Accident at work

x Dakity Vyne (u.u)

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  1. .Ila
         
     
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    mangiamorte • 26 • ex-slyth • prof di volo
    hanna ilary italie
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    « amicizia è solo una parola, ma fedeltà è una parola vana »
    Sveglia, doccia, vestiti, colazione, lezione, lezione, lezione, lezione, pranzo, lezione, lezione, lezione, lezione e lezione.
    La vita di Ilary Italie era diventata monotona: dentro Ilary era come assopita in un sonno eterno, fuori era una Mangiamorte devota, professoressa severa e giornalista in incognito. Addormentata in che senso? Nel senso che Ilary era morta. Non riusciva proprio a capire cosa fare, cosa pensare della sua vita. Aveva pensato di suicidarsi? Ma sì, nessuno avrebbe rimpianto la sua sparizione, eppure era una sfida con se stessa: doveva dimostrarsi che riusciva a resistere. Sparire, emigrare? Ma sì, poi nessuno l'avrebbe cercata, eppure allontanarsi significava perdere un tetto stabile e un lavoro.
    Meglio di no, aveva concluso: rimanere e non farsi domande, essere una mente vuota che fa quello che sente e che ha imparato dalla doppia Emme. Non che fosse difficile: ogni singolo precetto che aveva ricevuto era della doppia Emme.
    Gli unici momenti di liberazione da quella prigionia involontaria erano quando giocava con i suoi animaletti. E null'altro. Anzi no. Un'altra cosa la aiutava di più: parlare con Tristan. Peccato che lui rifuggisse la sua compagnia. Chissà per quale assurdo motivo.
    Alla fine Ilary aveva ceduto e aveva provveduto a non andare mai in Infermeria se non quando era strettamente necessario, anche se in cuor suo ovviamente sperava di poter rivedere il biondo per sfogarsi con lui e capire che la cattiva non era lei, ma il mondo che la circondava e la assediava ogni santo secondo con i suoi assurdi ideali.
    Il Fato volle che l'unica volta che andò in Infermeria fu proprio quando Tristan non c'era.

    Era una semplice lezione pomeridiana. L'ultima della giornata, per l'esattezza. Ilary stava recitando date e avvenimenti sull'evoluzione della fabbrica della Nimbus, quando due cretini Ravenclaw ebbero la bella idea di non stare a sentire la loro professoressa sexy e andare nel magazzino delle scope.
    Ilary non se ne accorse, impegnata a fare lezione: i due presero una scopa danneggiata che volò proprio dove non volevano. Chissà che intenzioni avevano di fare, diamine.
    Fatto sta che la scopa si diresse proprio verso Ilary, dandole un sonoro e doloroso “pugno” proprio sulla colonna vertebrale. Essendo l'unico ostacolo nel suo volo, la scopa s'imbizzarrì e, con la sua stecca, le colpì ripetutamente le caviglie. Ilary, per la sorpresa, non poté reagire, ma soltanto cadere rovinosamente, con una smorfia di dolore acuto.
    Un Slytherin ebbe l'intelligenza di lanciare un Bombarda alla scopa che scoppiò in polvere e cenere che si riversarono sulla professoressa di Volo.
    «MALFOY, per la miseria!». Niente. Quel custode non si vedeva da nessuna parte. Sentì delle risate. Intollerabile. Intollerabile. In preda all'ira, urlò «5 punti in meno a testa a tutti voi che avete osato ridere e altri 20 in meno a testa a chi ha combinato sto scherzo!».
    Già si sentiva la grande quantità di pietre preziose scivolare nelle clessidre per ridurne drasticamente la capienza. Ma il motivo era del tutto legittimo: offesa a personale del corpo docente, punibile come tortura. Quello che i due avevano fatto era ancora peggio.
    Ilary notò due ragazzi scappare a gambe levate. Capì che erano stati loro. Urlò: «Voi due in sala torture!». Guardò furente la scolaresca che guardava intimidita la professoressa gemente dolore sdraiata a un lato, sul prato del Campo. «Mocciosi, qualcuno mi aiuti!».
    Fortunatamente, un ragazzo dai capelli color della barbabietola la aiutò ad alzarsi e la sorresse, portandola in Infermeria. Ilary sperò ci fosse Trist.
    E invece no. Fato maligno.
    Guardò il ragazzo come se fosse tutta colpa sua mentre la aiutava a sedersi in una delle barelle. «Ti chiami Vyne, giusto?». Lo guardò torvo, poi si guardò le caviglie. Il dolore alla schiena era nulla, in confronto a come le erano state ridotte le caviglie: piene di lividi e gonfie, non riusciva ad appoggiarsi con i piedi. «Va' a chiamare Rosier. Adesso».
    Se avesse potuto, ne sarebbe andata a medicarsi da sola, era una misantropa, ma data la situazione non poteva permetterselo. Non sapeva, poi, cosa fare, non sapeva cosa fossero quei lividi. Era in preda all'ira, non sapeva ragionare.
    winston,©


    Lo so, il post fa schifo, ma non ho saputo fare nulla di meglio ç__ç Cercherò di rifarmi! <3
     
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    Dakota Wayne
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    A man who won't die for something is not fit to live
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    Diciamoci la verità: Dakota faceva davvero schifo a volo.
    Sapeva restare svolazzante a mezz’aria, e non aveva dei riflessi così pietosi, ma la sua coordinazione occhio mano (e gambe braccia busto caviglie qualsiasi parte del corpo, insomma) non era molto buona. Diciamo pessima.
    C’era stato un periodo in cui probabilmente stare su un manico di scopa gli piaceva e lo affascinava, quando era bambino e suo padre gli insegnava l’arte (o scienza?) del volo nonostante alla madre avrebbe fatto rizzare i capelli; allora padre e figlio stavano anche ore nel giardinetto dietro casa, protetto con i dovuti incanti per nasconderlo dagli sguardi babbani, ad allenarsi a far alzare il bimbo di pochi centrimetri in volo. “Quando andrai a Hogwarts, sarai il primo della classe”, gli diceva... ma poi il tempo era passato, suo padre era diventato una specie di ameba dopo la tortura subita, e per Dakota il volo aveva perso ogni appetibilità. Non sarebbe stata una bella professoressa a fargliela tornare.
    Che poi, spiegare volo in lezioni teoriche, era come spiegare scienze senza esperimenti (Dakota era piuttosto convinto che nelle scuole babbane la scienza fosse sacra, visto che sostituiva la magia, e la onorassero come una divinità facendo solo cose pratiche; sciocco). Infatti al momento era leggermente distratto, propenso più ad ammirare il cielo che ad ascoltare; avrebbe dovuto seguire la lezione: la teoria era la sua unica possibilità di non passare l’anno con dei voti schifosi in volo, ma davvero non ne aveva voglia. Si era alzato presto la mattina per andare a fare una specie di turno in infermeria (diciamo lezioni extra che doveva autoimporsi se voleva che Tristan non lo scacciasse in quanto palla al piede), ed era ancora stanco.
    Si svegliò solamente quando due scope imbizzarrite, con dei disgraziati cavalieri, finirono addosso alla professoressa Italie.
    Fu talmente improvviso, che Dakota rimase spiazzato qualche secondo, senza sapere bene se ridere o correre in aiuto della donna. I suoi compagni, quelli non direttamente collegati al misfatto, sembravano starsela spassando per la maggior parte, ridendo della professoressa a faccia in giù nel fango che sbraitava e («Voi due, in sala torture!»; Dakota sussultò) mandava gli artefici dello scherzo nei sotterranei. Era per questo che il rosso non cercava mai di fare niente di troppo eclatante, per quanto possibile: la punizione era sempre più terribile del danno commesso.
    Si riscosse dal guardare la schiena dei due fuggiaschi (due semplici ragazzi troppo iperattivi, suoi compagni e coetanei che entro poche ore sarebbero stati ricoperti di graffi, lividi, sangue) solo quando Italie chiese aiuto.
    Dakota non se lo fece ripetere, ma si sporse per tendere la mano sorridendo timidamente. Nessuno dei suoi compagni avrebbe voluto aiutarla, stare da solo con lei e rischiare chissà quale altra punizione, ma Dakota non se la sentiva di lasciare la patata bollente a qualcun altro, e l’infermeria era il suo regno; poteva aiutarla, anche se era cattiva e insensata nelle punizioni. Se lo meritava come chiuqneu altro.
    «Posso accompagnarla io in infermeria; sono assistente del dr. Rosier». Assistente forse era una parola grossa, ma ufficialmente era quello il nome del suo ruolo, e a lui piaceva presentarsi così. Assistente del dr. Rosier. Era come essere la spalla di un supereroe figo, colui che aiuta nella lotta contro i cattivi e che sacrificherebbe la vita per salvare quella del “capo”, morirebbe fra le sue braccia dicendo qualcosa di molto toccante (...forse Dakota aveva preso un prestito un fumetto dal cugino Gerald e si stava facendo una cultura, e allora?)
    Allungò un braccio per Italie, dando una leggera occhiata a dove la donna era stata colpita con sguardo critico. A giudicare da come lei si muoveva e posava il peso, e dai lividi, poteva essersi slogata una caviglia, forse con microfrattura.
    Dakota la accompagnò per il castello in silenzio, con la paura che dicendo la cosa sbagliata, la professoressa avrebbe potuto arrabbiarsi, e allo stesso tempo impegnato a pensare a cosa fare per aiutarla una volta arrivati. In infermeria salutò i visi conosciuti che erano stati ricoverati, sorridendo a tutti e chiedendo come andasse ignorando gli sguardi curiosi rivolti alla professoressa, e la aiutò a salire su un lettino («Ti chiami Vyne, giusto?» In fondo, perchè ricordarsi il nome di uno studente che segui da anni? «Veramente Wayne, signora»), e accolse solo leggermente seccato il suo “«Va' a chiamare Rosier. Adesso».”
    «Prego», sussurrò alzando gli occhi al cielo, ma fece come gli era stato richiesto; non è che gli dispiacesse lasciar fare a lui e vederlo a metà pomeriggio.
    Si piantò davanti alla porta dell’ufficio dell’uomo, pronto a bussare, e si fermò solo quando vide il bigliettino. “Torno subito”, scritto chiaramente da Tristan. Dakota mise un secondo il broncio (neanche quella gli era andata bene), e tornò indietro ad avvisare la donna.
    «Rosier non è qui adesso, ma posso aiutarla io per il pronto soccorso; a occhio direi che ha solo una slogatura. Mi dia solo un attimo... lei nel mentre, si tolga pure le scarpe»
    Andò a frugare nelle ante dei mobili epoi nel magazzino, alla ricerca di due o tre pozioni e erbe che avrebbero potuto aiutare Italie, e passò anche dal freezer per recuperare una borsa del ghiaccio.
    Poi poggiò tutto accanto sul comodino accanto al letto. Tirò fuori la bacchetta e la alzò in aria.
    «Posso? Controllo solo che non ci siano fratture interne, ci vorranno un paio di secondi». Con l’altra mano prese poi un antidolorifico, e glielo porse. «Per il dolore. La intontirà un po’, quindi scelta lei se prenderlo subito o dopo»
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  3. .Ila
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    mangiamorte • 26 • ex-slyth • prof di volo
    hanna ilary italie
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    « amicizia è solo una parola, ma fedeltà è una parola vana »
    “Veramente Wayne, signora”. Sbuffai. Era lo stesso. Dopo due secondi già lo avevo dimenticato. Non ci sapevo fare con i nomi degli studenti. Erano troppi e difficili da ricordare. Poi, il fatto che non avessi stretto con nessuno alcun tipo di relazione rendeva tutto più difficile. «Meglio professoressa, non sono così vecchia», dissi con tono neutro e sguardo imbronciato.
    Vyne... no, era... Vino... no ok: Pane e Vino, lo chiamo Pane e Vino, Pane e Vino si allontanò a cercare Tristan, notai il lui una certa sfumatura stizzita. Non me ne fregava niente, io volevo Tristan. Avevo bisogno di parlargli. Appena Pane e Vino ritornò, disse: “Rosier non è qui adesso, ma posso aiutarla io per il pronto soccorso; a occhio direi che ha solo una slogatura. Mi dia solo un attimo... lei nel mentre, si tolga pure le scarpe”. Già alle parole ‘pronto soccorso’ mi ero alzata, incavolata con lui, Tristan e il mondo, ma caddi a terra, mal sopportando il dolore alle caviglia. «Faccio.io.», gli dissi guardandolo male.
    Mi alzai poggiandomi con le mani, sedendomi nuovamente sul lettino. Quella sottospecie di infermiere prese la bacchetta chiedendo: “Posso? Controllo solo che non ci siano fratture interne, ci vorranno un paio di secondi. Per il dolore. La intontirà un po’, quindi scelta lei se prenderlo subito o dopo” aggiunse poi facendomi vedere l'antidolorifico.
    Bruscamente, risposi: «Avere il tumore sarebbe mille volte meglio che vivere in questo schifoso mondo». Mi guardai meglio attorno e notai due stampelle messe ai piedi del letto. Dovevo andarmene da lì, avevo un impellente desiderio di uccidermi, morire. Presi le stampelle chinandomi e mi alzai dal letto aiutandomi con quei cosi di ferro. Sospirai guardando il ragazzo e scuotendo la testa: «Appena vedi Tristan, digli che la colpa è anche sua. Capirà». Stavo per uscire dall'Infermeria, con le caviglie doloranti, ma mi fermai pensandoci su. Mi voltai verso il rosso con sguardo pensoso. «Anzi...», la mia mente escogitò un piano diabolico. Sorrisi. «Digli... Digli che la professoressa Italie lo saluta. E basta». Voltandomi, lo salutai. «Ci vediamo, Pane e Vino. E grazie, scusami!».
    Corsi come una pazza per le scale del castello, rischiando più volte di inciampare. Alla fine entrai nelle Serre di Erbologia -fortuna che non c'era lezione- e usai quella scorciatoia per arrivare al Campo di Quidditch. Tutti se n'erano andati. Meglio. Dal Campo, presi il corridoio più piccolo che portava verso le scale dei sotterranei di Hogwarts, molto lontani dai sotterranei di pozioni o degli Slytherin. Appena imboccai il corridoio.. Ecco il mio ufficio, a sinistra. Vi entrai e chiusi la porta a chiave.
    Mi sedetti sulla poltrona, mentre i miei die animaletti saltarono sulle mie gambe. Io, accarezzandoli, pensavo al mio suicidio.
    Con occhi luccicanti, pensai e giurai che l'avrei fatto davvero. «Mi ucciderò... E, come una fenice, risorgerò dalle mie ceneri».
    I tratti del mio corpo si modificarono. Ilary dal prossimo anno scolastico non sarebbe esistita più.
    Sarebbe stata solo Irina Joanna Kowalski.
    Ghignai.
    winston,©


    Giurogiurogiurogiuro che il post d'apertura della nostra prossima role sarà più bello, scuuuusa ♥
     
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2 replies since 28/8/2014, 15:57   200 views
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