(sandi colpisce ancora, quattro anni di seguito. Il vero match oblinder siamo noi *high five*)
E pensare che di solito era Theo quello molesto, che urlava già di prima mattina e rincoglioniva tutti di chiacchiere (quando si svegliava col piede giusto, ovviamente; altrimenti teneva il broncio fino a mezzogiorno e perlopiù comunicava a versi e ringhi).
Invece no, quella volta erano le sue orecchie ad essere violentate.
Terribile.
Ma poteva urlare più forte di Kaz.
E lo avrebbe fatto.
«AAAAAAAAAAA»
«OOOOOOOOOOOOH»
Ebbe anche quasi l’istinto di schiaffeggiarlo con la mano che l’altro aveva preso in ostaggio, ma non lo fece. Invece, assottigliò le palpebre e gli riservò un’occhiata truce. «così ora hai detto a tutto l’hotel, e a tutta la regione, che siamo svegli, bravo.» un frontino, però, quello non si trattenne dal rifilarlo al compagno, palmo ben aperto a picchiare contro la fronte del collega ribelle e un verso che somigliava vagamente ad un che razza di rinco a sfuggire dalle labbra del grifondoro.
«tHeO?!»
«eh. in carne ed ossa.»
«non hai il mio consenso per toccarmi»
Allora.
Stava proprio cercando una scusa per farsi picchiare? Era così? Beh, Theo l’avrebbe accontentato: gli aveva fatto il culo in sala addestramenti un sacco di volte, poteva replicare quando voleva.
«ma chi ti tocca.» offeso, mortalmente offeso. «e spaccarti la faccia non vale come toccarti.» borbottò più a bassa voce, alzandosi e tentando di portarsi dietro l’Oh solo per dispetto.
«sarebbe strano, sai? Giochiamo a quidditch insieme. Poi l’altra – storia»
«quale altra storia.»
COSA STAVA INSINUANDO.
«però il nostro nome ship sarebbe tho. Onestamente?»
Ship? SHIP?
Ecco, lo sapeva: li avevano sgamati e ora tutti sapevano di lui e Paris e parlavano alle sue spalle e— «hai una cotta per me?? puoi dirmelo, eh»
hhh.
«la pianti di dire scemenze?!» oh. mio. dio.
(E quello era il migliore amico di sua mamma?!?!) (Sì, ed era bellissimo così, slay kazzino) (Menomale che Theo non sa nulla di tutto ciò.)
«senti, parliamo di cose serie–»
«lo faresti? sarò onesto con te: non penso ci riusciresti»
Non doveva dirlo.
Non doveva proprio dirlo.
«mi stai sfidando?!» ed era già pronto a caricarsi l’Oh in spalla solo per dimostrare che potesse farlo, e dargli contro: non gli importava che fosse alto una torre di hogwarts e mezza, Theo aveva il proprio orgoglio da difendere. E invece: «in quale trope ci sto sognando»
«uh?» il Kayne si divincolò dalla presa (che, doveva ammetterlo, era stata più complicata del previsto: farlo con un braccio legato a quello di Kaz era: difficile. ci avrebbe riprovato in un secondo momento.) «non stai sognando.» e per dimostrarglielo, gli tirò un pugno sulla spalla — più forte di quel che avrebbe dovuto, ma molto più leggere di quello che avrebbe potuto, quindi insomma. «se sveglio. ma a questo punto immagino sia… boh, un test? una prova? sai…» si strinse nelle spalle, e gesticolò senza senso per cercare di spiegarsi, «magari… la hatford………..» silenzio lungo una vita, perché Theo non sapeva come altro spiegarsi senza dire troppo: doveva sempre partire dal presupposto che qualcuno lo stesse guardando e/o ascoltando, ma non era mai stato troppo bravo a camminare nelle sfumature, lui, o a stare nelle zone grigie. Come spesso sottolineato, era più bravo con i fatti che non con le parole. «magari vogliono vedere chi fa il culo all’altro? chi riesce a liberarsi per primo?»
In tutto ciò, non aveva ancora capito che fosse il quattordici febbraio.
Sperava di non capirlo mai.