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LiamxDamian (#mlmlml #wat)

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    Liam Callaway
    STANCO (DI ESSERE) MORTO
    Allacciò l’ultimo bottone della camicia, mentre la sigaretta penzolava pigra dalle labbra serrate, sempre un poco in procinto di cadere. Fece scivolare i piedi dentro le eleganti scarpe nere, che ben si addicevano agli altrettanto seri pantaloni del medesimo colore. Qualcuno avrebbe potuto benissimo insinuare che Liam Callaway stesse per andare ad un funerale, ma nessuno l’avrebbe fatto se solo avesse conosciuto il ragazzo dentro quegli abiti. Nessuno avrebbe osato anche solo proferire parola, se avessero avuto una buona memoria. Rivolse un sorriso sghembo al proprio riflesso, un sorriso che non vedeva da un po’ ad inarcare quelle labbra sottili. I tratti dolci del viso erano spezzati dagli zigomi leggermente, ma non troppo, pronunciati; la pelle, chiara ma non bianca, sembrava il naturale proseguimento del candore della camicia color crema, che cadeva leggera sui fianchi per poi incastrarsi dentro i pantaloni. Gli occhi a mandorla brillavano di una luce pericolosa, del brivido che si prova prima di saltare senza sapere quanto sarebbe durata la caduta. Allisciò il tessuto sul petto, prima di portare le dita affusolate a raddrizzare il farfallino color cremisi, unica nota di colore in quel completo. Lasciò gli abiti che aveva indossato fino a pochi momenti prima abbandonati sullo sgabello all’interno del camerino, senza preoccuparsi di riordinarli o di metterli in un sacchetto per riportarli a casa. Non stava cambiando vita, si stava solamente riappropriando di ciò che aveva perso, recuperando i privilegi che aveva potuto vantare fino a qualche mese prima. Non era mai stato il genere d’uomo che si imbarazza di un titolo, che vi prega in tono amichevole di dargli del tu. Liam si era sempre approfittato di tutto ciò che potesse derivare dal suo cognome, finchè era stato necessario; quando Callaway aveva cominciato a passare di labbra in labbra in un fremito, nel sussurro che di notte fa drizzare i peli dietro al collo, non aveva più avuto bisogno nemmeno di quello. Era un uomo affermato, se così si poteva definire. Polso fermo, cuore d’acciaio, voce di seta e mani coperte di sangue. Non gli era servito nient’altro. Non era mai stato un sacrificio, non era mai stato disgustato dal disprezzo o dalla paura altrui. Non era nemmeno una cosa di cui essere orgogliosi, perché per lui era sempre stato scontato ricevere quel tipo di attenzioni. E, soprattutto, non gli era mai interessato il giudizio degli altri. Che lo ritenessero pure un fastidioso figlio di puttana, se volevano. Non sarebbe stato quello a tenerlo sveglio la notte.
    Anzi, nulla teneva sveglio Liam Callaway la notte. Almeno così avrebbe potuto affermare fino a qualche mese prima, quando ogni cosa era certa dei propri confini, sicura della propria concretezza. Ma era bastato un soffio perché questi contorni si facessero più sfocati, perché le forme si fondessero fra loro lasciandolo solo fra le macerie di ciò che aveva creduto di essere. Tre parole avevano mandato in fumo il castello di una vita. Tre parole, due occhi azzurri come il cielo in primavera, il passato che con violenza si riafferma presente ed al contempo promette un futuro diverso, forse migliore. Un pomeriggio in Irlanda, nel luogo che aveva imparato a considerare casa solo dopo aver conosciuto lei, la testarda ragazzina della porta a fianco. Lei, che non solo gli aveva fatto conoscere un mondo che lui nemmeno sembrava vedere, ma che gli aveva mostrato un Liam che non sapeva di essere. Un Liam Callaway che, in fondo, non era realmente perduto, ancora in grado di provare amore, di riporre fiducia in una creature fragile e bellissima. Per favore, Liam. Tre parole, e Maeve Winston era riuscita a diventare il suo incubo. Tre parole, e Liam aveva dovuto ammettere a sé stesso che per lei avrebbe fatto tutto. Tre parole, e Liam aveva capito di essere innamorato di quella giovane donna dall’aria ingenua e maliziosa al tempo stesso, di quel sorriso che sapeva di famiglia. Improvvisamente, o forse l’aveva sempre saputo, si era reso conto che lei era troppo, e che lui non si meritava qualcuno come Maeve nella sua vita, né avrebbe saputo gestirlo. Non era in grado di amare in modo sano, Liam Callaway, perché lui bruciava tutto ciò che voleva solo scaldare. Maeve sarebbe stato un bersaglio troppo facile per i membri della Resistenza, e per tutti i numerosi nemici che aveva collezionato in quei ventitré anni di vita. Tre parole, e Liam aveva dovuto ammettere a sé stesso che per lei avrebbe fatto tutto, perfino rinunciare alla propria felicità. Bastardo ed egoista, ma non per, e con, lei; aveva avuto un briciolo di compassione per l’unico fiore che non aveva ancora contaminato con la propria tossicità, e l’aveva lasciata andare. Le aveva fatto dimenticare tutto, così ch’ella non ricordasse di quel bacio che ancora gli perforava spiacevolmente l’anima, come un punteruolo all’altezza del cuore. Che odio, cazzo! Quello era esattamente il motivo per cui aveva messo da parte tutti i suoi sentimenti, per cui aveva finto di non averne mai avuti. Perché doveva soffrire? Perché dare ad una persona la capacità di fargli quello? Eppure era successo. Neanche avesse avuto dodici anni, per l’amor di Dio.
    Si accese la sigaretta mentre era ancora all’interno del negozio, con la giacca poggiata pigramente sul braccio sinistro piegato. Sentiva gli sguardi su di sé, e nessuno di loro sembrava particolarmente felice di riaverlo intorno. Che gioia tornare dal mondo dei morti e trovare tutto questo affetto. Ovviamente nessuno gli fece notare che all’interno del locale non era possibile fumare, e fu una saggia decisione per tutti loro. Non era esattamente dell’umore di litigare, quel giorno: era tornato sé stesso, doveva festeggiare no? Aveva messo da parte Lewis, rendendosi conto che non sarebbe stato lui il mezzo per avere vendetta. Non sapeva con esattezza se fosse o meno di buon umore. Difficile giudicare, considerando che la ragazza che amava non ricordava il suo sapore, e che il suo migliore amico lo odiava. Aaron Sales era il motivo che, da quella Primavera, lo teneva sveglio la notte. Aveva promesso che non gli avrebbe mai fatto del male, perché la vita ci era già andata troppo pesante con loro due. Di proteggerlo, anche se Aaron era benissimo in grado di farlo da solo. Sì, sembrava un fottuto matrimonio, ma Aaron Sales era l’unica persona sulla faccia della terra per cui si era permesso di essere egoista: si era mostrato come mai aveva fatto con nessun altro, perché i demoni dell’amico rispecchiavano e completavano i propri. Sales e Callaway erano due facce della stessa medaglia, e da che si erano conosciuti erano sempre rimasti insieme: loro due contro il mondo. Fin dal primo giorno a Durmstrang era stato così, ancòra che li teneva armeggiati a riva e ricordava loro che non erano soli.
    Poi Liam era morto, e qualcosa si era spezzato.
    Una battaglia, l’unica in cui non erano scesi in campo assieme. Un proiettile nel petto, sangue caldo, vento freddo sulla schiena. L’ultimo sorriso, prima della caduta. Prima che Liam Callaway, ufficialmente e per tutti, morisse per mano dei ribelli. Sciocco da parte loro pensarlo, anche se tutti gli elementi erano a favore… ma buon Dio, un poco di fiducia. Un Callaway muore d’alcool, di sesso, di donne, droga o tumore ai polmoni. Un Callaway non muore mai in guerra, quello era il loro territorio di caccia. Affascinanti predatori che ammaliavano la vittima con il sorriso di un mietitore prima che raccogliesse l’anima del dannato.
    Aveva promesso vendetta. L’avrebbe avuta. Soffiò il fumo in una nuvola che accidentalmente sfiorò come una mano tentatrice le narici del commesso, che pur di non mettersi a tossire visibilmente lasciò che lacrime lucide gli inumidissero gli occhi. Questi gli porse un posacenere, ossia un piattino che prima dovevano aver usato per la cancelleria alla cassa. “Grazie” Lasciò che il divertimento ed il sarcasmo si mischiassero nelle parole che rivolse al ragazzo, la voce graffiata dal troppo tabacco e corrotta dalla dissoluzione che Liam amava chiamare sopravvivenza. Fece scivolare pigramente le dita su una cravatta color zaffiro dall’aspetto freddo quanto l’uomo che Liam stava cercando. Per quanto fosse vanesio, infatti, se Liam si trovava all’interno di quella boutique non era per frivolo shopping. Il fatto che non potesse servirsi di Lewis Fitzgerald per avere la sua vendetta, non significava che dovesse farlo necessariamente da solo. E sì, Aaron Sales era già contato fra le persone che l’avrebbero aiutato ad ottenerla. Liam sapeva che, se voleva dei risultati, aveva bisogno di più amicizie. Così arrivò dalla parte opposta del negozio, dove i sussurri sul suo ritorno ancora non erano arrivati; non dovette ripetere nuovamente la domanda, perché la giovane dietro la bancone gli stava già indicando il camerino all’interno del quale avrebbe trovato Damian Icesprite. Un nodo nostalgico gli strinse dolcemente la gola, mentre pensava che, se fosse stato in compagnia di Sales, avrebbe dovuto trattenere l’amico dall’aprire di violenza le tendine, sapendo che questi per puro divertimento avrebbe voluto cogliere Damian mentre si denudava. Che idiota, iddio. Eppure senza di lui gli sembrava di essere menomato. Bella merda, eh? “Prova questa” Esordì semplicemente lanciando la cravatta nel camerino, per poi sedersi sulle poltroncine scarlatte riservate ai clienti.



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    Edited by m e p h o b i a - 5/1/2017, 01:04
     
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    Damian Icesprite
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    "Queste ti sembrano le partecipe che ho richiesto?"
    La voce di Anjelika era così tagliente e dura che Damian non potè non distrarsi dall'ennesima lettera del Ministero che gli finiva tra le mani. Sollevò lo sguardo dalla pergamena, puntandolo sulla porta d'ingresso del proprio ufficio e ascoltò le parole della donna.
    "Ma le aveva dett-"
    "Ho detto INTAGLIATE! Sai cosa significa, i n t a g l i a t e. Stupido Magonò! St- AH!"
    Un sussultò di Anjelika, insieme ad un lamento dell'uomo, che aveva avuto la sfortuna di essere scelto, tra tanti, per organizzare le loro partecipe di matrimonio.
    "Guarda, hai sporcato tutto, credo proprio che adesso vadano rifatte"
    Si sollevò pigramente dalla poltrona, riportando lo sguardo sulla lettera, per un'ultima lettura veloce di quella che era una semplice rivisione delle regole del suo livello al Ministero, niente di eclatante, ma lui era solito rileggere le lettere del Ministero almeno dieci volte, prima di accantonarle nel cassetto. Riposò la lettera sulla scrivania ed aprì la porta del proprio ufficio, che portava al salotto di villa Howe - Icesprite. Ciò che si presentò ai suoi occhi non fu niente di sorprendente: Anjelika teneva in mano uno stiletto dalla punta acuminata ed insanguinata del sangue dell'uomo, che colava anche dal braccio grasso di lui.
    « Se evitassimo di sporcare i tappeti, sarei anche più felice. » Si poggiò con un fianco allo stipite della porta, lasciando che anche la testa si poggiasse sul legno bianco e freddo. « Mh? » Inarcò un sopracciglio, guardando la donna, che prontamente, con un incantesimo, ripulì il sangue dal braccio dell'uomo, chiaramente scioccato. Damian sorrise, in un tacito ringraziamento. Dopo tutto, era pur sempre casa di sua sorella e di Tiger, che per lui erano stati come genitori, sebbene la differenza di età tra di loro non superasse nemmeno i dieci anni.
    « Allora qual'è il problema? » Domandò poi, ritirando su la testa, ed osservando meglio i due. A quanto pareva, le partecipe del matrimonio che si sarebbe tenuto da lì a tre mesi, ad Anjelika non piacevano.
    "Allora...vorrei una tua opinione." Rispose prontamente la rossa, possibilmente fulminando Damian con lo sguardo.
    "Avevo chieso delle partecipazioni intagliate, ma forse non mi sono spiegata bene. Tu cosa ne pensi?"
    Era anche il suo matrimonio, in effetti. Nonostante questo, Damian aveva sperato - e sperava ancora fino all'ultimo - di doversi occupare solamente del cibo, ovviamente della scelta del vino e ancora più ovvio, di rivedere la lista degli invitati.
    « Lo sai che non mi compete...» Azzardò, prima di essere praticamente incenerito, se possibile più che mai, dalla donna.
    "E tu lo sai che ci tengo tanto" Ed allora aveva dato una sua opinione sulle partecipe: per lui una valeva l'altra, ma quelle intagliate, se piacevano ad Anjelika, piacevano anche a lui. Alla fine però, in un modo o in un altro, erano comunque riusciti a litigare come cani e questa volta il discorso si era spostato su altro: lui non si stava impegnando affatto per far si che il loro matrimonio fosse impeccabile, tanto che non aveva ancora nemmeno il vestito per la cerimonia. Ed allora aveva dovuto abbandonare la sua dimora, in un modo straziantemente malinconico, quasi cacciato di casa. Molte volte, Damian voleva semplicemente avere il silenzio intorno a sè, nessuno che gli rivolgesse la parola, lo cercasse per qualcosa di futile o per lavoro, quelle stesse volte, aveva scoperto che uscire di casa, e andare a farsi un giro a Diagon Alley o in un luogo tranquillo, era la soluzione ai suoi problemi. Aveva percorso la via di Quo Vadis Town per intero, stretto nella sua giacca rigorosamente nera, e con il freddo di aprile a congelargli le ossa, prima di trovare il negozio che faceva a caso suo.
    Non che potesse aspettarsi altro, dal clima della Gran Bretagna, in particolare durante il periodo pasquale. Sposare Anjelika era un passo rigorosamente formale, un qualcosa che doveva succedere, che era stato annunciato da anni. Dopo dieci anni insieme, durante i quali avevano convissuto giorno e notte, senza mai separarsi per più di qualche ora, il matrimonio era solamente una prassi, tanto che tutt'ora, ancora prima delle nozze, i maghi che lo incontravano gli parlavano della donna come sua moglie, consorte. Aveva sempre ritenuto Anjelika più di una fidanzata, quasi come una gemella, una parte di sè, come un braccio od una gamba. Cielo, aveva appena paragonato la sua futura moglie ad una parte del proprio corpo. Probabilmente il freddo gli aveva congelato il cervello.
    Era entrato nel negozio, maschile ed elegante, destinato ad occasioni speciali e - ovvio - per persone benestanti. Sicuramente non avrebbe trovato stracci là dentro.
    « Buonasera. » Il tono di voce portava con sè il gelo esterno al negozio, dentro il quale al contrario, il clima era perfettamente mite. Non si guardò intorno, perchè sapeva benissimo in quale sezione recarsi, essendo stato in quel negozio parecchie volte. Icesprite poteva essere tante cose brutte, ma sicuramente non era nè sciatto, nè disordinato, al contrario amava essere sempre impeccabile. Molti lo avrebbero definito un narcisista e bè...non sbagliavano. Sapeva perfettamente quando vestire casual, e quando invece era necessaria una cravatta. Era sempre perfettamente incentrato nella situazione, questo era probabilmente uno dei suoi punti forti, sui quali osava puntare spesso. Aveva trovato un vestito che avrebbe fatto a caso suo e si era infilato nel primo camerino libero. Si era spogliato con calma, ripiegando e ponendo ogni pezzo che si toglieva con cura sul tavolino del camerino - sì, quel camerino aveva addirittura un tavolo - una cura definibile maniacale, ma odiava che i propri abiti si sgualcissero.
    Era pronto, perfettamente in tiro. Diede un'occhiata al grande specchio che lo rifletteva per intero, ammirando il suo splendido completo color ghiaccio, che faceva risaltare i suoi occhi gelidi. I calzini rossi però avrebbe anche potuto risparmiarseli. Cancellò dal proprio volto un'espressione di disgusto e sollevò il mento, sistemandosi la giacca, poi la cravatta, e si guardò a lungo, ogni dettaglio del suo viso. Provò anche qualche espressione del volto, per vedere quale facesse più effetto se abbinata a quello splendido vestito. Dopotutto, sapeva che far colpo sulle persone era molto importante, non era certo uno sprovveduto. Socchiuse gli occhi, in un'espressione seria, proprio mentre un qualcosa di non meglio definito gli piombava in testa, come se fosse piovuta dal cielo. “Prova questa”
    Incredibile. Davvero incredibile. Eppure...quella voce...no, impossibile.
    Raccolse ciò che gli era scivolato sulla spalla e che adesso riconosceva come una cravatta color zaffiro, indubbiamente bella, ma che sicuramente non sarebbe andata bene con il suo vestito. Ma...chi diavolo si permetteva a lanciare cravatte dentro il suo camerino mentre era concentrato su sè stesso? Quale capra osava tanto? Diamine, chiunque fosse stato, voleva essere strangolato con quello stesso accessorio.
    Così, si voltò verso la tendina « Adorabile, ma non credo faccia pendant con il mio abito. » Aprì la tendina e lo vide...per la barba di Merlino. Liam Callaway, tornato dall'aldilà. Sgranò gli occhi, in un'espressione incredula di stupore.
    « Che mi venga un colpo. »







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    Liam Callaway
    STANCO (DI ESSERE) MORTO
    Nemmeno Liam era certo del perché, fra tutte le persone che conosceva, si fosse recato da Damian Icesprite. Perfino fra i Pavor c’erano persone che gli andavano più a genio, eppure l’aveva ritenuto il più opportuno: forse perché, se avesse convinto lui, ce l’avrebbe fatta facilmente anche con il resto del mondo magico; più probabilmente perché, oltre ad essere pavor, lavorava anche al castello. La voce sarebbe girata in fretta, ed era esattamente di quello che aveva bisogno Liam. Dopo mesi passati nell’ombra, dietro un sorriso che non era il suo, aveva bisogno di essere riconosciuto. Di avere un qualche peso sulle labbra dei parlanti mentre questi pronunciavano il suo nome. Sperava di guadagnare un po’ del rispetto che aveva perso morendo, un po’ di timore: se si era finto morto per mesi, doveva avere un piano, giusto? Senza contare che non era morto. Il ragionamento logico sarebbe stato: allora non è un completo idiota. Perché lo nascondevano bene dietro i viscidi complimenti, ma Callaway era sempre stato consapevole di essere reputato un mentecatto incapace. Ma, come aveva fatto negli anni precedenti, li avrebbe fatti ricredere.
    E avrebbe fatto più male a loro che a lui.
    “Adorabile, ma non credo faccia pendant con il mio abito”
    Quello sarebbe stato il momento perfetto per un face palm di prima classe, ma stava ancora fumando. Si limitò ad inarcare un sopracciglio, scrutando con occhio critico l’abbigliamento dell’uomo. Soffiò il fumo verso l’alto, lasciando cadere la cenere nell’apposito contenitore di cui era stato fornito, quindi si inumidì le labbra. “Concordo...Infatti dovresti cambiare il tuo abito. A meno che, in mia assenza, tu non abbia deciso di fare il gelataio. In quel caso forse dovresti dare un’occhiata ai papillon, non alle cravatte” Sorrise sornione, godendosi appieno l’espressione stupita dell’uomo. Su nessuno era ancora riuscito a suscitare quell’effetto, se non si contavano gli inutili commessi che nemmeno disponevano di posaceneri decenti. Megan e Tristan sapevano già il suo segreto, e nasconderlo per poi rivelarlo ad Aaron in un secondo momento, non era stata di certo l’idea più brillante che Liam Callaway avesse mai avuto. Sales non l’aveva ripagato con la sorpresa: non aveva voluto credergli, puntando la bacchetta sulla carotide; e quando alla fine aveva ceduto, se n’era andato. Non era riuscito a trattenerlo, per dirgli cosa poi? Mi dispiace di essere stato un coglione, e di essere stato egoista? Non suonavano come scuse sincere nemmeno alle sue stesse orecchie, se lo conosceva bene ad Aaron sarebbe piaciuto ancora meno essere preso doppiamente per il culo.
    Almeno quello, glielo doveva.
    “Che mi venga un colpo.”
    Era riuscito a far sgranare gli occhi a Damian Icesprite. Sentiva un senso d’onnipotenza simile a quello che, probabilmente, dovevano provare gli idoli delle dodicenni davanti agli striscioni glitterati con i loro nomi. Era così buffo, in quel bianco sporco che gli ricordava i camerieri troppo alternative per il classico completo in bianco e nero –ad esempio, quelli che lavoravano sulle navi-, con lo sguardo freddo un po’ meno freddo, come un ghiacciaio in procinto di spezzarsi. Che mi venga un colpo, aveva detto. Pensò che se proprio era desideroso, un colpo avrebbe potuto darglielo lui. Sulla testa. Ma non disse nemmeno quello, limitandosi a mantenere il sorriso furbo e lo sguardo malizioso. “Qualche problema? Sei bianco come un cadavere. Più di me, per inciso” Alzò le sopracciglia allusivo, divertito da quella battuta che vedeva come protagonista egli stesso in veste di redivivo. “Sembra che tu abbia appena visto un fantasma” Continuò, incrociando le caviglie davanti a sé e poggiando innocentemente le mani in grembo. Il mozzicone pendeva ancora dalle labbra, ironicamente voltato verso il basso mentre gli angoli della bocca disegnavano un arco verso l’alto.
    Avrebbe potuto continuare per tutto il giorno, con quelle freddure da due soldi. Quando mai avrebbe potuto nuovamente fare del sano humor nero su sé stesso? Di solito, nel suo perverso senso dell’umorismo, i soggetti erano sempre gli altri. Ma questi dicevano risultasse offensivo, la qual accusa non lo faceva dormire la notte. Non poteva permettersi di mancare di rispetto ad altre persone, sarebbe stato troppo da Liam Callaway!
    Ah, Dio, sperava che in sua assenza fosse nato realmente qualche modo di dire in suo nome. “Fumi come un Callaway!” “Non morderti il labbro, o chiamo Liam” “Fate i buoni, bambini, altrimenti vi buttiamo giù dalla scogliera” Se un ammonimento come quest’ultimo si fosse diffuso, Liam sarebbe divenuto l’idolo di tutti i bambini, i quali avrebbero cominciato a comportarsi male utilizzando la scusa del lui è tornato dalla scogliera, buttami pure mamma!
    Magari
    . Se fosse successo, il mondo avrebbe avuto meno teste di cazzo.
    Scusate bambini, ma #sorrynotsorry.




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    Damian Icesprite
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    Damian era di per sè un uomo complesso e contorto, con un modo complesso di vedere il mondo ed un contorto modo di agire, che però teneva a far passare come consuetudine, come qualcosa di semplice e chiaro. Nella sua mente non c'era mai stato niente di chiaro, ed in realtà da sempre navigava nel buio, ma era importante che le persone intorno a lui lo ritenessero quasi pari ad una macchina senza sentirmenti, senza troppi pensieri inutili. Ed in parte, per alcune cose, lo era. Non piangeva mai, per esempio, ed in realtà non ricordava di aver mai pianto in passato, nemmeno quando era bambino. Non aveva versato una lacrima quando erano morti i suoi genitori e lui aveva solo nove anni, e sveglio com'era era stato sin da subito consapevole di essere diventato un orfano. Non aveva versato una lacrima quando erano morti Sarah e Tiger un anno prima, nè aveva lasciato che la disperazione si insediasse nel suo cuore, nonostante il dispiacere si fosse fatto sentire per troppo tempo dopo quel tragico incidente. Tanto meno aveva versato lacrime quando aveva appreso che Liam Callaway era morto in battaglia. Ma questo non significava che non avesse sentito la sua assenza, nè che questa assenza gli fosse rimasta del tutto indifferente. Perdere un collega era sempre qualcosa di difficile da affrontare, no? O almeno, così sarebbe dovuto essere per le persone normali, cosa che Damian non poteva certo pretendere di essere. Ed allora, cosa era rimasto di Liam Callaway, dopo la sua morte? Solo il vuoto, ed un senso di profonda repulsione quando aveva dovuto informare Aaron Sales che, no, non aveva visto il suo amico combattere e morire da eroe, perchè non era stato presente quel momento, ma che sapeva che fosse morto. Che non c'era più. Come sempre, la morte lasciava un segno sui vivi, non su chi spariva, e lui aveva visto qualcosa morire anche nello sguardo di Sales, quando lo aveva informato della tragedia. Che non gli chiedessero più di portare tali notizie, lui non era un Guaritore, che convocava la famiglia di un neo defunto per informarli del fattaccio. Lui poteva levare la vita a qualcuno, senza poi doversi preoccupare di avvisare amici e famigliari. Non ce la faceva. Era difficile, ma questo non lo rendeva più umano, nè più molle.
    Partendo dal presupposto che Damian non avesse amici, e che non potesse capire ciò che significava perdere un amico, perchè chi lo frequentava aveva per lo più il titolo di "collega", poteva tranquillamente dire che Liam non era mai stato suo amico, perchè non c'era mai stata occasione di instaurare un rapporto, nonostante entrambi lavorassero per un bene (più o meno) comune, crescere ed istruire giovani maghi. O forse l'occasione c'era stata e loro non l'avevano colta, dopotutto non per forza dovevano diventare amici se costretti a vivere nello stesso luogo per lavoro, no?
    Tornava dall'aldilà, comparendo all'improvviso, così com'era sparito, ed ironizzava sul suo abito. incredibile. Lui, con quella camicia color cappuccino. Lo osservò un attimo, prima di lasciarsi andare ad una breve, sincera risata. Era tutto troppo assurdo! "Gelataio". Gli aveva dato del gelataio.
    Se ci fosse stato posto, oltre alla sorpresa ed all'incredulità, forse Damian si sarebbe lasciato travolgere dall'indignazione. Ma non c'era spazio per altro, al momento. Tornò serio, voltò la testa prima a destra, poi a sinistra e infine guardò dietro Callaway, per capire se ci fosse qualcuno nascosto, pronto a gridare allo scherzo. Perchè magari era davvero uno scherzo, insomma...assurdo! E seppure la sua mente provasse ad elaborare tutti quei dati, ricevuti in poco tempo, era costantemente sul punto di incepparsi, fare un passo indietro e riprendere un filo logico di pensieri, che di logico davvero non avevano niente. Che Callaway fosse un abile mago non era in dubbio, per essere diventato Preside di Hogwarts doveva essere o molto adultatore o molto capace, e Damian credeva sicuramente nella seconda. Ma era in grado di aggirare la morte così facilmente? Come aveva fatto a sopravvivere? Aveva creato degli horcrux, aveva bevuto sangue di unicorno? O semplicemente tutti quanti, tra i mangiamorte presenti in Irlanda - lui compreso, per carità! - erano stati troppo ebeti da assicurarsi che Callaway non ci avesse davvero rimesso le penne?
    "La cosa più bella della vita, è la morte" aveva detto uno stolto, e Damian dubitava che Callaway avesse seriamente voluto far credere a tutti di essere morto, per poi tornare in scena improvvisamente, e fare a tutti una sorpresa. Ma...la cosa che più lo faceva pensare, era...perchè proprio lui? Perchè era lì, in quello stesso negozio? Era una coincidenza?
    Necessito di un bicchiere d'acqua. Concluse, richiudendo la tenda del camerino, e riaprendola dopo qualche istante, mostrandosi negli abiti che indossava poco prima, quando era entrato nel negozio. L'abito color ghiaccio perfettamente piegato sulle sue mani #maestrodeltravestimento. Dubito tu sia venuto qui per caso, anche se... soffermò lo sguardo sulla sua camicetta color crema e sorrise. Magari sì. Ah...questa la tengo comunque sollevò un lembo della cravatta azzurra. Ottima scelta. Impossibile credere che Liam Callaway si fosse recato lì, nel suo stesso negozio, alla sua stessa ora, come se niente fosse, e che l'avesse persino seguito fino al camerino. Damian non credeva nelle coincidenze.

    E già si immaginava, mentre percorrendo Quo vadis Town, alla ricerca di un bar non troppo distante dalla zona in cui si trovavano, la reazione di Anjelika quando quella sera le avrebbe detto "Scusa, ho tardato perchè ho incontrato Liam Callaway" A lei che, diffidente e possessiva com'era, non si fidava nemmeno della sua ombra e credeva costantemente che Damian passasse le serata al lavoro per farsi le altre pavor. Niente di più faaaalso...
    Gli sguardi esterrefatti delle persone lo lasciavano indifferente. Erano tutti sorpresi alla vista di Callaway camminare sulle sue gambe e non dentro una bara in legno, come dargli torto? Allora...come? "perchè? quando? chi? dove?" Tenne per se tutte quelle domande, come bastava. Se avesse mentito - perchè il pensiero che potesse essere un impostore non mancava certo nella mente di Damian - Lo avrebbe capito dal suo sguardo, non intedeva farsi prendere per i fondelli. Ma...gli sembrava così lui. Così Callaway.
    Forse era l'occasione per riportare alla luce tutto ciò che per mesi era rimasto nell'oscurità. Certo, se Callaway avesse voluto mantenere il mistero su quella faccenda, Damian non avrebbe assistito, così come non sarebbe stato di alcuna utilità il presentarsi a lui.





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    Edited by shane is howling - 4/5/2015, 21:35
     
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    Liam Callaway
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    Ricordava con chiarezza il momento in cui, sul ciglio del burrone, il ribelle aveva premuto il grilletto. Rivedeva la scena a rallentatore, ed ogni volta si aspettava un finale diverso: lui che, agilmente, schivava la pallottola; il meccanismo che si inceppava; la bacchetta pronta alla mano per difendersi. Sentiva il riverbero dello sparo nelle orecchie, nelle ossa, così in profondità che doveva guardarsi attorno per assicurarsi che non vi fosse un altro uomo armato nelle vicinanze. Non ne aveva avuto paura, quella era la cosa che più l’aveva lasciato interdetto: Liam Callaway non aveva provato paura, ma solo un senso di malessere dovuto a tutti i puntini che, nella sua vita, non era riuscito a collegare. In una vita come la sua, non poteva permettersi il lusso di temere la morte. Quello era un privilegio per gli uomini normali, cosa che Liam non era. Gli uomini normali, detti anche ordinari, aspettavano con il cuore in mano che qualcuno, o qualcosa, mettessero il punto alla loro storia, senza preoccuparsi di scrivere l’epilogo di loro pugno. Non erano artisti, erano personaggi. Sin da quando aveva aperto gli occhi su quel mondo, invece, il destino dell’irlandese era stato chiaro: lui sarebbe stato lo scrittore, lui avrebbe messo il punto al finire di ogni capitolo. Non aveva mai avuto veri obiettivi, grandi aspirazioni: viveva giorno per giorno, ma sempre con un occhio di riguardo per il futuro. Lui, dall’alto, riusciva a vedere il disegno completo. Ed in bilico, ad un passo dall’abisso, Callaway aveva visto una possibilità, laddove gli altri avevano visto un esecuzione. Era sempre un passo avanti, tanto che spesso aveva rischiato di allungarsi un po’ troppo. I rischi, d’altronde, erano parte del divertimento, no? Per lui era sempre stato così, non riusciva a godersi la sua effimera esistenza se non la metteva alla prova ogni giorno. Doveva uscirne trionfante, con il sapore dolce della vittoria sulla punta della lingua. Doveva dimostrare a sé stesso che l’abbandono da parte dei suoi genitori era stato l’errore più grosso della loro vita, perché Liam Callaway valeva ogni fottuto secondo consumato al suo fianco. Nonostante avesse visto il progetto, alla fine, era comunque tornato. Una debolezza, forse. Si era convinto che fosse il momento giusto… non che ci fosse un manuale consultabile sull’argomento.
    E, inoltre, Liam Callaway tornava sempre. L’aveva promesso.
    Tornò a guardarsi attorno, rivolgendo un sorriso sghembo a Damian Icesprite. Sembrava provato, bella stella. In effetti non capitava spesso che un uomo dato per morto tornasse a camminare sulla terra dei vivi, anche se, a conti fatti, non era nemmeno raro quanto uno poteva credere. Ovviamente lui l’aveva fatto con più classe: era un Callaway, doveva distinguersi dalla massa. Doveva sempre spiccare, essere il più bravo, il migliore perfino nel non-morire. Era un fardello essere così dannatamente perfetto, ma ehi, qualcuno doveva pur esserlo in quel mondo difettoso. Era perfino riuscito a strappare una risata all’uomo, probabilmente data più dallo stupore che dal reale divertimento della battuta. Non che Liam non fosse simpatico, ma la sua domanda non puntava a quell’effetto: la curiosità sul suo futuro da gelataio era legittima, non una burla. “Dubito tu sia venuto qui per caso, anche se...” Alzò le sopracciglia scettico, senza lasciare però che altro trapelasse dalla sua espressione. Bastava ed avanzava l’occhiata con cui lo seguì mentre usciva dal camerino. Non poteva realmente pensare che fosse una coincidenza. “Magari sì. Ah...questa la tengo comunque. Ottima scelta.” Alzò lo sguardo al cielo, socchiudendo le labbra nell’accenno di un riso divertito. Ovviamente era un ottima scelta, altrimenti non sarebbe stata sua. Aveva buon gusto, un’altra delle numerosi arti in cui si era obbligato ad eccellere nel corso degli anni: se vuoi essere il migliore, devi saper fare, ed essere, tutto; glielo ripeteva sempre il loro insegnante a Durmstrang, quando a suon di frustate li obbligava, a petto nudo nel cortile in pieno inverno, a fare duecento piegamenti. Si era accanito con particolare foga su Callaway.
    Poi era morto in uno sfortunato incidente in Norvegia, di cui nessuno riusciva a capire le cause. Davvero assurdo! Ne era rimasto colpito. Era un così brav’uomo, non si meritava una fine del genere. Chi l’avrebbe mai detto. Eh sì. Una grave perdita. Parole vuote ad un funerale altrettanto vuoto, mentre un sorriso sadico brillava dietro gli occhi scuri. Gli incidenti capitavano a tutti, cosa ci volete fare.
    Uscirono dal negozio, e Liam si infilò un’altra sigaretta fra le labbra. La accese con un distratto movimento della bacchetta, mentre in silenzio seguiva Damian attraverso Quo Vadis Town. Si godeva le occhiate di sottecchi della gente e di tanto in tanto sorrideva sornione, soffiando il fumo in filamentosi cerchi che si scioglievano dopo poco nell’aria. Riusciva quasi a percepire i pensieri di Icesprite: ma sarà davvero lui? Una domanda del tutto legittima, e davvero comprensibile in un uomo come lui. Dopotutto, se non fosse stato sospettoso, non sarebbe arrivato a ricoprire la carica di Pavor dei segugi. Ci voleva una buona dose di istinto, anche se a guardare l’uomo era difficile credere che potesse avere un istinto primitivo dietro il completo impeccabile. “Allora...come?” Non fu stupito dalla domanda, se l’aspettava. Era lì per quello, dopotutto. Aspirò lentamente il fumo della sigaretta, trattenendolo sul palato più a lungo di quanto non fosse necessario. Quando la lingua cominciò a bruciare, lo soffiò dalle narici, scuotendo il capo.Come, Damian Icesprite, è una gran bella domanda. Ma sono un Callaway, per l’amor di Dio: se una pallottola fosse bastata a fermarci, ci saremmo estinti anni fa” Socchiuse le palpebre, guardando il suo interlocutore con solo la coda dell’occhio. “Diciamo che sarebbe buona usanza assicurarsi che qualcuno sia morto, prima di darlo per certo. Non è un errore vostro, assolutamente. Voi mi avete fatto un favore, avevo bisogno di prendere un po’ d’aria. C’è chi va in vacanza, chi finge di morire…” Fece spallucce, come se la scelta fosse stata puramente casuale. Schioccò la lingua contro il palato, cambiando mano per il cilindro di tabacco. “Comunque, è stato un grave errore per la Resistenza: se cerchi di uccidere Liam Callaway, il minimo che puoi fare è assicurarti che il suo corpo morto marcisca sotto metri di terra. Perché se non muore…” Il sorriso che incurvò le sue labbra, era una minaccia a fior di pelle. Nessuno poteva osare un attentato alla sua vita, e poi farla franca. Far arrabbiare Liam non era stata una mossa intelligente. “Ma questo è un problema loro. Se vuoi i dettagli tecnici, ti basterà sapere che il mio scolpito corpo pallido non ha mai sfiorato la superficie dell’acqua” Gli diede una bacca sulle spalle, stringendo le palpebre per far in modo che il fumo non gli entrasse negli occhi. Con un cenno del capo indicò un pub lì vicino, che si ergeva in tutta la finta trasandatezza dei locali più chic del nuovo millennio a pochi passi da loro. Valle a capire, le mode. “Entriamo? Mi è mancata la birra. E, amico, hai l’aria di uno che ne ha bisogno tanto quanto me” Altro che acqua, plis Damian.


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    Damian Icesprite
    welcome back

    Era paradossale credere che Liam Callaway fosse tornato nel mondo dei vivi, ancora più paradossale era credere che in realtà non se ne fosse mai andato, perché ormai la sua assenza e le notizie della sua scomparsa erano pesanti come macigni e si erano diffuse a macchia d'olio in tutta l'Inghilterra. Il giovane preside di Hogwarts era morto, e far credere il contrario a tutti, adesso, sarebbe stato molto complicato. Forse era questo il motivo che aveva spinto Callaway ad andare a cercarlo. Damian credeva poco nelle smancerie, negli affetti tra colleghi meno che mai, e dubitava che Liam Callaway avesse sentito così tanto la sua mancanza. Era più probabile invece che Damian, come altri, avrebbe potuto essere un aiuto per rendere quella notizia reale un po' alla volta. Era più assurdo, però, credere che su quelle scogliere nessuno si fosse preoccupato di accertarsi del suo cadavere. Chi si era occupato di riempire una tomba vuota per il suo funerale? Altri sapevano? È stato un errore imperdonabile Ma qualcuno era con lui, necessariamente e lo aveva soccorso. Non poteva essere Sales, lui non ne sapeva niente. Megan Lynn, la sua sorella ipotetica, era troppo giovane per immischiarsi in determinate faccende, e anche se avesse sofferto pesantemente per la scomparsa del fratello, non lo aveva dato a vedere a nessuno. Più palese era stata la sofferenza di Maeve Winston, ma Damian non si era mai avvicinato a lei per chiedere come stesse, né si era mai sbilanciato in parole di conforto che sarebbero state inutili, lo sapeva. Un essere umano ha bisogno di soffrire da solo, questa è la verità. Non era stato vicino a nessuno, perchè non era nel suo carattere e aveva di meglio da fare, ma...aveva visto tutto, ogni giorno, la sofferenza negli occhi delle persone che avevano conosciuto Callaway si era presentata a lui sotto varie forme. Molte persone hanno sofferto per la tua scomparsa, davvero tante. Lo sai vero? Domandò mentre, insieme varcavano la soglia di un bar, e prendevano posto in uno dei tanti tavoli. Eppure adesso gli parlava come se lui fosse davvero lui, quasi come se non avesse nessun motivo di sospettare del suo ritorno. Perché era lui, Damian lo vedeva, lo percepiva. Nessuno poteva imitare Liam Callaway, come faceva Liam Callaway, chiaro, no? La giovane Winston, per esempio... povera anima, ho seriamente pensato che non si sarebbe più ripresa dalla notizia, ma lo ha fatto, o così sembra. Adesso insegna incantesimi ad Hogwarts. Lo informò, pensando che qualche informazione riguardo quella che era stata la vita prima della sua scomparsa potesse interessarlo. Poteva aver cancellato le sue tracce, ma non poteva cancellare il passato. Mentre Sales sembrava avesse ricevuto una martellata in faccia, è stata dura. Ha persino mollato la cattedra di trasfigurazioni. Per Sales Hogwarts era diventato troppo stretto, dopo la scomparsa di Liam, che Damian sapeva essere come un fratello per lui. Doveva ammettere che in molti sembravano aver sofferto la sua mancanza, e a Damian veniva spontaneo chiedersi se qualcuno avrebbe pianto la sua, se fosse morto. Ma forse era meglio non darsi una risposta. Dubitava che Anjelika sapesse cosa fosse il pianto, ed era convinto che non avrebbe mostrato a nessuno il suo volto distrutto, ma lo avrebbe nascosto con stile e cautela dietro un velo di pizzo nero. Shane, avrebbe sofferto in silenzio, e nessuno avrebbe potuto riconoscere la sfumatura di tristezza che scuriva il suo sguardo, perché quella sfumatura, in realtà, era sempre presente. Che famiglia.
    Ordinarono da bere, e Damian prese un Negroni Non sono un amante della birra. Commentò, con sguardo perso sui passanti, sguardo che non vedeva davvero perché era perso in qualche pensiero importante. Non gli era ancora chiaro come Callaway si fosse salvato. Gli era chiaro come avesse evitato lo schianto contro il terreno, una smaterializzazione probabilmente, ma poi come aveva fatto a salvarsi dallo sparo? Lo aveva udito persino lui quello sparo, dalla radura in cui si trovava con la sua squadra. Qualcuno lo aveva aiutato, ma chi? Cosa pensi di fare, adesso? Per adesso intendeva ovviamente nel futuro prossimo. Emily Bulstrode, attualmente, insegna storia della magia e Edith Lagrange Erbologia. Hogwarts non è mai stata così ricca di ministeriali come questi tempi, direi che le cose vanno per il meglio, per quanto mi riguarda. Sono tempi propizi per tornare, comunque. Non poteva sapere, Damian, che Liam aveva partecipato in prima persona, sotto mentite spoglie, alla spedizione da lui organizzata presso il covo dei ribelli. Non poteva sapere nemmeno che aveva assunto suo nipote in un locale di strip tease.....E LUI DOVEVA SAPERE. E in realtà, più di ogni cosa mi domando dove sei stato in tutto questo tempo. Perchè aveva aspettato così tanto prima di tornare ?





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    Liam Callaway
    STANCO (DI ESSERE) MORTO
    Liam mosse una mano nell’aria, liquidando l’argomento. Non era stato un errore imperdonabile, dopotutto era stato lui stesso a volere che fosse così. Ci sarebbero state altre opzioni, ma lui aveva scelto quella: fingere di essere morto. Non pensava che Damian si sentisse in colpa per l’accaduto, ma data la sua inclinazione al controllo probabilmente si rimproverava quell’apparente fallimento. Ma non doveva, davvero: non erano i suoi ad aver sbagliato, credendolo spacciato. L’unico sbaglio era stato di quel ribelle, che aveva avuto l’ardore di puntare una pistola al suo petto. L’unico, vero, errore, era stato credere di poterlo eliminare così. Premendo un grilletto.
    Non avrebbero sbagliato un’altra volta, né Callaway gli avrebbe più dato quell’opportunità.
    “Molte persone hanno sofferto per la tua scomparsa, davvero tante. Lo sai vero?” Lo sguardo dell’irlandese scivolava su tutto senza posarsi su niente, apparentemente distaccato. Distante da ciò che Damian stava dicendo, principalmente perché sapeva a cosa si stava riferendo. La maggior parte delle persone, ne era certo, aveva solo finto un dolore. Quasi nessuno aveva realmente sofferto per la sua dipartita, accolta anzi da molti come un sollievo. Forse qualcuno se n’era dispiaciuto, perché nonostante la giovane età Callaway era un elemento valido. Ma la sofferenza, quella sincera? Quella che ti strappa qualcosa dentro, e non permette più a nulla di aggiustarlo? Quella che ti tiene sveglio la notte, e che di giorno ti prega di dormire per spegnere tutto? Quella meritevole di essere definita sofferenza, non era stata provata da quasi nessuno. Quasi. E quel quasi bastava per piegarlo, perché Liam Callaway si affezionava di rado, ma lo faceva con una profondità viscerale. E non voleva sentirlo. Non poteva. Erano la falla nel suo piano, quella debolezza che si era sempre obbligato a non avere. L’esatto motivo per il quale aveva sempre cercato di allontanare tutti: Liam era il genere d’uomo che arrivava sempre all’obiettivo, a qualunque costo. Non poteva permettersi di arrivare al punto di pensare che il costo fosse troppo alto, sarebbe stato solo d’intralcio. E per quello, perché altro non erano che una dimostrazione di debolezza, Liam non voleva sentire quello che Icesprite aveva da dire. Chissà, forse lui pensava di fargli un piacere. Sei mancato, Liam. Siamo felici che tu sia qui. Ma quello che l’irlandese riusciva a sentire, affilato come un rasoio piantato nel cranio, era: sei stato tu, a farlo. Sei stato tu a causare quella sofferenza. Sei stato tu a spezzarli.
    E alla fine, aveva finito per far male solo a chi amava, lasciando indifferente il resto del mondo. Era una maledizione, una fottuta maledizione.
    Si sedette al tavolo, lanciando un’occhiata disinteressata alle proprie unghie. Si imponeva di non reagire, di non sbattere i pugni sul tavolo. Non doveva importargli, era quello il punto. Non avrebbe dovuto importargli, e invece gli importava eccome. Ma forse, se l’avesse ripetuto tante volte a sé stesso, avrebbe finito per crederci. Controindicazioni. Nulla più. Non ti importa. “La giovane Winston, per esempio... povera anima, ho seriamente pensato che non si sarebbe più ripresa dalla notizia, ma lo ha fatto, o così sembra. Adesso insegna incantesimi ad Hogwarts”
    La giovane Winston, per esempio. Maeve Winston.
    Maeve Winston era la cosa peggiore che fosse mai capitata nella vita di Liam Callaway. Era spuntata dal nulla, come una pianta che non ci si ricordava di aver seminato; pigramente si era sempre detto che, il giorno dopo, l’avrebbe estirpata. Vedete, all’inizio lui pensava fosse una cosa passeggera. Un interesse momentaneo, perché nessuno si era mai interessato a lui. Eppure, lei lo faceva. Gli chiedeva come andava a scuola, lo tartassava di domande sui corsi e sugli insegnanti. “Perché hai quel livido? Ti sei fatto male? Vuoi una mano? Cosa fate a Durmstrang? Avete Erbologia? Hai degli amici? Vengono mai a trovarti? Dove sono i tuoi genitori?” Ed ascoltava sempre, sempre la risposta, anche quando lui taceva. Quei “Come stai?”, liquidati sempre con una scrollata di spalle di Callaway. Quei come stai che cadevano nel vuoto, ma dove lei riusciva comunque a sentire una risposta. La sentiva nei suoi gesti, nel suo tono di voce, nel modo in cui accendeva la sigaretta. Lei lo capiva, l’aveva sempre fatto, in un modo più… sensibile, rispetto a Aaron. Lei lo vedeva realmente. L’aveva sempre visto. E quella pianta, anno dopo anno, aveva fatto sbocciare i fiori più belli, i fiori più profumati; e gli aveva donato i frutti più succosi e dolci. Quella pianta aveva cominciato a mancargli, come ossigeno sul fondo del mare. Quel profumo, l’avrebbe voluto sul cuscino. Quella risata, avrebbe voluto imbottigliarla. Perfino la sua voce, irritante ed acuta, lo faceva sorridere. Ma quando se n’era accorto, era già troppo tardi. Quando si era accorto che Maeve era diventata la sua Maeve, era passato solo il tempo di un respiro. Forse era successo subito, forse dopo anni. Forse l’aveva sempre saputo, forse solo troppo tardi. Riusciva ancora a sentire il sapore delle sue labbra, se chiudeva gli occhi. Riusciva ancora a vederla mentre, in piedi, gli domandava se lui l’amasse. Che domanda stupida, iddio. Che domanda sciocca per una ragazza che aveva sempre vantato di essere la più sveglia. “Voglio sentirmelo dire” Perché? Perché avrebbe dovuto amarla? Era irritante, fastidiosa, petulante, invadente, logorroica, saccente. Ed era bellissima.
    E sì, per Dio. Certo che la amava. Ma non gliel’aveva detto. Le aveva rubato un bacio, beandosi di quel momento sospeso nel tempo. E poi, le aveva rubato i ricordi.
    Per Maeve Winston, Liam Callaway non l’aveva mai baciata. Liam Callaway non l’aveva mai amata. Liam Callaway non. Punto.
    Ma lui sapeva la verità, e quello gli bastava.
    Era diventata insegnante di incantesimi. Si lasciò sfuggire un sorriso divertito, alle parole dell’uomo, nascondendo tutto il resto in quell’angolo buio che ancora fingeva di poter chiamare cuore. Per lei avrebbe voluto essere il genere di ragazzo che la aspettava sotto casa, che la stringeva forte al petto e la faceva roteare nell’aria ridendo dei suoi gridolini acuti; avrebbe voluto offrirle un fottuto gelato per complimentarsi, per dimostrarle quanto fosse fiero di lei. Iddio, ora capite la gravità della situazione? Un gelato, nemmeno del sano e buon whisky. Ora capite perché era la cosa peggiore che gli fosse mai capitata?
    “Abitavamo vicino” Si limitò a rispondere, con sincerità. “Probabilmente le dispiaceva non avermi mai mandato a farmi fottere quando ne aveva la possibilità. O forse mi ero dimenticato di registrarle una E sul libretto dei voti” Sbuffò seccato, scrollando il capo per poi incrociare le braccia sul tavolo. “Mentre Sales sembrava avesse ricevuto una martellata in faccia, è stata dura. Ha persino mollato la cattedra di trasfigurazioni” Chiuse gli occhi e si massaggiò le palpebre, per poi lanciare un’occhiataccia in direzione di Damian. Brav’uomo, per carità, ma stava cominciando ad esagerare. “Aaron conosceva i rischi” Concluse allusivo, piantando gli occhi scuri in quelli di Icesprite. Non si stava riferendo alla missione, quello era scontato; ma Aaron, nel momento in cui aveva deciso di essere suo amico, aveva accettato anche quel suo lato meschino. Liam non si era mai nascosto, l’aveva sempre avvertito. Si era sempre, sempre mostrato per ciò che era: un infido bastardo egoista. Aaron Sales sapeva i rischi dell’amare un Callaway. Forse era la volta buona che se ne faceva una ragione: Liam era una malattia. Fine dei giochi. L’aveva vista quella sofferenza, l’aveva vista al funerale, l’aveva vista ogni giorno che aveva incontrato, come Fitz, i suoi occhi. E si odiava, per quello. Si odiava perché Aaron era la sua famiglia, nonostante tutti i suoi difetti. Si odiava perché si era promesso di non alzare mai un dito contro di lui, nemmeno quando a Durmstrang li obbligavano –e quando rifiutavano, torture-, ma alla fine aveva comunque trovato il modo per farlo soffrire. “Non sono un amante della birra” Inspirò sonoramente, alzando gli occhi al cielo. “Se prendi qualcosa di analcolico, mi spezzi il cuore. Sono già morto una volta, vogliamo ripetere?” Si strinse nelle spalle, lanciandogli il listino degli alcolici. “Cosa pensi di fare, adesso?” Si passò un dito sulle labbra, chinandosi sul tavolo nella sua direzione. Si guardò prima a destra e poi a sinistra con fare circospetto, quindi lo invitò ad avvicinarsi. “Sbronzarmi a merda, tornare a casa sui gomiti, e domani svegliarmi con un post sbronza epocale” Sorrise angelicamente, poggiando di nuovo la schiena al sedile della sedia. Aveva capito perfettamente a cosa Damian si stesse riferendo, e sperava che Damian capisse l’antifona: cazzi miei, per ora. “Emily Bulstrode, attualmente, insegna storia della magia e Edith Lagrange Erbologia. Hogwarts non è mai stata così ricca di ministeriali come questi tempi, direi che le cose vanno per il meglio, per quanto mi riguarda. Sono tempi propizi per tornare, comunque” Rise, portandosi le mani a coppa sulla bocca. “Quale maestosa creatura, l’avvoltoio. Non aspetta nemmeno che il cadavere sia freddo prima di fiondarsi sulla sua carne, lo sapevi?” Commentò, apparentemente a caso. Si trattava però di una neanche troppo velata frecciatina alla biondona della censura: that bagasha, neanche il tempo di farlo crepare e gli aveva già soffiato il lavoro. “Sono felice per la Lagrange. Prima della missione abbiamo scambiato due chiacchiere… gran donna. Hogwarts è fortunata ad averla” Commentò, alzando un dito per attirare l’attenzione del cameriere. Quello era decisamente il momento per darsi all’alcool, davvero. Non riusciva ad immaginare situazione più propizia. “E in realtà, più di ogni cosa mi domando dove sei stato in tutto questo tempo” Non era stata posta come una domanda, al che Liam non si sentì in dovere di rispondere. Schioccò invece la lingua, infilandosi una sigaretta – “Signore, non si può fumare” “Perchè?” “Perché la gente qua man…“No, intendevo perché cazzo dovrebbe interessarmi”- fra le labbra. “Anche io mi domando tante cose” Ad esempio, dove ho sbagliato per farti pensare che io possa rispondere ad un interrogativo del genere: bitch, plis. “Cos’altro avete fatto in mia assenza? Qualche Italie è diventato preside? Ti prego, se la risposta è sì, non replicare. Preferisco il silenzio. Ehi” Disse poi, richiamando il cameriere. “Due whisky, doppi” Si volse nuovamente verso Damian, invitandolo con un cenno della mano ad ordinare. “Tu invece cosa prendi?”


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    DAMIAN DAMNED ICESPRITE ( ) - 26 - Deatheater - superpavor
    « HE IS DANCING IN THE DARK »
    La conversazione con Callaway si rivelò interessante quanto priva di informazioni che potessero realmente interessare ad Icesprite. Il ragazzo non rispose davvero alle sue domande interessate, ma Damian non si aspettava che lui lo facesse sul serio: le possibilità che Callaway decidesse di aprirsi con lui esistevano, ma erano così tante. Avrebbe davvero voluto sapere i dettagli di quell'avvenimento, ma dalle risposte schive di Callaway al suo fianco, poteva capire che non avesse davvero voglia di raccontare i particolari della sua scomparsa, nè che fine avesse fatto per tutti quei mesi. Ed a Damian in fondo, importava sul serio? In parte sì. Ci teneva in particolare a sapere se Liam Callaway avesse fatto incontri interessanti con la fazione ribelle durante i mesi di scomparsa, credeva che lui nascondesse qualcosa, anche perché se non avesse creduto questo non sarebbe stato Icesprite, paranoico e sospettoso di natura. Voleva sapere, perché era il suo lavoro e Damian era al settanta per cento portato per ciò che eseguiva al Ministero, il restante trenta per cento era dedicato all'umanità che poteva riservare ai suoi famigliari, neanche tanta in effetti. Per il resto era tutto un susseguirsi di scambi di informazioni importanti e favori, ed era questo ciò che voleva. Non avrebbe forzato la mano, nonostante tra un'informazione disinteressata ed un'altra avesse provato a farlo parlare. Lo aveva aggiornato su ciò che era accaduto in sua assenza ad Hogwarts e lo aveva fatto con piacere e davvero con disinteresse. Non aveva fatto a meno di notare come la sua espressione fosse cambiata, come si fosse innervosito riguardo determinate domande o argomenti trattati. Ma non avrebbe approfondito facendo ulteriori domande scomode. "Cos’altro avete fatto in mia assenza? Qualche Italie è diventato preside? Ti prego, se la risposta è sì, non replicare. Preferisco il silenzio." Gli scappò un sorriso per la sua affermazione. Se il problema sono gli Italie puoi dormire sonni tranquilli, dopo Alexander non abbiamo avuto altre grane con la famiglia. E Leroy è preside." Spostò lo sguardo sul giovane cameriere che appena arrivato al bancone aveva ricevuto gli ordini. Per me una limonata, è troppo presto per il whisky. Una banale scusa per non ammettere che non gradisse davvero nessun tipo di alcolico. O forse qualcosa di fin troppo calcolato, conoscendo Damian.
    "Non è mai troppo presto per il Whisky, Damian" Capitava spesso che la voce di sua sorella Sarah si faceva spazio tra i suoi pensieri e tutte le volte lo sguardo di Damian perfettamente freddo si rabbuiava, si spegneva del tutto. In quel momento, ricordare eventi passati, funerali e persone scomparse, non poteva che riportarlo a lei. Non poteva che ricordargli che il lavoro non fosse il suo unico scopo nella vita, no. Damian doveva scoprire la verità sull'omicidio di sua sorella e di Tiger.
    Povero Callaway, tornato alla vita da poco e desideroso di farsi a pezzi a suon di Whisky, costretto a star affianco ad un Icesprite che ordinava al contrario solo una limonata. Ma qualcuno tra i due avrebbe dovuto rimanere del tutto lucido no? Se fosse stato Damian, ancora meglio. Magari avrebbe scoperto cose interessanti, magari l'alcol sarebbe stata la chiave per risolvere quell'enigma che era la scomparsa del ragazzo o magari...a Callaway sarebbe venuta voglia di raccontare qualcosa di più #credici e Damian doveva essere al pieno delle sue forze mentali. Ma tu fai pure, mi assicurerò che tu non vada in giro a quattro zampe in pubblico, non in pieno giorno almeno. Fece un cenno al ragazzo dietro il bancone. Avete le Virtual? Domandò desideroso di mangiare le sue patatine preferite. #wat
    the heart is deceitful above all things,


    Edited by shane is howling - 28/10/2015, 18:09
     
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    Liam Callaway
    STANCO (DI ESSERE) MORTO
    Avrebbe voluto allungare le mani sopra il tavolino e strizzare le guance chiare di Damian, obbligando le labbra di lui ad incurvarsi in un sorriso che fosse sincero e non solo di circostanza. Non che Callaway fosse mr. simpatia (era tanti mister, ma la simpatia la lasciava a Sales), o che passasse tutto il suo tempo a sorridere come un ebete, ma… Andiamo Icesprite, sono dannatamente divertente, ridi anche tu con me della sfiga Italie, tarlo e tumore di questa società più di quanto non lo siano i ribelli. No eh? No. Beh, certo, Damian non aveva conosciuto il famigerato Skizzo, furetto omicida ricercato in almeno venti stati; non sapeva quale livello di demenza raggiungesse la famiglia, se non per la fama che si era creato Alexander in qualità di membro della Resistenza. Se solo avesse saputo la vera storia della famiglia, avrebbe capito perché tanto temesse che uno di loro prendesse troppo potere. Sarebbe stata la fine del mondo così come lo conoscevano –per gli altri, Liam sarebbe morto prima di assistere allo sfacelo finale. «Se il problema sono gli Italie puoi dormire sonni tranquilli, dopo Alexander non abbiamo avuto altre grane con la famiglia. E Leroy è preside» Il ghigno di Liam si fece più marcato, le palpebre più assottigliate mentre annuiva fra sé. Purtroppo già sapeva che Leroy, usurpatore quanto la bionda del ministero che gli aveva fottuto la cattedra, occupava il posto che prima aveva scaldato lui; cioè, ma vi rendete conto? Comprendeva la necessità di essere sostituito, non potevano lasciare Hogwarts allo sbaraglio… eppure, non riusciva a non esserne infastidito. Si era sacrificato per loro, guidando quella stupida missione in Irlanda dov’era morto, e quei bastardi non avevano atteso neanche qualche settimana di meritato lutto prima di occupare i ruoli che aveva lasciato vacanti. Non ce l’aveva con Icesprite, assolutamente, dopotutto ambasciator non portava pena. Anzi, al Ministero era forse fra quelli che gli andavano più a genio, assieme alla sua fidanzata/anima gemella/qualunque cosa fossero Anjelika&Damian. Non riservò a lui il rancore che celava dietro gli occhi scuri, mentre abbassava lo sguardo sulle proprie mani. «Mh, troppo giovane e bello, non approvo. Potevate almeno scegliere un vecchio bavoso, così da non farmi sostituire nell’immaginario comune in quanto sex symbol» Alzò le mani a palmo aperto verso Icesprite, un sorriso sghembo a sottolineare l’ironia della battuta –ironica ma sentita, era infatti dannatamente serio. Guardò sornione il cameriere, che senza battere ciglio segnava le sue ordinazioni. Alle parole di Damian non potè però che inspirare l’aria risentito: una limonata, davvero? Inarcò le sopracciglia, roteando gli occhi verso il Pavor con un dito ammonitore nella sua direzione. «Perché, esiste un orario per bere il whisky? Cristo, qualcuno avrebbe anche potuto avvertirmi» i’m too old for your shit. Un’occhiata allusiva verso l’uomo che proprio, per quanto ci provasse, non riusciva a comprendere. Come poteva dire di no all’ambrata bevanda degli dèi? Si sentiva quasi offeso personalmente: era appena tornato in vita, il minimo che potesse fare era brindare con lui al miracolo. Un brindisi con la limonata non era concepibile neanche ad una festa per bambini (e lo diceva per esperienza: gli era capitato di dover partecipare a simili baggianate, ed aveva subito rimediato correggendo le bevande di tutti i pargoli. Era stata una festa indimenticabile –per lui, i fanciulli non ne avevano memoria). «Ma tu fai pure, mi assicurerò che tu non vada in giro a quattro zampe in pubblico, non in pieno giorno almeno» Come se avesse avuto bisogno del suo benestare. Gli fece un cenno con il capo in segno di ringraziamento, tornando a poggiare la schiena sulla sedia per poter incrociare le braccia al petto. Il fumo della sigaretta, testardo, continuava a volgere in direzione del suo interlocutore. «Ti da fastidio?» Domandò, più per cortesia che per reale interesse. Diciamo che anche se la risposta fosse stata affermativa, non si sarebbe spostato. Almeno faceva bella figura chiedendo #wat. Quando Icesprite chiese anche le patatine, non potè che trattenersi dal ridere sguaiatamente. No vabbè, ma perché non era mai uscito con lui? Era un personaggio fantastico: Pavor cazzuto di notte, ordinatore di limonata e patatine –virtual per la precisione, e sicuramente era quel genere d’uomo che non accettava le sottomarche- di giorno. Meglio di Superman. «Stavo pensando di tornare al Ministero. Ho già rilevato un locale a Diagon Alley, però non mi pare abbastanza. Ed immagino che voi tutti sentiate la mia mancanza, non posso certo privarvi ancora della mima presenza» Di nuovo un’ironia sincera: certo che sentivano la sua mancanza, era Liam Callaway. «A proposito del locale, sei il benvenuto quando vuoi. Offre la casa, e puoi portare anche la tua dolce consorte. Non dire in giro che faccio favoritismi però, alla Bulstrode ho dovuto fare prezzo pieno» Scherzò, ammiccando languidamente e senza ancora specificare che tipo di attività gestisse. Chissà, magari sarebbe perfino riuscito a fargli credere che Emily fosse stata realmente sua cliente al Lilum: vendetta vera, insegnante di Storia della Magia.
    Mlmlml.


    Mr. Callaway ▴ 23 ▴ #BADGUY ▴ Pensieve code role by #epicwin for obliviongdr

     
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  10. don't joke with icesprite
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    Damian Icesprite
    welcome back

    Forse nessuno lo avrebbe mai detto del gelido ed insipido Icesprite, che apparentemente sarebbe potuto passare come un giovane come senza particolari attrattive, sterile nella sua placida esistenza, blando e senza sostanza, una bibita gassata senza bollicine che quando la bevi ti lascia il bocca l'insoddisfazione, una limonata con poco limone, un pacco di patatine Virtual, senza aromi aggiunti (?). Tanti aggettivi avrebbero potuto caratterizzare Icesprite, e molti di questi probabilmente gli sarebbero calzati a pennello, bastava semplicemente dare un'occhiata al suo stile di vita senza apparenti eccessi, dall'arredamento della sua abitazione puramente minimal e contenente lo stretto necessario per vivere, alla sua smania dell'ordine in ogni sua forma che comunque non sempre era sinonimo di eleganza, ai suoi gusti in fatto di colori: grigio, per lo più. Eppure, nonostante la sua vita apparentemente piatta, fatto esclusivamente di lavoro e pochi svaghi o colpi di testa, Icesprite aveva davvero gusti particolari in fatto di persone. #no,nonèmrgrey Alcuni avrebbero potuto pensare che amasse circondarsi di persone come lui, rigide nel loro stile, mai appariscenti e sempre puntigliose o che magari amasse avere intorno solo sottomessi, persone smilze e senza corazza, senza unghie. Bè, non era così. Non apprezzava chi era come lui: un treno in corsa che viaggiava ad una velocità troppo sicura e che piano piano sarebbe sicuramente arrivato lontano. Difficilmente Icesprite sarebbe morto giovane (#credici) o per un colpo di testa, più probabilmente sarebbe morto di vecchiaia, come suo nonno Damide. Ed anche nonostante il suo lavoro, ci andava sempre molto molto cauto. Ma apprezzava chi era diverso da lui, quelle persone che non importava affatto quale allineamento avessero o di quale natura fosse la loro nascita, il loro status di sangue o se fossero babbani o meno, quelle che di colpi di testa ne avevano parecchi, eccentrici, o anche solo semplicemente affatto ligi alle regole, quelle che sapevano dare alla vita un gusto differente, che avevano il coraggio di scegliere da soli in cosa credere, andando persino contro il mondo. Davano sapore e sostanza a quella vita, riuscivano ad interessarlo, come era Anjelika, come sicuramente era Liam Callaway nella sua smodata concezione della vita. Era di queste persone che Icesprite amava circondarsi, persone che, nel bene o nel male, agivano secondo la loro morale. Avrebbe potuto persino apprezzare molti tra le fila ribelli, se non fosse stato che era suo compito eliminarli e portare ordine nel Governo. Certo era che molte persone decidevano davvero di buttare all'aria tutto il loro potenziale, per una causa che non faceva il bene dell'umanità, ma Damian le apprezzava lo stesso, perchè sceglievano di combattere. Parlando di Ethienne Leroy, bè...a Damian non era mai stato poi così simpatico e non si era nemmeno mai sforzato di negare questa sua semi avversione verso il giovane: un Corvonero, sicuramente intelligente, con una mente sicuramente allenata e pronta a tutto, ma poi tutto si fermava lì. Troppo indulgente, troppo buono, con ideali certamente confusi: Icesprite non aveva mai creduto che Leroy fosse seriamente interessato al bene del Governo, per questo non aveva mai trovato in lui quello che avrebbe potuto definire un appoggio, in questo senso. E non poteva nemmeno dire che Leroy fosse uno di quelli che amavano i colpi di testa, ma non lo conosceva così bene in realtà. Insomma... per Icesprite era sempre stato un essere inutile. Ma poi, l'illuminazione. Era ottobre del duemilaquattordici quando Leroy aveva dato prova di non essere più solo uno dei tanti, di non avere niente da nascondere, di riuscire a manifestare apertamente ogni suo pensiero, nel bene e nel male. Ed improvvisamente, Icesprite aveva iniziato a trovarlo simpatico. Certo rimaneva il fatto che, secondo Damian, usurpasse quel posto da Preside, che se non occupato da Callaway sarebbe quanto meno dovuto toccare a lui eh...ma dettagli, discorso a parte. Ma sì, poteva dire che forse proprio quel posto avesse giovato all'animo di Ethienne, levando da sopra di essa la scorza di melma bianca che fino ad all'ora lo aveva ricoperto. Saresti sorpreso di scoprire quanto il posto da Preside abbia giovato a Leroy, inarcò un sopracciglio, alludendo a qualcosa, ad un suo cambiamento che non poteva spiegarsi davvero, non sapendo cosa lo avesse davvero spinto a cambiare così. Sorrise divertito, alla sua frase sul whisky. Oh, se Liam avesse saputo cosa tutto frullava nella testa di Icesprite - sempre in maniera piuttosto ordinata e catalogata - probabilmente ne sarebbe rimasto scioccato, perchè sì, Icesprite era consapevole che molti non vivevano seguendo delle regole assurde, ma lui non riusciva a farne a meno, facendo di quelle regole una bibbia. Persino l'alcool, per quanto non fosse apprezzato particolarmente da Icesprite per ovvi motivi che non erano compatibili con il suo essere - tra i quali sciogliersi, lasciarsi andare e allentare il controllo su se stessi - aveva un ordine ed un orario. Mai prima delle ventidue, chiaramente. E questo lo portava a pensare che se avesse incrociato Rea Hamilton prima delle ventidue, quella famigerata sera, in quel famigerato ufficio, adesso non vivrebbe con i sensi di colpa. #touchè?
    Perdonami sono un pessimo compagno di uscite, Liam. Ma davvero apprezzo il tuo ritorno, questo è chiaro. Sperò che Callaway non pensasse che Damian non fosse felice del suo ritorno, la verità era che Liam faceva parte di quella fascia di persone che rientravano nelle sue grazie. Non vi era bisogno di ironia, da parte sua. Certo, non avrebbe potuto dire che aveva sentito la sua mancanza, magari si il peso dell'assenza, ma non ne aveva sofferto, ma Damian non aveva nemmeno mai sentito la mancanza dei suoi genitori dopo la loro morte, per cui non era la persona più classificata per questo genere di cose. Ma che era felice che fosse tornato, sopratutto dopo avergli rivelato le sue intenzioni di riprendere il lavoro al Ministero, era senza dubbio veritiero. Oh, mi fa piacere. Ammise sinceramente, apprendendo le sue intenzioni. Povera Emily Sorrise Che tipo di locale? Verrò sicuramente Domandò, incuriosito, mentre le loro ordinazoni facevano capolinea al banco. Non poteva sospettare quale tipo di locale Callaway gestisse, ne che suo nipote fosse una delle punte di diamante #madove #credici lo zimbello magari dello show.






    Scheda ▴ 26 ▴ MANGIAMORTE ▴ Pensieve code role by #epicwin for obliviongdr



    Edited by shane is howling - 24/1/2016, 17:37
     
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    Liam osservò Damian da sopra il proprio bicchiere, studiandolo con gli occhi scuri ridotti a fessure. Fece ondeggiare il liquido ambrato, mentre l’uomo si portava una patatina alle labbra. C’era qualcosa di intrinsecamente sbagliato ed affascinante, nel sedere in un bar in compagnia di Damian Icesprite il Mangiatore di Virtual. Se ci fosse stata Anjelika al posto di Dam, Liam era piuttosto certo che non avrebbe disdegnato del whisky in compagnia – ma soprattutto, se avesse scelto di mangiare, avrebbe optato per dei bambini (o dei cuccioli di foca), non delle Virtual. Continuò a guardarlo, probabilmente mettendolo a disagio. Impassibile, cercando nella postura di Damian qualche accenno sul fatto che l’uomo stesse semplicemente scherzando: non sono patatine, è midollo solidificato corretto con del rum! (wat) Non sapeva perché la cosa lo sconvolgesse tanto, ma dannazione! Il Superpavor mangiava delle maledette patatine! Se Liam non fosse stato Liam Troppomagiko Callaway, probabilmente si sarebbe sentito in colpa con quell’alcolico stretto con gelosia fra le dita; qualcun altro, al suo posto, avrebbe posato il bicchiere preferendo una bevanda più soft, magari un tè caldo accompagnato da tramezzini al cetriolo. Poi magari avrebbe chiesto il giornale del giorno, ed enfatizzando l’accento inglese –che non aveva, perché era un fuckin irlandese- avrebbe commentato il tempo insieme ad Icesprite: «un pou freddinou, non tvouva?» Alzò le sopracciglia e scosse la testa, mortificato alla sola idea, cercando di scacciare quell’immagine dalla sua mente. Il giorno in cui avesse cominciato a bere del tè senza prima correggerlo con qualcosa di molto, molto forte, allora i suoi nemici avrebbero vinto. Sarebbe stato già morto, morto dentro. «damian icesprite, so che sei un uomo di parola» ammise, con un tono più serio rispetto alla conversazione avuta precedentemente. La voce più bassa, come stesse per confidargli un segreto o ammettendo i suoi peccati davanti a Dio o chi per esso. Lasciò il bicchiere ormai vuoto sul tavolo, poggiando i gomiti sul legno; quindi intrecciò le dita fra loro, posandovi sopra un affaticato, triste, e vecchio mento. «e mi aspetto che tu la mantenga anche questa volta, parola di lupetto se necessario» di nuovo una serietà languida che lasciava presagire parole oscure e potenti, una rivelazione che avrebbe cambiato il mondo così com’erano abituati a conoscerlo. «fra un anno, un anno esatto, alla stessa ora di oggi, ci ritroveremo nuovamente qui, e tu prenderai del whisky. Ti do trecentosessantacinque giorni per prepararti psicologicamente a questo, spero ti possano bastare. Fino ad allora…» Lanciò qualche moneta sul tavolo, trascinando la sedia sul pavimento. Si alzò, lanciando un’occhiata al collega ancora seduto, un’ombra di malizioso divertimento sulle labbra. «non bere senza di me, Icesprite. Callaway non dimentica Anje non perdona»

    Un anno dopo



    Potrei annoiarvi raccontandovi cos’ha fatto Liam Callaway durante l’anno; potrei narrarvi dei disagi dati dalla presenza frustrante di Ikea, degli incontri scontri con le persone della sua vita, dei sicari mandati a farli il culo a cui lui l’aveva spaccato, quasi letteralmente, senza mezzi termini. Potrei raccontarvi di come Liam si era svegliato incazzato perché aveva finito le sigarette, e di come il sorriso fosse sorto spontaneo notando che Big Nana, come sempre, aveva preceduto i suoi desideri lasciandogliene un pacchetto sul tavolo.
    Ma non lo farò, perché a Liam Callaway non frega un cazzo che voi lo sappiate o meno. Quando, e se, vorrà rendervi partecipi della sua vita, sarete i primi saperlo.
    Spalancò la porta del locale come se quel bar, o pub che fosse, gli era ancora oscuro, gli appartenesse. Indossava un paio di jeans scuri, una semplice camicia bianca dal colletto allentato e le maniche ripiegate fino al gomito, le bretelle lasciate ciondolare svogliatamente ai lati delle gambe. Perché facevano figo, si, ma non quando indossate: se avesse voluto apparire paraplegico, avrebbe assunto l’aspetto di Aloysius, o di Crowley. Quanto amava i suoi all’incirca colleghi. Salutò con un cenno i presenti, dando per scontato che ciascuno di loro lo stesse attendendo con trepidazione (ovvio che era così, non lo mise proprio in dubbio), quindi con passio sciolto si appropinquò verso il bancone. Se non si fosse trattato di Liam, avrebbe pensato che il barista, alzando gli occhi al cielo, stesse pregando Dio perché Callaway portasse via le palle il prima possibile, già ammorbato dalla sua presenza; invece era Liam, quindi per il bene di entrambi, ma soprattutto del barista, decise di interpretarlo come un ringraziamento verso il cielo che anche quel giorno avesse scelto di portare il proprio meraviglioso culo da loro, anziché in qualsiasi altro pub di Quo Vadis. Magnanimo, il Callaway, a donare la sua presenza a quei tre stronzi. Era cosa buona e giusta che lo ricordassero, aveva ucciso per molto meno.
    Davvero, molto, ma molto meno.
    «Boooob» Esordì, lascivo, sorridendo mentre riponeva gli occhiali da sole nel taschino della camicia. «mi chiamo Trevor» Liam lo liquidò con un gesto annoiato della mano, poggiando i gomiti sul bancone in modo da poter avvicinare il proprio volto a quello baffuto, e poco amichevole, di Bob. «hai la faccia da bob» spiegò, come fosse la cosa più semplice del mondo, senza neanche preoccuparsi di celare la prima nota di fastidio nella propria voce. Non comprendeva perché gli esseri umani si sentissero sempre in dovere di specificare, quasi scandire, il loro vero nome di battesimo. Gliel’aveva forse chiesto? No. E quello, di suo, avrebbe dovuto bastare per farli rendere conto che non gliene poteva fregare un cazzo di meno. Cosa? Avrebbe dovuto sviluppare una sorta di empatia, o almeno simpatia, verso gli altri proprietari, dato che anche lui aveva un locale tutto suo? No. Lui non si era fatto carico del Lilum, come quella manica di poveracci, per arrancare fino alla fine del mese con quello sputo di stipendio che riuscivano a trattenere dalle tasse esorbitanti. Se Liam Callaway aveva preso il Lilum in gestione, era solo perché l’aveva ritenuto un luogo pieno di potenzialità, ricco di seducente fascino: vi ricorda qualcuno, eh? Sì, per Liam il Lilum era la versione di sé stesso fatta business. Prostituirsi era mainstream, anche perché nessuno (a parte forse Leroy Jenkins) avrebbe avuto abbastanza soldi per permettersi una notte, ma anche solo un’ora, con Liam. Era generoso da parte sua offrire il proprio tempo gratuitamente, facendo invece pagare le ore spese al Lilum, di certo più alla mano per le tasche di chiunque. «dov’è il mio tavolo?» inutile specificare che non aveva prenotato, quando mai ne aveva avuto bisogno? Se il locale fosse stato pieno, sarebbe stato negli interessi di chiunque, ma soprattutto degli occupanti, liberarlo per lui e per i suoi amici. Era perfino superfluo specificarlo ormai, di fatti non fu necessario dire altro: Bob, continuando ad asciugare un bicchiere già lindo, gli indicò con un cenno del capo un tavolo lontano dalla plebaglia, proprio come piaceva a Liam. Gli sorrise sornione, dandogli una pacca sulla spalla abbastanza forte da farlo sussultare, quindi rivolse la propria attenzione al luogo indicato dal barista. Prese posto alla sedia che dava le spalle al muro, così da essere certo di avere la schiena coperta (lo so, Liam sembra un cazzone, ma non era un Consigliere solo perché gli piaceva rimanere seduto e delegare il lavoro agli altri quando lui non ne aveva voglia: sapeva che qualcuno lo voleva morto, e cercava di dargli il minor numero di appigli possibili), quindi estrasse una sigaretta dal pacchetto e l’accese, incurante dei cartelli riguardo il divieto di fumare. Era il migliore amico di Aaron Sales, nonché il padre per caso di una figlia che si erano ritrovati a condividere, e stava attendendo Damian Icesprite, il Viceministro. Non è che fosse raccomandato, eh… Ma sì, era raccomandato. Ma era meraviglioso ed affabile, quindi contava che nessuno avesse qualcosa da ridire riguardo il suo comportamento poco rispettoso, o decoroso che fosse.
    Anzi, era certo che nessuno avesse nulla da ridire, se voleva arrivare a vedere l’alba del giorno dopo. Minaccioso? Nient’affatto, solo realista.

    - sorry dear, i'm allergic to bullsh*t - code by ms. atelophobia
     
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10 replies since 8/3/2015, 01:38   520 views
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