molesta che così poco si adattava ad un Eugene Jackson, adolescente di professione e pavor per hobby.
    Ad aumentare quella lieve e del tutto inappropriata - dopotutto si trovava comunque ad un funerale, il sangue grondava dalle ferite dei nemici e dei compagni, le grida si levavano nella notte #wat - sensazione di benessere, una serie di volti impossibili per Eugene da non notare tra colori rimasti in piedi: alcuni incrociarono il suo sguardo, un mezzo sorriso, il pollice a sollevarsi verso il cielo ormai nero, altri no. Gemes sembrava ancota voler morire, Run teneva le iridi fisse su suo padre, forse in cuor suo non del tutto certa che Al ne sarebbe uscito vivo; considerati i precedenti di ciascuno di loro, stare un po' all'occhio non guastava mai. «JACKSON! la sedia sali suLLA SEDIA!» cdv, come volevasi dimostrare. Mamma glielo diceva sempre, stupido è chi lo stupido fa , che se non avesse riportato la testa sulle spalle prima o poi l'avrebbe persa per strada, ma Euge non era mai riuscito a darle retta. Ci aveva provato, cosa credete!, ma senza successo. Tant'è che, mentre osservava i suoi amiki sbracciandosi verao ciascuno di loro dimostrando così di essere vivo e, contemporaneamente, la proproa felicità nel vederli salvi (che sani è una parola grossa), acqua apparsa da non si sa bene dove salí a bagnargli le caviglie e poi i polpacci, inzuppando il fondo dei pantaloni. BUONMORGAN LE SCARPE NUOVE! Si voltò si scatto, le labbra dischiuse in una smorfia di mancata comprensione, la mano destra a cercare una Jaden selvatica senza trovarla: stava già arrampicata su di una sedia ikea, quella malefica, agitando in aria le braccia ad intimargli di fare altrettanto con movimenti ambigui (?) ed insulti gratuiti, il che - bisognava dirlo - lo eccitava anche un pochino. Non si era accorto fino a quel momento di quanto vicini si fossero fatti Lancy e Donnie, ma quando il ragazzino posó le mani sul velo dell'acqua stagnante raccoltasi all'interno della radura, quei due neuroni sopravvissuti si diedero il cinque, innescando un'inevitabile reazione a catena. «OHCRISTOH!» Acqua, elettricità - ora tutto tornava!
    Di film l'ex serpeverde ne aveva visti abbastanza per sapere cosa sarebbe successo nell'immediato futuro, se non si fosse dato una smossa per togliere i piedi dall'acqua, e sempre basandosi su uno di questi (sicuro nella top ten personale) decise la strategia per la sua sopravvivenza. Jurassik Park? Rambo? Un qualunque film in cui Steven Segal senza mai cambiare espressione esce incolume dai peggiori casini? No, Dirty Dancing. «Jade, PRENDIMI!» «n--» ma si era già lanciato, mentre un Donnie Armstrong evidentemente stravolto raccoglieva a sé le energie necessarie per scaricare non si sa quanti volt nella piscinetta privata di Lancaster, le braccia aperte come una splendida ballerina di danza classica pronta a farsi afferrare per i fianchi dal proprio aitante compagno. *spoiler*: la Beech non lo prese saldamente all'altezza della vita, non lo sollevó in aria facendoll apparire aggraziato e leggero, il vestito bianco ed impalpabile non fluttuó come la schiuma bianca del mare (?), ma sulla sedia Ikea Eugene ci atterró comunque; senza scossa e con un ginocchio di Jade piantato senza alcuna compassione o pietà nei testicoli, ma comunque salvo. CHI CI AVREBBE SCOMMESSO???

    «perché è ancora vivo? perché non l’hanno uccisa?» le mani del pavor, fino a quel momento tenute congiunte sotto il mento, si levarono come uccellini impazziti, atterrando con disperata forza sul cavallo dei pantaloni, le dita a stringere tessuto e oltre. Si trovavano ai piedi di quel palco maledetto da dieci fottuti minuti, Lancaster a troneggiare nel mezzo di un ristretto gruppo di persone come Gesù tra gli apostoli durante l'ultima cena (spoiler2: potrebbe effettivamente essere stato lui), e già partivano le domande stupide. Il ragazzo non poteva sapere, questo riusciva a capirlo anche un Eugene Jackson, ma non cambiava il risultato. «EDDAJE. Possiamo smetterla di dare suggerimenti alla gente?» Sgranó gli occhi, scuotendo con energia la testa come un qualunque anziano testimone di qualche marachella giovanile, sebbene Daveth dimostrasse si e no un paio d'anni meno di lui, e le sue spalle fossero larghe il doppio. Cosa davano da mangiare alle nuove generaziono? Pasta e fertilizzante? Hamburger e anabolizzanti? Oltraggioso. Si appoggiò stancamente con la spalla a quella di Nate, incuriosito suo malgrado dalla domanda proibita, certo che Lancy non avrebbe comunque risposto: gli sarebbe bastato volgere lo sguardo su di loro, quelli legati a lui con un doppio filo di sfiga e perdizione, e le parole sarebbero risultate superflue.
    Ascoltó quieto anche le domande degli altri, le iridi chiare a ppsarsi prima sul volto stanco e segnato di Run, poi sui graffi e il sangue rappreso sulla pelle troppo pallida del suo figlioccio; deja-vu, per l'ennesima volta. Alla simpatica festa dei Dallaire prima, sul palco poi, ora in diretta proprio sotto i suoi occhi. Eugene Jackson era considerato dalla maggior parte dei suoi conoscenti un idiota patentato, ma per certe cose rasentava l'acutezza di un vero genio; quali? beh, intrecciare trame mistiche alla Beautiful, per esempio. E, per dio, ormai il Knowles nella sua testa bacata si era trasformato inevitabilmente nel fratello segreto di Heidrun Crane: forse per natale ad Al avrebbe regalato dei preservativi. «Tutto molto bello, davvero. Giusto una cosa, tra le tante, non mi è chiara, Willie.» cercò tentoni il pacchetto di sigarette nascosto nella tasca posteriore dei pantaloni ormai da buttare, estrendone una matassa di cartoncino accartocciata su se stessa, il contenuto ormai andato a farsi benedire «ah, cazzo- giovane, una sigaretta?» chiese, rivolgendosi alla versione maggiorata di Elijah (perché Daveth appariva decisamente più pompato, non perché avesse le tette rifatte), prima di riportare l'attenzione su Lancaster, avvertendo un primo principio di stanchezza. Aveva aperto gli occhi alle due del mattino, due giorni prima, e non li aveva più richiusi da allora. «Stavi tenendo il simpatico trucchetto della scossa elettrica come ultima spiaggia? Usarla prima ed evitare qualche morto no?» non è che per caso sai anche chi ha ucciso mia sorella? Ma quello non lo chiese. Non poteva, capite? Perché per una risposta incompleta ad una domanda di quel genere, ad una balla, avrebbe sbroccato definitivamente, e non sarebbe piaciuto a nessuno.

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    Darden Larson non pensava prima di vivere, non ne aveva bisogno: si appoggiava sul proprio istinto, l’unica bussola di cui si fidava, che mai l’aveva tradita; ma in quel momento, osservando la pergamena tra le sue mani, non aveva idea di cosa fare, l'unica cosa a funzionare le sopracciglia incaricate e la bocca dischiusa. Potrei dirvi che non capiva molto, se non niente, di francese, ciononostante non era quello il problema, quanto più ciò impresso sulla carta - magari non era una cima, ma i disegni li capiva «non so se conosci il francese. è una lettera indirizzata a jeanine sulle modalità di utilizzo di una bomba» come avrebbe fatto senza di lui, senza la sua infinita saggezza? E poi le chiedevano - in realtà non lo faceva nessuno perché spaventava la plebe, dettagli - perché odiasse gli adulti, non era colpa sua se ognuno di loro si considerava in gradino sopra gli altri, non credeva ci volesse un genio per interpretare degli schemi «ma pensa, non l'avrei mai detto» chissà se la sentì mai, il karo Lanchy. Secondo lei no, eppure andava bene così: non sarebbe servito a molto discutere, non quando doveva far ordine nella sua testa e cercare di capire; c'erano due versioni dell'accaduto in Francia, quella ufficiale e quella secondo cui l'attentato non era stato altro che un raid ministeriale - lei lo sapeva, che erano tutte cazzate, nessun governo avrebbe scambiato vite di civili innocenti con quelli di Ribelli, non era quello il modo di proteggere la propria gente. Ma in quel momento? Da ciò che aveva in mano avrebbe potuto dedurre diverse cose, una ramificazione di ipotesi che avrebbero potuto condurla lontana dalla realtà dai fatti, di solito non pensava prima di vivere, ma quella volta non era sicura che si sarebbe potuta appoggiare sul proprio istinto - anche perché stava già traendo conclusioni affrettate e vagamente banali. Tirò via gli occhi da quelle parole cercando con lo sguardo Lancaster, incaricando il sopracciglio quando lo vide a parlare con un bambina; beh, a quel punto poteva tenersi la pergamena, non sembrava in urgente bisogno di riprendersela.
    Un cerchio di scintille e fulmini dai colori dell’arcobaleno la circondavano, una battaglia a infuriare e crescere e decine di ragioni per cui avrebbe dovuto prendere anche lei una sedia e spaccarla sulla testa a qualcuno. Darden amava menare il prossimo, così, per tenersi in forma o per puro piacere, non doveva avere una ragione o un obbiettivo, l’unica cosa che le serviva era una tela rosea dove dipingere in cremisi le sue ragioni. In quel momento? In quel momento sentiva di doverla cercare, una fazione, non per lei: per April e Nathan, Delilah e Neil; non si era mai trattato di lei, non quel giorno, non quelli prima – la verità aveva un volto, sangue caldo a scorrere nelle vene e un pugnale pronto ad affondare nella morbida carne, chi sarebbe stato, chi sarebbe caduto? Non poteva ancora saperlo, quindi si era limitata ad osservare quel combattimento dall’alto, una passo indietro che mai avrebbe pensato di prendere. Lei non si arrendeva mai, non aveva idea di cosa volesse fermarsi.
    C’era una prima volta per tutto.
    E poi, il tempo sembrò cristallizzarsi in un unico, costante momento. Neanche riusciva a sentire quei pianti sommessi, le urla di chi non ne aveva avuto abbastanza, la Barriera si frantumò in mille pezzi e una donna dai capelli corvini e i lineamenti orientali si fece strada tra un corpo e l’altro, gli eserciti dei due presidi ora a terra grazie alla scossa di Lancaster.
    Alla Larson non interessava di Kimiko Oshiro – fanculo il Ministro, per lei avrebbe potuto anche essere Doug the Pug – o di William Lancaster, i suoi occhi si posarono sulla figura di sua sorella, l’unica che le rimaneva. Poteva sentirlo vibrare nell’aria, la sensazione che ci fosse qualcosa che non andava, quel presagio a saturare i pori e a rendere impossibile specchiarsi negli occhi di Idem – non c’era nessuna Idem, solo l’eco di un fantasma che aveva dimenticato. «Sei posseduta?» una mano sulla spalla della Withpoatoes a scuoterla, lo sguardo dei Darden velato di una preoccupazione che mai era stata lì, mai si era curata di mostrare – poteva chiederle se stesse bene, ma quello sarebbe stato troppo pesino per la situazione, non esageriamo. Sangue del suo sangue, le rimaneva solo lei, forse poteva finire di fare la stronza per cinque minuti.
    Dieci minuti su quel palco, e già aveva sentito troppe stronzate. Il suo livello di tolleranza si era alzato negli anni – quelle, le conseguenze di vivere con i Withpoatoes – ma la situa si era precipitata in fretta, troppo in fretta, l’unica ragione per cui era rimasta lì era il bisogno di risolvere quell’interrogativo che aveva suscitato la pergamena, non per trovarsi in mezzo a Uomini e Donne.
    Che cazzo, potevano almeno darle un po’ di Forum o la kattiveria di Joe Bastianich.
    «non dovete tornare a casa?» gli avvoltoi non riposavano mai, perché avrebbero dovuto perdere l’occasione di molestare un vecchio? La cosa che Darden trovava ancora più esilarante era la maniera in cui gli si stavano rivolgendo, un po’ come se fosse il loro migliore amiko dei tempi andati. Ma. Chi. Ti. Conosce.
    Si limitò a osservare quel piccolo spettacolo, gente che proponeva di ucciderne altra (lei era sempre disponibile!) e altra che proponeva filosofie di vita e teorie complottistiche – le sembrava quasi di essere tornata ad Hogwarts, che merda. «sì, tutto molto interessante» aspetta che ti mostro il cazzo che me ne frega. Molto bello, divertente, ma ha rotto le palle. No, non era una fan di Rovazzi, quanto più il contrario.
    Lisciò la carta tra le dita, le parole di quella pergamena a susseguirsi una dopo l’altra nella sua testa, parola che tentavano di trovare una ragione, la verità – per essere una persona che non pensava, Darden l’aveva fatto anche troppo spesso nell’ultima mezz’ora «non credo sia stata Lafayette ad usare quella bomba» insomma, non si faceva attentati da sola come a Torino. Alla Larson non interessava di informare i presenti di cosa stesse parlando, l’importante era che Lancaster la capisse. Jeanine faceva parte di quello spicchio della Resistenza dai metodi un po’ più radicali del resto, ma non credeva si sarebbe macchiata le mani di tutto quel sangue francese, le ipotesi erano che a) era venuta a sapere della bomba che qualcuno – Vasilov, l’unico che avrebbe avuto ragione di attaccare – intendeva piazzare e aveva lasciato accadesse, così da essere giustificata in seguito a muovere le pedine in un determinato modo o b) intendeva essere lei la prima ad attaccare il collega bulgaro. Le teorie complottistiche non facevano per lei, troppe possibilità e – nel suo caso – troppi pochi indizi su cui appoggiarsi. C’erano anche da considerare le parole di Delilah, e le casacche nere che aveva visto sul luogo dell’attentato, casacche che portavano lo stemma dorato di Vasilov, di come Vasilov non aveva ribattuto cercando di provare la sua innocenza.
    La pergamena poteva essere stata falsificata, disposta esattamente come serviva a lui.
    But why would a dead girl lie?
    «Delilah ha detto che erano , perché il cazzo di esercito di Vasilov avrebbe dovuto trovarsi in Francia?» e perché cazzo continuate a farvi la guerra, mettendo in mezzo bambini, amici e famiglie? Non è mai stata la nostra guerra, ma la vostra, e forse sono un’idiota, dovrei sapere che le battaglie si vincono sporcandosi le mani di sangue innocente, dovrei aver imparato qualcosa dalla storia, eppure è di mia sorella che stiamo parlando, di mio fratello. Non sono, erano, un nessuno – perché non potete giocare a Dio da un’ altra parte? Perché siete sempre fottutamente in mezzo?
    Non siete nessuno, non siete il cazzo di Presidente degli Stati Uniti o Kim Jong Un, smettetela di fare i bambini e crescete.
    Ma non disse niente di tutto ciò, gli sfoghi appartenevano alle persone deboli, quelle che non sapevano controllare i propri istinti. E poi cosa avrebbero potuto dirle, di andare a fanculo? Molto costruttivo per entrambe le parti, davvero.
    «A che scopo attaccare la Francia? Cos’ha da guadagnarci?» la voce non tremava come stava incominciando a fare il suo corpo, nulla a indicare che fosse una bomba ad orologeria pronta ad esplodere – e quando lo avrebbe fatto, non sarebbe stato un bello spettacolo. Una bomba carica di violenza celata dietro a un viso impassibile, la calma prima della tempesta.
    well, aren't you a little ray of pitch black
    darden larson



    Edited by cocaine/doll - 4/9/2017, 01:12
     
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  9. call me lancaster!
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    preside di salem | neutrale | 55 y.o.
    william lancaster
    one shall stand
    and one shall fall
    It's all a bit tragic, really, isn't it? || 03.07.17 - 21:00
    «Sapevi che qualcosa del genere sarebbe successo» Lancaster strinse le labbra attorno all’imboccatura della pipa, un cespuglioso sopracciglio inarcato in direzione di Nathaniel Henderson. Per quanto amasse la libertà di pensiero, non poteva dire lo stesso di chi assumeva certe idee basandosi su solo il Signore avrebbe potuto dire cosa. Non si trattò propriamente di un’accusa, quella del Pirata, ma ci era andata abbastanza vicino da stizzire il preside di Salem – che, da quanto ne sapeva, era l’unico che avesse sempre spezzato una lancia in loro favore. «Sembra sempre che tu sappia esattamente quello che sta per succedere, come se l'avessi orchestrato tu stesso o l'avessi già visto» Un sorriso contorse la linea della bocca, denso di un’ironia che nessuno avrebbe potuto cogliere – e morbido, quel sorriso, la smorfia d’un genitore nei confronti del figlio capriccioso. «Non fraintendermi, il tuo intervento in extremis è apprezzato. Ma è assai... particolare. Sembra quasi che tu sappia più di quanto dia a vedere» Anche il secondo sopracciglio seguì il primo, i pugni poggiati distrattamente sui fianchi. «E pare che tu, miss Lafayette e sir Vasilov siate particolarmente interessati alla Gran Bretagna…e ai suoi cittadini» Avrebbe dovuto smettere anni prima di stupirsi di quella velata innocenza saputa, dell’ingenuità delle prime retoriche occhiate su un mondo in continua evoluzione tipica dei giovani. Più cercavano di capirlo, meno lo capivano – e comprendeva quel senso di falsa vecchiaia a rendere curve le spalle, c’era passato anche lui.
    Tanto, tanto tempo prima.
    Aprì la bocca per rispondere, ma fu messo a tacere dall’intervento di un secondo ragazzotto: «Noi inglesi non abbiamo la faccia da chi viene colonizzato» e non potè trattenere l’ispida risata con il quale fumo quasi gli andò per traverso, le dita a sorreggere la pipa ed una mano premuta sullo stomaco. «ah sì? E da quando?» battè le mani fra loro, gli occhi sollevati divertiti al cielo.
    Ah, che gioventù, in quell’annata.
    «sono un ottimo osservatore,» morse la pipa, rivolgendo i propri occhi scuri su Nate. «e la storia è ciclica, pirata: gli uomini ripetono gli stessi errori senza imparare mai. Non è difficile supporre cosa possa accadere, se si presta attenzione ai dovuti particolari» schioccò le labbra fra loro, un fluido movimento del polso con la bacchetta alla mano. Una cartina apparve color pergamena di fronte ai loro occhi; si schiarì la voce, Lancaster: «questo sono io» disegnò una faccina sorridere, di un colore neutro ma brillante, sul continente americano. «non c’entro niente, ma sono egocentrico. E questi, sono loro» una spennellata bionda, una color del sangue per indicare i territori dei due colleghi. «avete mai giocato a risiko? No? incredibile. Si risponda da sé, giovanotto: secondo lei, perché sono tanto interessati alla Gran Bretagna?» Una pausa ad effetto, le sopracciglia arcuate. «la vogliono. Non sono dei…colonizzatori, sono dei conquistatori - lo sono sempre stati: Dragomir e Jeanine hanno sempre amato litigarsi i territori dove poter divenire l’impronta, se comprende ciò che intendo. La Gran Bretagna non ha mai avuto una struttura di potere abbastanza forte da impedire loro di cercare di conquistarla – e se conosce un minimo di storia, saprà che pur essendo un piccolo isolotto ha quasi più storia magica degli altri stati messi insieme» picchiettò un dito sul naso. «ci sono molti segreti, sotterrati qui» volse il sorriso al mercenario. «ed è bene che ivi rimangano sepolti.» Il tono affilato, serio, ed un ghigno affabile sulla bocca. «per semplificarla, drago e jean sono due bambini che gridano l’uno sull’altro per affermare la propria supremazia, e qui non c’è mai stato nessuno in grado di rendere la popolazione sorda: vi vogliono, perché non siete di nessuno» Triste, mh?
    Eppure vero, dannatamente vero. Alzò una mano prima che qualcuno potesse interromperlo, i cipigli corrucciati già pronti ad accusarlo – di nuovo. «sì, lo so, ”nessuno ci può possedere, siamo persone, combatteremo, k si kredono di essere”, uuh» scosse il capo. «questa notizia potrebbe scioccarvi, ma non gira tutto attorno a voi: mi dispiace essere colui che infrange i vostri sogni di gloria, ma siete solo una patina opaca di fumo. siete gli effetti collaterali» sospirò, le mani ora intrecciate dietro la schiena. «lo so, se mi permettete il francesismo, è un po’ una merda» piegò il busto in avanti solidale, il tono basso di chi sputava un segreto già conosciuto dalle bocche di tutti.
    Non fraintendete, Lancaster era sinceramente dispiaciuto di quella situazione – perlopiù perché infastidiva lui, e violava tutto ciò in cui credeva. «ed ecco perché entro in gioco io:» sorrise entusiasta, le dita ora a stringere i lembi della giacca in tweed. «detto fra noi, non mi sono mai piaciuti i bulli» ruotò gli occhi su Finn, le righe attorno alla bocca più pronunciate: a buon intenditore, poche parole.
    «perché è ancora vivo? Perché non l’hanno uccisa?» Che domanda rude: non bastava il suo essere adorabile e strepitoso per dar motivo di non ucciderlo? Serrò le palpebre ed inspirò seccato dalle narici, le braccia allargate. «è un interrogativo molto stupido» osservò, aspirando una boccata di fumo dalla sua pipa. «perché non si uccide qualcuno, gallagher abbassò il tono di voce, quasi che la domanda fosse solo per loro. «c’è solo un unico motivo: la famiglia non basta, la morale non basta, l’amore non basta. quindi ripeto: perché non si uccide qualcuno un lento sorriso, di chi la sapeva lunga ed a cui piaceva poco: «perché serve vivo» concluse, riempiendo il silenzio con un soffio di fumo. «ho qualcosa di cui hanno bisogno, e loro lo sanno: necessitano che rimanga in vita, quindi gli conviene non minare la mia salute» il cosa, era tutt’altra storia – storia che non avrebbe raccontato a loro, certamente. Gli piacevano, sì, ma non così tanto.
    Ed ascoltò le parole di Helianta Moonarie, la cronocineta tornata dall’oltre tomba. Si sentì più stremato ad ogni punto di domanda, quasi gli strappasse dal petto un respiro ad ogni quesito: non aveva abbastanza pazienza, William, per quel pubblico. A quel punto avrebbero dovuto comprendere che non erano quelle le domande giuste, perché quale fosse il suo compito, avrebbe dovuto essere ovvio.
    Si tolse gli occhiali da sole, aggrappandoli distratto al taschino della giacca. Sospirò, quando la donna finì il suo monologo. «so tutto, bambina, e non so niente. So che l’eye liner è passato di moda» indicò Nathaniel. «so che fare un autografo sulle tette è più complesso di quanto possa apparire» un cenno con il capo al mercenario. Espirò lento, scuotendosi nelle spalle. «so che sta per accadere qualcosa di molto, molto brutto: so che è già iniziato» alzò gli occhi al cielo. «so che ne facciamo parte tutti quanti. So che finirà male» ed allora tornò a guardare Helianta, gli occhi seri e l’espressione triste. «nulla è come sembra, e tutto è ciò che appare» il tono fermo ed asciutto di chi enunciasse qualcosa di sacro.
    L’intero mondo parve trattenere il fiato, forse conscio del peso di quella verità.
    «qual è il mio ruolo in questo mondo? Quello di tutti, helianta:» tacque, la bocca dischiusa. «il sopravvissuto.» in qualunque tempo, in qualunque epoca.
    In tutti i suoi vari per sempre.
    «quello che salva ciò che può salvare, e sacrifica quel che deve sacrificare. Sono solo un uomo, helianta moonarie.» che un po’ era vero, ed un po’ non lo era affatto.
    «com’è possibile?» Ruotò lo sguardo al proprio fianco, il capo chino ad osservare il profilo immobile di Harrison Palmer – o di quello che Harrison Palmer, era stato. Domanda interessante, da parte di qualcuno ch’era morto. Inarcò un sopracciglio verso Heidrun, sottolineando l’ironia di quella situazione. «com’è successo?» Quello, invece, era un argomento assai più spigoloso.
    Si accovacciò al fianco dei due, le dita a tastare il polso dell’uomo alla ricerca del battito – lento, incredibilmente lento. «non avrebbe dovuto essere possibile» osservò, gli occhi chiusi ed il respiro fermo sulla lingua.
    Non avrebbe dovuto essere possibile.
    Si inumidì le labbra alzandosi nuovamente in piedi. «esiste una… leggenda di un incantesimo in grado di portare in vita i morti» non guardò gli interessati, ma fu come se l’avesse fatto. «ipoteticamente parlando, si tratterebbe di un incanto impossibile per vasilov, sotterrato secoli fa e dimenticato da tutti» non sorrise, ma fu come se l’avesse fatto. «sempre parlando di mera ipotesi, si narra che tale incanto, per funzionare a dovere, abbia bisogno di almeno due persone, oltre al defunto ed a chi compie l’incantesimo, e che queste due persone debbano avere un legame… particolare, con il morto. Qualcosa che possa trascinarlo a galla di forza» tamburellò le dita sulle gambe. «se un incanto del genere fosse possibile, direi che è quello usato in questo caso, ma peccava dell’ingrediente principale:» guardò la Crane in silenziosa attesa che comprendesse, o completasse la frase lasciata in sospeso.
    Lei si limitò a ricambiare l’occhiata, uno sguardo confuso a rimbalzare da Palmer a lui. «l’amore, santo cielo. L’amore. Ma non le leggete le favole? Mai visto un cartone disney?» perché toccava a lui, quello sputo di gioventù? «siete proprio un branco di deficienti» ammise, con quel tono schietto e leggero che non suonava affatto come un’offesa, ma come una constatazione. «vi fate sempre un sacco di domande, e poi ignorate le risposte ovvie» schioccò le dita nell’aria. «SVEGLIA. Il fatto che una risposta sia facile, non vuol dire che sia sbagliata. l’ovvio è spesso ciò che è: ovvio» Ed ecco spuntare un’altra domanda ovvia, un altro paio d’occhi ovvi. William Lancaster tacque di fronte al sottile e tagliente CJ, rimanendo immobile nel suo impeccabile sguardo antico.
    Stava diventando troppo vecchio.
    «non mi dica cazzate. Per una volta, basta manfrine a chi fra i presidi ce l'ha più lungo, o fottute risposte da biscotti della fortuna - una sola volta. chi era quella ragazza?»
    Oh, CJ.
    Inspirò secco dalla pipa, lasciando che la domanda aleggiasse per poco nel vuoto. Reclinò il capo, soffiò il fumo. Voleva una risposta sincera? Non voleva un enigmatico c’è un tempo ed un luogo per ogni cosa, ma non è questo? Bene. Inspirò dalle narici, sbuffò l’aria dalle labbra dischiuse. Non mi crederesti - eppure, dato che era stato così gentile nel domandarglielo: «tua sorella.» e fu così prevedibile, la reazione di lui, che neanche si sprecò a spostarsi, o a battere ciglio, quando la mazza s’infranse scheggiando il legno vicino al quale poggiava i piedi. Neanche per un istante temette di essere vittima di quell’affronto. «sei sempre stato il più emotivo» dove con sempre, intendeva un tempo assai considerevole.
    Tutti volevano la verità, ma nessuno voleva accettarla.
    Che strano mondo, quello.
    «Stavi tenendo il simpatico trucchetto della scossa elettrica come ultima spiaggia? Usarla prima ed evitare qualche morto no?»
    L’aveva chiesto davvero? Oh, santo cheeseburger. Si portò una mano al viso, massaggiando le guance e coprendo stanco la bocca. «evitare qualche morto? Guardati attorno, ragazzo» allargò le braccia. «hai mai giocato al gioco delle sedie? Fatti due calcoli» ce l’avrebbe fatta il nostro eroe? Forse no, quindi si schiarì la voce. «c’erano troppe persone, troppi ragazzi. troppi bambini. Ho atteso un varco, così che in molti potessero trarsi in salvo da sé: non sono io il nemico, eugene» e le parole si fecero più seccate, più infastidite.
    Uno cercava di aiutare, e quelli – incredibile. «sapete che sono qua di mia spontanea volontà, vero? Non vi devo nulla» , al contrario vostro. Sembravano aver dimenticato il significato del rispetto, in quella landa dimenticata dal signore. «Delilah ha detto che erano lì, perché il cazzo di esercito di Vasilov avrebbe dovuto trovarsi in Francia?» Tacque. Volse gli occhi su Darden, la testa reclinata e lo sguardo allusivo, pressante: «esattamente: perché avrebbero dovuto?» quella, era una domanda che meritava risposta.
    E che, per Lancaster, si rispondeva da sé: non avrebbe dovuto.
    «Delilah ha visto ciò che qualcuno voleva fosse visto» il che riportava a quanto aveva detto prima: nulla era come sembrava, ma tutto era ciò che appariva. Non diede una risposta secca alla ragazza, poiché una risposta secca non la aveva: tendeva a non mentire, Lancaster. Ometteva spesso, ma non era un bugiardo. «A che scopo attaccare la Francia? Cos’ha da guadagnarci?» Ancora con quella domanda? MadonnaImmanuel Casto, però, eh.
    «il museo del louvre? Uno sbocco sull’oceano atlantico? Il semplice poter dire ai suoi amiki di aver fatto le chiappe rosse alla francia?» si strinse nelle spalle. «lo scopo di ogni attacco è sempre lo stesso, che sia a livello personale o che includa in sé una popolazione intera: potere.»
    Guardò l’orologio. La signorina Oshiro lo stava aspettando.
    Sospirò.
    «lui viene in america con me» indicò il privo di sensi Harrison Palmer. Per quanto fosse… pericoloso portare il nemico in casa propria, Lancaster era abbastanza certo di poterlo gestire – ed avrebbe cercato di studiarlo, se non di… aggiustarlo. «preferirei non tornasse fra le mani di dragomir, potendo scegliere. Non credo lo rivoglia indietro, penso sia stata più una… dimostrazione» si grattò il mento. «l’invito è esteso a tutti, siamo un paese libero – ed ho un sacco di dormitori a mia disposizione, d’estate» lanciò un’occhiata a tutti loro.
    Mi deve promettere che li aiuterà anche quando non vorranno.
    Mh, che sbatti. Ignorò appositamente gli occhi del fratello di Adelaide, consapevole che se l’avesse guardato, l’avrebbe preso come un atto di miseria e compassione, di conseguenza sarebbe stato restio a prescindere, ad accettare. Avere a che fare con le persone non era affatto facile – ecco perché preferiva gli animali: almeno quelli avvertivano, prima di mordere. «sarete al sicuro, negli Stati Uniti» lo buttò lì in maniera annoiata, consapevole che una frase del genere avrebbe minato l’ego di molti – ma Lancaster intendeva davvero quel che aveva detto: che la situazione in Gran Bretagna stesse per diventare drammatica, non era certo un segreto. «vi faccio fare un giro del campus, potete dare un’occhiata nei dintorni – insomma. Abbiamo anche degli ottimi hot dog» alzò un dito al cielo. «e sappiamo che il sole non è solo mitologia» aveva sempre odiato il clima inglese.
    Il biondissimo Dallaire – o Gallagher, o quel che preferiva, fu il primo ad accettare. William gli indicò due ragazzi poco distante: «là ci sono donald e leaf, vengono anche loro. vi raggiungo tra un minuto – voi? l’offerta è valida ancora per poco» anche Darden si diresse in quella direzione, senza nulla da aggiungere.
    Guardò i rimanenti.
    Qualcuno distolse lo sguardo, i pugni stretti lungo i fianchi. Qualcuno declinò educatamente. Qualcuno sospirò. Qualcuno si scambiò un’occhiata. Guardò CJ raggiungere gli altri. «qualcun altro?»
    Nessun altro.
    Schioccò la lingua sul palato. «buona vita, ragazzi miei» si calcò gli occhiali da sole sulla radice del naso, un lento sorriso a prendere forma sulle labbra sottili mentre dava loro le spalle.
    «finchè potete.»
    | ms.
     
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