It's just a scratch

w//Aveline&Dakota

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  1. #raiden
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    Raiden era seduto sul cornicione della finestra della Sala Comune Ravenclaw. Stava mangiucchiando la punta della matita, controllando un’altra volta i suoi voti. Tecnicamente tutti i suoi professori dovevano fare la media dei voti presi durante l’anno per mettere il voto della pagella, ma alla fine in realtà dipendeva dal loro livello di stronzaggine. Raiden voleva uscire con tutte E o O. Minimo O. Anche una sola A non l’avrebbe accettata, si era fatto il c**o per tutto l’anno.
    Aveva sempre dato il massimo, eppure la media dei voti di Pozione era di O-, il che significava che avrebbe preso A, conoscendo la Queen. E tutto questo solo perché alla Queen non piaceva come mescolava il calderone. “Devi essere più fluido nei movimenti, non devi muoverti come un troll!”, aveva urlato, e poi l’aveva giustamente cruciato. Da quel momento in poi Raiden cercava di fare qualcosa che non fosse mescolare il calderone quando la Quenn lo osservava. Quel giorno gli aveva messo una D che gli aveva fatto crollare la media dei voti.
    Sconsolato, sbuffò. Sembrava proprio che per quell’anno sarebbe uscito con una A in Pozioni. E lui che ci teneva a fare bella figura! In compenso aveva avuto voti alti nelle altre materie e spesso i suoi professori preferiti erano comprensivi. La Undomiel aveva chiuso un occhio quando Raiden aveva sbagliato praticamente tutte le mosse a causa del nervoso che aveva quel giorno. Sir Berquellacosalì gli aveva messo una E invece di una O½, era stato comprensivo in quella verifica. Il professor Icesprite era molto più obiettivo ma era anche molto severo e se vedeva che qualche studente finiva spesso in Sala Torture gli abbassava il voto. Ma Raiden stava simpatico a Icesprite quindi se la sarebbe cavata #certo #credici La Winston invece gli aveva regalato una E netta. Raiden diede due colpi alla sua fida bacchetta «Compimenti, piccola». Il merito era anche della sua bacchetta, in fondo, no? Poi c’era il professor…
    Un casino madornale in sala comune lo distrasse dai suoi pensieri. Allarmato, si voltò di scatto. Era scoppiata una rissa e le bacchette facevano scintille. Raiden stette in disparte, se si fosse intromesso alla fine ne avrebbe pagato le conseguenze e tornò a concentrarsi sui suoi voti scritti nel foglio.

    Ma Raiden, in fondo era sfigato.
    Finito il trambusto, era entrato Leroy, allertato da una delle studentesse. La colpa di tutto fu data a Raiden e ovviamente nessuno venne a difenderlo, ma Raiden in fondo c’era abituato. Cerco di convincere il professore della sua innocenza – non mostrava alcun segno di colluttazione – e il professore gli credette. Coloro che avevano dato inizio alla rissa non si fecero più avanti e tutto finì lì. Raiden sorrise, grato al preside, almeno gli aveva evitato una giornata in Sala Torture. Raiden non ci teneva, erano anche gli ultimi giorni di scuola. Decise di fare una passeggiata per i corridoi e andò a sbattere con James Larrington. James lo guardò con un sorriso sadico, lo schiantò. E due minuti dopo Raiden si sveglie con le membra indolenzite e doloranti in Sala Torture. Sputò un insulto contro James alzandosi con immensa fatica, dirigendosi verso l’uscita.
    Aveva la faccia piena di tagli e sentiva che anche la schiena era conciata male. Le gambe erano indolenzite, probabilmente perché era stato tutto il tempo in ginocchio, ma non poteva saperlo: James l’aveva torturato mentre lui era svenuto. Gryffindor culla dei cavallereschi, come no. James era tutto, escluso un Gryffindor. Era la sua casa sbagliata. Era meglio Slytherin per lui. Affari suoi. Raiden decise che doveva andare per forza in Infermeria, ma non sapeva che ore fossero. Sperava di incontrare Dakota e non uno dei normali infermieri. Dakota era l’unico infermiere-non-infermiere che si preoccupava seriamente di lui. Zoppicando, Raiden raggiunse le cucine. Una decina di elfi saltellarono intorno a lui quando entrò, salutandolo con un sorriso gioioso sul viso. Raiden batté il cinque a quelli che gli stavano simpatici e parlò con loro mentre Gibby gli preparava un sacchetto pieno di biscotti e dolci. Quando finì di prepararglielo, Raiden lasciò le cucine agitando la mano per salutare tutti gli elfi.
    Sapeva che loro non erano dispiaciuti della propria condizione servile, quindi Raiden aveva smesso da un sacco di compatirli, ma non aveva resistito al farseli amici. Nonostante tutti continuassero a chiamarlo “padron Raiden”, gli Elfi si dimostravano molto più allegri e simpatici con lui. E a loro faceva piacere riempire Raiden di dolciumi. Un Ravenclaw che sgraffignava dalle cucine era una cosa abbastanza insolita, solitamente quelli che sgraffignavano nelle cucine erano Gryffindor o Hufflepuff, ma Raiden era speciale (?). E poi li prendeva sempre, i dolci, quando doveva andare in Infermeria, così da poterli mangiare insieme a Daky. Se non c’era Daky se li mangiava solo lui, senza offrirli agli altri infermieri perché “i dolci sono miei e tu non li puoi toccare”.
    Raiden si affacciò all’ingresso dell’Infermeria e con sollievo notò che c’era solo Dakota lì dentro. C’era pure una ragazza dai capelli rossi che gli voltava le spalle e Raiden credette che fosse Aveline. Sfoderò uno dei suoi sorrisi allegri (poco in sintonia con le ferite che aveva sulla faccia) ed entrò. «Buonsalve», salutò, sedendosi sul letto, a fianco di Aveline. Poggiò la borsa piena di dolci per terra, mostrandone il contenuto. «Fame?». Guardando dalla finestra, intuì che doveva essere pomeriggio inoltrato.
    Raiden Norrey
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    Edited by ‚soft boy - 4/2/2021, 00:38
     
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    Dakota si era addormentato di nuovo in infermeria (non ricordava come, né quando), e appallottolato fra le coperte poteva essere facilmente scambiato per un gattino, piuttosto che per un ragazzo. Le braccio strette intorno al cuscino, usato come pupazzo da stringere, un groviglio di gambe e lenzuola, la bocca leggermente aperta da cui usciva un po’ di bava... Quando sentì il suono di una sveglia subito non volle svegliarsi, perché lui non ne aveva una fatta così e quindi doveva essere di un compagno di stanza... poi pensò che in sei anni nessuno l’aveva mai messa. Dove si trovava quindi? Si tirò su di scatto, sull’attenti, ignorando il giramento di testa che ne seguì e cercando di mettere a fuoco la stanza in cui si trovava... e arrossì. Se subito aveva pensato di potersi trovare nel dormitorio Serpeverde, scoprì che era in una situazione ancora peggiore. Era nell’ufficio di Rosier.
    Pensò di esserci andato di nascosto la sera prima e si alzò in fretta e furia, felice di essersi ritrovato con già addosso un paio di pantaloncini che usava quando non doveva avere la divisa, e si infilò solo la maglietta che trovò appallottolata fra le coperte. Rifece il letto, passò la bacchetta sopra tutto per sterilizzare o almeno pulire la federa del cuscino dalla saliva, e afferrata la sua borsa trovata a terra e gli occhiali sul comodino uscì di corsa imbarazzato prima che i pazienti si svegliassero... ma appena fuori si rese conto che doveva essere pomeriggio, e che era pieno di ragazzi malati svegli, alcuni dei quali ora si erano voltati a guardarlo.
    «Ciao Dak», lo salutò qualcuno, e il rosso alzò la manina confuso sorridendo come se niente fosse, mentre cercava di riunire i pezzi nella sua testa.
    Il mal di testa pressante e la mancanza di forze che prima aveva affibbiato all’alzarsi violentemente non erano spariti, e Dak inziò a ricordare cos’era successo poche ore prima. L’aver saltato pranzo perché pensava ci fosse bisogno di lui lì, la sua pressione che scendeva, il senso di vertigine, il caldo terribile... e poi il viso preoccupato di Tristan, il rifiutarsi di andare via, o prendere qualsiasi cosa ma il farsi convincere almeno a riposarsi un po’ nell'ufficio del capo, forse più per curiosità che altro. Dakota aveva ceduto alle lusinghe, e aveva dormito apparentemente per qualche ora nel letto di Rosier... per lo meno non aver mangiato nulla a pranzo aveva avuto i suoi lati positivi, anche se aveva perso tempo prezioso che avrebbe dovuto dedicare all’infermeria, allo studio, o a Jason fra poco sotto esami.
    Si posò la mano sulla fronte, banalmente, e sentendosi abbastanza fresco immaginò che il suo delirio di prima di rifiutarsi di mangiare o prendere medicine fosse dovuto alla febbre, e che alla fine Rosier dovesse avergli dato comunque qualcosa, per fortuna. Da qualche mese si ritrovava troppo spesso senza forze, e non pranzare era stata una mossa davvero stupida, altro che altruista come aveva pensato fosse. Schioccò le dita per chiamare un elfo, chiese se poteva fargli un panino e portargli un bicchiere di acqua e zucchero, e si infilò il camice che gli aveva regalato Tris al compleanno, pronto per tornare in pista dopo essersi cibato.
    Un po’ imbarazzato, andò verso Trist spiegandogli che ora stava meglio, e scusandosi per aver fatto una scenata, ma l’infermiere lo perdonò con un enorme sorriso che fece battere il cuore al rosso, come una volta faceva la sua sola presenza.
    Per scusarsi, Dak propose di dare un po’ lui il cambio in infermeria, e dopo aver a lungo insistito (insomma, era stato così tante volte lì da solo, nolente o volente, Rosier non doveva certo preoccuparsene ora) rimase solo nella stanza, a badare ai pochi studenti nei lettini. Dopo pochi minuti si ritrovò disoccupato, così, le orecchie attente a sentire possibili richiami di primini sfiancati dalle prime esperienze con le torture, si prese quel tempo per sedersi accanto ad Aveline, di nuovo lì. Le chiedeva domanda a caso sul mondo babbano, già pensando a come poter riciclare quelle informazioni per fare bella figura con Jason, su come le sembrasse quello magico e altre cose a caso giusto per distrarre entrambi, e nel mentre le metteva delicatamente pozioni e cerottini sul viso, passando leggero le dita sulla sua pelle chiara. La sua piccola e dolce Aveline, a cui ogni volta aveva voglia di spupazzare le guanciotte, abbracciarla, dirle che sarebbe andato tutto bene.
    «Buongiorno. Fame?»
    Dak si voltò verso la voce rispondendo al sorriso, e ignorando di aver mangiato pochi minuti prima un panino al formaggio annuì allegramente. «Non hai idea quanto». Afferrò dal piattino che teneva Raiden un biscotto al cioccolato (quelli che lui amava e gli ricordavano, per qualche motivo, Maeve), e, ancora a bocca piena, salutò il ragazzo con un: «Chao’».
    Non commentò i tagli sul volto dell’amico, non gli chiese come se li era procurati. Semplicemente, fece spazio sul letto per farlo stare comodo, si pulì le labbra dalle briciole con il dorso della mano e si alzò per andare a prendere qualcosa per fargli passare il dolore e non lasciargli croste visibili almeno sulla faccia. «Hai altro?», chiese allontanandosi verso il mobiletto dei medicinali di cui aveva una copia della chiave, parlando chiaramente di ferite, e non di dolci. Dakota non aveva neanche bisogno di domandargli come si fosse procurato quelle ferite: tortura; riconosceva gli stessi segni ogni giorno sulla pelle di altri ragazzi, e troppo spesso sulla propria. Non serviva dirgli che gli dispiaceva, perché era dannatamente ovvio. Come poteva non essere triste che uno dei suoi migliori amici fosse stato ferito sicuramente inutilmente? Gli sarebbe piaciuto impedire che altre volte le persone che amava venissero ferite senza motivo, ma per il momento poteva solo essere la cura momentanea ad una malattia più grande di lui.

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    Schema rosa random #ultragaaaay


    Edited by hear me WAYNE! - 22/11/2015, 15:16
     
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    "Aveline promettimi che non lo rifarai più, è pericoloso". Le braccia di Henderson la scossero più volte, con non troppa forza e lei con espressione indispettita, non annuì, ma trattenne le lacrime. I tagli sul volto, quella mattina, erano numerosi, così come quelli sulle mani. Era la prima volta che provava a scappare da Hogwarts, la prima volta che si sentiva un ingrata nei confronti di Nathaniel, che era sempre stato così premuroso nei suoi confronti, nonostante non lo sembrasse di carattere e lei cosa aveva fatto? Aveva ricambiato il tutto tentando la fuga. Il tutto si era risolto con la rossa che veniva riportata al castello dalla Security, dopo essersi persa come una stupida nella Foresta Proibita. Eppure, era convinta di voler tornare nel mondo babbano, per un giorno, un giorno solo e respirare di nuovo la sua aria, quella che tanto amava. Rivedere gente come lei, persone ignare di ciò che era il mondo magico e che non avevano negli occhi quella perenne luce di sconforto, che rabbuiava lo sguardo degli studenti di Hogwarts. Voleva respirare normalità, per solo un giorno. Eppure era scappata senza pensare a quanto Hogwarts fosse distante da Londra, era scappata senza un piano, che durante i suoi trascorsi aveva imparato essere di fondamentale importanza per una fuga ben riuscita. Era scappata dai laboratori quando l'avevano rinchiusa, era scappata dall'istituto psichiatrico in cui suo padre l'aveva fatta ricoverare e sarebbe scappata da Hogwarts, prima o poi. Aveva scoperto, comunque, che le creature della foresta proibita davvero non erano amichevoli, ma che i thestral sapevano essere adorabili, nonostante il loro aspetto.
    "Promettimi che non lo farai piu, Aveline" le aveva ripetuto Nathaniel quella mattina, e lei non aveva risposto, limitandosi ad abbassare lo sguardo chiaro sul pavimento. Non poteva prometterglielo. Le voglio bene comunque. Era stato quasi un sussurro, quello che le sue labbra avevano lasciato sfuggire prima che si dileguasse dalla stanza. Non poteva promettere niente.
    Si era recata in infermeria, non tanto per curare quelli che, in verità, erano solamente dei graffi, ma per incontrare Dakota, che al pari di Nate non era stato molto felice di apprendere la sua tentata fuga, ma...aveva capito. Aveline gli aveva spiegato quanto rivedere il mondo babbano le avrebbe dato sollievo, cosa che non aveva detto al professore, perché intimidita da lui, in qualche modo. Avevano parlato tanto di come si vivesse li e del fatto che le torture non fossero così usuali come nel mondo magico. Certo, non che nel mondo babbano fosse tutto rose e fiori, ma era il suo mondo, la sua vita. Non avrebbe mai potuto disprezzarlo. Sobbalzò, sul lettino dell'infermeria, quando nella stanza entrò Raiden, studente corvonero che aveva conosciuto in circostanze non proprio piacevoli. Raiden era simpatico e, strano a crederci, aveva avuto la capacità di rendere gli istanti in sala torture quasi piacevoli. Si era messo a cantare solo per far imbestialire Malfoy, che li teneva legati in attesa di un aguzzino, e per la prima volta, le pareti della sala torture non avevano udito il suo pianto e le sue urla, ma la sua risata, comunque molto breve. Ciao Ray! Tutto bene? La domanda era d'obbligo, perché sebbene la compagnia in infermeria fosse sempre piacevole, le visite alla stanza spesso avevano motivazioni atroci. I capelli rossi e lisci le accarezzavano la base della schiena con delicatezza, e le cicatrici sul volto pallido, coperte da tenerissimi cerotti con disegnati degli smiles la rendevano più fragile di quanto non fosse in realtà. Prese anche lei un biscotto, come Dakota, ed avrebbe sorriso, ma immaginare cosa fosse successo a Raiden, che aveva il volto coperto di tagli, più di lei, e zoppicava, la frenò dal pensare qualsiasi cosa felice. Cosa è successo?! Domandò allarmata, perchè pur sapendo come andavano le cose, si allarmava sempre, e si arrabbiava.
    Aveline Jodene - She is trying to escape

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  4. #raiden
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    “Ciao Ray! Tutto bene?”. Ave era una ragazza tenere che si preoccupava facilmente degli altri e Raiden la adorava anche per questo. Poi aveva un viso dolce e carino e Rai a stento tratteneva l’impulso di coccolarla (in realtà alla fine la coccolava davvero). Raiden le mostrò un sorrisone a trentadue denti, entusiasta. «Certo! Perché no? Ci siete voi quindi va tutto a meraviglia», rispose sinceramente. I graffi erano una c osa di poco conto finché c’era qualcuno che glieli poteva curare.
    “Non hai idea quanto”, disse invece Dakota, dimostrando di avere fame. Figurarsi, stava tutto il tempo in Infermeria. Raiden annuì, prendere un biscotto e infilandoselo in bocca. “Chao’”. Alzò il dito, atteggiandosi da critico – Enzo Miccio tipo, per darv i l’idea – «Shì, Dachota», bofonchiò, masticando il biscotto al cioccolato. «Shi fede sche scei lesscermente denufrifo». Ingoiò il biscotto prendendone un altro ancora. «Per fortuna che il sottoscritto ti porta il mangiare, altrimenti in questo momento ci saresti tu su questo letto causa dieta forzata».
    Ovviamente arrivò poi il commento allarmato e preoccupato di Avis: “Cosa è successo?!”. Raiden fece un’alzatina di spalle. «Naaaaah, niente», rispose. Prese un pezzo di biscotto mordendolo. Sapeva benissimo che Aveline l’avrebbe guardato male per una risposta del genere, si arrabbiava di fronte alle ingiustizie (e ci voleva poco per capire che i graffi di Rai erano frutto di un’ingiustizia), quindi si affrettò ad aggiungere: «A James non gli piace he gli venga detto come vestirsi», mentì. Non ci fu bisogno di dire “James Larrington”, loro avrebbero capito. Chiunque avrebbe capito. «Secondo me quei capelli che porta sono…», fece una smorfia orripilata e si coprì gli occhi. «…tana per l’orrore!».
    Non le disse la verità – e cioè che James si era arrabbiato perché i due si erano scontrati per sbaglio – altrimenti Aveline come minimo gliel’avrebbe rinfacciato a James e lui si sarebbe arrabbiato, e Raiden non voleva.
    Dakota gli chiede “Hai altro?”. Raiden diede una leggerissima gomitata ad Aveline, dicendole a voce bassa, ma abbastanza alta perché Daky potesse sentire. «L’hai sentito? Ha ancora fame, l’ho detto io che se non fosse per me ora sarebbe su ‘sto letto agonizzante». Il suo tono di voce poi tornò normale e si rivolse a Dakota, profondamente dispiaciuto. «Mi dispiace, ma non ne ho altri, volendo però posso andare in cucina a prenderli, non c’è problema».
    Raiden aveva voglia di una bella pizza. Per carità, i biscotti erano buoni però… da quando non mangiava una pizza? Due, tre settimane? Voleva la pizza con le patatine, quella non la mangiava da secoli, l’ultima volta che l’aveva fatto era stato con suo padre davanti alla tv guardandosi Non aprite quella porta. Più tardi avrebbe chiesto a Daky ed Ave di uscire con lui a mangiare una pizza. E avrebbe fatto la figura dell’amico imbronciato e offeso che Daky gli avesse detto che doveva fare turni extra in Infermeria.
    Tirò un sospiro. «Parlando seriamente, ho qualche graffio sulla schiena e le gambe piene di crampi, se non si fosse notato. Non credo di avere costole rotte, ma in realtà è già tanto se so cos’è una vertebra». Alzò le spalle. «Voi invece come state?». Guardò Aveline in particolare. Come Raiden, Avis andava in Infermeria per soli due motivi: o per farsi curare o per parlare con Dakota. Raiden, da bravo figlio di suo padre qual era (suo padre era un investigatore. ..cioè, scrive libri gialli, ma per Rai suo padre era il miglior investigatore del mondo) aveva esaminato tutti i casi possibili (che erano solo due) e aveva intuito che c’era qualcosa che non andava in Ave, e non erano quei graffi che potevano essere curati con un po’ di pomata e un cerotto o solo Dioakota sapeva cosa.
    Fece la faccia preoccupata. Stavolta era il suo turno di chiederglielo. «È successo qualcosa?», chiese? Si cacciò in bocca l’ultimo pezzo rimasto del biscotto che aveva preso pochi minuti fa. Il suo sguardo lo diceva chiaramente: sono figlio di un detective, quindi non provare a raggirarmi. Gnam.
    Raiden Norrey
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    Dopo essere tornato da lui con alcuni medicinali in mano, Dak venne scrutato da Raiden. «Shi fede sche scei lesscermente denufrifo», disse, che era un masticatissimo “Si vede che sei leggermente denutrito”.
    Dakota abbassò lo sguardo sul proprio corpo, senza sapere se essere più confuso o offeso e non cogliendo la parte ironica della frase. «Non è vero», borbottò. Non era così magro. Insomma, forse mancava di allenamento fisico, rispetto ad altri compagni, e non era esattamente il sedicenne più salutare del mondo ma... ma non era così brutto. “Vero?”. Pensò a Jason, si chiese se era sincero dicendogli che era bellissimo o se lo facesse solo perché voleva scoparselo (un nobile scopo comunque, eh), ma non trovò risposta; il serpeverde lo guardava sempre con così tanto desiderio, baciandolo ovunque e riempiendolo di elogi e complimenti, che persino Dakota aveva finito per crederci... Non voleva apparire come malaticcio e denutrito agli occhi di Jaz, o della gente in generale, ma d’altra parte si rendeva conto che essere stato dai nove anni senza un vero e proprio supporto parentale gli aveva lasciato qualche lacuna nella cura persona come, ad esempio, nel cibarsi ad orari regolari e mangiando cose corrette; a casa aveva un elfo domestico, sì, ma non essendo mai andati troppo d’accordo non si era mai fatto cucinare pasti interi, ma aveva sempre cercato di risolversela da solo (con pessimi risultati; avreste dovuto vedere l'undicenne Dakota Wayne all'entrata a Hogwarts, che razza di barbone rachitico). Ancora adesso, non gli piaceva basarsi solo sugli altri, perchè sapeva di doverlo fare già troppo spesso. Insomma... si era cresciuto bene in fondo, no?
    «E’ solo che ultimamente sono molto impegnato... e mi sto tenendo in allenamento, quindi brucio i grassi» #wat Era una palla, perché da quando Lancaster aveva abbandonato la scuola Dak non aveva più chiesto lezioni private, ma da bravo adolescente i commenti sul corpo lo agitavano e mettevano in imbarazzo. «E comunque, intendevo se hai altre ferite, coglione, non altro cibo». Sorrise dandogli un leggero buffetto sul naso, praticamente unico punto illeso.
    Prese dal mobiletto quanto sarebbe stato necessario per quelle ferite “superficiali” (considerabili tali probabilmente solo per quel mondo), e posò il tutto sul comodino, iniziando a sistemare il corpo martoriato di Rai mentre questi continuava a parlare.
    «A James non gli piace che gli venga detto come vestirsi. Secondo me quei capelli che porta sono… tana per l’orrore!»
    Dakota premette per istinto il batufollo di cotone con la pozione troppo forte sulla pelle di Rai, sentendo quelle parole. Capiva di dover ridere per la battuta appena sentita, per convenzione sociale, ma non lo fece. «Sei proprio una testa di cazzo», mormorò invece riprendendo a muoversi con gesti più dolci nel pulire le ferite e poi coprirle con garze e cerotti pregni.
    Raiden era un ragazzo coraggioso, di un coraggio che Dakota non avrebbe mai avuto, ed era buono e gentile; il suo raccontare una palla (perché chiaramente di una palla si trattava... o almeno Dak sperava non fosse così deficiente da essersela cercata) era solo la dimostrazione di quanto tenesse ai suoi amici e non volesse farli preoccupare... e Dakota in cuor suo sapeva che essere (rimasti) buoni e gentili in quel mondo non era che un pregio, ma non riusciva a perdonarlo. «Sembra quasi che te le cerchi». Incrociò il suo sguardo e fece una linguaccia. «Vorrei proprio vedere se non ci fossero i tuoi sexy infermieri a curarti, come faresti. Saresti già morto». Ahahaha che scasso ahahah ah peccato che fosse vero. Per questo a Dakota faceva tanto arrabbiare il comportamento di Raiden; esistono due tipi di studenti a Hogwarts: chi accetta l’esistenza delle torture e resiste stoicamente, e chi mette da parte la sua natura casinista e cerca di diventare invisibile agli occhi “dei grandi” per subirla il meno possibile. Inutile dire che Rai apparteneva al primo gruppo, mentre Dak al secondo. Aveline... beh, lei ondeggiava fra i due. Più coraggiosa e ribelle di entrambi, più forte di quanto potesse apparire semplicemente guardandola... a Dakota ricordava Maeve, ma forse perchè a lui tutte le ragazze toste che incontrava gli ricordavano la sua bionda.
    «Parlando seriamente, ho qualche graffio sulla schiena e le gambe piene di crampi, se non si fosse notato. Non credo di avere costole rotte, ma in realtà è già tanto se so cos’è una vertebra»
    «Coricati sulla pancia nella posizione più comoda che trovi» Lo aiutò a sistemarsi, attento a non fargli più male del necessario, e come gli aveva insegnato Tristan passo la bacchetta sopra di lui lentamente. «Non hai niente di rotto, sembrerebbe», lo tranquillizzò sbrigativo, in modalità “dottorino indaffarato”. «E anche se non sai cosa sia una vertebra, credo che tu ti renderesti conto se hai rotto qualcosa, ormai. Stai qui più tempo di me, praticamente»
    «Voi invece come state? È’ successo qualcosa?»
    «Tutto perfetto»
    Dakota non rispose per Aveline. Non era suo solito essere un impiccione della vita altrui, ma poteva immaginare cosa fosse successo, anche se prima che erano soli non l’aveva direttamente chiesto ad Aveline per lasciarle i suoi spazi (altra differenza sostanziale fra lui e Raiden). Cercò i suoi occhi, sorridendole. Non sei obbligata a dirlo, ma non sei obbligata a tenerlo per te. Aveline voleva andarsene da Hogwarts, e Dakota come suo protettore per la ribellione non glielo avrebbe permesso senza sapere per certo che avrebbe avuto un posto dove andare, un tetto sopra la testa e cibo con cui riempire la pancia, oltre alla sicurezza, praticamente impossibile da raggiungere, che i Cacciatori non l’avrebbero inseguita e uccisa come defective muggle; prima di potersene andare, Dak era convinto che lei dovesse imparare a usare al meglio il suo potere, per sapersi difendere.
    ... Nonostante quello che pensava, comunque, Dakota non avrebbe mai sgridato la sua amica per aver cercato la libertà, ma solo consigliato di fare le cose per bene se non voleva farsi ancora male. Odiava vedere le persone a cui voleva bene ridotte così, la speranza che si spegneva e l'arrendersi a quella vita... non voleva che anche lo spirito di Vevè si spezzasse, o che le succedesse di peggio che qualche botta dalla security.
    Sempre che le supposizioni sulla fuga fossero giuste, ovvio.

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    Molto in ritardo, e molto brutto #ops
     
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    AVELINE "AVIS" JODENE ( ) - 17 - MUGGLE - MEDIUM - SWEETBLOOD
    « Memories are dangerous things. You turn them over and over, until you know every touch and corner, but still you’ll find an edge to cut you »
    Una cosa era sicura, in infermeria raramente ci si annoiava, un po' perché la compagnia di Dakota era sempre piacevole ed un po' perché si sentivano storie allucinanti, raccontate da individui spesso bizzarri. Coloro che frequentavano l'infermeria potevano essere suddivisi in due due categorie: la prima apparteneva a quelli che, in un modo o nell'altro, se la cercavano e con cercarsela si intendeva probabilmente assumere un atteggiamento non passivo nei confronti di un aguzzino o di uno studente purosangue più cattivo di altri, l'altra parte degli studenti, invece, ne prendeva comunque, pur stando in silenzio. Probabilmente Aveline avrebbe preferito un atteggiamento non passivo, perché tanto nessuno l'avrebbe risparmiata nonostante le sue preghiere. Conscia di questo, decideva di combattere come poteva, senza cedere al volere dei suoi aguzzini. E poi c'era Raiden, che non solo cercava lo scontro, ma a detta sua era lui per primo che iniziava a provocare. Eppure quella storia ad Aveline non tornava. Era un Corvonero, era intelligente, perché cercarsela così con Larrington? Comunque vera o meno che fosse quella storia, Aveline non riuscì a non sorridere pensando che Raiden potesse davvero aver detto a Larrington quelle parole. Vanitoso com'era il ragazzo, se toccato proprio suo suoi capelli non si sarebbe messo troppi scrupoli ad uccidere chiunque lo criticasse, dopotutto, Larrington era un assassino, ed Aveline lo sapeva, essendo venuta a contatto, quasi per sbaglio, con uno degli spiriti che lui aveva ucciso. Al pensiero le vennero i brividi e smise di sorridere, limitandosi ad osservare in silenzio ciò che avveniva nell'infermeria. Dakota aveva iniziato a curare Raiden, con una tranquillità forse apparente da togliere il fiato. Ma com'era bravo? Era così delicato, a parte mentre lo sgridava per il suo comportamento imprudente. Anche lei si era aspettata una strigliata dal Grifondoro, inizialmente, quando si era decisa a raccontare a Dakota i motivi principali della sua visita nell'infermeria. Ma lui non l'aveva sgridata, l'aveva capita come nessun altro probabilmente, ma era stato anche dell'idea che lei dovesse imparare a difendersi prima di tentare un gesto così stupido, e come poteva dargli torto? Prese posto su una sedia proprio affiancata al lettino in cui Raiden si era sdraiato a pancia in giù, per farsi medicare. Riprese il sorriso, guardando Raiden.
    Andiamo, nessuno ha mai criticato i vestiti di Larrington e poi è sopravvissuto per raccontarlo... Questa storia mi sa di balla. Disse divertita, andando a tirare piano un boccolo di Raiden. Era simpatico, era divertente, non era come gran parte dei ragazzi a scuola che con un solo sguardo ti intimavano di tacere, ti mettevano a disagio, ti escludevano dalle loro conversazioni, no... Raiden sapeva perfettamente come rallegrare le giornate altrui, ed era un tipo alla mano, pur essendo un mago. E... Va tutto bene, diciamo che la Security del Castello non ha apprezzato di essere stata scomodata per questa stupida babbana. Si indicò con un dito. Che non è stata in grado di fuggire dalla Foresta Proibita, ma mi hanno dato solo qualche schiaffo...Niente di grave.
    Niente di grave, solo qualche schiaffo e pensare che nessuno prima di quella scuola, l'aveva mai schiaffeggiata. Non suo padre, nè sua madre, meno che mai sua nonna e, incredibile ma vero, nemmeno nei laboratori era mai stata schiaffeggiata. Eppure sembrava che in quella scuola volessero insegnarle a tutti i costi cosa significava stare al mondo, e come ci si doveva stare. Ma... Non sopravvivrei là fuori... Lanciò uno sguardo a Dakota, che l'aveva ammonita, poco prima, tacitamente, non perché non credesse in lei, ma perché era vero, forse niente sarebbe stato peggio di quel castello, ma se voleva fuggire avrebbe dovuto farlo per avere una vita migliore, e se lo avesse fatto adesso, che ancora non riusciva a controllare bene il proprio potere, e senza un posto in cui stare, avrebbe semplicemente firmato la propria condanna a morte. Per il momento accantonerò questa idea. solo per il momento
    the heart is deceitful above all things,


    Edited by shane is howling - 6/12/2015, 15:37
     
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  7. #raiden
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    « sheet | 15yo | ravenclaw | neutral »
    Raiden, se non ci fosse stato Dakota, probabilmente sarebbe morto. Non si fidava di nessuno, in Infermeria, se non di Dakota. Era l'unico infermiere di cui ci si poteva seriamente fidare. Prendeva tutto alla leggera, Dakota. Non come gli altri infermieri, che ogni volta tendevano a fare sermoni infiniti su “smettila di comportarti male, finiamo il Dittamo solo per colpa tua”, no: Dakota ti rimproverava per essere un cretino, fine. Ed era già meglio, perché Raiden sapeva che lui lo rimproverava per affetto e non per odio. Le cure degli altri infermieri erano dovute e obbligate. Soprattutto dallo stipendio. Quelle di Dakota no: le sue era piene non solo di disinfettanti e cose mediche, ma anche di affetto. Spero solo che l'affetto non puzzi come il Dittamo, pensò.
    “Non è vero” fu la risposta borbottata dell'amico. Il Ravenclaw ci rimase un po' male, non era che voleva offendere lui e il suo corpo, oh! Raiden abbassò lo sguardo, guardandosi le dita, pensando se aveva mai rivolto una battuta del genere a Dakota. No, probabilmente no. Non sul fatto che fosse denutrito. Era la prima volta. Forse. In ogni caso, era strano. Si grattò il naso con l'unghia del pollice. Dakota non se la prendeva mai per le battute di Rai. Non che se la fosse proprio presa, però... però aveva borbottato. Non era da lui. Il quindicenne si sentì in colpa: l'aveva forse offeso? “E’ solo che ultimamente sono molto impegnato... e mi sto tenendo in allenamento, quindi brucio i grassi”. Alzò nuovamente lo sguardo.
    Subito dopo gli tornò il buonumore, forse, e gliene tornò quindi anche a Rai. “E comunque, intendevo se hai altre ferite, coglione, non altro cibo”. Sorrise anche liui, per poi dire: «Ti ho mica offeso prima? Non volevo... Era una...». Battuta, sì. Solo una battuta. Peccato che una stupida battuta poteva ferire anche i migliori amici, tipo Daky. Alzò le spalle, concludendo: «...battuta». Poi specificò meglio: «Cioè, mi piace avere delle scuse per portarti tonnellate di biscotti, ecco». Guardò Aveline, con un'occhiata dubbiosa: l'ho offeso, secondo te? era il quesito che lo sguardo del Ravenclaw le porgeva.
    Intanto Dakota dispose cose mediche sul comodino lì vicino. L'amico si trattenne dal chiedere con insistenza cosa fossero quelle cose. Avrebbe avuto tempo per capirlo. E questo non solo per curiosità: si voleva preparare per quando Dakota fosse uscito da Hogwarts. Di certo non si sarebbe fatto curare da perfetti sconosciuti: l'anno prossimo si sarebbe curato da solo. Ma non lo avrebbe detto a Dakota, che sarebbe andato su tutte le furie. Dakota intinse nel batuffolo di cotone... qualcosa. Chissà cos'era, e non si leggeva l'etichetta. E mentre Rai parlava, Dakota tentò di fargli male spingendo un po' sulla pelle ferita. “Sei proprio una testa di cazzo”, commentò. Rai sorrise. Non ci aveva creduto, ovviamente.
    “Sembra quasi che te le cerchi. Vorrei proprio vedere se non ci fossero i tuoi sexy infermieri a curarti, come faresti. Saresti già morto”. Improvvisamente Rai si ammutolì abbassando lo sguardo per non guardare Dakota. Non se le cercava lui. Non sempre. Però l'ultima frase era vera. Senza Dakota, sarebbe probabilmente, se non sicuramente, morto. L'anno prossimo, senza Dakota, se non avrebbe saputo curarsi da solo, si sarebbe ridotto male, molto male. Malissimo. Si grattò nuovamente il naso: «Non me le cerco. Non sempre», quasi sussurrò, quasi protestando. Sapeva che quello era un rimprovero, nonostante quel secsi infermieri, sapeva che Dakota ci rimaneva male quando Raiden veniva ferito (o, peggio, si faceva ferire). Però, ehi, Raiden era fatto così. Dakota lo sapeva. E comunque lo aveva come amico.
    “Coricati sulla pancia nella posizione più comoda che trovi”<|i>. Raiden annuì. «Agli ordini, capo», disse, mentre si voltava. Stava per dire a Dakota che no, non aveva bisogno dj aiuto, ma poi una fitta dolorosa alle gambe e allo stomaco gli fece cambiare idea: sì, aveva bisogno di aiuto. Alla fine ci riuscì, a sdraiarsi sulla pancia. L'infermiere gli passò sopra la bacchetta, a mo' di sonda. <i>“Non hai niente di rotto, sembrerebbe”. Dakota esploratore: andiamo a caccia di ossa rotte. “E anche se non sai cosa sia una vertebra, credo che tu ti renderesti conto se hai rotto qualcosa, ormai. Stai qui più tempo di me, praticamente”. Ignorò l'ultima frase. E quando te ne andrai non ci verrò proprio, pensò.
    Alla risposta indagatrice di Raiden, Dakota rispose subito: “Tutto perfetto”. Aveline, invece, prima commentò quel che aveva raccontato Raiden. “Andiamo, nessuno ha mai criticato i vestiti di Larrington e poi è sopravvissuto per raccontarlo... Questa storia mi sa di balla”, ecco: nemmeno A gli credeva. Beh, ci aveva provato; ma non avrebbe mai detto ai suoi amici che era stato torturato per caso. Non c'era bisogno di dirlo, facendo sì che lo compatissero di più. Poi Ave aggiunse: “E... Va tutto bene, diciamo che la Security del Castello non ha apprezzato di essere stata scomodata per questa stupida babbana”. Suo padre non era esattamente un detective, ma ci si avvicinava, dato che scriveva romanzi gialli. E in ogni caso Raiden aveva ragione: qualcosa non andava. “Che non è stata in grado di fuggire dalla Foresta Proibita, ma mi hanno dato solo qualche schiaffo...Niente di grave”. «Glieli do io, gli schiaffi», si rabbuiò. Almeno non le era rimasta alcun impronta sul viso, notò. Tranne qualche graffio, ma okay. Non c'era l'impronta della mano della... security. Security, sì. Security della sicurezza del castello, ma non della vita degli studenti. A nessuno fregava, degli studenti. Potevano anche morire. Peccato che senza di essi ciao Hogwarts. Erano gli studenti l'anima di Hogwarts, eppure venivano trattati brutalmente. Cioè, non tutti. Quelli peggiori, per loro. Ma il concetto era sempre lo stesso, insomma.
    “Ma... Non sopravvivrei là fuori...”. Il volto di Raiden si rabbuiò ancor di più. “Per il momento accantonerò questa idea”. Tese la mano, dato che non arrivava da solo a prendere quella di Aveline (era sdraiato e, no, non sapeva se poteva mettersi a sedere), lo sguardo dispiaciuto. Anche per lo schiacciò. Come si erano permessi di schiaffeggiarla, bastardi? «Hogwarts fa un po' schifo. Tuttavia è più sicura. Non la più sicura in assoluto, lo so», sorrise debolmente, «ma relativamente a quel che c'è fuori sì. E poi qui puoi anche trovare sostegno morale, e non è poco. Qui c'è qualcuno che ti vuole bene». Fece un sospiro. «Lì fuori...», torse il collo per vedere dalla finestra, «Beh... lì fuori ci sono più cattivi. E non ci siamo noi», aggiunse. Non la stava rimproverando, non era nello stile di Rai. Aveva solo paura per quello che lei avrebbe potuto incontrare lì fuori e per cosa le avrebbero potuto fare. Di sicuro peggio che darle uno schiaffo.
    Raiden Norrey
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    © psìche, non copiare.
     
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