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Banchetto di inizio anno (x gente)

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  1. #raiden
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    Raiden Norrey ( ) - età - Ravenclaw - neutrale – 15 anni - #IloveCole
    « « wit beyond measure is man's greatest treasure »
    …active, radioactive… Whoah oh oh o… RAIDEN NORREY SVEGLIA NORREYYY, RAIDEN COSA FAI, RAI! Raiden spalancò gli occhi e si mise subito a sedere: «SONO SVEGLIO PA’, SONO MILLECENTO VOLTE SVEGLIO PA’». Guardò il suo smartphone che era a terra, e notò che aveva ancora le cuffie inserite nelle orecchie. Si era addormentato con le cuffie dentro le orecchie, con Radioactive dei Imagine Dragons in ripetizione continua? «AH-HA, BELLA PA’. MI SONO ADDORMENTATO C ON LA MUSICA NELLE ORECCHIE! PA’?». Ah no. Quella era la sveglia personalizzata del suo telefono, ovvero invece di avere il normale suono di una normale sveglia di un normale telefono aveva la registrazione della voce di suo padre.
    Prese il telefono e lo spense. La musica venne interrotta, ma Raiden continuò a sentire la musica rimbombare nelle orecchie. Si mise a ridere. «CHE CRETINO CHE SONO!». Guardo la foto animata incorniciata che si trovava sul suo comodino. C’era Tes che gli lanciava una palla di neve mentre lui rideva. Annuì. «SONO UN CRETINO. BELLA SCOPERTA».
    Guardò l’orologio che si trovava vicino alla foto. 1 settembre 2015. Rai annuì, grattandosi i capelli, e si rimise a letto.

    1 settembre 2015.

    «CAZZO PAPÀ HO L’HOGWARTS EXPRESS!».

    Non appena arrivarono al King’s Cross, Rai abbracciò suo padre. «GRAZIE PA’, CE VEDEMO A NATALE PAPO». Richard Norrey, il padre di Raiden, aveva cercato di far capire al figlio che stava urlando, ma Raiden N orrey era diventato sordo a cause della musica messa a continua ripetizione per 9 ore di fila. Per questo Raiden urlava, perché non riusciva a sentire la propria voce. Per questo la vicina aveva saputo che «PAPÀ QUELLE MUTANDE A POIS SONO ORRIBILI», ma sorvoliamo.
    Mano sui bagagli, si accinse a correre verso il muro che portava al binario 9 e 3/4 , ma si ricordò di una cosa fondamentale. «PAPÀ, RICORDA CHE LE LAMETTE PER DEPILARTI LE ASCELLE LE HO MESSE SULLA TERZA MENSOLA. CIAO PAPO». E fu così che l’intera King’s Cross scoprì che Richard Norrey usava le lamette per depilarsi le ascelle. Raiden corse contro il muro e…
    PAM.
    Ho capito: muro sbagliato.

    Forse v i sembrerà incredibile, ma Norrey riuscì a oltrepassare il muro giusto. Riuscì anche a salire in anticipo di un minuto sul treno, proprio quando stava per cominciare a sferragliare e partire verso l’infinito. Bene, si disse. Ora mo’ chi cavolo la trova, Tes? Guardò affranto la carozza su cui era salito, la prima. C’era anche il tizio del treno, lì. Lasciò liì i suoi bagagli, mentre Percy, il suo gatto andato in esplorazione del treno, c orreva verso di lui nascondendosi dietro le sue gambe. Aveva paura. Di cosa? Spostò lo sguardo, notando un mostriciattolo marrone di color merda chiara o beis, come dice il papo, o beige. «TI HANNO SBATTUTO LA FACCIA CONTRO UN PIATTO?». Il coso alzò lo sguardo su di lui, come a dire: Sono. Un. Carlino. Rai ridacchiò nervosamente. Il suo sguardo era diabolico. Quell’essere animale di cotanto nobile razza canina era il diavolo. L’anno precedente aveva morso Percy. Ed era il cane del tizio del treno.
    Il carlino spostò lo sguardo su Percy e le si avvicinò, strusciandosi sul gatto. Percy scappò. Raiden si avvicinò al tizio del treno, quello dei biglietti e cose, che aveva osservato tutta la scena. «SALVE, SIGNOR TRENIERE», salutò. Il treniere fissò Rai con un’espressione simile a quella del suo carlino. Raiden deglutì e, ridacchiando, indicò i due animali. «UN CARLINO MAINAGIOIA CUCE SEMPRE I SUOI DEBITI D'AMORE», pontificò saggiamente.
    Il treniere non cambiò espressione. E, senza dire nulla, si allontanò. Senza neanche chiedere il bilietto, poi. Meglio. Rai se n’era scordato, ops. Cher poi, perché si era arrabbiato? Il suo carlino aveva morso affettuosamente Percy, e ora cercava di scusarsi ma Percy lo fuggiva, quindi era un carlino mainagioia. Cioè, una carlina.

    Una carlina.
    Rai spostò lo sguardo sull’essere canino e se l’immaginò con un tutù e una gonna da ballerina. Fece uscire la lingua di fuori con un’espressione schifata.

    Fece scorrere lo sportello della carrozza, sperando sta volta di trovare Tes. Era la millesima carrozza in cui la cercava, e fino a quel momento aveva trovato solo adolescenti in preda agli ormoni, ragazze quasi ignude, ragazzi che si prendevano a botte. Anche quella volta si era dimenticato di bussare.
    Aveva appena interrotto nuovamente qualcos’altro.
    Assunse un’espressione ammiccante al vedere Oscar e Arabells abbracciati. «BENE BENE». Lanciò uno sguardo d’intesa ad Oscar, entrò nella cabina e salutò «CIAO REGA’!». Poi storse il naso, guardandosi attorno. «NON MI PIACE L’ODORE DI DISINFETTANTE CHE HANNO USATO PER LE CARROZZE. SA DI PUZZA DI PIEDI». Sì, ancora non ha smesso di urlare. E nemmeno sentiva quel che gli altri dicevano. Infatti vide le labbra di Oscar muoversi, ma lui non snetì nulla. «PARLA PIÙ FORTE, MANCO TI SENTO», urlò. «O HAI DAVVERO DETTO ATTACCO? SIAMO ATTACCATI?». Assunse un’espressione più che preoccupata.
    Gli ci volle un’ora per capire che aveva detto “stecco” e non “attacco”.

    Si era abbuffato di Gelatine TuttiGusti+1 e Cioccorane utilizzando il cash che gli aveva dato il papone. Ovviamente ne aveva offerti a Bells e Blaze. Solo che… Rai sapeva un trucco. Se c’erano disegnate 10 caramelle nella confenzione TuttiGusti+1, allora la metà di quelle caramelle erano al gusto di Vomito, se non tutte. Indovinate a chi diede quelle confezioni? Scusa Blaze, ti adoro in ogni caso. Comunque, alla fine su Tes a trovare Raiden. Furono quindi in quattro in quella cabina: Oscar, Arabells, Raiden e Thesan. Fortunatamente non dovette sorbirsi a lungo le urla di Raiden poi ché verso sera incominciò a parlare come un normale essere umano mortale.
    Quando scesero dal treno rimasero tutti insieme allegramente, salutando e abbracciando e facendo cose e cosando. Insomma, tante belle cose. Raiden ricominciò a urlare per salutare Tizio, Caio, Sempronio e anche un cane grosso che in realtà si rivelò essere il guardiacaccia. Ops. Il guardiacaccia lo guardò moooolto male, poi urlò un “Silenzio o sparo crucio!”. L’occhiata che rivolse a Rai però significava chiaramente “Ma a te crucio comunque, stupido”. Appena arrivati ai cancelli d’ingresso si separarono. Rai, Tes e Bells, tutti del Quinto anno, seguirono i Ravenclaw, mentre Oscar andò con i Gryffindor.
    Salirono le grandi scale di Hogwarts. Raiden mantenne sempre un allegro sorriso sul volto, parlando con chi capitava, più spesso con Tes. Anche se era sparita per più di un mese senza avvisare era ritornata e si era scusata. E nel tempo in cui non si era ancora scusata si erano litigati e odiati. No ok, odiati è grossa, Raiden odiava solo il fatto che Tes non gli avesse dato giustificazioni e preavvisi sulla sua sparizione. Ma ora li aveva dati, quindi pace. Che poi Rai non ci credeva, ma pace.
    Ora erano grandi e migliori amici.
    Purtroppo.
    Rai osservò i lineamenti di Tes, inebetito. Così vicini e affini, così uniti e insomma sì dai, quelle cose che scrivono i lorsignori reverendi poeti, tutte quelle belle cose là. Peccato non poter sentire il sapore delle sue labbra. Accorgendosi di star facendo la figura del cretino, distolse lo sguardo.

    Non appena entrarono in Sala Grande, Rai fece l’acab, ovviamente. Invece di andarsi a sedere sulla tavolata dei Ravenclaw, camminò velocemente mescolandosi tra la folla e senza farsi vedere da nessuno e senza far notare il fatto che lui non era tra i Ravenclaw. Alzi la mano chi ci ha creduto: quelli che l’han fatto son dei cretini. Raiden, difatti, inciampò più e più volte lanciando urla del tipo «E MO’ SPOSTATI COJUN» per poter raggiungere la tavolata degli Esperimenti. Appena vide i capelli rossi di Aveline, si fiondò su di lei abbracciandola e stringendola forte, stampandole un bacio affettuoso sulla guancia. «AVIS», disse a mo’ di saluto, sprizzando gioia e allegria da tutti i pori.
    Abbracciò pure Dakota rischiando gli spezzare e ridurre in polvere le suo povere costole. Fu costretto a staccarsi precipitosamente da lui per sedersi vicino a Tes, nel tavolo dei Ravenclaw: stavano arrivando gli studenti. Ovviamente inciampò, suscitando l’ilarità generale, ma non ci fece più di tanto caso. Fece però caso all’occhiataccia che gli riservò la Bulstrode. Ops, sorrise alla Bulstrode facendo un cenno con la mano a mo’ di saluto.
    Entrarono le matricole. Raiden si unì ai fischi, agli applausi e all’acclamazione generale quando il Cappello Parlante Smistava un Ravenclaw. E dopo, e solo dopo, si accorse che… «Dov’è Leory? S’è fatto la chirurgia plastica?». Thesan gli lanciò un’occhiataccia di rimprovero, mentre due suoi compagni si tapparono la bocca per soffocare le risate. Cosa ci trovavano di divertente? Leroy s’era fatto la chirurgia plastica? Leroy si alzò e si mise davanti al leggìo, silenziando la Sala. How rude! E iniziò a parlare.
    “Ethienne Leroy, che è stato il Preside di questa scuola l’anno precedente, come molti di voi sapranno ha deciso di lasciare l’Ufficio, così il Ministero ha dovuto trovare un valido sostituto disposto a ricoprire questo seggio vacante”. Raiden mise il broncio, incrociando le braccia. Nessuno me l’aveva detto. Lo sapevano tutti, io no. “Il mio nome è Cole Sølv Sicla, attuale preside della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts”. Raiden sorrise e lanciò uno sguardo d’intesa al Tes. Un nuovo preside a cui fare dispetti. Già stava progettando di far indossare alla statua dell’aquila che portava all’Ufficio del Preside dei favolosi mustacchi e degli occhialoni.
    Ritorniamo alle cose serie. Sicla, quindi. Tipo la torturatrice. Figo. Suo padre? L’età giusta ce l’aveva. Credo. Strinse gli occhi, cercando di capire che età avesse il nuovo preside. Alla fine risolse con un Non me ne frega niente. Cercò di studiare i volti dei professori mano a mano che il neo-preside continuava con il suo discorso. Tutti attenti. Notò una leggera scintilla di disapprovazione negli occhi di sir Berqgvist al sentir nominare la Sala Torture. Vide invece il sorriso soddisfatto della Queen. Vide il cipiglio severo e gelido di Icesprite. La Lagrange era assente, ma sarebbe arrivata più tardi, con un ingresso trionfale #wat. “Vi auguro un felice rientro a casa, sperando che i rapporti con tutti voi possano essere dei migliori. Impegnatevi in questo proposito la metà di quanto mi impegnerò io e potremmo andare d’accordo. Basterà osservare le regole, non è poi così difficile”. Raiden fece un sorriso sardonico, alzando il pollice. Okay, lol bro. Troppo spassoso, rispettare le regole. Credi davvero che abbiano inventato le regole per farle rispettare? Troppa fantasia, bro. Si affrettò ad assumere un’espressione seria e composta, abbassando il pollice, per non farsi vedere dai professori.
    “Che il banchetto abbia inizio!”.
    Raiden si tuffò prendendo subito un piatto di patate, soffiandolo da sotto il naso di Tes. «Pivella», sentenziò. «Ho vinto io». Prese il cucchiaio e prese un po’ di patate, mettendole sul piatto, poi passò le patate a Tes, rivolgendo poi l’attenzione al nuovo preside. Dopo due secondi, decise che gli piaceva #IloveCole e si concentrò sugli altri professori. Era indeciso su una cosa.
    A chi fare il primo scherzo made in Norrey dell’anno?
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    liam callaway (big nana) ( ) - 23 - Durmstrang - death eater - evil genius
    « this is the type of day i wish vodka came out of the shower »
    Si spolverò la giacca con qualche gesto secco, sibilando infastidito ad un Dio in cui mai aveva creduto. Perché doveva sempre finire così? Perché qualcuno, immancabilmente, doveva finire per rovinare i suoi abiti? Da una parte era divertente sapere che continuavano ad esserci persone le quali, testardamente, rimanevano fedeli alla crociata del sterminiamo Callaway, e questa volta sul serio. Dall’altra era incredibilmente seccante per il diretto interessato, un inutile spreco di tempo che avrebbe potuto utilizzare in modo più proficuo –un modo che aveva diversi nomi: vodka, rum, whisky, tequila. Se si fosse trattato di sicari in gamba, ne sarebbe perfino stato lusingato; una bella sfida era ciò di cui Callaway aveva bisogno, annoiato da una routine sempre uguale. Invece, chi gli mandavano alle calcagna? La suicide squad dei poracci, ossia pedine sacrificabili che non sarebbero mancate a nessuno. Cominciava a credere che non si trattasse di tentativi di omicidio, quanto di mantenerlo allenato, o sempre in all’erta. Magari dietro tutto quello c’era Aaron, una specie di perversa vendetta per ciò che gli aveva fatto qualche mese prima fingendosi morto. Evidentemente non era bastato l’aver trasfigurato ogni abito di Liam in un costume (coniglietto pasquale, Britney ai tempi di Toxic, sandman, Lady Gaga in Alejandro) , obbligandolo a riportare ogni capo alla normalità per poi accorgersi, solamente uscendo di casa, che qualche dettaglio gli era sfuggito. Bastardo di un ex insegnante di Trasfigurazione. Comunque, fatto stava che quella era la giacca preferita dell’irlandese, e purtroppo non era solo sporca, ma aveva anche una vistosissima riga di circa un millimetro di spessore e cinque di lunghezza sulla spalla. «Questo non me lo dovevate fare» Seccato, spostò gli occhi scuri sull’uomo a terra, scuotendo il capo con disapprovazione. Alzò le palpebre abbassate del suo sicario con la punta della bacchetta, lungi da lui sfiorarlo a mani nude, constatando che era già morto. Quanta fragilità l’essere umano, così poco propenso a sopravvivere il tempo che a Liam sarebbe bastato ad indagare su un possibile mandante. La seccatura del Callaway si faceva sempre più grande, equiparabile forse all’essersi ritrovato Italie vivo e vegeto sotto mano –sfortunatamente poi aveva scoperto che non si trattava più dell’originale, indi ucciderlo nuovamente non sarebbe stato così divertente- e come se quella non fosse già stata una giornata di merda, quella sera lo aspettava il banchetto al castello con il suo usurpatore. Ma una gioia, in quella vita? Ritirò la bacchetta nella tasca interna della giacca, una sigaretta già infilata fra le labbra per celebrare quell’effimera vittoria che, in realtà, di soddisfazione gliene aveva data ben poca. Uscirne appagato sarebbe stato un po’ come sentirsi invincibili dopo aver vinto una maratona contro un paraplegico: non era affatto rispettoso, e avrebbe anzi sfociato nel cattivo gusto. Callaway, fino a prova contraria, era un gentleman. Lasciò l’uomo a marcire nel vicolo buio della Londra babbana, senza rimorso e senza paura, quindi si smaterializzò a casa, dove inutilmente cercò un fiammifero che non fosse stato usato da Sales per bruciare le loro foto insieme –ovviamente aveva ascoltato Taylor Swift mentre era impegnato nell’atto, ed aveva anche canticchiato a bassa voce… o almeno, così gli aveva riferito Big Nana in confidenza.
    E a proposito di Big Nana.
    «Big Nana, sono a casa» Urlò, le parole impacciate a causa del cilindro di tabacco stretto fra le labbra. Stanco dell’estenuante ricerca, estrasse la bacchetta ed usò quella come accendino alternativo, rischiando di bruciarsi le meravigliose sopracciglia castane. Una nube grigia di fumo avvolse l’intera sala, mentre la badante –inutile, bisognava dare il giusto ruolo a Big Nana: non era la donna della pulizie, era la loro colf- soffiava una rauca risposta. «Ma non mi dica, signorino Callaway» Signorino Callaway, aw. Un sorriso ironico si dipinse sul volto di Liam, mentre dava un affettuoso buffetto alla donna. «Aaron?» La donna si strinse nelle spalle, continuando a fingere di spolverare una mensola che, dal canto suo, non s’osava di impolverarsi da anni. «Senti… non è che per caso stasera mi presti uno dei tuoi vestiti?» Domandò distrattamente, aprendo il frigorifero in cerca di una birra. Troll level Sales: ogni bottiglia appositamente riposta nel proprio luogo d’appartenenza, era in realtà vuota. Lo richiuse mugolando, allungando il braccio per buttare la cenere dentro il lavandino –Big Nana odiava quel comportamento, ma si era ormai arresa a quanto i posacenere fossero mainstream per il giovane. «Di nuovo? Sto ancora aspettando quello che la scorsa settimana ho dato al signorino Sales» Liam corrugò le sopracciglia, ma preferì non fare domande: occhio non vede cuore non duole, giusto? Schioccò la lingua sul palato, parandosi di fronte a lei e rivolgendole il più seducente dei sorrisi, stringendo appena le palpebre ammiccante. «Ma io non sono il signorino Sales» Allungò una mano alzando le sopracciglia, mentre Big Nana sbuffava ed andava a recuperare nel suo armadio uno di quei vecchi vestiti puritani che tanto le piaceva indossare: abbottonato fino al collo, di un blu scuro che s’imponeva di non attirare l’attenzione ed al contempo mirava a figurarsi come elegante. Insomma, una merda. Lo sguardo della donna gli impedì però di ribellarsi a quella scelta, e ben sapendo che avrebbe potuto andargli peggio, accettò di buon grado il dono, chinandosi per darle un bacio sulla fronte. Lei lo amava, era inutile che fingesse. Li chiamava in cuor suo l’ubriacone e lo stupido, ma era inevitabile che fosse loro affezionata come una madre. Era pur sempre di Aaron Sales e Liam Callaway che si parlava, impossibile non voler loro bene. Quella santa donna neanche gli domandò a cosa gli servisse: aveva proprio capito tutto, negli anni vissuti con loro. Sempre meglio non chiedere, la risposta raramente piaceva.

    Si lisciò l’abito addosso, schiaffeggiandosi delicatamente il viso olivastro con un sospiro davvero degno della Big Nana originale. Come poteva indossare un tale sacco di juta ogni giorno, e osare chiamarlo vestito? Stringeva il petto prosperoso della donna, o meglio di Liam, premendo anche su una pancia troppo sporgente. I fini capelli scuri erano legati da un nastro del medesimo colore dell’abito. Un abbigliamento castigato e severo, reso forse buffo dalle lenti prive di montatura che svettavano sulla punta del naso a patata. Big Nana era un amore, ma Madre Natura non c’era andata sul leggero con lei. «Lo so, non dirlo. Incarno il tuo sogno erotico: la mente di Liam, il corpo di Big Nana» Ammiccò senza distogliere lo sguardo dallo specchio, dal quale vide di sfuggita passare alle sue spalle il Ministro della Magia. Si infilò fra le labbra una sigaretta, ben sapendo che al banchetto avrebbe dovuto limitare l’uso di nicotina. Si sapeva, dopotutto, che era una sua particolarità. Liam Callaway ne aveva per le palle di far sapere a tutta Hogwarts che lui era lì, seduto affianco a loro, mentre un Sicla qualunque occupava il posto che era stato suo. Andiamo, il biondo avrebbe sfigurato una volta che fosse morto –ossia a breve, con i Presidi la storia era sempre quella- ed avessero appeso il suo ritratto nell’ufficio, vicino a quello di un favoloso Callaway. Già aveva mal tollerato Leroy, seduto al suo posto (però, davvero, non c’entrava nulla con la sua misteriosa scomparsa… non quella volta), ed erano amici… ma Cole? Neanche lo conosceva, e già lo odiava. Chissà se era adorabile quanto la sorellina. Ovviamente a Liam almeno una Sicla piaceva: Erin aveva quel giusto tocco di sadismo e ninfomania che tanto attizzava l’uomo moderno, ed il moro non aveva fatto eccezione. Purtroppo per Cole, però, si chiamava potere della vagina, e lui ne era ahimè sprovvisto. Niente vagina più Preside di Hogwarts, uguale : gli stava sul cazzo.
    Non letteralmente, quello a Cole sarebbe piaciuto e anche a Liam #wat #nonsidiceingiro.
    Inspirò, lanciando un’occhiataccia ad Aaron mentre si stringeva pudicamente al suo braccio, attendendo che si rendesse utile con una smaterializzazione congiunta. Immaginava già tutti gli occhi che sarebbero stati puntati su di loro, essere l’amante il migliore amico del Ministro aveva i suoi vantaggi ed i suoi svantaggi, ed era alquanto innervosito del non poter presenziare, a causa del proprio orgoglio, con il suo vero aspetto. Eppure, mai gli avrebbe dato quella soddisfazione, a costo di infilarsi in un frigido vestito da vecchia e dover fingere un accento ispanico. Let the game begin.
    Oh, che fossero i polmoni da fumatore o la stazza non troppo moderata di Big Nana, quando finalmente i due giunsero alle scale che li avrebbe condotti al castello Liam non si sentiva più la milza. Premette una mano contro il proprio fianco, inspirando lentamente ma a bocca spalancata. Quelle scarpettine insulse avevano pure qualche centimetro di fastidioso tacco, giusto perché le donne di una certa età, se non vantavano certe calzature, non vivevano felici. «Madre de diòs, signorino Sales, avrebbe anche potuto portarmi in braccio» Grattò, tossendo per schiarirsi la voce. A quanto pare non v’era alcuna necessità di affrettarsi, perché avevano già riservato loro un posto d’onore –o qualcosa del genere, insomma, tutti quei privilegi che l’essere il Boss dava-, quindi si diede il tempo di tornare a respirare come una persona normale e non come una cagnetta in calore. Quella vita era troppo faticosa. La seccatura provata sin da principio, cominciava a diventare incazzatura vera e propria. Uno non ha il tempo di morire e tornare in vita, che gli rivoluzionano tutto. Maledetti figli di non troppo buona donna. Non appena misero piede in Sala Grande, lo sguardo di tutti si puntò su di loro –inevitabile- e per un breve ma significativo secondo Liam si dimenticò di essere Big Nana, e lanciò qualche sorriso lascivo al suo pubblico. Big Nana, come potè constatare, non faceva lo stesso effetto di Callaway: che brutto essere così… insignificanti.
    Vennero sommersi da calorosi saluti e strette di mano ammirate verso Aaron, mentre Callaway poteva senza pudore e vergogna giudicare ciascuno di loro: li squadrava dal basso verso l’alto con disappunto, per poi volgere gli acquosi occhi scuri su altre vittime di altrettanto disappunto. Ed eccolo, apice di cotanta mainagioia, su quel palchetto che lui aveva riempito molto meglio: Cole Sølv Sicla. i’m watchin you, son of a… E chi c'era, poco distante? L'altra usurpatrice, e va come se la sorrideva: Boo-hoolstrode. Bella la cattedra di storia della magia? Il mio cadavere era ancora caldo, avvoltoio. Quando il "preside" iniziò a parlare, Liam si rese conto che la voce era ancor più fastidiosa del suo aspetto mediocre, ed era così poco interessato al suo discorso di benvenuto da puntare gli occhi sulla mora seduta al tavolo con loro: Aiden Larson? L’ultima volta che l’aveva vista, era morto.
    Chissà se portava la stessa fortuna a tutti i presidi.
    Il sorriso perfido che incurvò le labbra di Big Nana Liam, pareva quello della strega di Hansel e Gretel quando i due bambini si fiondavano sulle ciotole di cioccolato fuso poste sul tavolo appositamente per loro. Buono questo banchetto, eh Cole? La vuoi la torta ai sette vasetti, eh Cole? Magna, magna che ti fa bene.
    «Sembra carino!» Strinse le palpebre, mettendo a fuoco la donna. Carino? Ed a parer suo era abbastanza? Il minimo che poteva fare, era essere meraviglioso. Ma certo, non tutti potevano essere dei Callaway. «Al massimo sembra un carlino» Rispose con voce bassa ed appena udibile, pacatamente innocente, passandosi la lingua sulle labbra rugose. Ay, dios mios, Edith pensaci te.


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    arabells "lies" dallaire ( ) - 15 - Ravenclaw - the liar - quidditch captain
    « I've forgotten how it felt before the world fell at our feet »
    Il respiro misurato di Bells continuava ad appannare il vetro contro il quale aveva poggiato il proprio capo. Espirava, lasciava che il finestrino diventasse opaco, tratteneva il fiato finchè non tornava allo stato di quiete e quindi ricominciava. Era tutto così nuovo, che non sapendo dove volgere il proprio sguardo optò per non farlo, lasciando che fossero i pensieri del passato ad affollarle la sua mente, più gestibili rispetto al futuro che le si parava innanzi. Rivedeva il viso di Elijah, i suoi occhi chiari e sperduti, quel sorriso appena accennata di chi voleva convincersi che tutto potesse andare per il meglio; cercava d’essere confortante, quella piega delle labbra, ed invece Arabells Dallaire non riusciva a togliersi quella sensazione di angosciosa preoccupazione. Se da una parte desiderava più di ogni altra cosa averlo vicino, aiutarlo a ricordare ed ambientarsi, dall’altra non poteva che essere grata dell’inizio delle lezioni proprio perché le avrebbe permesso di prenderne le distanze. Cercava di nasconderlo, e ci riusciva egregiamente, ma… era così difficile. Gli mostrava tutto con aria divertita, dicendosi che era pur sempre Elijah. La verità era che quello, per quanto Bells non volesse crederci, non era più Elijah Dallaire. Era un ragazzo che gli assomigliava, che sorrideva al suo stesso modo ed aveva la sua stessa voce; quando gli stringeva la mano, però, sentiva qualcosa che cozzava. Mancava qualcosa, fra i Dallaire. Mancava la memoria di ciò che i Dallaire erano stati, e non era universalmente giusto che fosse solo la piccola Arabells a doversi far carico dei ricordi di entrambi. Non era la stessa cosa, non lo sarebbe più stata. Lei era sempre lei, ed Elijah… ci provava, lo sapeva. Lo vedeva, ed il loro legame era ancora presente. Quando era al suo fianco, Bells riusciva a credere che tutto fosse più semplice; dopotutto bastava che fossero insieme, giusto? E stava cercando di farsi conoscere una seconda volta, di far tornare abitudinario ogni piccolo gesto, ogni sfumatura del proprio volto. Cercava di riafferrare l’immagine che Elijah, da qualche parte, ancora serbava della sua sorellina. Ma non era la stessa cosa.
    Strinse i pugni sulla gonna della divisa, chiudendo brevemente gli occhi. Stava tornando a Hogwarts, avrebbe visto tutto per la prima volta. Aveva visto Gas, Wendy, Arci solamente in foto. Era così… strano. Uno strano piacevole, in un certo senso paragonabile all’ansia prima di salire sul palcoscenico. Con le dita tamburellò sulla propria gamba, come avrebbe fatto sui tasti bianchi e neri di un pianoforte, ed inspirò seccata l’aria viziata della carrozza. Spostò lo sguardo su Oscar “Blaze” Fraser, comodamente accomodato sull’intero divanetto, i calzini bucati in bella vista. La signora Fraser non avrebbe approvato. Era così familiare averlo vicino, nonostante quel silenzio pesasse ancora per l’anno precedente, che aveva resistito… per un po’. «Fraser biondo…» Lo ammonì, stancamente, sapendo già che da brava testa Grifontonta non avrebbe ceduto di un millimetro sui suoi comfort. Quando, dopo qualche secondo di estenuante attesa, si decise finalmente a guardarla, Arabells inarcò entrambe le sopracciglia. E più lo guardava, Merlino, più si rendeva conto che lei l’aveva sempre visto. Era stato il primo viso a riempire il suo campo visivo, ma per la Corvonero non era stata una completa novità incontrare i suoi occhi chiari; conosceva meglio i Fraser di sé stessa. Quanto pareva adorabile, con quel faccino spiccicato contro i morbidi cuscini dell’espresso di Hogwarts.
    Tutta finzione. Gli rivolse un dolce sorriso giusto un poco velato d’ironia: «Quest'aria di rose mi mancava davvero. Grazie» Gli erano mancate tante cose, in quell’anno di assenza; le erano mancati i suoi amici, il suo dormitorio, le nottate passate a parlare con Oscar e quelle dov’era il silenzio a parlare per loro. Quando non riusciva a dormire, s’era ormai abituata a sgattaiolare fuori dal dormitorio, e sapeva che avrebbe sempre trovato Blaze quanto Blaze sapeva che avrebbe trovato lei; anche ad Inverness era sempre stato così, ed anche in Francia Arabells sgusciava fuori dal suo letto per cercare conforto in un cielo non troppo lontano da casa. Ma quello? Non le era mancato per niente. Rozzo e cafone. Si alzò con un sospiro ancor più seccato, avvicinandosi al finestrino in punta di piedi per cercare di cambiare l’aria. Oscar non brillava di intelligenza –perlomeno non in quello in cui non voleva-, e lei non aveva mai smesso di sottolinearlo, ma si sapeva: dove non c’era la mente, c’era il fisico. Percepì il suo movimento, ma ebbe giusto il tempo di girarsi verso di lui per controllare che non si stesse dedicando ad altre attività illecite prima di ritrovarsi schiacciata contro il treno, il braccio di lui a stringerle la vita ed il suo viso troppo vicino. Sentiva il suo respiro sulla pelle, sentiva il suo calore, sentiva… Oscar. Idiota, irriverente, sempre molto diretto, e sempre molto simpatico. Le sarebbe bastato allungarsi di qualche centimetro verso di lui per premere la propria bocca sulla sua, giusto per spiazzarlo e per metterlo a tacere, possibilmente, per il resto del viaggio. Dopotutto sarebbe stato solo un bacio, ed erano Bells e Blaze. Non Gas Jack e Rose: erano tante cose, Bells e Blaze, ma certamente non quello credici. Non sarebbe cambiato nulla. Fra loro era stato così fin quando a malapena riuscivano a reggersi in piedi, e lei aveva bisogno di stringergli la mano per camminare (e Oscar, puntualmente, la portava a schiantarsi contro gli alberi). Lei stuzzicava lui, lui provocava lei; spostavano i limiti a loro piacimento, ma non li superavano mai. La storia diceva che fosse così che nasceva una storia d’amore. Arabells Dallaire credeva più che fosse così, che nasceva l’omicidio colposo.
    Ma erano punti di vista.
    «Stai dicendo che i miei piedi puzzano? Eh?» Si lasciò stringere, i loro corpi pericolosamente vicini, mentre valutava il modo più pratico per ribaltare quella presa di modo da essere lei quella in posizione di vantaggio: competitività level blallaire. Un sorriso sghembo, mentre gli occhi non lasciavano quelli dannatamente chiari di Oscar. «Oh, non potrei mai...» Rispose, dolce come il miele, mentre si avvicinava di un altro centimetro –più vicino alle labbra di Oscar, sì, ma anche ala sua via di fuga (che via di fuga, poi, magari non sarebbe stata).
    Comunque non lo sapremo mai, miei cari lettori, perché qualcuno aveva appena deciso di spalancare la porta della carrozza e di urlare nelle loro orecchie. Ora, partendo dal presupposto che Arabells Dallaire aveva un udito particolarmente, e per forza di cose considerata la sua precedente impossibilità di vedere, fine, quale razza di motivo poteva spingere Raiden Norrey a, perdonate il francesismo, rompere così platealmente le palle? Non vedeva che erano impegnati? A fare cosa, non era dato saperlo. Non aveva un’amica dal quale non si staccava mai? Perché non era con lei? Tes, portatelo nel limbo dei pg ancora in creazione, per favore. Lanciò un’occhiata incuriosita da sopra la spalla, collegando per la prima volta la voce di Rai al suo viso.
    Chissà perché aveva sempre pensato che avesse tratti orientali. Perché non era giapponese? Aggrottò le sopracciglia, irritata per più di un motivo, mentre Raiden si sedeva, non invitato, assieme a loro. «CIAO REGA’!»«Che piacere rivederti» Melliflua, in quella menzogna che ormai era parte del suo DNA. Melliflua, in quella che agli altri sarebbe parsa sincerità, perché non poteva fare altrimenti Arabells Dallaire.

    Passò il resto del viaggio in silenzio stampa, e fortunatamente anche Raiden tacque. Le orecchie già le dolevano, per cui li lasciò ciarlare mentre tornava a farsi gli affari suoi, pregando Morgan che la Payne passasse a prendere il giovane Corvo -come un cagnolino lasciato fuori dal supermercato, sì. E dire che, a Bells, di solito Raiden piaceva. Era bizzarro, e per quanto la metà del tempo meditasse how to get away with Raiden’s murder, passare del tempo in sua compagnia era anche piacevole. Quel genere di compagnia che ti impediva di pensare alle problematiche quotidiane, e rendeva la giornata più tollerabile. Certo, quando non c’erano i Grifondoro nei paraggi: quando si stava con Oscar o Gas, l’ultima cosa a cui riuscivi a pensare era pensare, avere anche un Norrey sarebbe stato eccessivo. Alla fine anche l’altra Corvonero li raggiunse, e divisero quella profumatissima carrozza in quattro: tre corvi, un Grifontonto. La senti la presenza, eh Oscar? Morire che un po’ d’intelletto entrasse in quella mente contorta, ma uno ci provava.
    Baci abbracci, ma che belli i Catafratti, bella andiamo per la nostra strada. Si strinse a Chris, cercando di evitare l’allegro vociare di Raiden. Guardava ogni cosa con lo stupore di una bambina, soffermandosi sui quadri che tante giornate, con i loro sussurri, avevano accompagnato. E sorrise, Arabells Dallaire, perché era di nuovo a casa.
    In sua assenza erano accadute un sacco di cose: Isaac era riuscito a diplomarsi –lo so, incredibile- il che significava che non avrebbe più potuto irritare Sharyn con sguardi ammiccanti in direzione di Lovecraft; Nicole Cooper era diventata prefetta –qualcuno aveva mai nutrito dei dubbi in proposito?; la caposcuola in carica l’ultimo anno in cui Bells aveva frequentato Hogwarts, era diventata insegnante di Incantesimi; il preside era morto, era stato sostituito da un altro, ed a quanto pare girava voce che anche quell’altro fosse sparito. Bellissimo. Dakota Wayne, poi, caposcuola: davvero poco credibile. Aveva tagliato i ponti con tutti per un intero anno, ed in quell’anno l’intera Hogwarts era stata rivoluzionata. E lei, nel suo piccolo, imparava a conoscere ogni cosa: il suo dormitorio, il suo letto a baldacchino, i suoi compagni. Era diverso, ma sempre uguale: ad Hogwarts piace cambiare.
    Ordinatamente furono portati in Sala Grande, e potè giusto lanciare un bacio ad Arci prima che questo venisse relegato nel tavolo opposto, insieme agli altri Serpeverde. Trascinò Chris al tavolo, avendo cura di sedersi dietro i Grifonfratti wat così da poter accidentalmente tirare affettuose gomitate piene d’amore, e si preoccupò anche di avere Raiden di fronte a sé. Quello era il momento di fare i conti, mai scherzare con un catafratto: vendetta vera. Dopo essersi assicurata di avere il piede del ragazzo a portata di gamba, cominciò a premere con forza, schiacciandolo a terra. «Oddio, scusa, pensavo fosse il tavolo» Disse dopo qualche secondo di accanimento terapeutico, sorridendo gioviale al suo compagno. Il nuovo preside -o forse il Portavoce?- si alzò, facendo tacere tutti loro con un fluido movimento della bacchetta. Probabilmente un gran discorso, ma quello che Bells colse fu solamente: «Sono stati intensificati i sistemi di sorveglianza nel Castello, quindi vi sconsiglio di trasgredire le regole imposte, a meno che la Sala Torture ai vostri occhi non appaia come un idilliaco posto nel quale passare gran parte del tempo libero in compagnia di Erin Sicla e James Larrington» Invece di toglierle il divertimento, lo stavano aumentando. C’era qualcosa di più piacevole del trasgredire una regola sapendo che la punizione sarebbe stata esemplare? Adrenalina, brivido. C’era chi ci viveva, per quelle cose lì. Arabells era nel prezzo. Sorrise, allungando il collo per vedere chi fossero James Larrington ed Erin Sicla. Strinse poi le labbra fra loro, alzando le sopracciglia. Beh, ci sarebbe stato di peggio che rimanere chiusi in una stanza con loro due #mlmlml #credicibells. «Blablabla, altre cose non importanti, sono figo sono bello biondo Sicla preside monello, ma quando arriva il cibo comincio ad avere fame, ohmiodiochebellelecandele, Che il banchetto abbia inizio!» Battè le mani fra loro, un sospiro a coprire i fastidiosi crampi allo stomaco, mentre sentiva i familiari rumori delle forchette che picchiavano contro il piatto nella ormai rinomata gara dell’anno. Rozzi, di nuovo. Neanche fossero stati nei campi di concentramento fino a qualche secondo prima. Si beò di quella familiarità, Bells; era un nuovo anno, un nuovo inizio. Tutto sarebbe andato per il meglio. «les jeux sont faits» Sussurrò appena a Christopher, infilandosi una cucchiaiata di budino in bocca.
    Iniziare dal dolce era una tradizione di Arabells, andate a capire il perché.
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    « sheet- 16 - grifolasagna - rebel - Pensieve »
    Era la prima volta, da che ricordasse, che Dakota non saltellava per la gioia al pensiero di rientrare a Hogwarts. Un anno prima avrebbe pagato pur di tornare in quel luogo dopo tre lunghissimi mesi passati in vacanza, ringraziando il cielo di poter tornare a fare magie (gli prudevano le mani, da quanto aveva voglia di riusare finalmente la propria bacchetta #mlmlml), di poter tornare in infermeria, e ignorare ancora e ancora il pensiero della sala delle torture. A casa era sempre stato da solo, relegato per sua spontanea volontà in una camera per non dover vedere la propria famiglia, e l'agonia e la lentezza in cui ogni volta passavano quei giorni solitari non sarebbe stato neanche in grado di desriverla. Ma quell’anno... quegli ultimi giorni di pace in particolare, gli aveva fatto passare in parte la voglia di andare a prendere il treno, e la colpa era di Jason che aveva passato con lui la maggior parte delle vacanze estive rendendole le migliori di sempre, e anche di tutti gli altri suoi amici che, ancora, lo lasciavano indietro, essendosi diplomati. Jaz, Shane, Stiles... Niamh. Come poteva andare avanti senza la sua donna procione al fianco? Come poteva Dakota fare i giri di ronda senza avere paura che da un momento all’altro saltasse fuori da dietro il muro un Mr Fitz vestito in completo elegante (era capito, sì, e ancora non aveva capito perché)? Il sesto anno era stato per lui un anno bellissimo, anche se super impegnato e senza mai momento di pausa fra allenamenti privati di scherma e corpo a corpo, lavoro in infermeria, tempo per Jaz, lavoretti per i ribelli, e in tutto ciò lo studio per mantenere i voti degni di un prefetto e poter vincere punti... ma era stato proprio questo fare a rendere quel tempo tempo speciale.
    E ora era tutto finito.
    «Non ho voglia di partire», stava borbottando contro il petto di Jason mentre lui lo stringeva. Erano ancora nella camera del rosso, perché Dakota non si sarebbe mai lasciato salutare nel modo in cui aveva bisogno davanti a tutta King’s Cross, e stavano vivendo quel massacrante momento degli “addii”; che poi, un addio non era. Anche se non sarebbero più stati sempre insieme, Dakota sapeva che quell’estate qualcosa era cambiato fra loro (forse perchè finalmente avevano fatto sesso? Ma sì, diamo la colpa a quello e non alla forza dell'ammmore), anche se non avevano ancora avuto il coraggio di parlarne, e che quindi non avrebbero smesso di vedersi in un modo o nell'altro. Forse non avrebbero avuto un rapporto esclusivo, Jason si sarebbe scopato altro mezzo mondo, ma prima o poi si sarebbero rivisti e sarebbe stato tutto come prima per quelle ore.
    «Andrà bene, Rosso... ci vediamo fra due domeniche»
    Un sospiro sconfitto. Da vedersi tutti i giorni, a qualche weekend al mese... e Niamh e company non ci sarebbero stati comunque, perché stavano finalmente vivendo e sarebbero stati impegnati con il lavoro. «Ci vediamo fra due domeniche», sussurrò tristemente in risposta, e alzò la testa per prendersi il bacio che gli spettava.
    Sapeva di dover pensare positivo (magia, infermeria, Tristan, Maeve, altri amici come Rai, Aveline, Gas, Oscar, Bells...), ma il pensiero di essere rimasto da solo, senza i suoi migliori amici al fianco, lo sconfortava. Niente Stiles a regalargli gadget e vestiti imbarazzanti? Niente Shane a dimostrargli affetto solo quando erano soli soletti (*ammicc*)? Perché lui doveva essere così piccolo, e non poteva diplomarsi con loro? Perché veniva lasciato sempre indietro?
    Con la rabbia in corpo spinse Jason contro il muro schiacciandosi a lui, cercando di pensare alle proprie mani sul corpo del ragazzo e alle proprie labbra sulle sue invece che alla tristezza infinita nel rimanere solo, ma fu l'ex serpeverde a staccarsi divertito, come rendendosi conto che si stava solo approfittando di lui. «Perderai il treno»
    «Uff... ciao». Gli scoccò un ultimo bacio fugace, prendendo energia da quel contatto. «Ma non finisce qui»
    «Assolutamente no; la prossima volta riprendiamo da dove abbiamo lasciato»
    E sorridendo, Dakota si tirò dietro la valigia e la gabbietta della sua gatta e uscì.

    Da King’s Cross fino a Hogwarts, Dakota non nascose mai il sorriso. Faceva battute a tutti, salutava amici che non incontrava da giugno, abbracciava gente che era felice di rivedere. Più sentiva la mancanza di Niamh e Stiles, più era felice di avere ancora accanto i suoi coetanei o ragazzi più piccoli a cui, forse, non aveva dato troppo credito come si sarebbero meritati, impegnato com’era a piangersi addosso. Regalò caramelle a destra e a manca, da Nicole a Karma, raccontava aneddoti della sua estate (evitando di citare Jaz, ovvio) qui e lì, e alla fine si accorse che la malinconia e la solitudine erano passati quasi completamente. Passò il viaggio in treno nel vagone con gli altri prefetti e Caposcuola, cercando di conoscerli meglio e orgoglioso della carica che aveva ricevuto, lanciando sguardi a Hope chiedendosi se anche a lei mancassero i diplomati. avendo "perso" anche lei la shales, doveva capirlo meglio di chiunque altro, vero?
    Stritolò appena la vide Maeve (un po’ imbarazzato perché lei sapeva del suo giro per l’Europa, e ancora non aveva capito se approvasse o meno la mayne), e arrivato in Sala Grande agitò la manina e sorrise anche verso i ribelli e gli adulti che conosceva come Idem e boh, altri; evitò accuratamente di guardare se fra gli adulti random presenti ci fosse il viceministro e cercò Tristan, notando un po’ deluso che non era da nessuna parte; forse ora aveva Jaz, sì, ma Tris sarebbe stato sempre Tris, e anche se forse non gli sbavava più dietro come prima, gli voleva bene ed era il suo “mentore”. Mica aveva lasciato l'infermeria, perchè la Devis se ne era andata...? Era il suo guru, il suo father and master, non poteva lasciarlo solo in infermeria, nono poteva permettere che il suo ruolo andasse a qualcuno che non sarebbe stato bravo come lui e poco propenso a fare distinzioni fra purosangue ed esperimenti da curare.
    Dak si sedette accanto alla prefetta nominata al posto di Niamh Roxanne, Blaze e Gas (dov'era Jericho? Continuava a non apparire, e si chiese se dovesse preoccuparsi), e aspettò pazientemente lo smistamento applaudendo ai nuovi Grifi felice di avere nuove schiere di seguaci che avrebbero fatto vincere la coppa delle case ai Grifondoro e fatto loro conquistare Hogwarts #wat; non si accorse neanche subito dell’assenza di Leroy, se non quando chi sedeva al suo posto si alzò in piedi, richiamando l’attenzione. Era un uomo biondo che non riconosceva, e i suoi sensi da gay #gayradar ribelle trillarono appena questi posò gli occhi sugli studenti, lasciando a Dak una sensazione che non gli piaceva per niente (era la pedofilia che scorreva potente in lui probabilmente)... cosa acuita dal fatto che lanciò un silencio per richiedere che gli studenti stessero zitti, invece che chiederglielo con le buone. Un ottimo inizio, direi.
    E le cose non migliorarono con il proseguire delle sue parole.
    «Sono lieto di dare a voi tutti il bentornato in questo castello per il nuovo anno scolastico. A dir la verità, non esattamente a voi tutti, ma purtroppo abbiamo l’obbligo di accettare chiunque qui».
    Purosangue, razzista, mangiamorte perfetto. Gli sembrava di star sentendo parlare Jason, che però era un ragazzo idiota diciottenne e non un uomo adulto che sedeva, per un motivo che Dak si ostinava ad ignorare, al posto del preside. Guardò anche Dakota verso la nuova tavolata degli esperimenti, cercando Sean, Aveline, Jay... le persone di cui era diventato amico e che avrebbe protetto a qualsiasi costo da gente come quell’uomo, se necessario.
    « Il mio nome è Cole Sølv Sicla, attuale preside della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts».
    Ah. Di bene in meglio.
    Dak mantenne il sorriso di facciata, perché sapeva che era giusto reagire così ad un mangiamorte non rammollito come Leroy che prendeva il posto, ma dentro di sé stava urlando. Preside, quello lì? E Ethienne? E il fatto che fosse un Sicla lo legava alla torturatrice Erin solo di nome o anche di fatto e di carattere? Il Sicla maschio disse molte cose che fecero immaginare a Dak che o era molto bravo a raccontare palle, e in realtà era un ribelle in incognito, o quell’anno le torture sarebbero state all’ordine del giorno. Yeah! Dakota non vedeva proprio l’ora di rivedere James Larrington, in effetti.
    «Bla bla bla altre cose inutili che Dakota non stava ascoltando se non a metà tortura tortura mi piace la tortura viva il bondage mlmlml AH Vi auguro un felice rientro a casa, sperando che i rapporti con tutti voi possano essere dei migliori».
    Casa. Hogwarts sarebbe stata ancora casa, quell’anno?
    Finito il discorso la gente prese subito a mangiare voracemente, Oscar a fare la solita sfida di chi si riempiva di più (ma come faceva ad avere quel fisico fighissimo mangiando tanto? Ma santo cielo, non gliel’avevano mai detto che era illegale essere così gnocchi? E neanche Gas scherzava... ok no Dakota, pensa a Jason penso a Jason non fare il ragazzino arrapato e sgualdrina, non pensare a loro in quel modo solo perchè sono belli e ti manca Jaz). Anche Dakota iniziò a mangiare, partecipando a quel gioco stupido e parlottando a bocca piena (mica poteva perdere senza neanche provarci solo perchè era mezzo anoressico) con i compagni; cercava di trattenersi dal dire quello che davvero pensava sul nuovo preside ma, anzi, lanciando brevi elogi sulla sua esemplare decisione e il carattere che aveva mostrato; adorava i suoi amici, ma non era abbastanza stupido da rivelarsi un ribelle davanti a loro. “Anche se Shane...” Beh, ovvio, Shane era stata un’eccezione; l’unica eccezione che ci sarebbe mai stata.
    I will destroy you in the most beautiful way possible

    © psìche, non copiare.



    Sentitevi liberi di essere stati molestati da Dakota random ♥ magari non vi ho citati, ma in qualche modo lo fa uwu
    Passa il viaggio in treno nel vagone dei prefetti e caposcuola, saluta tuuuutti (?) quelli che conosce anche se io non li cito e siede vicino a Roxenne (?), Blaze e Gas partecipando alla gara di sfondamento #giochifurbi. YO! Grifi a noi uwu


    Edited by hear me WAYNE! - 12/11/2015, 13:22
     
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  5. / sorcio secco
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    augustusgascesaretibaldi
    now i'm going off with my capoccia on you
    romanista ▪ ultras ▪ s-battitore ▪ plurisbocciato ▪ magnapatane ▪ 17ani
    Ciao belli, oggi partiamo da un concetto base semplice semplice, spicciolo come le piottine che lanciano a arabecosa quando se siede su una panchina e la prendono per la poraccia senza tetto non vedente di turno: il casinista per eccellenza, in questa scuola di psicopatici con le bestiole ar petto, sono io. Il resto, fa contorno, ma fa pure schifo. Chiaro questo? Bona. Ora, pe'cortesia, aspettate un secondo che devo sbrigà du' conti. « AAAAAAAAAAHOOOO' A CICCIOBELLO, MA CHE CAZZO TE STRILLI AFFA'? SE NON CHIUDI QUELLA FOGNA TE FACCIO PASSA' MMEZZO A N'INCROCIO DE SCHIAFFI CHE NON SAI MANCO A CHI DEVI DA A PRECEDENZA! STAVO A DORMì, TE DICO TACI DE LI MORTACCI TUA, JAMAICACATO ER CAZZO! » No, perchè non sia mai che poi gli augelli se pensano de fa' pure i simpatici bordellari, visto che già rompono li cojoni solo a tifà pe'l'inter. Meglio chiarì da subito, meglio farlo bene. « stai bòno che se sento ancora un ciato tuo venì da qui, vengo te smonto e te do foco alle istruzioni, HAI CAPITO? AHO', HAI CAPITO? STAY IN BELL. »* Il magazzino degli stronzi avevano fatto dentro a quella carrozza; se salvava solo a'cieca, ma solo perchè è cieca. « aho', er blazer, bello mio, quelli n'so' carzettini rotti.. SE STANNO A SUICIDA'! LAVATE! » E basta, ho fatto il mio, mo' me ne torno a dormì. Se semo visti.

    *STA' N'CAMPANA

    La porta dello scompartimento si richiuse bruscamente, così com'era stata aperta. Gas tornò a sedersi al suo posto, accucciato sotto il giaccone vicino al finestrino con le tendine calate. Passò a malapena qualche minuto, poi, finalmente solo con la richiesta dovuta quiete a cullarlo, si riaddormentò.
    Quando ricominciò il caos attorno alla piccola oasi di pace che il Grifondoro con tanto ardore si era curato, non lo assalì nuovamente la rabbia: visti gli "oh mai gooooooòsh it'zo biurifòòòòl" che stridacchiavano euforici i novellini incollati ad ogni vetro d'affaccio, sapeva già che erano giunti finalmente a destinazione. Gas si rivestì in fretta, riprese a fatica il proprio baule e raggirato qualche ostacolo ( « ve levate n'pò davanti ar cazzo? ma che pe'caso siete gemelle? no perchè FATE SCHIFO UGUALE, SMOLECOLATEVE! » ) uscì frettoloso da quello che, oramai, negli anni era stato ribattezzato con il nome di er gabbio su rote. Aveva fame, aveva sete, ma soprattutto: « AHO' non v'azzardate a prenne er posto più vicino ai prof che è er mio: quest'anno devo vedè le poppe della giardiniera in tredddi. » Aveva un bisogno spasmodico di colmare il suo annuale feticcio per le donne d'annata, sì. Embè, era di Edith Lagrange che parlava, volete pure biasimarlo? Comunque sia, considerato che parlava urlando rabbiosamente in una lingua che nessuno pareva comprender neppure lontanamente, il signorino Tibaldi riusciva sempre ad aprirsi varchi tra le folle instaurando confusione, sconcerto e talvolta anche ansia condita da timore in coloro che lo circondavano e ostacolavano. Fu praticamente il primo a metter piede al castello, una volta sceso dalla carrozza volante, grazie a questa sua sublime dote innata.

    Ammè Oguarz me piace assai. Casa mia puzza de cotolette fritte cor cemento e tutto l'odio che mi madre ce mette pe me le fa affogà, mentre qui tutto odora de bòno de fresco e de bello. Persino gli stronzi na vorta che entrano al castello sanno meno de merda. Se non è maggia questa, dimmi tu cos'è. No anzi non lo voglio sapè. Quanno entro dentro a'sala immensa (perchè grande è tropppo poco) a prima cosa che penso è sempre a stessa: fa che caschino e' candele e tutto pija foco. Nun è pe cattiveria, nun ce pozzo fa gniente, esce spontaneo. Poi però me ripijo e penso: ndò sta il magnà? E allora me ricordo che quello spunta fori solo dopo tre ore di due cojoni de blablabla, e quindi pe ripiegà butto l'occhio sulle poppe della profesoressa Lagnocca, ma questa volta lei non c'è. Emmò? emmò non mi resta che guardà la pulce co' a tosse, ma bastano du' secondi che già m'è venuta l'orzaiola. « aho' qua n'se perde tempo eh: morto un preside se ne fa n'altro a rota. » Silencio. Silencio a chi? « A STRONZO, SEI TARMENTE FROCIO CHE SI ‘N PIZZERIA ORDINI ‘N CARZONE TE PORTANO ‘NA MINIGONNA » *(ndr: seleziona il testo per visualizzarlo)

    Durante tutto il discorso del preside Gas urlò senza voce contro di lui e chi gli stava accanto - Blaze, per la maggiore; l'unico che potesse in qualche modo riuscire a frenare l'eccessivo entusiasmo del biondo romano - cercò invano di tenergli almeno le braccia abbassate così da non attirar troppo l'attenzione, ma Gas anche fermo e ammutolito non parve smentirsi: i più guardavano lui anziché il figurino impettito che parlava con prepotenza. Anche Arci (sempre più stufo, ormai rasentava la narcolessia) parve per un attimo voler lasciare il proprio tavolo di sfigati Atlantinesi per raggiungere il suo esaltato compare. Un teatrino degno della curva nel derby di metà stagione insomma. Per fortuna quello strazio di inutile chiacchierare non durò molto, ma quello sfogo silenzioso si prolungò abbastanza da infondere in Gas la giusta carica per affrontare La Gara. Avete capito bene, la fantomatica. E così, appena le tavole si riempirono di cibo, anche il piatto del biondo in breve fu colmo di pietanze. Gas non si degnava nemmeno di guardare quel che a caso prendeva dai vassoi; tutto fa brodo, diceva, o, in quel caso, vittoria. ( « Mh, io mi sa che prendo solo un pò di porridge. » « and this dicks, don't you put them in it? »* ) Circa milleduecento calorie dopo, finalmente, il solito grassottello** di turno difficile da battere liberò tutti i concorrenti in corsa per il primato dell'abbuffo dall'onere della pericolosissima arte dello strafogo senza masticazione ( « te non c'hai un verme solitario, C'HAI N'ANACONDA! » ) e nonostante a Gas risultasse davvero, davvero, difficile saper accettare una sconfitta, non si rammaricò troppo per lo sventurato esito di quella battaglia a colpi di sbrano ( « bravo stronzo; next time you doing the porco and we te magnamo. » ) ma scolando quanti più bicchieri colmi di idromele riuscisse a raccattare, decise che era arrivato il solito momento di inizio anno da dedicare..

    * e sti cazzi nun ce li metti?
    ** « sei tarmente grosso che se te vesti de blu fa notteee »


    .. alle poppe. Cioè famme capì, tu vieni a oguarz, in un mare di figa, e non vuoi annà a pesca? Nun c'ha senso, te ne stai a casa allora. No? E invece sì. Devi sapè che qui la piazza de e poppe è una piazza popolata da poppe molto esclusiv' come dicono i Britanni. Noi a Roma diremmo: fighe che se la menano, ma de brutto. Questo però nun te deve intimorì, eddaje. Devi essè grezzo, rude, te devi sporcà. Alla donna piace l'homo che ce sa fare e che pe te fa, se rotola nel fango come un maiale infojato. Se alle femmine che conosci tu questo non piace, vor dì che gle fai schifo solo tu ebbasta. T'o ggiuro, il mio metodo non mente. Quant'è vero che so verggine. « aho' a rossa! stai na favola, che te so' cresciute e zinne? Biutifuul! Che te stai a be'? No, viè qua bevi questo, drink questo, tiè, drink, scolatelo, robba bona, good shit. » Immancabile deve essere, ogni volta che approcciate una femmina, avere con voi qualcosa di alcolico. Non per qualcosa, ma quando ce sta l'alcool de mezzo loro diventano pure più belle. Se stai mbriaco tu, è chiaro. A tipa qua' è bella anche da lucidi, chiaro, ma da mbriaca forse è meno truce. « Ah, ciao Lucì, n't'avevo vista, stai un bijoux pure tu, ma le zinne ancora gnente eh? Levati un pò da li cojoni daje, pls take a giro around the giardino, che ce sto a provà » Poi sarà che c'ha i capelli de foco, nun lo so', ma a me a prefetto m'attizza. L'altra un pò meno, ma come direbbe mi madre, l'importante è che xxx poi con chi, frega sega. « alle poppe! » bevi, BEVI.


    si vedi i tua, saluta i miaROLE CODE MADE BY EFFE




    parla o nomina: raiden, bells, blaze, arci, lucy, roxanne, cole e edith.
    + parla romano e non lo si capisce ma io vi amo uguale cia1


    Edited by birdwoman - 13/11/2015, 21:35
     
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    AVELINE "AVIS" JODENE ( ) - 17 - MUGGLE - MEDIUM - SWEETBLOOD
    « Memories are dangerous things. You turn them over and over, until you know every touch and corner, but still you’ll find an edge to cut you »
    Pensava di aver subìto quanto di più temibile nei laboratori e nella Sala torture di Hogwarts, ma quell'estate Aveline ebbe modo di ricredersi. Effettivamente, il sentimento di paura che provava giornalmente non poteva certo affievolirsi e consentirle di vivere in pace, no, sarebbe stato troppo per lei! Per questo era quasi una regola che succedesse qualcosa in grado di scombussolarla di nuovo, di riaccendere la paura che era diventata uno dei pochi sentimenti in grado di ravvivarle il petto. Ma lei non mollava, era forte. Il desiderio di scappare era grande, e ci aveva anche provato una volta. Poi, riportata dalla security nel suo alloggio, aveva guardato Jericho negli occhi e si era sentita in colpa. Sapeva che la ragazza avrebbe potuto leggere ogni suoi pensiero, e forse non ci fu nemmeno bisogno di spiegazioni o di scuse per quel gesto che le era quasi costato la vita. Jericho sapeva tutto, ma Aveline aveva pianto lo stesso quella sera.
    Il lavoro da Amortentia le piaceva, e le visite spiacevoli dentro quel locale erano davvero poche. In ogni caso a nessuno importava ciò che lei era, se fosse una strega o meno non era importante ai fini della riuscita di un buon trattamento e nessuna cliente si era mai lamentata di lei, anzi. Avrebbe continuato a fare quel lavoro se non fosse che la locazione era troppo rischiosa.
    Una sera, dopo un turno di lavoro pieno, si stava apprestando a tornare a casa - o a quella che rappresentava casa sua per quell'estate: New Hovel, a Diagon Alley - avvolta nel buio della sera, venne braccata da un compagno che iniziò chiamarla per farla fermare, ma lei non voleva. Era sempre stata una tipa abbastanza socievole con tutti, ma aveva anche imparato cosa fosse la prudenza e cosa comportasse il pericolo. Aveva continuato quindi per la sua strada senza mai voltarsi, finché poi un'ombra non le si era piazzata davanti impedendole di proseguire. "Allora babbanella mi ascolti? Vieni a fare un giro con me?" Provò a scansare l'ombra e proseguire ma quella la bloccò tra le sue braccia quasi invisibili, comandate dal ragazzo alle sue spalle. "Non mi piace parlare con chi mi dà le spalle." L'ombra la rivoltò verso quel ragazzo che sorrideva ed il suo sguardo era acceso dalla scintilla dell'odio. "Ho sempre odiato i babbani. Adesso che vengo quasi confuso per uno di voi, vi odio anche di più." Aveva detto, e quelle parole l'avevano toccata come uno schiaffo. Per favore, lasciami andare... Odiava sentire la propria voce supplicante, e quell'ultimo anno l'aveva udita più spesso delle sue stesse risate. Aveva chiuso gli occhi sentendo che l'ombra dietro di lei aveva iniziato a stringerle il collo sotto i capelli rossi legati in una coda alta. Stringeva sempre di più fino a farle mancare il respiro. Le lacrime avevano iniziato a scivolare al lati del volto pallido, mentre lei con le mani tentava di afferrare qualcosa di invisibile. L'ombra c'era ma lei non poteva toccarla.
    Poi, desiderando di far smettere quel ragazzo, le era bastato semplicemente riaprire gli occhi e guardarlo per far sì che un'entitá si manifestasse alle sue spalle e lo sollevasse da terra tenendolo per la gola. L'ombra alle sue spalle sparì perché il ragazzo non poté più controllarla, ma l'entità che lei stessa aveva creato, e che sapeva essere un infero, continuava a tenere dalla gola il ragazzo. Non era quello il modo, la violenza portava altra violenza e lei non voleva vivere così. Lascialo stare! Non importa! Lascialo stare! Ripetè spaventata all'infero che, sentendo le sue parole, mollò la presa sul ragazzo per rivoltarsi verso di lei. Giurò di aver visto un'espressione delusa sul volto scarno e scavato di quell'essere. Un'espressione ci presto si era tramutata in rabbia, che si era poi rivolta verso di lei. L'infero, scontento ed incontrollabile, prese a seguirla con passo zoppicante e lei non poté fare altro che iniziare a correre, per sfuggirgli. Dopo un centinaio di metri, rivoltandosi si era resa conto che lui era sparito.
    Era tornata a New Hovel con il cuore in gola e non aveva perso tempo a raccontare a Jericho ed Ashley l'accaduto. Era stata per lei una bruttissima esperienza, che l'aveva convinta a lasciare il posto da Amortentia con tanto di scuse verso la proprietaria. Avrebbe dovuto riniziare le lezioni presto, ed un luogo troppo lontano dal Different Lodge avrebbe messo a rischio la sua vita. Lo doveva a se stessa, e alle sue amiche. Il lavoro nella biblioteca di Hogwarts, per di più, l'aveva sempre attirata. Quei libri magici a lei accessibili solo in parte, quella teorica, erano qualcosa di straordinario ed Aveline da un anno a questa parte aveva avuto modo di documentarsi sul mondo magico e sui fatti più recenti accaduti negli ultimi anni. Se poi fossero veritieri o meno, questo non poteva saperlo. Rimaneva il fatto che fosse un mondo tutto da scoprire e Kay Lewis sarebbe stata felice di farle da Garante lavorativo per il Ministero.

    Il primo settembre era alle porte, e ad Hogwarts era stato indetto un banchetto di inizio anno al quale Aveline avrebbe voluto partecipare davvero. Dopo quei mesi morti - fatta eccezione per la compagnia di Jericho, Ashley e Jayson - rivedere persone care come Dakota, Raiden, Arabells ed altri, non poteva che farle piacere, ma doveva prima di tutto convincere Jericho ad uscire dalla struttura che le ospitava. Sapeva che partecipare a quel banchetto per lei sarebbe stato difficile, tutti i pensieri dei presenti in una volta sola erano difficili da gestire, ma sapeva anche che sarebbe stata per lei un'occasione per mettersi alla prova ed imparare a controllare meglio la sua telepatia, così come Aveline poco a poco stava imparando a gestire il proprio potere.
    "Noi non vogliamo andare al banchetto"
    Si era messa dinnanzi a lei che provava a convincerla a desistere da quell'intenzione, e per un attimo Aveline, con lo sguardo chiaro perso in quello altrettanto limpido di Jericho, si era quasi convinta che partecipare a quel banchetto non fosse poi un'idea così attraente.
    Jericho Poi però il pensiero di Nate si faceva provocante, l'attirava nuovamente verso quell'idea. Eh sì, in parte avrebbe voluto partecipare anche per scoprire se fosse stato il loro insegnante anche quell'anno. Magari aveva deciso di mollare l'incarico, restio com'era a prendere fissa dimora. Aveline non pensava che Nathaniel fosse irresponsabile, anzi, sapeva che forse ci teneva davvero ai ragazzi a cui insegnava. Ma allora perché non era mai andato a trovarli quell'estate? Perché non aveva mai mandato un Gufo per sapere come stessero? Perché non l'aveva mai cercata? Forse Aveline senza alcun motivo si era illusa di essere speciale per lui, probabilmente aveva sbagliato e questo pensiero si materializzava troppo spesso nella sua mente, facendola sentire una stupida ed allo stesso modo facendole desiderare di essere qualcosa di più per lui. Magari un'amica, non solo una studentessa. Ma doveva ricredersi, perché a lui non importava altro che la sua indipendenza. Avrebbe voluto partecipare anche per restare al corrente delle novità che avevano promesso di rivelare in quell'occasione. E poi era incuriosita dallo Smistamento, quel rito di passaggio che ogni mago avrebbe dovuto superare al suo arrivo ad Hogwarts. Non aveva mai visto uno smistamento, ed era curiosa di partecipare.
    Jericho si era rivoltata sul cuscino, affondandovi la testa e borbottando un lamento incomprensibile. Ci teneva che anche lei partecipasse, che non rimanesse da sola in quel dormitorio triste. Se non vieni te non vado nemmeno io Stava giocando sporco, lo sapeva, ma era talmente testarda al momento da pensare che quella fosse la cosa giusta per entrambe. Le accarezzò i capelli castani, pensando a quanto fosse bella quando faceva la difficile. E probabilmente passare la serata con lei a chiacchierare sarebbe stata un'idea più allettante del banchetto, ma era anche per la loro sopravvivenza che avrebbero dovuto tenersi aggiornate su tutto, che avrebbero dovuto migliorare l'utilizzo dei loro poteri.

    Lydia Hadaway, l'assistente di Nathaniel passò a prenderli in anticipo ed il gruppo di Wizards e Babbani era pronto per partecipare. Si era messa la divisa, dopo tanto tempo ed aveva legato i capelli in una treccia, le unghie come sempre erano lunghe e smaltate di nero, alle dita non mancavano i numerosi anelli ed ai polsi i suoi bracciali. Vedendo il viso dolce ma deciso come sempre della Hadaway, Aveline si illuminò perché le era mancata, tutto le era mancato - eccetto le torture. Avrebbe voluto chiedere di Nate, ma qualcosa - la timidezza probabilmente - la frenava, quindi si limitò a domandarle come stesse, e come avesse passato le vacanze.
    Arrivati al castello, prima di entrare in sala ci fu una confusione generale in cui Studenti maghi ed esperimenti si mescolarono ed Aveline si sentì di nuovo a casa. Salutò Raiden che l'abbraccio e le baciò una guancia e lei fece lo stesso ricambiando poi quel bacio, entusiasta che lui si fosse ricordato di lei. Abbracciò Dakota e lo strinse forte perché gli era davvero mancato, ma era riuscita a tenersi in contatto con lui tramite lettere ed anche grazie alle cartoline che il Grifondoro aveva pensato di spedirle dal suo giro in Europa. Beato lui...
    Poi stringendosi ad Ashley e Jericho, vennero condotti in Sala Grande ed ad un tavolo disposto all'angolo della Sala. Prese posto tra le due ragazze, e timidamente si guardò intorno, riconoscendo alcuni ragazzi visti l'anno prima. Altri non li ricordava ed altri ancora, purtroppo - o per fortuna - erano usciti da scuola. Stiles non c'era più, ma Larrington era super presente, sebbene non più in abiti da studente. Spostò lo sguardo verso la bancata degli insegnati ed in lontananza riconobbe Nathaniel. Ma dopo averlo localizzato si rivoltò subito dando le spalle alla bancata. Il pensiero che li avesse praticamente abbandonati quell'estate era troppo presente in lei perché non si sentisse risentita. Ma sarebbe passato in fretta, lo sapeva.
    Come previsto, lo Smistamento fu interessante, proprio come lo aveva immaginato. Avrebbe voluto fare una chiacchierata con il cappello parlante, ma forse quello non le avrebbe nemmeno risposto, in fondo non era una Strega. Il suo sguardo si incupì quando il nuovo Preside prese parola, riferendosi agli esperimenti in modi poco carini e la rossa sollevò un sopracciglio, non convinta. Quel discorso non avrebbe potuto colpirla in positivo, come avrebbe potuto essere diversamente? Si rivoltò quando sentì la voce di Nate avanzare degli auguri del tutto particolari, ma senza dubbio sinceri e lanciò uno sguardo d'intesa alle ragazze al suo fianco. Avrebbero avuto parecchie grane quell'anno. Quel preside non era neutro come Leroy.
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    Emily Bulstrode ( ) – 52yo - ex-Ravenclaw – Death Eater-
    the Old Guard - Head of Censorship - HoM Teacher
    « Elegance is seduction, charme, mystery. It is not pure appearance »
    Intrecciò le dita delle mani tra di loro, e posò sopra le mani giunte il suo mento, osservando con cipiglio severo i due Storiografi. A lei seccava profondamente dover riprendere qualcuno. Le seccava più di tutti dover arrabbiarsi con i suoi figli, le seccava poi arrabbiarsi con i suoi studenti, e infine le seccava arrabbiarsi con i suoi colleghi e i suoi sottoposti. E per quello il rimprovero di Emily diventava molto più freddo e tagliente. Michael stette per un’intera settimana senza ricevere neanche una sola lettera dalla madre perché si era fatto cogliere in flagrante durante il corpifuoco per la quarta volta, fatto che aveva fatto indignare oltre misura Emily. Aveva dovuto far passare un a settimana da inferno ai suoi studenti solo perché nessuno sapeva quali fossero le principali date dell’Imperialismo Folletto. Aveva dovuto licenziare alcuni dei suoi dipendenti solo perché sbagliavano anche una semplice virgola.
    La rabbia di Emily era furiosa, aggressiva, violenta, tutto quello che volete, ma non esplodeva distruggendo tutto, almeno non normalmente: agi va rabbiosamente in silenzio, forse grazie agli esercizi di Tai-Chi. E dava i suoi frutti. Michael cercò la madre scusandosi e non fece più uscite durante il coprifuoco (o almeno non si fece cogliere con le mani nel sacco); i suoi studenti si ritrovarono più che preparati su quell’argomento; il suo Dipartimento venne rinnovato con altri tre nuovi e migliori dipendenti e tutti gli altri diventarono ben più attenti a quello che facevano.
    «In che senso…», esordì, con un’espressione dubbiosa e curiosa, ma evidentemente finta, «…credevate che, come avevate detto? Può ripetere, per favore?». Sorrise, rivolgendo lo sguardo a uno dei due uomini. Portava gli occhiali, e non si faceva la barba da minimo cinque giorni – che schifo – e Emily non sopportava chi non aveva un minimo di decenza. Inoltre, camicia fuori dai pantaloni. Orribile. Egli sfregò le proprie ani sul tessuto dei pantaloni, nervoso, distogliendo subito lo sguardo dalla Censuratrice Maxima, e non parlò. Emily rivolse quindi lo sguardo verso l’altro, un ragazzo appena uscito da Hogwarts, imberbe e senza occhiali, dai folti capelli castani, ricci, e dagli occhi verdi. Egli deglutì. “È stato lui a dirmi di lasciare la dicitura intatta”. Emily annuì.
    «Ma certo. Chi non l’avrebbe fatto?». Prese un foglio tra le diuta sottili e lesse la frase evidenziatra: «Il Governo del mondo magico del tempo risulta essere corrotto e manovrato dal Ministro sullo stampo della monarchia assoluta del Re Sole di Francia, mh? Corrisponde a verità?». Emily alzò lo sguardo prima su quello più anziano, che rispose con un può essere probabile, mentre quello più giovane alzò le spalle dicendo che non era quello che affermava il Governo, quindi sicuramente no.
    Emily indicò quello più giovane. «Se lo afferma il Governo, allora è corretto. Sta scritto anche sui libri di storia». Quello più anziano cercò di protestare, dicendo che le sue ricerche dicevano ben altro. Emily annuì. Ricerche, bene bene. E dove aveva trovato quelle informazioni? Necessitava di saperlo, per poterle occultare: il Governo non doveva mai apparire come un organo facilmente corrompibile. «Dove l’ha letto?», chiese innocentemente. Lui distolse lo sguardo. «Dove?», chiese nuovamente con voce più ferma. Non rispose. «Mi sta oltraggiando e sta tradendo il Ministero», disse semplicemente, con estrema calma, «Quindi è licenziato». Lui sbarrò gli occhi, disperato, scuotendo il capo. “L’ho trovato nel “Sulle potenze mondiali et magiche del mondo” di Idelfonso Mecenate”, confessò. Emily annuì. Si fece dire anche dove si trovava. Poi si rivolse al ragazzo: «Prenda quel libro sotto sequestro, ne trovi altri esemplari e ne modifichi il contenuto, o li distrugga se necessario», gli ordinò. Prese un foglio e vi scrisse sopra, per poi lanciarlo in aria. Questo sfrecciò via verso il Dipartimento Oblivianti. «Lei sarà obliviato», informò poi il quarantenne. «E non potrà più lavorare in Ministero. Nel caso dovesse sfuggire all’obliviazione, verrà considerato nemico dello stato, eccetera. Vi spiegheranno tutto nel Dipartimento Oblivianti. Ci vada. Altrimenti la prenderanno, con le buone o le cattive».
    Distolse lo sguardo dai due. «Potete andare», concesse, anche se suonò più come un ordine. Concentrò la sua attenzione sui fogli che aveva sotto mano. Visita al carcere di Azkaban, eccetera, Edith Lagrange terrà un discorso, eccetera, non richiesta la presenza del Capo Censura in vista del Banchetto d’Inizio anno ad Hogwarts, eccetera, Damian Icesprite accossente a disporre numero dei Pavor eccetera e allontanare Dissennatori eccetera, eccetera, firma, Ministro, Capo Consiglio, eccetera. Appose la propria firma, poi scrisse a mano un altro foglio che avrebbe passato al suo segretario, che l’avrebbe quindi redatto nella macchina da scrivere in più copie.
    “Oggetto: Mettere in risalto la notizia della venuta della Lagrange nel penitenziario magico”, mise come titolo. Scrisse che, per affermare la supremazia del Governo, veniva fatto divieto assoluto a tutti i giornali di non mettere in prima pagina la visita della Lagrange. Era obbligato riportare i concetti più importanti del discorso, soprattutto quelli in cui si evidenziava la forza del Governo, per intimorire i Rivoltosi. Mai usare la parola “Ribelle”, che aveva un significato più affine a “spirito libero” e quindi più positivo, meglio usare “Rivoltosi”, “Traditori”, “Nemici dello Stato”, eccetera, che avevano una forte valenza negativa.
    Guardò l’orologio. Mancava poco all’inizio del banchetto per il quale s’era preparata con cura. Si alzò dopo aver messo la sua firma e prese con sé i due fogli, posando la penna stilografica. Uscì dal suo ufficio chiudendo la porta, consegnando i fogli al suo segretario. Dopo si diresse nell’Atrium, in cui notificò la sua uscita dal Ministero, e si diresse verso uno dei giganteschi camini dotati di Metropolvere automatica. Entrò in uno di essi e, dopo aver preso un profondo sospiro, pronunciò con voce chiara e decisa: «Ufficio della professoressa di Storia della Magia, Hogwarts».
    Quel nuovo tipo di camino era una benedizione. Installato solo da qualche mese al Ministero, permetteva di non sporcarsi con la cenere. Estremamente comodo nel suo caso, in cui aveva bisogno di non sporcarsi il suo abito, metà bianco e metà nero, con la gonna nera. Si vedevano le sue candide braccia e parte delle sue gambe ancora snelle. I suoi capelli erano biondi, lunghi e mossi; il trucco era leggero e delicato; portava scarpe con tacchi a spillo, che erano una tortura ma ci teneva a sembrare più alta di quanto non fosse: era in realtà una donna minuta.
    Aveva deciso di passare prima nel suo ufficio per dare un’ultima controllata al suo aspetto. Si guardò allo specchio del suo bagno, congratulandosi con sé stessa. Emily era vanitosa, teneva molto al proprio aspetto. Il suo volto era ancora giovane e bello, nonostante l’avanzata età. Non aveva rughe. Una presa in giro da parte della Morte: era come se l’infida Morte dicesse ti faccio cambiare il destino del mondo, ti dono bellezza perpetua, ma ti faccio soffrire come una cagna, e morirai tra le più atroci sofferenze. O forse era il Diavolo, quello? O il Male? Quanto importava?
    Sospirò, guardandosi le unghie, smaltate di rosso scarlatto, colore uguale al sangue. Non che andasse matta per il sangue, solo che quel colore stava bene. Non approvava sempre la tortura: Emily, nonostante tutto, era una donna equa e voleva che le punizioni fossero un’occasione per capire i propri sbagli e redimersi. A volte le torture non erano quindi le punizioni adatte. Ma comunque, era impeccabile. Avrebbe fatto una gran bella figura. Decise di uscire dal suo ufficio.
    Percorse tutto il corridoio fino a raggiungere le scale. Si fermo sui gradini di esse, osservando quanto bella fosse Hogwarts. Spostò lo sguardo in alto, ove si vedevano le altre scalinate, e i mille quadri appesi alle pareti, e le poche torce accese che davano uno spettacolo tetro. Era tutto vuoto ed in un certo senso inquietante ma, in un qualche modo, anche incantevole. Come se Hogwarts stesse trattenendo il respiro, in attesa dei suoi studenti. In attesa che i suoi figli ritornassero a casa. Casa. Emily annuì, commossa. Quella sì che era casa.
    Finì di scendere le scale e raggiunse i portoni semiaperti della Sala Grande. Osservò Malfoy che la guardava con un’espressione stupida. Senza fare nulla. «Si aspetta che io apra da me il portone? Faccia lei, orsù». Lui annuì, quindi si mosse. Faceva puzza. Emily storse il naso, allontanandosi da lui. Quando le due ante della gigantesca porta furono aperte, Emily fece il suo ingresso nella magnificente Sala Grande. Calende che erano sospese nell’aria, tavoli tirati a lucido, le quattro grandi clessidre vuote. Hogwarts si mostrava lì in tutta la sua fierezza. Salì i pochi gradini che davano accesso al pacco sopraelevato in cui c’0erano il tavolo dei docenti della scuola. Salutò cortesemente tutti i suoi colleghi e si sedette al suo posto.
    Conosceva da molto tempo il nuovo Preside. Letteralmente. Cole Sicla era stato suo allievo. Un provetto Slytherin che portò onore e lustro alla sua casata, nonostante non fosse molto socievole. Educato, pulito. Un buon giovane di famiglia. Solo, aveva un gusto esagerato per il macabro e la tortura. Però accettava di buon grado, e ci credeva, gli ideali del Governo. Un buon Mangiamorte, bravo studente, abile guerriero. Lo osservò, quando arrivò. Ed era rimasto un bel ragazzo. Sguardo freddo, portamento eretto e sicuro di sé, ben vestito. Elegante e fiero. Poteva essere un buon Preside, sì, a dispetto della sua giovane età. Del resto anche la maggior parte del corpo docenti era molto giovane, nonostante fosse valido. Alla grande erudizione della stessa Bulstrode, della Lagrange e di sir Berqgvist si opponevano le geniali e più giovane menti della Winston, della Undòmiel, di Campbell, e di tutti gli altri. Emily li stimava, tutti. Aveva stretto rapporti con i suoi colleghi, aveva intessuto legami, aveva acquistato conoscenze. Magari guardava con sospetto qualcuno, ma non era nemica a nessuno. Gentile, amabile, affabile. E sotto, calcolatrice, tagliente, asettica.
    Fece i complimenti alla Queen, che sedeva affianco a lei. Complimenti che erano veri: Anjelika era davvero una bella donna, capace di suscitare terrore e rispetto. Chiese a Campbell, altro collega seduto alla sua destra, come avesse passato l’estate e chiese anche come stesse suo zio, Crowley McLeod. Quando gli studenti entrarono nella Sala Grande, salutò chi le rivolgeva qualche cenno di saluto da lontano, ma relativamente furono in pochi. Dopo ebbe luogo lo Smistamento. Emily applaudiva ogni volta che veniva smistato un Ravenclaw, ovviamente. Delle altre case neanche le fregava, per ora.
    E iniziò il tradizionale discorso del Preside. Emily fu attenta alle parole che egli disse, fissando i giornalisti che scrivevano. Parole adatte. Buone. Andavano bene. Ma neanche un cenno al grado elevato d’istruzione. Bisognava che Hogwarts venisse vista come la migliore scuola magica non solo dal punto di vista dell’etica del Governo, ma anche dal punto di vista dell’istruzione. Sicla si era limitato ad elencare divieti, a ricordare che c’era chi decideva, eccetera. Ci avrebbe pensato la Censura a a sistemare il discorso nei punti deboli. Il suo Dipartimento aveva regole precise da parte di Emily stessa. Quando arrivò la Lagrange, Emily ricambiò il salutò sorridendo alla sua vecchia amica.
    “Che il banchetto abbia inizio!”.
    Bella formula. Si versò del vino nel calice guardando gli adolescenti succidi azzannarsi per prendere per primi il pollo arrosto o le patate o altro. Urlavano, pure. Che schifo. Potrei vomitare. La dignità se n’era andata a farsi benedire. Poi sorrise dolcemente. Anche lei era così, ai suoi tempi. Non così scapestrata, ma così allegra e piena di vita. Ora non ne aveva più, di vita. Il rituale se l’era portata tutta via. Ne aveva solo una parvenza.
    “Ad un anno pieno di sorprese, e al nostro nuovo e amatissimo preside, che come i precedenti non duri un anno per poi sparire misteriosamente o morire... e giuro, non è una minaccia”, disse Henderson proponendo un brindisi. Spiccato senso dell’umorismo, anche se non molto gradito a tutti. Emily però sorrise alzando il calice e bevendo un po’ di vino. Aromatizzato, buono. Dopo si servì prendendo una coscia di pollo e iniziò a mangiare, ben attenta a non sporcarsi, usando forchetta e coltello.
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    Lucien beast Doyle
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    -Nome?- sentì il tessuto leggero della camicia scorrere lentamente tra le dita affusolate, mentre stringevano la stoffa scura della cravatta. Abbassò pacatamente il capo, alzando un sopracciglio biondo, per cercare, nel riflesso incerto, un sostegno in quel lento processo che non si era mai premurato prima di allora di imparare adeguatamente. - Lucien, Lucien Doyle- movimenti lenti e fluidi, un nodo, tirato quanto bastava a dargli un'aria professionale senza opprimerlo troppo. Comunque, nessuno lo avrebbe notato. Domò il colletto della camicia, lasciando che scivolasse sopra la cravatta, poi inspirò ed espirò piano, indugiando qualche secondo a studiare quel ragazzo che si trovava di fronte, intrappolato nello specchio, e che lo scrutava con aria assorta. Un ragazzo, a dirla tutta, diventato fin troppo familiare, ma non abbastanza da impedirgli un sussulto ogni volta che si dimenticava che era lì, che si nascondeva dietro ogni piega specchiata della sua vita. E si stupiva ogni volta di nuovo, nel rivederlo. Nelle vetrate lucide dei sobborghi londinesi, nelle piatte distese di acqua dei parchi, negli occhi di Nicole. Non riusciva proprio a farci l'abitudine, Russell Cooper, a quei capelli, a quel naso, a quelle labbra, a quei lineamenti e persino a quell'espressione assorta. Distolse lo sguardo, abbassandosi per recuperare la tunica nera che pendeva precariamente dall'appendiabiti. - Status? Famiglia? - Sospirò, tornando a guardarsi per qualche istante allo specchio. Sollevò le sopracciglia, gli occhi rivolti solo per un attimo in un angolo alla ricerca di ricordi che non possedeva. - Purosangue...- Le spalle leggermente alzate, la voce pacata, l'espressione incerta, come di chi non ha troppo da raccontare, o trova quel non troppo davvero poco interessante - Padre inglese, madre francese. Morti in un tragico incidente.- La voce spezzata sulle ultime parole, gli occhi improvvisamente fugati a terra, un sorriso sghembo ed acre ad increspargli il viso. Una composizione, quella, che sembrava quantomai naturale e comprensibile. Un'espressione, quella, che ci si poteva aspettare da un qualsiasi ragazzo di all'incirca una ventina d'anni rimasto orfano. Una messa in scena di suoni e sottintesi, quella, che doveva significare non chiedere oltre, fa ancora male. Un sorriso lasciato lì, sulle labbra, a trattenere gli sguardi incerti dell'interlocutore, a catalizzarne l'attenzione e conquistarne l'amara pietà. Una scaglia di fragilità in un carattere che, altrimenti, non si avrebbe indugiato a definire sicuro, quasi, altezzoso. Una frattura, in quella artificiosa normalità, che rendeva tutto più realistico. Un'espressione che si sciolse ben presto in una composizione apatica dei lineamenti, un sorriso, che si estinse in una piega consunta delle labbra, degli occhi che ripresero immediatamente l'asettica freddezza che li aveva caratterizzati prima di quella tragica quanto falsa notizia. - Dovrebbe andare- Le dita a scomporgli i capelli sulla fronte, le iridi ad aspettare, ad ogni movimento della mano, che quei ciuffi dorati prendessero finalmente una disposizione che potesse definire apprezzabile. Gli ultimi aggiustamenti alla tunica, l'ultima possibilità di tirarsi indietro. Non doveva farlo per forza, davvero. Non doveva per forza mettere su tutta quella sceneggiata, impiastricciarsi i capelli sulla fronte, comportarsi come qualcuno che non era, fingersi qualcuno che non era mai stato. Non doveva per forza. Ma quando si parlava di Nicole Cooper, era facile, per Russell, o meglio, Lucien, convincersi di non avere scelta. Convincersi che quello fosse l'unica scelta possibile ed anche, perchè no, ragionevole. Mentre giocava a scomporsi allo specchio, a vedere disposizioni sempre nuove di quelle sopracciglia, quella ruga sulla fronte, quella piccola imperfezione della pelle vicino al labbro inferiore, si ripeteva che non c'erano altre vie percorribili. Era semplice. Voleva lei. E lei voleva Lucien. Voleva quel ragazzo sbucato dal nulla che l'aveva stretta, l'aveva baciata, l'aveva trovata, che in qualche modo la faceva sentire viva. Voleva Lucien, e lui, ora, non era più nemmeno tanto sicuro di essere Russell, o di esserlo mai stato. Non era più neanche sicuro di aver sempre avuto quei capelli corvini, quelle labbra sottili. Quindi perchè preoccuparsi tanto? Perchè pensare inutilmente a quando sarebbe crollato tutto, a quando avrebbe scoperto, perchè lo avrebbe fatto, chi realmente era? Lui voleva lei. Lei voleva... Lucien. Doveva farlo, per forza. Si portò indice e medio sulle labbra, con aria assorta. Le premette sula bocca carnosa, con una pressione che ormai gli martoriava le labbra sin da quella maledetta notte alla festa. Poi le staccò lentamente da lì, facendo scivolare il braccio sul fianco destro. Non aveva più bisogno di quel gesto, non aveva più bisogno di togliersi quel retrogusto di pesca dalle labbra. Ora voleva soltanto assaporarla di nuovo, ogni giorno. E quello, gli sembrava il modo migliore per farlo.

    Lì ad Hogwarts, c'erano occhi indiscreti ovunque. Quando non erano gli studenti, quando non erano gli adulti a riempire ogni corridoio della scuola, quando non erano i loro sussurri o i loro pettegolezzi a saturare l'aria, c'erano gli occhi e le parole di quei dannati quadri, che tappezzavano le mura austere del castello. Trovare un posto sicuro o perlomeno privato, in quell'insostenibile intrico di variabili che era Hogwarts, risultava quasi impossibile. Quasi. Un ragazzo sveglio come lui, che aveva passato circa sette anni della sua vita tra quelle mura, che tra quegli sguardi e quelle parole era stato abituato a sopravvivere, non aveva bisogno di troppo tempo per trovare il posto migliore per nascondersi. Perchè mai Russell Cooper, pardon, Lucien Doyle, dovrebbe nascondersi? Perchè quel ragazzo senza un passato, senza nessuno che potesse riconoscerlo, necessitava di trovare un luogo al riparo da occhi indiscreti? Perchè poggiare le spalle su una colonna, ed aspettare? La domanda, forse, è mal posta. Perchè stava facendo tutto quello, sin dal principio? Trovare una risposta a questa domanda era molto più semplice: Nicole. Sapeva sarebbe passata di lì, non poteva essere altrimenti se voleva arrivare alla Sala Grande. E lì Lucien l'aspettava, nella penombra, riscaldato e solo parzialmente illuminato da una delle tante fiaccole che ardevano ad Hogwarts. Era difficile notarlo, e sicuramente nessuno avrebbe fatto troppo caso a lui, presi com'erano a preoccuparsi del banchetto. Lui, d'altro canto, stava lì, immobile, ad osservare gli studenti di quella scuola in cui pensava non avrebbe più rimesso piede che gli sfilavano davanti, sempre pronto a cogliere anche solo una piccola somiglianza con la ragazza che stava cercando. E sembrava non arrivare mai, quella Nicole. Poi la vide passargli davanti. Le labbra si schiusero in un leggero sorriso, mentre il braccio si allungava a cercare quello della ragazza per tirarla a se, in quell'angolo buio che aveva tanto faticato a trovare. - Salve prefetto, dove stava andando? - gli occhi chiari, avidi, fissi nei suoi, mentre quella piega ironica delle labbra non voleva saperne di cancellarsi dal volto. -Spero non le dispiaccia se le faccio fare un po tardi - rimase ancora lì, fermo, qualche secondo, a bearsi dell'espressione sorpresa sul suo volto, dei suoi occhi verdi, della sua bocca schiusa, della pelle bianca. Potevano vederli. Potevano scoprirli. Ma quel rischio, a dirla tutta, non faceva che rendere ancora più allettanti le sue labbra, e ancora più irresistibili quelle iridi verdi rivolte in alto, ad osservare il suo volto. Chissà cosa stava pensando. Chissà cosa si nascondeva in quella testa mora, dietro le sfumature di quegli occhi che ormai aveva fisse in testa. Doveva chiedersi cosa ci facesse lui, perchè diavolo spuntava sempre nei momenti meno opportuni, perchè la stava stringendo talmente forte da togliergli il respiro. Lui, invece, si chiedeva se stesse ancora pensando a Russell, se ci fosse ancora spazio per lui dietro le labbra, o se era rimasto solo Lucien a confondere la sua vita. Chissà se ancora si ricordava di avere un fratello. Chissà se ancora gli importava, o gli era mai importato. Le si avvicinò ancora, fino a sentirne il profumo, fino a sfiorarle il viso con la punta del naso, mentre una mano le cingeva il fianco e l'altra si era già fatta strada dietro la schiena per stringerla a sé. Le labbra, schiuse nella ricerca del lobo dell'orecchio, fremevano per un bacio, bruciavano per quel sapore di pesca che non se ne era mai andato, ma che aveva imparato ad amare. Non l'avrebbe baciata. No. Perché a Russell Cooper, pardon, Lucien Doyle, piaceva giocare. - Ho una sorpresa per te - #ZANZAN #Frasedamaniacostupratore #beccateilpavone scostò il viso dal suo, per poi tornare a guardarla. Quel sorriso ironico ancora scavato sul viso, quegli occhi tutt'ora avidi del suo volto. Una sorpresa, a dire il vero, che non era del tutto sicuro sarebbe piaciuta alla corvonero, ma che gli sembrava l'unica scusa plausibile per starle vicino, più di quanto potesse fare un semplice estraneo incontrato per sbaglio ad una festa. - Dovresti andare. Rischi di perderti il discorso. - #likeIgiveafuck premette le sue labbra sulla guancia della giovane, prima di slegarsi da lei, senza ascoltarne le eventuali parole o proteste. Continuava a sorridere, mentre le dava un vantaggio di qualche minuto per evitare sospetti. Giusto il tempo necessario per fare qualche passo e ritrovarsi, immobile, davanti alle porte della sala grande. Giusto il tempo di fare un profondo respiro e darsi l'ultima occasione per tirarsi indietro. Era una pazzia, tutto quello. Fingersi qualcun'altro, diventare qualcun'altro, mentire a tutti, mentire a sé stesso. Ma era l'unico modo, se ne era convinto. E sapeva che non poteva durare a lungo, ma sperava che quel poco tempo gli bastasse. Bastasse a cosa? Bastasse a scoprirsi non poi così innamorato, o magari a disintossicarsi dal suo sapore sulla pelle, a smettere di desiderare la sua bocca. Ci avrebbe pensato poi.
    Aprì la porta della Sala grande, mentre già tutti stavano banchettando. Probabilmente la maggior parte di loro lo scambiò per un altro semplice studente ritardatario, uno dei tanti, che non meritava attenzione. Ed infatti non la ottenne. Si limitò a rasentare le tavolate dei corvonero, senza degnare di uno sguardo quelli che già stavano mangiando, resistendo alla tentazione di cercare in quei volti Nicole. Le iridi chiare, gelide, puntate sul tavolo che accoglieva ormai tutti i professori, a parte uno. C'era ancora una sedia vuota, lì, vicino ad Edith Lagrange. Uh a quanto sembrava gli avevano riservato un posto d'onore. E a quanto sembrava si era perso tutto il discorso del nuovo preside. Che peccato. Salì lentamente gli scalini che separavano il piano rialzato dei professori da quello in cui si stendevano le tavolate degli studenti. Rivolse un sorriso di scuse a Cole, era sicuro che se avesse saputo la ragione del suo ritardo, avrebbe pienamente compreso #pedopassion, e d'altronde avevano già avuto modo di conoscersi al colloquio. Qualche passo deciso, poi, senza fiatare, scivolò sul posto vuoto che gli spettava. A quanto pare Hogwarts ha un nuovo professore di trasfigurazioni. Sorpresa Nic ihihihihih. Ciao.
    1/07/2015
    HOGWARTS,
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    Fa cagare, ma l'importante è il pensiero <3

    p.s.: attenti agli angolini bui di Hogwarts studentelli, potrebbe esserci un Russell selvatico pronto a limonarvi a tradimento in agguato #ZANZAN
     
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    phobos campbell
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    Click. Click. Click. Doveva essere una qualche specie di maledizione, quella. Di sicuro, senza volerlo, aveva investito una vecchietta su una scopa volante poco prima: aveva sentito un urto, quello sì, ma gli era sembrato un piccione, un gabbiano, un aquila, uno pterodattilo. In ogni caso un volatile, non una persona! E poi non aveva visto sangue o nessun corpo, malauguratamente sfigurato dal colpo subito, contro il parabrezza. Forse le era salito sopra con la macchina - si può salire sopra con la macchina a qualcuno, in volo? - senza accorgersene, e per quello non aveva visto il cadavere martoriato dell’anziana signora che cadeva, illuminata dai fari che... erano spenti, quindi non era illuminata da nulla. Allora, come faceva a dire con ferma convinzione di aver appena investito una strega a mezz’aria? Semplicemente, istinto. Istinto che non aveva, Phobos Campbell, però doveva aver fatto necessariamente qualcosa di male in quell’ultima mezz’ora, se lo sentiva dentro, lo percepiva nelle ossa che stavano sopportando un peso fin troppo grande.
    Click. Click. Click. E sembrava non cambiare, sembrava che davvero, qualcuno, gli avesse gettato il malocchio. Sperò solo di non aver davvero investito qualcuno, mentre già si immaginava i titoli sulle prime pagine della Gazzetta del Profeta: ”Incidente nei cieli di Londra: pirata della strada -quale strada?- lascia cadere nonnina dalla scopa senza prestare alcun soccorso”. Certo, mica poteva gettarsi dalla macchina per prenderla al volo, non era diventato Batman dal giorno alla notte! Ancora sperava che quella fosse solo una coincidenza, che avesse preso solo un uccello per la via, non una povera anima innocente. Non che non fosse dispiaciuto per il volatile, ci mancherebbe altro, però insomma, se ne sarebbe fatto una ragione, presto o tardi. Oppure, più semplicemente, qualcuno lo odiava con tutto sé stesso. Il che era improbabile, non era così facile che qualcuno arrivasse a provare un sentimento del genere per il Campbell: andiamo, era Phobos. Eppure...
    Click. Click. Click. Finché non udì l'ormai fin troppo familiare suono. Era... finita? Sentì la voce, ma... Allontanò il dito dallo stereo della macchina, riportandolo sul volante, mentre riappoggiava comodamente la schiena contro il sedile, un sorriso soddisfatto e sollevato ben impresso sul viso rivolto oltre il cruscotto. Non aveva ucciso nessuno, nessun titolo di giornale avrebbe raccontato i suoi non misfatti serali, andava tutto bene ed Hogwarts era poco vicina. E, per quanto potesse piacergli quella canzone, finalmente avevano smesso di trasmetterla su ogni stazione radiofonica in quello che sembrava essere un loop infinito. Spegnere l’oggetto del male -tale era diventato quel piccolo aggeggio, che era infilato in quella cosa che Phobos non sapeva nemmeno come si chiamasse o se avesse veramente un nome- non era contemplato nell’ottica del ribelle. Da solo, in quella macchina, tra le rade -ma quando mai- nuvole della capitale inglese, la musica era l’unica cosa che gli facesse compagnia, e amava gli emittenti babbani, così come le loro canzoni. Erano qualcosa che sfiorava il trascendentale, a volte il trashendentale, piene di melodie e di tematiche che, ahimè, mancavano nei brani dei gruppi musicali del mondo magico. O forse era il Campbell l’unico ad apprezzarle: la sua babbanofilia raggiungeva veramente vette inesplorate. Premette il piede sull’acceleratore, mentre l’orologio al polso gli ricordava di quanto fosse, nuovamente, in ritardo. La mano sul cambio si mosse rapidamente, quasi avesse ormai preso una certa dimestichezza con quella che era da ormai qualche mese la sua automobile, anche se in realtà ancora non era in grado di fare una manovra senza colpire qualcuno o qualcosa, senza sentirsi lanciare dietro diversi insulti e bestemmie ai quali rispondeva molto pacatamente con un cenno della mano unito alle varie scuse sussurrate allo specchietto retrovisore, senza calpestare qualche aiuola o senza fare danni, molto più generalmente. Zio Crow aveva fatto un grave errore a dargli le chiavi di quella vettura, ora il mondo intero ne avrebbe pagato le amare conseguenze. Era quasi arrivato a destinazione, anche se non quella finale, quando la risentì. Annunciata dallo speaker con un entusiasmo troppo calcato, enunciandola come top hit del momento, eccola là, la bastarda. E pensare che al primo ascolto, al secondo pure, non gli era dispiaciuta. Si costrinse, ormai rassegnato, a spingere con fin troppa violenza il pulsante di spegnimento, mentre le ruote toccavano terra in una strada deserta nella periferia londinese. Phobos era una persona paziente, calma, tollerante, gli andava veramente bene tutto, ma Justin Bieber era ufficialmente finito nella sua lista nera. Lui e quella sua canzone che ora, nonostante l’unico rumore che sentisse fossero i giri del motore e i clacson delle altre macchine, continuava a fargli sanguinare le orecchie. Chiedere alla sua ospite d’onore di portare qualche cd, cassetta, audiolibro #wat forse era troppo, sperava almeno avesse il buongusto di pensarci da sola.
    Parcheggiò la macchina, per così dire, ai cancelli di un parco in periferia, uscendo da essa e premurandosi di aprire lo sportello del passeggero alla sua nuova amica. Le sorrise, risalendo poi dalla parte del conducente e mettendo di nuovo in moto. Ancora si stava chiedendo il perché di tutto ciò, come era potuto accadere, cosa gli fosse passato per la testa in quel momento. Ancora si stava chiedendo, in realtà, se potesse farlo. Quando aveva chiesto a Belladonna Cavendish di andare con lui al banchetto inaugurale di Hogwarts, era sicuro ci fosse un motivo, ma mentre parlavano lungo il tragitto, improvvisamente gli sfuggiva. Era altrettanto sicuro che nel momento esatto in cui, in quella mensa, gli aveva proposto di accompagnarlo al castello avesse omesso qualcosa. Tipo il fatto che fosse il banchetto inaugurale di un nuovo anno scolastico ad Hogwarts, dettagli che al Campbell non sembravano essere così rilevanti dopotutto. Forse per obbligo, qualcuno gli aveva imposto di prendere a carico uno di quegli ex detenuti e reintegrarli nel mondo; forse di sua spontanea volontà, abbracciando appieno la causa del volontariato no profit che aveva intrapreso quell’estate, quando non aveva alcunché di meglio da fare; forse perché gli era parsa simpatica -come chiunque- ed il fatto che si potesse invitare gente era una buona occasione per farle mangiare qualcosa che non fosse purè di patate annacquato. O forse a caso, non aveva di meglio da fare se non portare la prima persona che capitava a Scuola. Dopotutto, la sua estate era stata abbastanza noiosa e monotona se non per il tempo passato al Quartier Generale, ad aiutare Jaime con i preparativi per le nozze o in quella che, in fin dei conti, era una mensa per poveri: probabilmente concedere a quella ragazza il lusso di una cena ben più che dignitosa gli era sembrata una cosa allo stesso tempo carina e utile a sé stesso, uno svago piacevole e che non richiedeva spreco di soldi, o quant’altro, nonostante purtroppo non gli facesse guadagnare nulla di significativo. Doveva richiedere a Keanu un aumento sulla busta paga, considerando che domandarlo al nuovo preside non gli sembrava una buona idea: tutto il corpo docenti era stato avvertito dell’ingaggio del Sicla e solo il nome preannunciava guai, sicuramente non promozioni o salari bonus. E pensare che, inconsciamente, stava tranquillamente dialogando con una di loro #savethephobos.
    «Eccoci qui» annunciò alla Cavendish, girando le chiavi e spegnendo la macchina a qualche chilometro di distanza dai cancelli del castello. Per quanto temesse di essere arrivato in ritardo, in fin dei conti era stato puntuale: gli alunni non erano ancora arrivati (forse), la strada era sgombra. Continuò a parlare animatamente con la donna, senza starle a dire che quella era Hogwarts e altre cose al riguardo mentre raggiungevano il portone principale, mentre la conduceva attraverso la Sala d’Ingresso e poi nella Sala Grande: andiamo, chi non conosce Hogwarts!? C’era già qualche ospite esterno, seduto ai tavoli del ghetto. «Credo tu debba metterti lì» le disse, indicandole i quattro tavoli rotondi con un cenno del capo. «Cioè, non è un obbligo. Però, sì, dai, hai capito. No?» No. «Io devo andare, il mio posto è là, se ti serve qualcosa vienimi a chiamare» Le ammiccò (?) prendendo le distanze da lei e raggiungendo la tavolata dove erano già seduti alcuni suoi colleghi. Accennò un saluto a Damian, dall’altra parte del tavolo, rivolse un sorriso rapido a Maeve ed Arwen, contento di vedere le due giovani ribelli lì, sane e salve e non in un fottutissimo labirinto dove sono entrambe quasi morte. Si avvicinò a Bercoso (prima o poi l’avrebbe imparato, il nome: non il primo settembre) sussurrandogli all’orecchio se avesse più avuto notizie di Elsa. Non che sembrasse il tipo di ragazza alla quale serviva veramente un protettore, però dalla festa non l’aveva più vista, e un po’ era preoccupato. Prese posto vicino alla Bulstrode, mentre il posto adiacente rimaneva assente. «Oh, niente di particolarmente entusiasmante» rispose, con un sorriso sul volto «Un po’ di volontariato qua, un po’ di viaggi là. E mio zio sta bene, nonostante credo che abbia bisogno di un sostegno psicologico... Magari è solo l’età» ironizzò –nemmeno troppo- con una scrollata di spalle. «Lei, tutto bene?» Phobos era uno degli ultimi arrivi in quella tavolata, eppure non sembrò essere troppo intimorito dai nuovi compagni di avventura.
    Mentre il preside, in un modo molto inquietante secondo diversi punti di vista, si annunciava come nuovo dittatore della scuola, il Campbell aguzzò la vista, sperando di vedere Nobuo. Il suo nuovo assistente, un tipo molto loquace, non c’è che dire, aveva detto che avrebbe presenziato alla cerimonia, ma non gli sembrò di scorgerlo da nessuna parte: forse era intento a dar da mangiare a qualche animale immaginario.
    «Ad un anno pieno di sorprese, e al nostro nuovo e amatissimo preside, che come i precedenti non duri un anno per poi sparire misteriosamente o morire... e giuro, non è una minaccia» Quando sentì Nate lanciare quel brindisi, non poté che alzare egli stesso il proprio calice e, con una risata nella voce, condividere quelle parole. Rivolse un sorriso al preside, sperando che anche questo condividesse tale gioia. Seguirono attimi di fuoco, sguardi che preannunciavano morte e torture e sangue, iridi azzurre contro iridi azzurre, finché il Sicla non distolse lo sguardo, preoccupandosi della sorella. Doveva un favore ad Erin per non aver lasciato che il neo preside lo uccidesse.
    Quando vide il biondo giovane unirsi al loro tavolo, non poté che ripensare al fatto che Cole avesse appena detto che il corpo docenti era rimasto invariato. Bagasho, appena arrivato e già dice menzogne. «Benvenuto a bordo (?)! Sei il nuovo insegnante di Trasfigurazioni?» gli chiese amichevolmente, constatando che quella era l’unica cattedra libera e che per forza di cose doveva essere tale. «Phobos Campbell, per qualsiasi cosa non esitare a chiedere» si presentò, avventandosi poi sul famoso banchetto. Alzò gli occhi solo per controllare la situazione circostante, o per volgere lo sguardo verso Belladonna, alla quale alzò una coscia di pollo in amicizia #wat
    01 september
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  10. #lucas
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    E. Lucas Italie ( ) - 19 - ex-Gryffindor - Rebel - Journalist
    « Nothing is true, everything is permetted »
    Lucas si grattò il mento. Sentiva un po’ di prurito dovuto alla barba che si era fatto sistemare per bene. Non voleva sembrare un barbone ma nemmeno un adolescente di 15 anni, quindi aveva preferito tenere una barba non troppo folta. E poi non voleva sentire le lamentele di Niamh e i suoi “sembri un vecchio”. Non lo pensava davvero eh, lo faceva solo per farlo innervosire un po’. Le piace farlo violento.
    Le tradizioni del mondo magico andavano via via scomparendo, oppressi dal mondo moderno. I tradizionali vestiti magici (incluso il cappello a punta) era ormai usato da pochissime persone, a favore di jeans e magliette, stessi vestiti della moda babbana. Si usavano sempre più spesso le lentine invece degli occhiali, si preferiva usare la penna a sfera, o quella stilografica, o qualsiasi altro tipo di penna che non fosse quella d’oca accompagnata da calamaio. Insomma, era nata una comunità magica più moderna e meno “medievale”. La comunità magica prima rifiutava di modernizzarsi poiché l’elettricità non poteva essere sfruttata e poiché era molto legata al passato e alla tradizione.
    Poi la comunità babbana si era sempre più avvicinata al mondo magico (mentre fino a cinquant’anni fa c’erano state anche violenti persecuzioni razziali dirette anche contro Nati Babbani) e quindi la comunità magica s’era inevitabilmente aperta a un nuovo stile di vedere la vita e la società. E Lucas non avrebbe mai smesso di ringraziare i babbani per aver inventato la penna biro, o a sfera. La penna d’oca era troppo scomoda da utilizzare e poi poteva sporcare facilmente il foglio; quest’ultimo difetto era condiviso anche dalla penna stilografica che era però più comoda; la penna a sfera invece era più che pulita e soprattutto comodissima. Molte volte Lucas, a scuola, s’era ritrovato con le mani sporche d’inchiostro perché il calamaio s’era rovesciato o perché l’inchiostro non s’era asciugato, e si sa che l’inchiostro usato durante le verifiche a Hogwarts se ne va via difficilmente in quanto indelebile. Sì, perché quegli stronzi dei professori non volevano che l’inchiostro se ne andasse una volta scritto, bagashi.
    E insomma, perché stiamo parlando della penna a sfera? Giusto per dire che Lucas stava scrivendo a Shane, che gli aveva appena detto che il 15 di quello stesso mese sarebbe andato in Francia, al San Patrick di Parigi, l’ospedale più celebre di tutto il territorio francese dei maghi. Era un po’ lo speculare del San Mungo del Regno Unito. E inoltre aveva risposto che no, non ci sarebbe stato al banchetto, anche perché non aveva valide motivazioni per esserci. Lucas gli augurò buona fortuna per l’ospedale, chiedendogli di incontrarsi un giorno prima che partisse in modo da salutarlo. Gli sarebbe mancata la sua vicinanza fisica, anche se si sarebbero scritti Gufi come avevano fatti fino a quel momento e in tutte le estati. Gli scrisse pure che lui ci sarebbe andato al banchetto perché doveva scrivere un servizio per la Gazzetta del Profeta.
    Sì, miracolo. Lucas aveva trovato lavoro come giornalista presso la Gazzetta del Profeta. Era repoter e, talvolta, anche fotografo. Scriveva di fatti di cronaca, di temi d’attualità e cronaca nera, di argomenti di interesse pubblico, eccetera. Perché, a dispetto di quanto si potesse pensare, a Lucas piaceva scrivere. E poi il giornalismo era utile per girare il mondo e reclutare ribelli e seguaci della Resistenza in qualità di Rebel Scout.
    Finito di scri vere, scrisse un Lux in basso a destra e arrotolò il foglio. Fischiò richiamando il suo gufo. «A Shane», disse, indicando la lettera. L’animale prese il foglio tra le zampe e volò via dalla finestra aperta. Luca ssi avvicinò ad per chiuderla. Si mise nuovamente davanti allo specchio, abbottonandosi i bottoni della camicia bianca di suo padre. Com’è che si metteva ‘sto smoking? Camicia di cotone, bianca, ok. Colletto ribattuto verso il basso, fatto. Polsi doppi rivoltati e chiusi con i gemelli coperti da stoffa, bene. I pantaloni erano privi di cintura, come voleva il galateo. Le bretelle aveva. Che schifo. Si snetiva vecchio di 40 anni. Mi mise una giacca smoking blu inchiostro che almeno nascondeva quelle orribili bretelle da anziano. Aveva un solo bottone che abbottonò, come sempre voleva il galateo. Toccò la giacca, fatta di lana di vigogna, molto pregiata. Come se gliene importasse qualcosa. Osservò le scarpe per controllare se fossero ben lucidate. Erano in cuoio nero, le famose scarpe Ocford. In barba al galateo, però, stava portando un orologio da polso e aveva preferito evitare il soffocante papillon di seta, e aveva preferito evitare di portare anche il fiore all’occhiello o il fazzolettino bianco dche urlava chiaramente “Ehi ciao bello, sono vecchio”.
    Il campanello suonò. Lucas si affrettò a scendere. La temperatura non era alta, quindi un soprabito per proteggersi dal freddo era decisamente inutile. Ritardò solo un minuto per spruzzarsi il profumo e prendere la bacchetta. Giunto alla porta, la aprì e uscì, guardando l’abbigliamento di Niamh. «Sei favolosa», disse con assoluta sincerità. Prese i suoi fianchi tra le mani con delicatezza e la avvicinò a sé posando le proprie labbra sulle sue. «Aspetta che chiudo la porta», disse, continuando invece a baciarla, come se avessero tutto il tempo del mondo, come se Isaac non li stesse aspettando.
    Poi non lo so, alla fine si sono staccati, grazie a Merlino, che schifo. Proprio non li capisco quando fanno ‘ste scene così smielate e smak kiss smuack smuak slap slop slip slup e ancora slap slap smack. Ma comunque, sorvoliamo.
    Si smaterializzarono alla Gazzetta del Profeta, nell’ufficio di Lucas. Lì Lucas e Isaac s’erano dati appuntamento per quell’ora. Infatti Lucas sarebbe andato a Hogwarts insieme a Isaac, che avrebbe fatto il fotografo. Niamh aveva insistito per accompagnare Lucas visto che voleva ritornare a Hogwarts per qualche ora. Voleva ritornare a casa. Isaac, comunque, non c’era. Lucas ne approfittò per prendere la pena auto-scrivente e il block-notes fluttuante. Dopo qualche minuto arrivò Isaac. «Ciao», salutò Lucas. «Come mai sei arrivato a quest’ora? Temevo non venissi più», disse curioso ma non arrabbiato.
    I tre attuarono la Smaterializzazione congiunta condotta da Lucas, che li portò davanti ai Tre Manici di Scopa, nel villaggio di Hogsmeade. Da lì sarebbero risaliti a Hogwarts, dato che a Hogwarts non ci si poteva Materializzare. Già era buio e fra un po’ sarebbero arrivati gli studenti. Risalirono il sentiro che portava ai cancelli di Hogwarts mentre la sagoma del castello di faceva via via sempre più grande. Superati i cancelli d’ingresso di Hogwarts, giunsero al Cortile del Viadotto, che precedeva la Sala d’Ingresso. Giunti dentro quest’ultima Sala, salirono l’immensa scala di marmo ed entrarono nella Sala Grande, con le due grandi porte di legno di quercia spalancate.
    Già la Sala era piena di persone. Erano presenti quasi tutti i professori e già c’erano tutti gli studenti, tranne quelli del primo anno, che sarebbero arrivati di lì a poco. Dovevano probabilmente ancora iniziare la loro bella gita in barca. Si avvicinò al tavolo dei Muggle, cercando Jericho con lo sguardo. Ovviamente Niamh lo accompagnò. Trovata Jericho, la slautò. Fece lo stesso con molti dei Gryffindor che conosceva, avvicinandosi al tavolo della casa rosso-oro. Isaac poi si allontanò da loro per sedersi con sua sorella, la Withpotatoes, una tipa molto simpatica. Lucas e Niamh invece di sedettero in un altro dei tavoli circolari, rivolgendo le spalle alle porte d’ingresso della Sala Grande.
    Quando arrivarono le matricole, Lucas aveva già aperto il block-notes che galleggiava al suo fianco mentre la penna auto-scrivente scriveva ciò che lui pensava. Descriveva l’atmosfera che si respirava, descriveva i professori presenti, descriveva com’erano disposte le tavolate. Descriveva il nuovo Preside. Trascrisse la canzone casntata dal Cappello Parlante. Scrisse che era stato fatto come al solito lo Smistamento, che si era svolto in modo molto rapido. Ma poi venne la parte più interessante.
    Cole Sicla si alzò e si mise davanti al leggio. Avrebbe dovuto fare ricerche su quell’uomo. Era un Sicla, un ottimo biglietto da visita per i Mangiamorte. Lanciò un Silencio, imponendo una volontà dispotica. Ma Lucas fece scrivere alla penna “mostrando una forte volontà, grande fermezza d’animo”. Bisognava esaltarle, quelle qualità, o sarebbe finito sotto il mirino della Censura. Spostò il suo sguardo sulla Bulstrode che, oltre ad essere il docente di Storia della Magia, era anche colei che rivedeva molti degli articoli dei vari giornali. Li manipolava. Era lei a decidere cosa poteva o non poteva essere pubblicato. Era lei a decidere se uno poteva essere marchiato come Rivoltoso per il suo modo di scrivere. Sicla parlò di misure di sicurezza aumentate. Il Preside mostra forte tendenza alla sicurezza degli studenti e al rispetto delle regole, base di una società civile e sviluppata. Non tralasciò la poca intolleranza verso i babbani e i Sanguesporco: scrisse Accetta ben poco i non Purosangue ma sa di doverli tollerare, segno della sua spiccata onestà. Tutte balle, ma non poteva fdire il contrario.
    E allora perché era un giornalista? Semplice. In quel modo aiutava la Resistenza. Indagava, un po’ come una spia, in qualità di giornalista e non tutte le informazioni finivano sui giornali: andavano alla Resistenza. E poi, come già detto in precedenza, era un lavoro utile per fare il Rebel Scout. E poi non sempre doveva comportarsi così. Tanto, anche se avesse scritto quel che davvero pensava, la Censura avrebbe modificato il suo articolo, stravolgendo anche tutte le parole., prima di far pubblicare il giornale. La libertà di pensiero era inesistente, il lavoro del giornalista era pura apparenza.
    Una volta che Sicla ebbe finito di parlare, Lucas guardò Niamh con un sorrisetto. «Allora? Di questo passo quanto può essere Hogwarts considerata casa, chiese a bassa voce, avvicinandosi al suo orecchio e resistendo alla tentazione di leccarlo. Allontanatosi da lei, prese uno dei piatti disposti al centro. «Ne vuoi?», chiese a Niamh, offrendole del pollo arrosto. «Comunque sono molto positivo su questo preside, mi piace», aggiunse a voce alta. Le orecchie erano dappertutto e dire “questo preside fa schifo” poteva essere letale per chiunque.
    the heart is deceitful above all things,
     
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    Doveva ammetterlo a se stessa. Quella volta s'era acconciata proprio bene.
    E non che di solito sfoggiasse qualcosa di poco adatto alla sua persona, ma quella serata aveva dato il meglio di sé. Del resto si trattava comunque di un primo appuntamento, la giovane Belladonna riteneva fosse giusto presentarsi in spoglie completamente diverse da quelle che gli avevano fatto conoscere l'uomo che adesso lei stava attendendo sotto la luce di uno degli ultimi lampioni accesi della strada. Chi sarebbe parso elegante in una mensa per poveracci senza casa? Nemmeno lei in mezzo a tutta quell'accantonamento di senzatetto e lebbrosi ( a sua discrezione ) riusciva a mostrare la solita eleganza. Eppure l'aveva fatto. Aveva davvero messo piede lì dentro, una sola fottuta volta, ed ecco che la buona sorte le mandava un piccolo miracolo. Un uomo. Un uomo buono, forse un po' troppo … ma era così importante se questi addirittura la invitava ad un appuntamento? Una cena sontuosa, così l'aveva definita; e lo stomaco della strega aveva fatto reagire il corpo d'impulso: un po' come, nello stesso giorno, l'aveva spinta mettere piede lì dentro dopo minuti interminabili di ripensamenti e dubbi. Dubbi sulla vita, sulla morte, sulle malattie di cui vedeva già i microbi saltellare da una parte all'altra delle portate, sull'eleganza dei suoi abiti che non potevano assolutamente finire macchiati dallo starnuto di qualche pruriginoso tossico dipendente.
    Aveva pregato sull'uscio, ma adesso aveva smesso cercando di godersi gli attimi d'anticipo.
    Indossava uno dei suoi outfit più prestigiosi, splendente come appena comprato: il tubino dal busto bianco e la gonna e le maniche nere scendeva lungo i suoi fianchi accompagnato dai capelli biondi raccolti in due ciocche ai lati del viso truccato, mentre in testa teneva il cappello nero largo e sulle mani un paio di guanti in pelle. A chiudere il tutto, gli stivaletti dal tacco meno vertiginoso del solito, e in fondo sentiva d'essere particolarmente fine ed elegante. Un appuntamento ricercato, nulla di più. Solo una volta per strada s'era lasciata andare ad un piccolo capriccio osservando la propria figura nella vetrina di un negozio vicino all'ora di chiusura: avvenente e provocante il giusto, s'aspettava un minimo di apprezzamenti e soprattutto anche uno sforzo d'eleganza da parte dell'altro. No, non era una persona pretenziosa ma era stata educata così e quei cinque anni in galera non avevano affatto smorzato la sua personalità altamente superba e vanitosa: se una donna s'agghindava da gran dama, anche l'uomo aveva l'obbligo di mostrare almeno un papillon...
    Eppure, quando una macchina tutt'altro che lussuosa ( ma suvvia, lei viveva per la strada, non aveva ancora diritto di fare la preziosa ) si fermò proprio davanti a lei, appoggiata a bisticciare con un inutile “accendi-sigarette” contro il cancello del parco presso cui s'erano dati appuntamento, vide uscire dall'abitacolo su quattro ( forse anche meno ) ruote un uomo ordinariamente vestito, allegro senza ombra di dubbio ma ben lontano dal sogno forse addirittura adolescenziale che Belladonna aveva fatto mentre s'agghindava con cura metodica ed esperienza.
    Tuttavia, da gran donna di classe qual'era, se provò vera stizza non diede a vederlo; pacatamente ricambiò il sorriso raggiante di quello, tornando ben presto alla Belladonna tutta moine e pensieri cuoricinosi che era stata capace di sfoderare in mensa di fronte a Phobos. E poi, insomma!, la serata era appena iniziata: aveva ancora modo di stupirla!
    Salì quindi in auto senza preoccuparsi più di tanto di ringraziare per una cortesia che riteneva dall'alto della sua magnificenza ormai decadente dovuta e prese “comodamente” posto nella vettura, trovandosi ben presto a discutere col tettuccio troppo basso che, per ovvi motivi di accessori, la portava a curvarsi e a cercare altre vie d'uscita, provare a mettersi in obliquo e infine, spazientita, optare per rivolgersi tre quarti verso il conducente. Nonostante la lieve piega irrequieta, Belladonna continuò a sorridergli maliziosamente, ascoltandolo parlare, e parlare, e parlare … « Ti dispiace? » e senza aspettare risposta allungò un dito verso quell'aggeggio che serviva a diffondere musica nell'aria ( la … televisione …? No, quella aveva le immagini! ) e dopo aver premuto un po' di pulsanti completamente a caso riuscì a farla partire senza una plausibile spiegazione. Una canzone subito invase l'abitacolo portando la donna a canticchiare e muoversi ( per quanto le fosse permesso ) a ritmo: ormai aveva sentito quel brano un po' ovunque ma non riusciva a stancarsene, la musica babbana aveva davvero quella magia capace di scendere fino nell'intimo e stravolgerlo, riscoprendo nuove sensazioni che per cinque lunghi anni aveva sentito represse sul fondo di quel baratro nero che era la sua coscienza. « Questa cantante è davvero in gamba … immagino sia babbana, ormai la buona musica si sente solo in mezzo a quelli » non che nutrisse astio verso la comunità non-magica del mondo … tuttavia non poteva certo riferirsi ad un genere tanto inferiore con una familiarità così sconcertante! E sebbene adesso fosse sola, per una vita aveva vissuto in mezzo ad un ambiente austero e dai rigidi pregiudizi … non sarebbe certo stata lei la pecora nera Cavendish.
    La canzone stranamente riuscì a farle tornare il suo buonumore: forse Phobos non s'era preparato come la strega aveva immaginata, ma il loro appuntamento era ancora salvo. Aveva grandi aspettative per quella cena.

    Passarono il resto del viaggio a parlare. O meglio: Phobos parlava, Belladonna annuiva con lo sguardo celato dietro le lenti nere puntato su di lui, pensieri piuttosto imbarazzanti a frullare nella testa e una piega seria nel sorriso. Non sapeva mantenere il sorriso troppo tempo: a lungo andare gli si formavano agli angoli della bocca delle fossette irritanti e provava i primi crampi alla mascella. Eppure aveva amato ridere, anche se di qualcuno.
    Il tempo passava e solo dopo molto tempo la strega intravide il profilo di una costruzione in mezzo alla foresta, su un lago enorme su cui già si rifletteva la sagoma dorata della luna. Ed ecco che ogni pensiero si spense, che ogni parola si smorzò in gola, la lingua si spezzò, il cuore smise di battere. La sagoma del Castello si faceva man mano sempre più vicina e mastodontica, il panorama ineguagliabile. Voleva chiederle di sposarlo? Oddio, per Belladonna si poteva anche fare eh … gli mancava solo sapere a quanto ammontasse il suo reddito, e poi, nel caso fosse stato soddisfacente, un se lo sarebbe pure lasciato scappare.
    « Splendido » ammise, lasciando Phobos a parlare da solo, completamente catturata dalla magia che sentiva così forte in quel luogo tanto speciale. Scese dall'auto e girò su se stessa per poter ammirare tutto attorno: sì, s'era davvero rifatto dalla figura dell'abito. Quel posto era perfetto per una cena con una donna come lei. Quasi le veniva da sorridere timidamente quando Phobos la invitò a seguirlo. Pendeva letteralmente dalle sue labbra: se poteva permettersi una cena in un posto simile, chissà quanto pesava il suo portafogli … sì insomma, si era completamente scordata del lavoro di insegnante che l'altro gli aveva ficcato in uno dei suoi tanti discorsi.
    Passarono per dei cancelli maestosi e entrarono nella struttura del Castello: e ancora Phobos parlava e parlava, ma ormai Belladonna era da un'altra parte. Delicatamente accarezzò con una mano guantata una colonna in pietra, chiudendo gli occhi ammaliata. Poeticamente parlando, sentiva di star facendo l'amore con quel Castello. Nemmeno s'era accorta inizialmente delle numerose comitive di ragazzi urlanti e rompicoglioni che giravano per i corridoi, rapita com'era dal resto di quella che considerava una grande opera d'arte magica.
    Eppure, ahimé, quel particolare fastidioso non poté rimanere in secondo piano troppo a lungo: ben presto l'idilliaco Castello si trasformò in un covo mostruoso di piccoli molesti escrementi di parto, sicuramente nati da qualche scherzo di madre natura. Phobos la condusse ad un tavolo e molto carinamente ( proprio ) le fece capire che avrebbe dovuto sedersi lì. No che non aveva capito! Dov'era la sua cena a lume di candele? Il suo cenone, a voler essere chiari citando di pari passo - dov'erano l'atmosfera romantica, le luci soffuse, le voci ridotte a sussurri, il cibo prelibato e … ah beh, quello almeno se l'erano ricordato.
    « Aspetta un mom- » ma prima che potesse scaricargli addosso una vagonata di insulti, l'insegnante ebbe il buon gusto di defilarsi, lasciandola da sola lì ad un tavolo. Morto. Quell'uomo era morto ( e Belladonna aveva ucciso per molto meno … o quasi ), Phobos Campbell aveva appena firmato la propria condanna a morte: dopo averla illusa, l'aveva abbandonata a fare da baby sitter a ragazzi che non vedevano solo l'ora di allungare le sozze manacce sulle prelibatezze che loro due avrebbero dovuto gustare in una cena a lume di candele svolazzanti. A proposito di candele: irrimediabilmente si trovò a sperare che, prima della fine della serata un po' di cera calda gli colasse sui capelli riducendo di qualche centimetro quella zazzera fastidiosa(?). Pensò di andarsene, anche se non aveva idea di come tornare indietro … ma dove cavolo l'aveva portata quell'hippy bastardo?
    All'improvviso però una voce potente sovrastò il caos di quella sala, portandola a voltarsi verso la parte opposta, dove un uomo avvenente e biondo s'era alzato in piedi e aveva richiamato l'attenzione di tutti: e provò anche a mandarlo a quel fottutissimo paese da cui lui e il suo pizzetto erano arrivati, ma a frenarla vi fu il fatto che, per quanto ci provasse, non le uscì nemmeno una parola dalla gola. Si portò una mano a stringere con forza la pelle ma ancora nulla, e qualcosa dell'uomo la convinse a restare. Era solo un po' incuriosita … ecco … E aveva bisogno di un fottuto passaggio per tornare a casa, come faceva a chiederlo senza voce?!
    Prese allora posto ad un tavolo rotondo, trovandosi immediatamente addosso gli occhi di qualche ragazzino seduto attorno alle tavolate ghermite da piccoli chiassosi a cui non badò neppure, concentrata sull'uomo che iniziò a parlare, unica voce immersa nel silenzio. Subito però tutto le fu chiaro: ecco dove l'aveva portata, quel pezzente bastardo! Ad Hogwarts! Alla scuola di Magia e Stregoneria più famosa del mondo magico! La tentazione di strappargli le budella e servirsele per cena al posto del pollo si fece man mano sempre più forte, ma ancora dovette sopprimere il rancore e sempre a favore dell'uomo che andò a presentarsi come il nuovo preside … un certo Cole, qualcosa, Sicla. Sicla? Perché gli suonava estremamente familiare quel cognome?
    Forse perché era quello che stava cercando, ma sul momento non gli parve davvero il caso di pensare ad altro se non a quello del Campbell. Ah, Campbell.
    S6MPflE

    Ascoltò tutto il discorso del nuovo preside che “ ma quello è parente mio … oddio, Sicla, ma davvero è un mio nipote? No dai, SERIAMENTE, al massimo un cugino. Anzi, qui lo zio sembra lui ” e nulla da dire, era un gran bell'uomo … ma non poteva essere suo nipote. Dio mio, già aveva accettato di malavoglia l'essere zia di qualcuno più giovane … ma addirittura del preside di Hogwarts … plis bitch, c'era un limite anche al disagio estremo. Alla fine del discorso qualcuno propose un “allegro” brindisi a cui Belladonna partecipò di malavoglia, alzando il calice giusto per rendere gli onori al suo parente; poi guardò aspramente un gruppo di ragazzini, e velenosa mormorò « avete capito, marmocchi? A letto alle 23:00 … siete ancora troppo poppanti per guardarmi in quel modo » e squadrando tutti gli altri con acidità, prese posto il più possibile lontano dagli altri già che era lì, perché non approfittare almeno del cibo?, e levandosi i guanti afferrò una coscia di pollo con la punta delle dita.
    Fu solo un caso, ma quando alzò lo sguardo riconobbe dall'altra parte della sala il sorriso ebete dell'uomo che aveva avuto il coraggio di portarla lì per poi andarsi a rintanare in mezzo ad altri maghi e streghe ( al riparo dai suoi malefici, insomma ). Sbaglio o la stava salutando alzando una coscia di pollo? Prese la sua e assottigliando lo sguardo se la portò alle labbra, mordendone un pezzo con violenza innata e palpabile frustrazione: e mentre masticava - a bocca chiusa certo - con aria minacciosa, continuò a guardarlo quasi come se stesse architettando per lui una sorte simile a quella della coscia di pollo. Questione di ore.

    the heart is deceitful above all things,


    Edited by my hair smells like chocolate - 13/11/2015, 23:31
     
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    Nicole possedeva un numero inquantificabile di difetti, ma il peggiore, era che li negava tutti. Non v'era verso di farla ragionare quando si trattava di dover ammettere una nota dolente del proprio carattere, particolarmente se questo gettava ombra sulla sua, per lei, esemplare condotta. Infondo, anche se non avrete mai una sua ammissione di colpa in tal riguardo, Nicole non era altro che una vanitosa saccente e prepotente. In più, come se non bastasse, era diventata prefetto della sua casata e questo per lei vanto, sembrava essere la giusta motivazione da dare al perchè della sua lingua velenosa e il suo fare dispotico, oltre ad essere un ottimo alibi per la conferma della sua millantata immolata perfezione caratteriale malgrado fossere perentoriamente smentita da tutti coloro che la conoscevano. Nonostante quelli che da chiunque verrebbero definiti buoni motivi per darsi una regolata, Nicole pareva perseverare nella propria collezione di difetti e, strafottente oltre ogni immaginazione riguardo il giudizio o anche solo l'opinione altrui, era riuscita negli anni ad affermare il suo indiscutibile talento nell'essere un repellente sociale. In parole povere: era sola come un cane. Gli unici che la sopportassero - dio buono, ma perchè? - erano praticamente solo Sharyn e Stiles, entrambi però troppo occupati per poter regalare alla scorbutica Cooper anche solo una parvenza di vita sociale vera. Oh, ma penserete mica che questo potesse rappresentare un problema per lei? Ad essere del tutto onesti, inconsciamente forse sì, ma ve l'ho detto che Nicole Cooper tra i suoi tanti difetti possedeva pure quello d'esser testarda come un mulo? No? Ve lo aspettavate? Certo che ve lo aspettavate. Li ha tutti, Nicole, tutti. « suo padre mi ha espressamente dato ordine di lasciarla solo una volta salita nella sua carrozza, signorina cooper. » « oh cielo, christoph, sono alla stazione ormai! cosa potrebbe capitarmi di qui ai binari? mi dia il carrello e vada, non voglio che mi vedano con una dannatissima balia al seguito! » Per concludere: Nicole non accettava un no come risposta, non lasciava che gli intenti altrui ostacolassero i propri e non ammetteva repliche. In sostanza anche chi non sapeva che la giovane Cooper fosse un enciclopedia del difetto vivente, non si sarebbe stupito poi troppo nel saperla altresì una sociopatica raggirata come un'appestata. Non ci voleva chissà quale ingegno. Bastava salutarla. « d'accordo, le auguro un buon viaggio e.. » « sì, ciao, sparisci ora.»

    Il viaggio per arrivare al castello non le era mai andato a genio. Eliminando il fattore puzza e quello dell'inquinamento acustico, Nicole non riusciva proprio a tollerare il fatto che per tanto tempo fosse costretta a stretto contatto con praticamente chiunque. Pure schizzinosa, sì. Ve l'ho detto: a far una lista non ne verremmo mai a capo. Al binario, comunque sia, aveva rincontrato Lucy; l'ormai prefetta Tassorosso con cui aveva stretto amicizia l'anno prima e l'unica a cui aveva riserbato come saluto un abbraccio - ma solo perchè faceva freddo e il calore umano, si sa, è un buon deterrente per l'ipotermia - ed insieme avevano raggiunto la carrozza dedicata agli spillati, ovvero coloro che detenevano una carica tra lo studentato. Dopo i dovuti saluti di sorta ( « Ciao rosso. Quello è il mio posto, smamma. » ) Nicole ebbe infine, finalmente, avuto il suo momento per accomodarsi e poter detestare in silenzio qualsiasi cosa la circondasse, ma arrivati malapena a metà tragitto, già non ne potè più. Senza quindi curarsi dei discorsi intrapresi dai suoi compagni che tentavano invano anche il suo coinvolgimento, si alzò e se ne andò, irritata e scostante così com'era arrivata. Vagò per i corridoi senza incrociar sguardo alcuno e quando riuscì a trovare una cabina vuota - eccezion fatta per un tizio che russava sommessamente coperto interamente dal suo cappotto ( sì è gas, VA BENE? ) - decise di prender posto lì. Passò così il resto del viaggio guardando fuori dal finestrino scorrer veloci le sagome degli alberi quasi nudi tipici dell'autunno, chiedendosi se quell'anno le cose sarebbero andate meglio, se quell'anno in assenza di Russell sarebbe riuscita a covar di nuovo una parvenza di serenità. Parte di lei però, al solo pensiero di saperlo ormai lontano, le destava tanto rammarico da stroncar sul nascere qualsivoglia quiete. Non avrebbe voluto che fosse finita a quel modo e magari.. magari potendo avrebbe potuto rimediare. I se, i forse e i ma, conditi di magari o se potessi, non le sarebbe serviti, non più. Fece un respiro profondo e la sua mente si sgomberò. Aveva un'intero anno per crogiolarsi nell'autocommiserazione.
    Lo sferragliare del treno quando frenò si sentì a malapena; ormai tutti erano in visibilio già da un buon quarto d'ora, quando raggiunsero la stazione d'arrivo. I novellini e quelli dei primi anni avevano sempre la stessa reazione, ovvero andavano completamente in tilt per la gioia. Appena ritornati a scuola tutti parevano dimenticare che Hogwarts, di gioioso, avesse meno che niente. Bello, bellissimo star lontani da casa e sentirsi liberi e autonomi, ma le torture? Le dure prove a cui sottoponevano i professori di ogni materia? Il grigiore che ti attanagliava il petto quando fuori faceva buio e quel castello diventava troppo grande per farti sentire al sicuro? Nicole non riusciva a pensare a nulla che fosse positivo perchè troppe erano state le volte in cui aveva dovuto fare i conti con il peggio che quelle mura sapevano riserbare ai propri inquilini. Troppe volte, Hogwarts, era stata la dimora delle sue disgrazie, più che la sua. Era per questo che ora chiunque desse in escandescenza per l'arrivo al castello, diventava automaticamente un bersaglio rosso ai suoi occhi. « hei, hei! esci di nuovo dalla fila e digerirai la cena in sala torture. » Lo sarebbero stati in ogni caso, lo ammetto, ma il fatto che fossero così detestabilmente felici era un incentivo in più. « restate in ordine ed in silenzio e chi non si è ancora cambiato lo faccia immediatamente. » Ligia al suo dovere, Nicole passò tutto il tempo che ci misero per giunger all'ingresso del castello strapazzando i nuovi e i vecchi troppo baldi compagni di av(s)ventura. Non le interessava fare chissà quale ingresso, ma iniziare l'anno sperando che nessuno degli idioti che aveva già deciso di mandare a farsi scuoiare vivi in sala torture capitasse tra i corvonero, pareva esser un pò troppo infimo persino ad una come lei. « mi scappa la pipì, posso andare al bagno prima della cena? » « assolutamente no! tienila e non ti azzardare a bere nemmeno un sorso di succo di zucca! » Diciamo pure tanto infimo. Quando tutti furono dentro, la corvonero impettita nella sua divisa tirata a lucido fece la solita ronda di ricognizione per tutto il piano terra, riacciuffando i più furbi e incitando i più fessi a prender posto. Stava finalmente per raggiunger anche lei la sala grande, curiosa di scoprire le nuove e di metter qualcosa sotto i denti dopo il così estenuante viaggio, ma qualcosa la bloccò. No, forse è meglio dire qualcuno. Un qualcuno così tanto inaspettato da lasciarla impietrita e corrucciata in un'espressione inebetita con la mascella sgranata. « Salve prefetto, dove stava andando?» Era un sogno? Stava già iniziando a delirare? Sapeva che lo stress giocava spesso brutti scherzi, ma ad appena mezz'ora dall'arrivo sembrava leggermente eccessivo. « c-cosa..? » Fece per dir qualcosa, ma il fiato spezzato non le permise nemmeno di completar mezza parola. Premuta contro il corpo del biondino di cui ancora ignorava il nome dai bro, glielo diciamo almeno il nome? di domande se ne fece molte, ma di risposte non ne sovvenne acuna. Che ci faceva lì? Perchè? Doveva iniziare davvero a preoccuparsi? Non che ritrovarselo a spiarla nel giardino fuori casa non fosse già di per sé abbastanza inquietante, ma incastrato in un anfratto buio di Hogwarts era proprio il clou dello stalkeraggio da manicomio. « Spero non le dispiaccia se le faccio fare un po tardi » Ma fintanto che lui avesse avuto gli occhi blu fissi su di lei, il suo respiro ad arrossarle le gote e le labbra carnose ad invitarla a nozze, cosa diamine poteva importarle se fosse un tipo da ricovero? Non lo era anche lei? Con la testa già ricurva d'un lato e un sorriso beato a ridipingerle il viso, Nicole si lasciò completamente assuefare dal tocco delicato di lui. Rabbia, preoccupazione, angoscia e amarezza erano ora solo un ricordo lontano. Perchè mi fai questo? « Ho una sorpresa per te » Da quanto era arrivata? Mezz'ora? Quaranta minuti? Bene, aveva già bisogno di una vacanza. Non aveva idea del perchè lui riuscisse a calamitarla a sé a quel modo, di come riuscisse a renderla ogni volta una persona così diversa, completamente priva dei soliti pregiudizi che la caratterizzavano, dei soliti maledetti difetti che la limitavano. Non aveva la più pallida idea di come riuscisse a far scattare quello strano meccanismo che riusciva a rivoluzionarla per intero, ma le piaceva. Ogni dannata volta, le piaceva da morire. « ma tu.. io.. non.. come? » Le sue parole uscirono confuse e disordinate così com'erano i suoi pensieri. Qualsiasi cosa collegasse bocca e cervello le era stato prepotentemente staccato via, dunque ognuno seguiva una propria sbizzarrita strada, ora. L'unica cosa su cui riuscissero a trovarsi d'accordo, creando una vacua parvenza d'ordine, pareva esser un desiderio. Sempre il solito, sempre lui: un bacio. Mente e labbra non chiedevano altro. Lui però diveniva sempre più scaltro in quel gioco di brame sospese e dopo che, per un breve istante, l'ebbe illusa di poter finalmente riassaporare il retrogusto dolce-amaro di quella sconfitta ad armi impari cedendo alla propria voglia anzichè tirar la corda per tener sulle spine la sua, lui la liberò dal suo abbraccio. « Dovresti andare. Rischi di perderti il discorso. » Le sue labbra incrociarono la pelle di Nicole e seppur non fosse dove lei avrebbe desiderato, le bastò. Il solo aver avuto l'occasione di toccarlo ancora, di sentire ancora il suo calore e il suo profumo, le bastava. Perchè? Questa era la domanda in testa a tutte le altre.

    Chi sei? Qual'è il tuo nome? Perchè sei costantemente ovunque ci sia anch'io? Cosa mi stai facendo? Ogni qualvolta si concludeva un incontro con quell'incognita d'individuo, nella mente di Nicole riaffioravano tutte le domande che poi puntualmente non riusciva mai a porgli. Bastava che lui non fosse nei paraggi e Nicole.. tornava Nicole. Altrimenti, di lei, non restava che l'ombra. Probabilmente ciò che lui aveva conosciuto poteva anche esser la vera essenza celata della giovane corvonero, ma chi può dirlo con certezza? Senza la sua costellazione di difetti, senza la sua acidità, il cinismo e il sarcasmo ad appiattire i suoi toni melliflui, Nicole Cooper era davvero Nicole Cooper? L'esperienza aveva forgiato la sua corazza d'amianto e questa ormai era parte di lei; senza, ovvero quando si ritrovava in balia degli occhi chiari di lui, non si sentiva completa. Quel senso di vuoto che lasciava il deporre le armi, lui però sapeva come colmarlo. Non aveva mai provato nulla di simile e per quanto la infastidisse non aver il controllo di quella situazione, questa risultava in egual modo terribilmente piacevole lo stesso. « quindi vi sconsiglio di trasgredire le regole imposte, a meno che la Sala Torture ai vostri occhi non appaia come un idilliaco posto nel quale passare gran parte del tempo libero in compagnia di Erin Sicla e James Larrington, addetti a tale luogo. » Quando fece il suo ingresso in sala grande furono quelle le prime parole ad accoglierla. Larrington. Non riconosceva né la voce né il volto dell'individuo che stava tenendo il discorso, ma non si soffermò su questo. Larrington. Il solo sentir pronunciare quel nome le provocò inspiegabilmente un bruciore che, pian piano, capì provenire proprio dall'avambraccio destro. Filthy Blood. La sua mano saettò lì dove sapeva esserci quel marchio ormai schiarito ma indelebile, mentre una smorfia di dolore incupiva il suo sguardo altrimenti fiero. Un cipiglio sgraziato e terrorizzato che durò solo qualche istante. Non sei un leone. Ripercorse nella sua memoria l'incontro di qualche mese prima nella torre d'Astronomia veloce così come percorreva ora il tavolo dei Corvonero per raggiunger il proprio posto. Sangue bastardo, non ne avevo dubbi. L'orgoglio, si rese conto poi, bruciava più della ferita, ma non doveva permetterlo, non poteva permetterselo. Inspirò, si sistemò la gonna una volta seduta e guardò impassibile dinanzi a sè. La voce di quello che capì solo dopo essere il nuovo preside non la raggiungeva più. Era così che faceva Nicole: si isolava. Per superare le difficoltà, per sentirsi più forte, per non sopperire sotto il peso delle proprie fobie, chiudeva tutto il mondo fuori e restava con null'altro che il vuoto. Chiudeva fuori tutto, persino sé stessa. Rimase in agonia, in quell'oblio senza nome, per chissà quanto. Poi l'occhio cadde su qualcosa che, nuovamente, la riaccese. Lui, il biondo. La superò senza degnarla di uno sguardo, mirò dritto al lato opposto della sala rispetto ove era appena entrato. Lui, il biondo. Salì i gradini che separavano la tavolata riservata ai professori rispetto a tutti gli altri e poi, lui, il biondo, prese posto proprio lì.
    Nicole ebbe a stento la prontezza di chinarsi girando su sè stessa per superar la propria panca, poi il suo stomaco rigettò fuori senza controllo, in uno spasmo doloroso ed irruento, pranzo e colazione. Lui, professore lì, ad Hogwarts. Ebbe istintivamente un altro conato, poi sentì la mano di qualcuno posarsi delicatamente sulla propria spalla e riprese a respirare. Neanche si era accorta di aver smesso di farlo dal momento in cui ebbe realizzato chi avrebbe realmente rappresentato il suo più grande problema quell'anno. « io.. credo che.. » Non terminò la frase che sì, ancora, il suo stomaco si strinse e quel che al suo interno era rimasto del pranzo imbrattò ulteriormente il pavimento ai suoi piedi. E' così che fa, Nicole, quando si sente oppressa dal peso di mille ansie, angosce o preoccupazioni: o si isola.. oppure si espone. Forse un pò troppo.
    Bhè, che dire? alla salute! E bentornata a casa, Nicole.


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    Tyreek Baptist ( ) - 16 anni - Serpeverde - mangiamorte - martbulla mode
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    Un altro anno era alle porte e Tyreek Baptist lo stava aspettando a braccia aperte. Non che amasse la scuola, il ricominciare delle lezioni e lo studio ma, dentro al castello, si era fatto un bel giro di amici e, soprattutto, si era creato un nome. Aveva potere lì al castello, era un prefetto lui, mica cazzi. Prefetto serpeverde per la precisione, la migliore casata che fosse mai esistita dalla notte dei tempi. Adorava tenere tutto quel potere nelle mani, accarezzarlo e comprimerlo come una palla di luce. #wat Lo faceva sentire importante, lo faceva sentire temuto. E pure quell'anno si sarebbe fatto notare come il più fastidioso tra i ragazzi, come quello con più rimproveri e richiami, come quello che era riuscito a totalizzare più scherzi senza venire scoperto. Era un primato il suo e voleva batterlo, un po' come ogni anno.
    L'Hogwarts Express viaggiava spedito mentre Ty camminava lungo il corridoio in direzione della sua preda. L'aveva adocchiata da un poco e si avvicinava sempre più a passo felpato verso di lei, aspettando il momento giusto per attaccare. Ed eccolo, la signora che spingeva il carrello dei dolciumi di voltò verso un vagone del treno per chiedere gentilmente ai ragazzini che vi ci sedevano se volessero qualcosa. Fu un attimo e il ragazzo agguantò il pacchetto di api frizzole più vicino a lui per poi lanciarsi nello scomparto opposto e lasciarsi cadere di peso sul sedile, le ragazzine sedute davanti lo guardarono con gli occhi spalancati. Ty sorrise facendo l'occhiolino, sebbene queste fossero di molto più piccole di lui, forse del secondo o del terzo anno; non era mai un errore lanciare avance alle femmine.
    Aprì il sacchetto ed iniziò a rimpinzarsi di caramelle, una dietro l'altra, come se il suo stomaco fosse un pozzo senza fondo. Il suo sedere lievitava di poco sul sedile ogni volta che ne ingoiava una, la cosa lo divertiva a tal punto da rimanere con un sorriso da idiota stampato in viso per tutto il viaggio. Adorava rimpinzarsi di dolci, ereno uno dei suoi punti deboli; il peccato più grande di Ty era sicuramente quello di gola.
    Arrivarono al castello con la stessa precisione di sempre, il treno a vapore era una sicurezza. Non aveva visto Balthazar sull'espresso ma non si dispiacque troppo, aveva tutto il tempo di trovarlo e starci insieme. Il cruccio che per un attimo aveva sfiorato i suoi pensieri evaporò nel momento in cui li vide. Un sorriso gli si allargò sul volto: primini. Erano i più facili da spaventare, i più piccoli e quindi i più indifesi. Non sapevano ancora poco o niente della magia così Baptist aveva deciso di aiutarli mostrando loro gli incanti più squisiti: Densaugeo, Tarantallegra e Mangia Lumache a volontà. Si divertiva un sacco a torturare quelle povere creaturine che avevano appena messo piede al castello, la sua autorità su di loro, poi, era indiscussa.
    Si diresse verso la sua sala comune trascinandosi la valigia, straripante di vestiti, dietro come fosse un prolungamento della sua persona. E giù per gli scalini facendo un gran chiasso, le rotelle del trolley che rimbalzavano ad ogni passo. Aveva sempre amato i sotterranei, erano un po' lugubri e tetri ma aveva sempre pensato che avessero il loro perché. Entrò gustando la tappezzeria che non sembrava essere cambiata da quando quel posto era stato costruito, di Hogwarts a quando pare cambiavano solo le scale, e il preside, da quanto avrebbe appreso tra poco. Si fece largo spintonando qualche ragazzino che intralciava la sua strada per arrivare davanti ai dormitori. Si diresse verso il suo letto, nella stessa stanza di Balth -in realtà i due all'inizio non erano stati messi vicini ma tutti avevano imparato ormai che quando Ty vuole qualcosa se lo prende- per lasciare le valigie e darsi una rinfrescata prima di arrecarsi al banchetto. Notò che le lenzuola del suo migliore amico erano sfatte, segno che doveva già essere arrivato. Lo cercò con lo sguardo lì nella sala comune ma perse quasi subito la voglia di impegnarsi a trovarlo: c'erano troppe persone e non aveva nessuna intenzione di perdere tempo inutilmente. Baptist si ripeté che non c'era nessuna fretta e che l'avrebbe trovato poi in sala grande.
    Deodorante sotto le ascelle, un po' di gel sul ciuffo che sembrava provato dopo lo scombussolio del viaggio in treno e la stella da prefetto appuntata alla casacca; era pronto.
    La sala grande era riccamente addobbata, il banchetto di inizio anno era una delle serate che da sempre lo entusiasmavano di più. Adocchiò il tavolo dei serpeverde appena dopo aver visto quante prelibatezze ci fossero state piazzate sopra, già gli veniva l'acquolina in bocca. E finalmente lo trovò: Balthazar Wyvern, il suo migliore amico. Gli arrivò alle spalle nell'intento di sorprenderlo. BAAAAAM! Gli urlò nell'orecchio sinistro mentre metteva in atto quello che poteva essere descritto come una mezza via tra un abbraccio ed uno spintone. Ciao bello, come stai?! Mi sei mancato! Quella cosa si trasformò in un abbraccio vero e proprio che durò appena qualche istante per poi sciogliersi mentre Tyreek prendeva posto a fianco a lui, senza curarsi minimamente di aver rubato il posto a qualcun altro.
    La sua attenzione, ora concentrata completamente sul suo amico, venne catturata dalle parole del nuovo preside. Da quando era arrivato non aveva degnato di uno sguardo l'ala professori e il nuovo preside ma, all'udire di quelle parole, il suo sguardo si era magneticamente incatenato a quello dell'oratore. "Il mio nome è Cole Sølv Sicla, attuale preside della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts" Il cuore di Baptist perse un battito. Cosa? No, non poteva essere davvero lui. Guardò Balth in un misto di sconvolgimento e malinconia, i ricordi stavano salendo su tutti insieme chiudendogli completamente la gola. Non riuscì ad emettere un fiato. La memoria gli stava frullando la testa e lui sembrava ora un grosso milkshake di romanticherie shakerate con qualche goccia di tristezza. Non poteva essere lui il nuovo preside di Hogwarts.
    Qualche anno prima Ty e Cole avevano avuto dei momenti di grande connessione, sia fisica che emotiva -o almeno così pensava il ragazzo. Cole però era andato nelle lande tedesche per lavoro e i due non si erano più rivisti. Il biondo era stato per il giovane sedicenne quella che dai più viene indicata come la prima cotta adolescenziale. Era stato lui a far conoscere a Baptist la sua sessualità prima di chiunque altro. Era stato lui che lo aveva portato in quel tunnel di amore e sensazioni prettamente carnali che si alternano e sovrappongono a vicenda. E non era assolutamente possibile che ora il Sicla si trovasse al castello in qualità di massima carica al potere. No, quello era assolutamente impossibile... vero? vero?! VERO?!
    the heart is deceitful above all things,


    In questo post Ty mi è uscito un po' più cicciomerda di quello che credevo ahaha
    E... Balth i miss u so much ç___ç ♥
     
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  14. Nobuo#thefighter
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    « sheet - 18 - Wizard - Assistente Corpo a Corpo- pensieve »
    -Hai fame?-, lo sguardo di Nobuo era attento e tentava di comprendere quale stato d'animo passasse in quella piccola testa, non era semplice comprendere dei movimenti o dei gesti anche se con il tempo era diventato naturale, ma in fin dei conti era fin troppo ovvio che in quel momento Nevermore desiderasse qualcosa damangiare. -Te l'ho già detto, non puoi entrare.-, allargò le braccia, come per non essere in grado di far nulla a tal proposito, -Ma come perché?-, aggiunse quando il corvo starnazzò ferocemente, quello non era davvero d'accordo con l'ipotesi che egli dovesse rimanere fuori dal castello a digiuno e soprattutto distante da Nobuo, iniziò dunque a zampettare di fronte al giovane e a sbattere le ali, come per tentare di rafforzare la sua di ipotesi.
    Nevermore era un corvo testardo secondo il suo parere, cercava sempre di prendere in mano la situazione ma Nobuo era l'unico in grado di calmarlo e di vederlo, aveva iniziato a sospettare qualcosa a tal proposito, le apparizioni di quel pennuto stavano diventano con il passare del tempo sempre più strane, alcune troppo fantasiose, altre che sfociavano quasi in un incubo, molte volte aveva pensato che Nevermore era semplicemente uno scherzo della sua mente, eppure aveva ritrovato una sorta di pace, soprattutto mentale ed ogni cosa era tornata ad una normalità, Nevermore era tornato ad essere suo amico, d'altronde non avrebbe mai potuto essere diversamente.
    -Mi ritengono già abbastanza strano, immagina se mi presentassi con un corvo-, non riuscì nemmeno a terminare la frase che Nevermore si alzò in volo e iniziò a gracchiargli contro ferocemente e volando ad un passo dal suo volto, tenendo i propri artigli ben in vista, Nobuo agitò il braccio in direzione del suo amico per cercare di riportarlo a terra e solo una volta che ebbe finito la sua sfuriata, Nevermore si decise a tornare con le zampe sul terreno.
    -No, no, cos'hai capito? è solo che non dipende da me, non puoi entrare-, sospirò profondamente, sapere di non poterlo portare all'interno del castello era un'idea che non andava a genio nemmeno a lui, si, probabilmente l'avrebbero preso per strano e per pazzo ma almeno si sarebbe sentito al sicuro, Nobuo non aveva paura di niente, era pronto al confronto, era pronto a combattere, ma all'interno di quelle mura vi erano troppe persone ostili. Troppe, in Giappone aveva combattuto talvolta anche da solo o in minoranze numeriche imbarazzanti, ma in quel caso non era il numero ciò che lo spaventava ma la diversità.
    Sapeva che alcuni gli avrebbero puntato gli occhi in quel modo, sapeva che in quel mondo egli non aveva ancora la lucidità per agire, alzarsi e fare come se tutto fosse normale, lui non era come gli altri e gli altri erano troppo complicati da capire, c'erano fili logici che non tornavano, usanze, costumi che lui non comprendeva.
    Ormai erano almeno dieci minuti che era rimasto sul grande portone d'ingresso di Hogwarts, probabilmente era in ritardo ma solamente da due aveva iniziato a parlare con Nevermore, ancora abbastanza incerto nel fare il proprio ingresso, Nevermore aveva ragione e cercava di corromperlo a non entrare in quel posto gracchiando sempre più forte, probabilmente egli non doveva entrare, o almeno, se fosse stato solamente uno studente come tutti gli altri, avrebbe evitato di presenziare a quell'evento, le lezioni erano interessanti e quel castello lo avrebbe visto molte volte all'anno ma di certo non aveva la voglia di presentarsi a quel banchetto, il problema sorgeva dal momento in cui Nobuo non era più semplicemente uno studente.
    Già, chi lo avrebbe mai immaginato, nessuno infatti, eppure in quell'anno scolastico Nobuo sarebbe figurati tra gli aiutanti di un professore ed avrebbe interagito con dei maghi, per quanto egli ne fosse in grado, ma non c'era molto da spiegare, doveva prestare assistenza all'insegnante di Corpo a Corpo ed era praticamente la materia preferita di Nobuo, lì non servivano tante parole, motivo in più per amarla, contavano i fatti e quando i fatti prevedevano il combattimento a mani nude, era ben felice di essere d'aiuto, certo, non era stato semplice accettare qualcosa di simile, eppure lo aveva fatto.
    Tutto accadde prima che quell'estate potesse cominciare, era andato al castello per le lezioni che si tenevano agli esperimenti e si era fermato per un po' nella sala d'addestramento, e lì, mentre continuava a provare le figure delle discipline di sua conoscenza, venne notato da un professore, Phobos Campbell, un tipo strambo, ma tutto sommato era apposto, con il tempo Nobuo aveva imparato ad abbandonare la diffidenza nei suoi confronti e a fidarsi addirittura di lui, non era malvagio, affatto.
    Fu proprio lui a chiedergli di dargli una mano, certo la comunicazione non fu semplicissima e Nobuo quasi tramortito dalla notizia in un primo istante rifiutò senza pensarci, insomma, lui era un esperimento, si sarebbe trovato a disagio assieme a tutti quei maghi, non poteva. Poi però iniziò a pensare che quello probabilmente era il modo per non rimanere con le mani in mano, il modo per non sentirsi totalmente inutile e fuori posto, poteva essere d'aiuto anche se non era certo quello il suo scopo e sicuramente poteva distrarre la sua testa, niente più pensieri, almeno per un po', quindi alla fine accettò l'incarico.
    Si chinò verso il suo amico specchiandosi nei suoi occhi vitrei che continuavano puntarlo :-Tranquillo, non resterò lì dentro a lungo... Tu intanto puoi farti un giretto qui attorno e poi prometto di portarti qualcosa-, allungò poi il suo avambraccio e Nevermore, adesso felice iniziò a saltellarci sopra, Nobuo si alzò in piedi e poi pose il braccio in aria, guardano il corvo che adesso prese a volare nelle vicinanze.
    Fece un bel respiro rivolto l'ingresso, quella porta tanto difficile da attraversare dalla quale riusciva a sentire il chiacchiericcio che proveniva dall'interno, era pronto, forse.
    Entrò nella sala del banchetto a testa bassa, in tempo per il discorso del preside, percepì un certo astio verso le persone come lui ma di tutto quel discorso non ascoltò mezza parola, non gli interessava e nulla lo riguardava in prima persona.
    Gli studenti erano divisi in quattro tavolate, ad Hogwarts funzionava così, poi c'era il tavolo con gli esperimenti dove vi erano persone di sua conoscenza ma il suo posto non era in quel tavolo, purtroppo, non poteva sedersi con loro e ciò lo metteva ancora più a disagio, sorpassò tutte quelle persone sedute e salutò, alzando la mano a mezz'aria un po' timidamente solo quando riuscì a vedere tra di loro Jericho, sperando che quella riuscisse a vederlo e si accorgesse di lui ad accorgersi di lui.
    Per il resto del tragitto tenne la testa bassa, cercando di non dare all'occhio e di non fare attenzione a ciò che quei maghi potessero pensare a quel proposito, si trovò subito pentito di essere entrato ma al momento non doveva far altro che raggiungere il tavolo destinato a lui e rimanere lì immobile ed al sicuro, fino a che tutto quello non fosse terminato.
    Non era difficile, prese posto, ed altrettanto timidamente salutò Phobos Campbell, lo riconobbe, seduto assieme agli altri professori, un'altra faccia amica, mentre al momento, intorno a lui c'erano solamente sconosciuto, ma ciò non lo disturbava affatto, in fondo lui era bravo a giocare al gioco del silenzio.
    Nobuo Serizawa - only to return with sears

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    Isaac Lovecraft ( ) - 18 y.o. - Journalist - neutral - animagus
    « you held me down, i struggle to fly now »
    I viaggi oltreoceano non erano mai stati una passeggiata di salute per Isaac Lovecraft, e pensare che in diciotto anni quella era solo la terza volta che attraversava l’atlantico. La prima era stata senza dubbio la più traumatica: senza considerare il repentino cambio di vita che si apprestava a compiere l’ancora giovanissimo corvonero, fu un viaggio travagliato e pieno d’insidie, di pericoli mortali e non, di battaglie all’ultimo sangue ricche di pathos e suspense; la peggiore tra queste fu senza alcuna ombra di dubbio la lotta per impossessarsi della toilette in fondo all’aereo dopo cinque ore di volo. Come api che, allo schiudersi dei petali del più delicato nonché unico fiore in una valle altrimenti deserta, si avventano sui suoi fragili stami per approfittarsi di esso, così i passeggeri di quel volo, improvvisamente, avevano deciso di alzarsi tutti insieme appassionatamente dirigendosi con impetuosa voga contro l’unica porta dietro la quale c’era la salvezza sotto forma di gabinetto. Perché per un bambino di nove anni, alle prese con il primo viaggio su un mezzo come l’aereo, quello rappresentava la meglio e più comunemente nota tazza del bagno: un vero e proprio rifugio -e non solo per il fatto che se la stava facendo letteralmente sotto- da tutto ciò che aveva visto poteva accadere in quei mezzi di trasporto grazie ai film made in USA. Ancora incolpava Drake per quello: gli aveva raccontato così tante cose sulla magia e su come i praticanti di quell’arte erano soliti spostarsi che gli era sembrato stupido dover anche pagare –non era sicuro li avesse veramente comprati quei biglietti, ma questa è un’altra storia- per arrivare a Londra. Solo quell’estate aveva capito il perché non aveva voluto fare una smaterializzazione congiunta, tanti anni addietro: era una cosa terribile, o perlomeno lo era farlo da continente a continente. Fintanto che si trattava di muoversi per la Gran Bretagna, non era mai stato spiacevole smaterializzarsi e materializzarsi un po’ ovunque, anzi quella pratica che a molti stava scomoda e risultava fastidiosa al Lovecraft non aveva mai dato molto fastidio, soprattutto da quando aveva affrontato i M.A.G.O. AHAHAHAH ACAB e, vittorioso, aveva trovato lavoro alla gazzetta del profeta aveva avuto modo di girare per il paese in quel modo. Avrebbe potuto chiedere ai Withpotatoes di finanziargli i vari spostamenti, non aveva dubbi che gli avrebbero dato tutto il sussidio necessario, ma era ormai adulto #credici e voleva provarci, perlomeno, a cavarsela da solo. E poi aveva sempre paura che Nathan gli proponesse di usare una qualche sua invenzione malefica per spostarsi, tipo un gadget multitasking che all’occorrenza facesse da bicicletta, macchina, aereo, qualsiasi cosa: non che non si fidasse, ma era Nathan. Non troppo tempo prima era quasi riuscito a far sprofondare la grande casa di famiglia sottoterra solo per testare un nuovo metodo di allarme tutto intorno al perimetro, e nessuno era voluto scendere nei particolari di quel malsano esperimento, tant’era che ne bastava sapere l’artefice. Di fatto, quindi, Isaac non aveva il denaro necessario per spostarsi di meta in meta, senza contare che l’esperienza in aereo l’aveva traumatizzato. A volte sfruttava il suo essere animagus, ma per quanto avesse voluto portare Sharyn in America sotto forma di aquila, la cosa presentava non poche problematiche.
    Se l’andata non era stata poi così spiacevole, piena di premesse di quella che sarebbe stata una vacanza memorabile, almeno per il Lovecraft, il ritorno era stato al contrario terribile. Non solo perché negli States, quelle settimane, aveva passato una vacanza pressoché perfetta dopo la riappacificazione con la Howl, e tornare ora lo rendeva oppresso, letteralmente gli tarpava le ali e perché comunque era una magia scomoda. Aveva attraversato l’oceano non solo per una vacanza, ma di questo nessuno sapeva nulla: i Withpotatoes sapevano che era un viaggio post diploma, Sharyn sapeva che era solo per stare insieme. Sì, fondamentalmente erano questi i motivi, ma nel profondo Isaac sapeva di dover arrivare fino a Salem dopo più di otto anni passati lontano dalla sua terra natia. Informazioni, notizie, verità: in quel periodo Isaac, di nascosto per non rovinarsi la villeggiatura, né tantomeno per rovinarla alla ragazza, aveva cercato di tutto, qualcosa che potesse ricondurlo ai genitori, a scoprire che fine avessero fatto, o anche se ci fossero tracce di Drake da qualche parte: sperava ancora ricomparisse, sornione come suo solito, che non fosse morto davvero. Ma non trovò nulla, passò anche davanti alla casa nella quale aveva trascorso i primi nove anni di vita, trovandola disabitata, o meglio il nome “Lovecraft” non appariva più sulla cassetta della posta, e rintracciarli avrebbe richiesto un enorme quantità di tempo, cosa che gli mancava. In più, il ritorno significava altro: la fine dell’estate, e con essa il termine del riposo sia dal lavoro che dalla scuola. Ora che si era diplomato ...mmmh vedere Sharyn diventava oltremodo complicato, e non avrebbe nemmeno potuto tenerla “sotto controllo” -compito che però avrebbe relegato a Jack- tra le mura del castello.
    «Muoviti o perdi l’Espresso» disse alla bionda la mattina del primo settembre, dopo essersi materializzati davanti la porta di casa di lei. Era previsto che tornassero il giorno stesso delle lezioni, ma il fuso orario non aveva giocato a loro favore e si erano ritrovati a Londra un po’ troppo tardi. Fortunatamente non ci mise troppo tempo –strano- e in poco tempo uscì con tutti i bagagli. Si smaterializzarono presso un vicolo nei pressi della stazione di King’s Cross e la aiutò a portare le proprie cose fino al binario 9 e ¾, dove incontrò alcuni ormai ex compagni di scuola. Era strano stare “dall’altra parte”: era sempre stato lui quello che, entusiasta ed esuberante, con il sorriso sul volto, si affacciava dai finestrini delle cabine per salutare quelli che non avevano la fortuna di salirvi più. Ed ora era uno di quegli sfortunati che non sarebbero più saliti sul veicolo, che non avrebbero più preso posto sulle carrozze guidate dai Thestral, non avrebbero più assistito alle lezioni di Hogwarts. «Ci vediamo stasera» Tirò Sharyn a sé, portando le mani sui fianchi di lei e annullando la distanza tra le loro labbra. «Stai attenta» E aspettò. Aspettò di vederla salire, di vederla affacciarsi dal finestrino per salutarlo, aspettò di vedere il treno rosso allontanarsi dalla banchina, fin quando di questo non rimase solo il vapore che si lasciava dietro.
    Il tempo, da lì in poi, passò senza che quasi potesse accorgersene, senza che in realtà fece qualcosa di veramente interessante o intraprendente da fargli volare perdere così velocemente la cognizione del tempo. Diede la colpa al fuso orario, tant’è che erano partiti solo alle cinque della stessa mattina dopo non aver affatto dormito e... Com’era possibile che fossero già le sette? Dove era stato Isaac per otto ore? Nemmeno era passato a casa, si era perso semplicemente a girare per Londra. Doveva prepararsi, aveva anche un appuntamento con Italie in ufficio, ma era Italie e poteva tranquillamente aspettare, non si sarebbe fatto alcun problema. E poi, qualcosa di utile l’aveva fatto, alla fine.
    Ebbe giusto il tempo di entrare di corsa in casa Withpotatoes, senza farsi vedere da nessuno e correndo velocemente in camera sua. Doveva solo farsi una doccia veloce, lasciare i propri bagagli, vestirsi per il banchetto e andare. Non poteva rispondere a tutte le domande di Nonna Seti (”Hai mangiato cose salutari in America o ti sei riempito di cibo spazzatura?”, “Mi hai riportato qualcosa, ingrato?”, “Anche lì c’erano i crucchi? Dio, sono ovunque!”), lasciarsi stritolare da Idem o assecondare l’ultima idea geniale di Nathan. Si vestì in fretta, il primo completo scuro che riuscì a trovare e la prima cravatta neutra appesa nell’anta del proprio armadio e, silenziosamente come era arrivato, uscì dalla villetta di Brighton, smaterializzandosi poco distante lontano da occhi babbani indiscreti. Arrivò in ufficio con lauto ritardo, Lucas Italie era già lì con la sua ragazza. «Lucas! Ho perso tempo, scusami. Ciao Niamh» salutò, tagliando breve sulla questione, o sulla predica, o su quello che voleva essere la domanda del grifondoro. Tirò fuori dalla busta che si portava dietro un nuovo obiettivo, rimediato in un negozio babbano il giorno stesso, e lo applicò alla macchinetta fotografica prima di smaterializzarsi di nuovo, la quinta volta nello stesso giorno: se non dava di stomaco quella sera, poteva resistere a migliaia di serate alcoliche, poco ma sicuro.
    La High Street di Hogsmeade era immersa dal buio della notte prematura, illuminata dai soliti lampioni per la via, mentre il sentiero che portava ad Hogwarts era più scuro, ma era casa, tutti e tre sapevano come muoversi senza perdersi o senza andare fuori strada. Si fermò giusto quattro o cinque volte per fare degli scatti da fuori, prendendo il castello da diverse angolazioni e con differenti messe a fuoco, stessa cosa che poi fece all’interno: aveva sempre represso la sua vena artistica (?) e ora che a Lucas era stata affidata la parte descrittiva dell’articolo, mentre al corvonero quella grafica –come se poi non avrebbe comunque fatto anche l’articolo, non fidandosi troppo del grifondoro perché... sì insomma, era un grifondoro-, poteva dare libero sfogo alla sua passione per la fotografia. Senza contare che avrebbe tenuto la maggior parte degli scatti per sé, facendo una censita di quali potevano essere utili all’ufficio e quali a sé stesso.
    Passò di tavolo in tavolo, macchinetta davanti al viso pronta a scattare foto a qualsiasi cosa si muovesse in quella Sala, fermandosi all’estremità di ogni tavolo raggruppando con un sorriso tutti gli studenti nell’obiettivo -«Un sorriso per la stampa?»- e avvicinandosi a quello dei professori, seppur sprovvisto di alcuni componenti essenziali -«Grangie dove sei miss u so much»-, facendo qualche scatto a caso. Si avvicinò a Jack, dandogli una forte botta sulla nuca per richiamare la sua attenzione e salutarlo come si doveva: gli aveva scritto qualche lettera, ma a parte quelle non si vedevano da troppo tempo, non era abituato. Individuò la chioma bionda di Sharyn e le si avvicinò velocemente, prima che la sala si riempisse di troppa gente. «Ehi» prese velocemente posto vicino a lei, rubandole un bacio e interrompendola da qualsiasi cosa stesse facendo. «Già mi mancavi» le disse, tirando fuori il labbro inferiore ed inarcando le sopracciglia. E pensare che sarebbero rimasti senza vedersi almeno fino a Natale #can’t deal with it. «Vado a fare qualche foto, ma resto qua tutta la sera. Ci vediamo dopo?» sorrise, prima di alzarsi ed avvicinarsi alla porta, dalla quale di lì a poco sarebbero entrati i nuovi studenti di Hogwarts. Li precedette, però, l’austero nuovo preside: non che si fosse presentato in alcun modo, ma non poteva che essere lui. La notizia di una notizia bomba alla più prestigiosa Scuola di Magia e Stregoneria d’Inghilterra era trapelata fino ai media, e una volta dato uno sguardo per il castello per Isaac non fu difficile intuire quale fosse tale novità. Anche perché Hogwarts cambiava presidi con la stessa frequenza con cui ci si cambiava i vestiti. Immortalò nel rullino la sua entrata fino a quando non prese posto dopo ormai era chiaro si sarebbe seduto, e con lo stesso occhio vigile vide entrare il Ministro della Magia in persona con quella che... cos’era? Una badante? O forse la first lady magica? Le immagini di Sales e della tarchiata donna ispanica rimasero impresse nella memoria della macchinetta, così come anche la successiva entrata delle nuove matricole, il loro smistamento, il giubilo delle varie Casate ogni volta che, a gran voce, dal Cappello Parlante venivano chiamate ad accogliere un nuovo studente. Isaac si nascose dietro l’obiettivo tutto il tempo che il preside, tale Sicla, tenne il proprio discorso, come se la fotocamera potesse proteggerlo dal suo sguardo inquisitore. «Sono lieto di dare a voi tutti il bentornato in questo castello per il nuovo anno scolastico. A dir la verità, non esattamente a voi tutti, ma purtroppo abbiamo l’obbligo di accettare chiunque qui» Dal momento che il biondo dietro il leggio portava lo stesso nome della torturatrice della scuola, non era difficile capire a chi si riferisse con quel “non esattamente a voi tutti” e Isaac, in veste di Nato Babbano, scarto della società magica, si sentiva personalmente preso in causa, giudicato e, perché no, offeso da certi sproloqui. Sperò solo che i suoi amici non fossero così idioti da mettersi nei guai in quel nuovo pesante clima che aleggiava per Hogwarts.
    Quando il discorso finì, Isaac cercò tra la folla i due grifondoro che, come lui, erano solo ex, impossibilitati a sedersi tra gli ordinari scolari, ma al loro posto trovò altro. «Idem! Che ci fai qui?» chiese alla ragazza, prendendo posto vicino a lei e senza nemmeno controllare chi ci fosse seduto allo stesso tavolo rotondo. Solo quando alzò lo sguardo, si rese conto di essere stato troppo precipitoso, ma ormai il danno era stato fatto. «E pure tra i VIP, caspita. Buonasera» Si premurò di far giungere il proprio commento sui commensali solo alla “sorella”, chiedendo poi ai suddetti di essere i soggetti per le sue foto -«Per la stampa, mica per altro!»-.
    Aspettò che fossero gli altri a iniziare a mangiare, mentre il dito continuava a sfiorare più e più volte il pulsante alla sommità della macchinetta, mentre la mano sinistra faceva ruotare l’obiettivo, zoommando e mettendo a fuoco l’ambiente e le persone in esso, ma sempre ricadeva sullo stesso viso, sullo stesso sorriso e sugli stessi occhi chiari.
    «Le cucine di Hogwarts non si smentiscono mai, eh?» asserì, prendendo una coscia di pollo dal grande piatto al centro del tavolo. Si preservò dall’augurare un “buon appetito” a tutti loro: la voce di Nonna Seti che lo rimproverava i primi tempi che si permetteva di farlo quando mangiavano tutti assieme risuonava nelle orecchie ogni volta che pensava di farlo e lasciò che tale augurio arrivasse telepaticamente a tutti loro.
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