Votes taken by hold on to me.

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    NOME COGNOME PG
    he's a pirate
    hans zimmer
    papa parapapa parapapaparapa
    papa parapapa parapapaparara
    parapapa
    parapapapa
    PAPAPARAPA PARAPA PARARA
    La cosa bella delle role improvvisate è che non c’è bisogno di elaborare, perché qui ci sarebbe molto da elaborare considerato che è da prima della quest che non elaboro proprio niente, come se niente fosse successo e nulla fosse cambiato.
    Ebbene, mettiamola così, anche Holden non aveva elaborato proprio niente da quel maledetto mese di maggio; si era chiuso in casa, perlopiù, si era messo in malattia – ma poi aveva dovuto tornare a lavoro a un certo punto perché non poteva essere depresso e anche dormire sotto i ponti, c’era un limite a tutto –, e a un certo punto imprecisato in tutti quei mesi poi aveva anche lasciato entrare Ethan (non nel suo culo, o forse sì, chissà? Intendevo nella sua anima, comunque), magari un po’ di pratica con i draghi l’aveva davvero fatta per esercitarsi perché spoiler alert (visto che non l’ho mai segnato nell’apposita sezione) in tutto ciò era diventato un fucking pirocineta da almeno un paio di mesi.
    Come l’aveva presa? Abbiamo detto che non elaboreremo perché queste non sono le sedi opportune, non c’è abbastanza tempo e nemmeno abbastanza volontà di affrontare la drammaticità che quel cambiamento comportava, diremo solo che il Collins leggeva tutta la posta che gli arrivava come aveva sempre fatto – un po’ deadpan e senza davvero provare profonde emozioni, ma questo era solo Holden in a nutshell –, ma ora spesso gli capitava che mentre leggeva, come una Bloom qualsiasi, i suoi poteri si attivassero inconsciamente e desse fuoco a tutto.
    Banalmente, era proprio quello che era successo con quella lettera. A un certo punto della lettura, la lettera puff aveva semplicemente preso fuoco, e allora era riuscito a scorrere solo velocemente con lo sguardo sulla pergamena per leggere frammenti di parole quali pirat-, pappag-, cors-, man-. Ora, certo che tutte quelle parole potevano significare piratare pappagallesche corse con mandarini, ma Holden era uno scrittore e lui aveva lasciato che gli ingranaggi nella sua testa cominciassero a elaborare, elaborare, elaborare, fino a che il finale possibile di quelle parole spezzate a metà diventasse *indice di doctor strange* (so che roberta sarà veloce a trovare l’immagine giusta) uno.
    Avrebbe potuto ignorare quell’invito, e in circostanze normali l’avrebbe decisamente fatto, ma in quei nove mesi di chiusa totale aveva avuto davvero bisogno di qualcosa che lo rendesse di nuovo vivo, qualcosa di ignoto che lo facesse di nuovo appassionare alla vita e tutte quelle cose lì (a parte Ethan, scusa Ethan), e quando uno scrittore aveva il blocco dello scrittore cos’è che faceva? Si dava ai videogiochi, esatto, ed era proprio quello che aveva fatto il Collins! E quindi, e quindi… e quindi era andato anche da un sarto importante lì a Londra, famoso soprattutto nel giro delle recite delle scuole elementari, e aveva anche speso parecchi soldi per essere il più credibile possibile – era un vestito complesso, un po’ strano, indubbiamente unico nel suo genere, ma che Holden Collins indossò con fierezza il giorno dell’incontro.

    Non era affatto come lo immaginava, c’è da dirlo, e soprattutto nessuno sembrava aver seguito la regola di presentarsi in cosplay, e poi che ci faceva lì Al a vibare su quella canzone dal dubbio gusto? Non poteva mica avvicinarglisi e chiederglielo, quindi piuttosto si avvicinò all’uomo dietro al carretto delle salsicce «mi scusi il disturbo ma questo non è il raduno di Corsare Lesbiche e il povero signore, giustamente, lo guardò come una nonna guarda il nipote parlare con il linguaggio di tiktok, quindi Holden provò a spiegarsi meglio «Corsare Lesbiche, il gioco di ruolo, quello sui pirati che vengono uccisi dalle piratesse, guardi, io sono l’ex Capitan Fools, il capitano pappagallo mannaro…» gli mostrò il suo accuratissimo vestito, metà con vestiti da pirata e metà da pappagallo, ma il venditore di salsicce gli sembrò ancora più confuso, forse un po’ spaventato, quindi sospirò «no eh? Era uno scam eh? Vabbè» almeno era uscito di casa dai, una vittoria!!! (come quella di alessia di finire il censimento, nessuno ci avrebbe mai creduto e invece eccoci qui amici)
    pappagalloMannaro_93
    arrrr

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    i see it, i like it, i want it, i got it
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    prima che possiate dire qualsiasi cosa:
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    I can't take this anymore
    Concedetemi un minuto di silenzio e statemi vicina sto soffrendo molto



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    <span class="pv-m">Jannik Schümann</span> dominic cavendish[URL=https://oblivion-hp-gdr.forumcommunity.net/?t=61606456][color=#124072] scheda pg[/color][/URL]
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    i want your ice cream, what are you waiting for?
    when & where
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    Holden non aveva davvero grandi amici che potesse ritenere al pari o addirittura al di sopra di una famiglia – non li aveva mai avuti, in verità, e dopotutto era finito per innamorarsi del suo migliore amico e poi per rovinare tutto, quindi da una parte pensava fosse meglio così. Sin da bambino era sempre stato un tipo riservato e abbastanza selettivo, un solitario (non di carte.) in poche parole, e non aveva mai sentito la mancanza di qualcuno al suo fianco, il bisogno o la necessità di appartenere a un grande gruppo, o addirittura l’urgenza di cambiare se stesso per entrare nelle grazie di qualche amico.
    Aveva delle amicizie però, e anche delle inimicizie – persone che conosceva e di cui si fidava e aveva stima, e persone che conosceva e avrebbe preferito non farlo e quindi fingeva che non esistessero. Simple as this.
    Nelia Hatford rientrava a mani bassi nella prima categoria, e forse era anche uno dei pochi casi per cui Holden aveva pensato che essere più estroverso e amichevole – soprattutto negli anni della scuola – sarebbe stato carino alla fine, e che avere un rapporto più stretto con la Tassorosso sarebbe stato interessante e gli sarebbe piaciuto. Ma le cose non erano andate così, lui aveva scelto di confidarsi quasi esclusivamente con la scrittura, e aveva mantenuto il suo ristretto circolo di affetti; ma l'intuito e l'istinto non mentivano mai, e l'ex grifondoro un terreno comune – anche piuttosto solido e rilevante – con la Hartford l'aveva trovato comunque, e al Quartier Generale tra un allenamento e una riunione, avevano imparato a conoscersi un po' meglio. Anche per questo – oltre alla sua naturale tensione all’essere cacacazzo™ – Holden sentiva di poter essere un po’ più se stesso, e quindi lamentarsi senza ritegno, mettere il muso per un po’ di panna sul gelato, e permettersi addirittura di scherzare facendole il verso – questo era il livello più alto di sarcasmo a cui si poteva ambire con Holden, quindi era già moltissimo. Essere onesto e diretto non era tra le sue migliori skills, di solito era enigmatico e cervellotico, e basava le sue opinioni su accurati e tediosi studi letterari e filosofici, ma con Nelia si permise di essere schietto senza alcuna remora.
    Affondò la palettina nel gelato finalmente ripulito dalla panna e poi rise incredulo e un po' divertito «stai valutando l’offerta?» ripeté strabuzzando un po' gli occhi e concedendosi ancora una risata, mentre si rinfrescava il palato tra una cucchiaiata e l'altra. «andiamo, Nelia, mi aspettavo un approccio più pragmatico da parte tua» spostò per un attimo l’attenzione della coppetta che aveva tra le mani all’ex tassorosso, quindi fece spallucce «è un’opportunità troppo grande, non è neanche una “scelta difficile”, non capisco perché ci stai pensando così tanto; pensarci una volta avrebbe già significato averci pensato fin troppo» non gli piaceva entrare nel merito delle questioni altrui; proprio per via della sua natura incredibilmente riservata, teneva particolarmente a preservare i propri spazi e la propria indipendenza, e per questo cercava sempre di assicurarsi di non trapassare il limite di quello spazio anche con le altre persone, di non impicciarsi mai troppo nei loro affari e di non chiedere mai spiegazioni che non fossero state già hintate. Quindi, non si azzardò ad allungare la mano verso la compagna ribelle per consultare con i propri occhi la dettagliata lista dei pro e dei contro – sebbene fosse molto curioso di sapere cosa figurasse nella colonna dei contro da spaventarla così tanto, anche se qualche idea se l’era già fatta – ma fu comunque completamente sincero, e parlò sia da amico che da ribelle; i consigli delle due figure interpretate contemporaneamente dallo stesso Collins combaciavano perfettamente.
    Si strinse nelle spalle e alzò un sopracciglio in sua direzione con fare severo e compunto, ma quando tornò a prestare attenzione al suo gelato nascose un sorriso divertito e alla fine le rivolse uno sguardo falsamente risentito, ma pur sempre convinto delle sue idee «scegliere il gelato, questa sì che è una scelta difficile perché il gusto sbagliato potrebbe rovinarti l’intera giornata» sempre questo tono catastrofico e drammatico, pietanza tipica made in Holden Collins «accettare un’offerta di lavoro irripetibile non direi» questa volta fu lui a puntarle la palettina contro con fare certo e un po' saccente prima di affondarla nuovamente nella sua coppetta colma di gelato, con la fretta di mangiarlo prima che questo si sciogliesse – perché quei cosi avevano praticamente la stessa autonomia di un iPhone, qualche minuto e diventavano inutili.
    «Distruggerei i sogni di tutti i primini, sai che è così.»
    Si concesse di nuovo una risata e si strinse nelle spalle «non vedo quale sia il problema, distruggi anche i miei di sogni con i tuoi allenamenti, perché avere pietà di un gruppetto di mocciosi?» e non stava neanche scherzando, Holden, ma era perfettamente serio mentre parlava e dimostrava di non avere alcuna pietà per il destino dei futuri studenti rammolliti di Hogwarts «ci sono tante cose che si possono ritorcere contro di noi, Nelia» parlò con tono calmo e sicuro come se stesse commentando il caldo afoso di quei giorni; dopo tanti anni di militanza avevano imparato bene come comportarsi in pubblico, come non sembrare sospetti e soprattutto come non destare inutili sospetti «questa mi sembra solo una cosa che potrebbe andare a nostro favore, oltre a essere una grande occasione per te» e ci tenne a sottolineare quell'ultimo punto alzando un sopracciglio in modo eloquente, perché trovava più che giusto essere disposti a fare di tutto per la causa (Geneviève triggered), e lui stesso era il primo a crederci e ad essere pronto a sacrificare qualsiasi cosa; ma Nelia aveva perso già così tanto che suggerirle di essere un po' più egoista era una doverosa raccomandazione personale più che un consiglio da scout. «mi sarei proposto io guarda, ma sai che non so dare calci e che non sopporto i ragazzi quindi... meh, non faceva per me, sei stata anche fortunata che non hai la mia concorrenza» con un pizzico di ironia piuttosto inusuale per chi era abituato a sorbirsi il solito Holden Collins crucciato e frustrato con il giornale stropicciato sotto il braccio – che era comunque la sua versione più diffusa e facile da incontrare, ma evidentemente il gelato doveva averlo messo particolarmente di buonumore, e il fatto di non averlo neanche dovuto scegliere (e quindi di non poter avere rimpianti) era un fattore che aiutava la barra della felicità a diventare ancora più verde.
    «Una scelta del genere ti avrebbe mandato in cortocircuito, ammettilo.»
    Si schiarì la voce e aggrottò la fronte con fare un po' contrito e risentito allo sfottò della Hatford, ma alla fine sorrise consapevole e annuì «e infatti sono felice di non dover prendere nessuna decisione, ma sono il migliore a dare consigli» era vero: predicava bene e razzolava male, che era un'ottima difesa per se stesso ma anche un altro punto da aggiungere alla lista dei pro-Prof (ah ah ah) della Hatford.
    Poi finalmente arrivò la parte preferita di Holden. Non che dare consigli e farsi pulire il gelato non fossero di suo gradimento eh, ma era pur sempre un giornalista e le notizie erano il suo pane quotidiano – anche se forse quel giorno non aveva molto da offrire a Nelia, non del genere di notizie che si aspettava, perlomeno.
    L'ex grifondoro accavallò le gambe e avvicinò leggermente la sedia al tavolo per prepararsi a parlare più a bassa voce, e già da quello il capo degli addestratori avrebbe dovuto capire che non si trattava di semplici notizie di cronaca ma di scoop.
    «temo che l'unica cosa che possa dirti è che a quanto pare qualcuno ha usato la Sala» non c'era bisogno di specificare quale, lei avrebbe capito; anche perché era piuttosto ovvio «per fare cose... sue, piuttosto private ecco, con qualcuno di parecchio rilevante» concluse con un certo smirk all'insù, un po' divertito e un po' provocatorio perché... eh dai anche la Hatford rientrava tra le persone rilevanti che aveva in mente il Collins, e sapevano un po' tutti che la Ptolemy-mania aveva colto anche i più insospettabili al Quartier Generale, quindi era lecito sospettare; la seconda ipotesi che circolava era quella di Al e Mae, ma credeva che loro avessero ancora a cuore la loro dignità per fare una cosa del genere.
    Aveva spillato il tè, ora stava all'altra decidere se partecipare al party o meno.
    Concluse con un sospiro e poggiò la coppetta ormai vuota sul tavolo e annuì soddisfatto «alla fine non è stato per niente male sai, il gelato intendo, hai scelto proprio bene» concesse alla compagna con fare un po' sofferto e riluttante; ammettere che gli altri avevano ragione era sempre un dolore personale che il Collins cercava di evitare. Fece vagare un po' lo sguardo intorno, poi, come se il pensiero gli fosse appena apparso nella mente e non fosse stato il principale motivo di quella passeggiata a Quo Vadis quel giorno (gelato a parte) «per caso te ne intendi anche di guanti di pelle di drago?» una domanda del tutto disinteressata, certo «devo... fare un regalo a una persona» mh, persona «un amico, siamo amici, e insomma volevo fargli questo regalo ma sono» guess what «un po' indeciso» quick everybody act surprised «per caso hai un altro paio d'ore libere?» un paio d'ore per scegliere un regalo?!? Un sequestro di persona, in pratica. Ma sì, se Nelia avesse accettato quell'invito si sarebbe trovata indubbiamente a vagare da un negozio all'altro con un Holden Collins disperato e indeciso fino a quando lei non avrebbe preso in mano la situazione e l'avrebbe costretto a prendere una sola cosa. Divertente eh? «puoi portare tu Sherlock se vuoi» ah allora così cambiava tutto, come poteva rifiutare.
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    la chiudiamo così? vuoi difenderti dall'accusa pesantissima e chiudere tu? non la chiudiamo e continuiamo a ciatellare? YOU PICK! io sono un Holden scusa non so prendere decisioni
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    Spoiler alert, non era andato a Dublino per dare buca a Ethan – sarebbe stato fin troppo crudele anche per lui.
    Era stato sinceramente combattuto su cosa fare e su come comportarsi con il domatore, questo non lo negava affatto: se avesse voluto sobbarcarsi la responsabilità di presentarsi a quell'incontro o se avesse preferito fuggire e nascondersi – ma alla fine rimuginare su certe cose non era servito a niente.
    Pensare spesso era superfluo e controproducente, e Holden l'aveva imparato a sue spese, ma faticava ad accettarlo e a ritenerlo un metodo efficace per condurre una vita sana e coscienziosa; lui pensava, pensava, pensava e pensava ancora e sempre, pensava troppo, e spesso a troppe cose contemporaneamente e troppo velocemente. La colpa non era totalmente sua, comunque: l'ex caposcuola era sempre stato elogiato per essere stato sin da bambino razionale e moderato, ragion per cui aveva sempre pensato che se avesse continuato il trend le cose non sarebbero mai cambiate, che non avrebbe mai sbagliato e che avrebbe continuato a ricevere elogi; ma man mano che cresceva e veniva posto di fronte a scelte via via più difficili si era reso conto che non bastava più l'instintivo buon senso per farlo procedere sulla strada della moderazione, ma aveva bisogno di mettersi a studiare ogni particolare situazione, ponderare a lungo su quale fosse il metodo più adatto per affrontarla e solo allora agire di conseguenza; era stato così per tutti gli anni della scuola, e credeva che fosse stato a tutti gli effetti un successo, ma la verità era che solo arrivato alla soglia dei trent'anni, guardando indietro, Holden si era reso conto che tutto il suo pensare e ripensare era stato inutile e deleterio.
    Restare sospeso nell'indecisione se spedire o meno un manoscritto l'aveva certamente penalizzato, rimuginare troppo sul valore etico di quello che scriveva aveva allontanato sempre di più il suo obbiettivo di fare davvero carriera nel mondo del giornalismo, e indubbiamente pensare e ripensare a cosa fosse giusto nei confronti del minore degli Huxley l'aveva portato a compiere la scelta più sbagliata – una consapevolezza che l'aveva colpito solo recentemente, perché fino a quando Ethan non gli aveva spiattellato dritto in faccia la verità, tutte le sofferenze che gli aveva procurato, Holden era sempre stato convinto della bontà delle sue azioni. Era un concetto semplice e lineare: le sue azioni erano sempre state buone e prive di doppi fini, quindi non potevano portare a nulla di dannoso. La realtà, però, non era un concetto semplice, e anzi tendeva a schivare i concetti e preferire costruire il suo corso sul nudo pragmatismo, spesso crudele – per non dire infame.
    Prendere una decisione non era stato semplice: la testa gli suggeriva di sparire e di non farsi più vedere, ma aveva iniziato a capire che forse la sua testa non funzionava così bene come aveva sempre creduto in tutti quegli anni, che tutti gli elogi che aveva ricevuto per essere una persona coscienziosa fossero infondati, aveva messo in discussione tutte le sue credenze e le sue convinzioni e alla fine aveva agito seguendo il cuore – un sentiero a lui da sempre sconosciuto. Lo spaventava, e forse non era totalmente pronto ad abbandonare del tutto la sua maniacale razionalità, ma poteva almeno accantonarla per un po', riposare la testa e lasciarsi guidare dai suoi sentimenti.
    Avrebbe voluto scrivere tutte queste cose in quella lettera, dare le spiegazioni per ogni suo comportamento, giustificare ogni sua scelta, ma per la prima volta in tanti anni a Holden non interessava dare una ragione, né provare di averla: voleva lasciarsi indietro il passato e lasciarsi la possibilità di sbagliare e di comportarsi irrazionalmente almeno per questa volta.
    Non ricambiò lo sguardo di Ethan, sapeva che i suoi occhi sarebbero stati troppo confusi e ancora troppo feriti per poter rimanere indifferente, quindi sfruttò la presenza di Sherlock per distrarsi e prendere tempo, lasciando lo sguardo fisso sul cucciolo di corgie e stirando le labbra in un sorriso un po’ teso.
    “Sono qui, Holden. Per quanto possa essere difficile, o strano, puoi parlarmi.”, strizzò gli occhi e non rispose; non voleva quello, non voleva affrontare quei discorsi, non ce la faceva in quel momento. Ethan non avrebbe dovuto dirgli quelle cose perché ora il giornalista stava iniziando a ritrattare di nuovo tutte le sue scelte, a incolparsi ancora per tutto quello che era successo, e ancora una volta era assalito da quella terribile voglia di scappare dall’ex concasato. Sapeva che glielo doveva, che l’Huxley lo merita, ma lui non voleva parlargli: Holden aveva iniziato a scrivere da piccolo quando il mondo gli era iniziato a sembrare troppo complicato e la sua lingua non troppo educata per rendergli giustizia, e aveva continuato quando i suoi sentimenti erano iniziati a essere troppi da gestire nel guscio del suo corpo gracilino, e piano piano scrivere era diventato il suo unico modo di essere se stesso. Ethan aveva tutto il diritto di chiedergli di cambiare, ma non poteva farlo: Holden non sarebbe cambiato e non perché non voleva o non voleva provarci ma perché non poteva, non sarebbe stato lui.
    Picchiettò lentamente con le dita sulla busta di carta poggiata sul ripiano di legno e serrò la mascella pensieroso e ancora indeciso sul da farsi; alla fine mosse le dita lentamente per sfilare il pezzo di carta sottile dalla busta e lo spiegò sul tavolo.
    Avrebbe voluto – e potuto – scrivere tante cose in quella lettera, ma alla fine non aveva scritto «niente», mormorò in risposta e solo a quel punto alzò gli occhi verso il viso del minore, costringendosi a sorridere un po’ più convincente, ma sfogando comunque la tensione stringendo forte nel pugno l’estremità del guinzaglio di Sherlock. Il foglio era perlopiù vuoto, sporcato con l’inchiostro solo in un angolino verso la fine con due parole che il domatore di draghi avrebbe trovato molto familiari: «tuo, Holden».
    Piegò l’angolo delle labbra all’insù nel tentativo di rendere quel sorriso un po’ più naturale, ma faticava comunque a nascondere la tensione. Parlare non gli piaceva, avrebbe preferito che Ethan avesse capito da solo, ma ci provò comunque. «non ti scriverò più lettere perché spero di condividere» tutto, ma prese tempo cercando una parola che mettesse meno spavento «i miei pensieri con te» abbassò nuovamente lo sguardo su Sherlock, ormai accoccolato sulle gambe del grifondoro, e annuì con più convinzione «se vorrai, ovviamente» precisò con una certa urgenza, per non rischiare che l’altro fraintendesse e magari si lasciasse spaventare da quella confessione – non lo pensava, comunque, era sempre stato lui a lasciarsi spaventare e frenare da quella prospettiva, ma ci stava provando tantissimo.
    0:58
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    Non lo esternava affatto, ma in realtà il Collins era incredibilmente grato alla Hatford per essere miracolosamente arrivata in suo soccorso perché sapeva perfettamente che altrimenti ci sarebbe stato il rischio che avesse continuato a crogiolarsi nella sua indecisione per ore ed ore prima che decidesse di uscire dalla gelateria sconfitto e a mani vuote, o peggio, prima che fosse la folla inferocita a decidere di farlo uscire dalla gelateria, tagliuzzato a pezzettini e servito in una coppetta di gelato al povero Sherlock altrettanto affamato. Con doppia panna sopra.
    Magari le sue paranoie erano un tantino esagerate, ma se non quello un destino decisamente simile sarebbe stato in serbo per lui. Ciononostante, Holden continuò a sembrare un contrariato ostaggio sotto la presa decisa della ribelle. E che presa! Era l’addestratrice di combattimento non a caso e l’aveva sempre saputo, ma non aveva mai saggiato veramente quanto potesse arrivare a essere pericolosa visto che le uniche lezioni di combattimento che si degnava di seguire al QG erano quelle obbligatorie prima di qualche missione (in quel caso la sua presenza era addirittura volontaria perché nulla smuove più i culi delle persone della paura di essere fatto a fettine dai ministeriali – o peggio, essere arrestati), o quelle a cui era stato trascinato di peso e forzato a partecipare; per il resto, la maggior parte delle volte cercava di svignarsela con qualche scusa del tipo «ho troppo da fare ora» che di solito non funzionava e quindi era costretto a rincarare la dose con «devo assolutamente finire questo pamphlet per Will, è di estrema urgenza» quando il suddetto pamphlet di estrema urgenza per Will non esisteva minimamente. Non era colpa sua dai, non è che non credesse abbastanza alla causa o che non volesse impegnarsi, tutt’altro; certe cose, però, non cambiano mai e il Collins era sempre stato un topo da biblioteca: preferiva esporsi con saggi politici, volantini, facendo propaganda, diffondendo le ingiustizie del governo nei suoi articoli segretissimi sul blog segretissimo dei ribelli. Calci volanti e scazzottate? Non troppo his cup of tea, insomma. E se quello del ribelle non era un lavoro vero e proprio visto che non venivano pagati neanche in caramelle, possiamo comunque dire che la sua fosse un’occupazione onesta, certo illegale, ma pur sempre onesta, e soprattutto un’occupazione che lo aveva saggiamente tenuto lontano dai colpi della Hatford a lungo. Nonostante la sua fortunata ignoranza, non si stupì comunque del tutto nel constatare che la presa di Nelia fosse forte e solida intorno al suo braccio e che nonostante sapesse che la donna non volesse fargli del mal si rivelasse comunque alquanto minacciosa; almeno, pensò con un certo sollievo Holden, se la folla inferocita di clienti del BDE avesse deciso di attaccarlo lui avrebbe avuto la sua “guardia del corpo personale” a difenderlo – a meno che Nelia non avesse deciso di prendere anche lei parte al pestaggio, in quel caso sarebbero stati i fantomatici uccelli senza zucchero, e l’avrebbe anche meritato visto come continuava a comportarsi il Collins con la futura professoressa di corpo a corpo.
    Roteò gli occhi, quindi, un po’ anche per rimanere nel personaggio, e con uno scossone brusco liberò il suo braccio dalla presa della ex tassorosso. «a me non piace la panna» ci tenne a puntualizzare come se quel particolare facesse di lui un edgy man con gusti raffinati e per niente banali. «e comunque ti stavi pulendo su di me» borbottò puntualizzando mentre prendevano posto al tavolino fuori dal locale, ma non aggiunse nient’altro se non particolare attenzione mentre Nelia era occupata nel togliere la panna da una coppetta e trasportarla indenne sull’altra: un’operazione delicatissima che in effetti richiedeva la massima concentrazione e il massimo silenzio – anche perché l’ex grifondoro ci teneva particolarmente alla buona riuscita di quell’intervento, e doveva essere così anche per la ribelle, se non avesse voluto sentire le continue lamentele di Holden. Anche se… «grazie, hai fatto un bel lavoro» le concesse analizzando la coppetta al termine del difficile travaso «che non sarebbe stato necessario se solo mi avressi chiesto se ci volevo o meno la panna, ma okay» aggiunse con una scrollata di spalle. E va bene che il giornalista sapeva essere un vero rompipalle, ma non era così antipatico (non sempre, perlomeno), quindi si lasciò andare a un sorrisino divertito subito dopo e si portò una mano all’altezza del petto, in una confessione sincera e accorata «grazie Nelia, mia salvatrice, ti sono debitore» la accontentò facendole anche un po’ il verso e allargando le labbra, infine, a una risatina divertita.
    Forse ora, sotto il sole cocente di una Diagon Alley estiva, potevano addirittura iniziare a mangiare quel che rimaneva dei loro gelati, quindi Holden affondò la palettina nella coppetta e solo dopo aver assaggiato il primo gusto e aver decretato che poteva mangiarlo, decise di continuare la conversazione, sorvolando accuratamente la parte in cui la fu tassorosso lo salvava dalla folla inferocita, la successiva gratitudine che lui mostrava per lei, e anche l’insegnamento della giornata che il giornalista avrebbe dovuto fare proprio; in soldoni, Holden si concentrò particolarmente su un argomento: «non ancora ufficialmente tra una cucchiaiata e l’altra di gelato alzò gli occhi indagatori verso la mora e si fece più interessato «ma se sono disperati» la carenza di personale valido ad Hogwarts (e in off .) era risaputo da tutti – e infatti guarda un po’ che professori c’erano in quella scuola –, probabilmente il Preside stava pregando Nelia per accettare il posto di insegnante. «quindi» si schiarì la voce e poi accavallò le gambe, nella tipica posizione di chi è pronto ad ascoltare – e stessa cosa sembrò fare anche Sherlock, che si mise seduto in attesa a guardare con attenzione la compagnia del suo padre (o semplicemente aspettava un po’ di gelato, chissà) «perché stai temporeggiando?».
    Dopo un’altra cucchiaiata di gelato alzò le spalle e guardò ancora la Hatford «giacché hai il pomeriggio libero…» libero di confessare tutti i tuoi dubbi all'uomo che non riesce neanche a scegliere il gusto del proprio gelato, pensa te che culo Nelia.
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    no vabbè ho dovuto cercarlo a lungo perché l'avevo COMPLETAMENTE PERSO cioè da più di 6 mesi ma scherziamo ma è vergognoso CHIEDO VENIA ZIA MI VERGOGNO MI PENTO E MI DOLGO DI TUTTI I PECCATI PERDONAMI SE MI ODI LO CAPISCO!!!


    ora posso hyparmi per il blend: OMMIODDIO MA E' BELLISSIMO MA SCHERZIAMO COME HAI FATTO A TENERMELO NASCOSTO PER TUTTO QUESTO TEMPO, LO AMO E' PERFETTO E' COSì GIN!!! sento di non meritarmelo affatto scusa ancora zia giuro che non l'avevo ignorato, l'avevo proprio perso asufhasjfnjasfn
    ma anche se non lo merito corro a metterlo in firma è davvero troppo bello per non farlo . SCUSA ZIA SEI BELLISSIMA E BRAVISSIMA IO E GIN TI AMIAMO :kiss: :cuore:
    (se vorrai fare altri blend, set, o regalini a caso giuro che non me lo perderò questa volta. la butto lì così, giusto per .)
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    But I hope to be worth it
    «non farò lo stronzo» non guardò l’altra in viso, consapevole che lo sguardo che gli avesse dedicato fosse accusatorio ed eloquente, ma tenne gli occhi in basso e giocò con il liquido rimanente nel bicchiere. Era quasi strano essere seduti sul solito sgabellino davanti al bancone del Lilum e parlare sempre delle solite cose, ma questa volta senza l’ausilio di una bevenda alcolica di troppo e la certezza che la mattina successiva non avrebbe avuto un mal di testa lancinante – solo acqua tonica, infatti, quella nel bicchiere, e la mattina seguente, secondo i piani, sarebbe stato ben lontano dal Lilum, ben lontano da casa sua, e ben lontano da Londra. Quella prospettiva gli fece sentire il bisogno di serrare le labbra e chiudere per un momento gli occhi; non è che Holden non fosse felice dell’invito dell’Huxley o non volesse raggiungerlo in Irlanda, ma era la paura che lo faceva tentennare, e a tratti gli faceva credere che dopotutto starsene seduti su quello sgabello a bere non era poi una cattiva idea. «e se rovinerò tutto?» solo allora alzò lo sguardo verso la Piper, ferma lì con le braccia incrociate a guardarlo con espressione dura – era raro che l’ex serpeverde riuscisse a trovare un attimo libero quando era a lavoro, e anche per questo Holden aveva scelto di presentarsi al Lilum ben prima dell’apertura del locale, ben prima anche dell’inizio degli spettacoli pomeridiani, e poco prima di quando aveva in programma di partire. Non ci fu comunque bisogno che la bionda dicesse qualcosa, in quel momento, bastò il suo sguardo a far denegare con la testa il giornalista «no, infatti, non rovinerò niente» era la sola risposta di cui aveva bisogno, e sebbene darsela da solo fosse un mossa non del tutto leale, gli serviva per autoconvincersi che per davvero quella volta non avrebbe rovinato tutto. Non che volesse farlo, ma aveva scoperto di avere una certa propensione all’autosabotaggio, e soprattutto al sabotaggio di qualunque attività avesse in programma di fare con l’ex concasato, e una particolare inclinazione a scegliere sempre la cosa più sbagliata da dire e da fare quando si trattava di Ethan.
    Non aveva mai voluto rovinare tutto, né tantomeno comportarsi da stronzo, ma in qualche modo le sue azioni erano risultate sempre e solo in questi due epiloghi; nascondere la loro “storia” (se così può essere chiamata) ai tempi della scuola, decidere di chiudere tutto per non far soffrire ulteriormente l’altro, mettere da parte i propri sentimenti per farlo andare in Romania a perseguire il suo sogno, continuare a renderlo partecipe della propria vita, ricordandogli di esserci sempre, con le sue lettere – tutte scelte che aveva fatto nella convinzione di star facendo ciò che fosse meglio per l’Huxley, per farlo stare bene, ma che da poco più di un anno a quella parte aveva incominciato a guardare sotto una luce diversa; o meglio, aveva iniziato a guardare per quello che erano veramente: scelte sbagliate, che avevano di fatto sortito l’effetto opposto a quello sperato.
    Quindi, a conti fatti, avere timore di se stesso e di quello che poteva essere capace di fare – pur contro la propria volontà – era un atto dovuto; la conseguente preparazione mentale per quell’evento, pertanto, necessaria.
    «devo solo andare lì e…» aveva iniziato nel più propositivo dei modi, ma si era bloccato per mordersi il labbro inferiore e abbassare di nuovo le spalle «e…?» alzò lo sguardo confuso, smarrito, e un po’ anche disperato, verso la proprietaria del locale e poi si passò una mano tra i capelli ricci castani. «e se si accorge che in realtà non sta bene? Che non è cambiato niente e che lo faccio solo soffrire? Se… se finisce come due anni fa?» l’immagine dell’Huxley ubriaco e in lacrime sull’uscio di casa sua era forse quella che lo perseguitava più di tutte, il principale deterrente che gli aveva impedito – e continuava a impedirgli – di fare un decisivo passo in avanti verso di lui. Era un ricordo che tornava ciclicamente ogni volta che il Collins pensava di poter invitare l’amico a restare a cena, o di potergli chiedere di accompagnarlo a fare visita a un vecchio amico, o di poterlo disturbare per chiacchierare prima di andare a dormire, e persino di fargli leggere qualche estratto di quello che aveva scritto; la scena delle sue lettere lasciate sull’uscio di casa, l’odore dell’alcol che lo aveva investito appena aperta la porta, i dettagli si palesavano davanti ai suoi occhi e non gli lasciavano alcuna possibilità se non quella di ritirarsi.
    Sospirò pesantemente e grattò nervosamente con l’unghia sulla superficie del bancone per non dover affrontare lo sguardo dell’imprenditrice «non voglio dargli buca, però…»
    C’erano tanti però che il Collins avrebbe potuto tirare fuori, ma a Svetlana bastò l’accenno di quella parola per farle decidere di alzare i tacchi – letteralmente – e allontanarsi dalla sua figura. Non guardò l’amica andare via, ma finì l’acqua tonica nel bicchiere e si alzò dallo sgabello. Era giusto che prendesse quella decisione da solo; in realtà, non aveva mai avuto intenzione di ascoltare il consiglio o il parere di qualcun altro (quando mai l’aveva fatto, dopotutto), ma aveva solo bisogno di sentire certe cose uscire ad alta voce dalla sua bocca, di avere la certezza che la sua scelta fosse per una volta veramente quella giusta.

    Seduto alla scrivania del suo studio, aveva intinto per l’ultima volta la penna nell’inchiostro per concludere quella lettera con le due parole a cui Ethan doveva essere già abbondantemente abituato:
    “tuo, Holden”
    Alzò la pergamena davanti al suo viso e lesse velocemente per l’ultima volta quello che aveva scritto, poi la piegò attentamente e la ripose nella busta.
    Per la prima volta aveva davvero provato a cambiare punto di vista, ma pur cambiando prospettiva sembrava ritrovarsi sempre e comunque di fronte a un punto fisso che non poteva essere mutato; pur non volendo considerare le sue azioni come il frutto di scelte sbagliate, risultavano ad ogni modo come il catalizzatore di eventi indesiderati, che avevano alleggerito lui ed erano gravati sempre sulle spalle di Ethan.
    Davanti a certi errori era impossibile non condannarsi.
    Davanti a certe prospettive non c’erano davvero possibilità di scelta.

    «è l’ultima, te lo prometto» aveva posato la lettera chiusa sul tavolino del bar, sporgendosi oltre le spalle dell’Huxley «e…» stava per aggiungere qualcosa, tipo in che modo aveva fatto a indovinare in che posto si trovasse, come sapeva dove andare, perché fosse in anticipo, un saluto, una spiegazione qualsiasi, ma Sherlock tentò di arrampicarsi con le zampette davanti sulla sedia del domatore (di draghi, ma poi chissà) per richiamare la sua attenzione e ricevere le coccole che meritava «ah sì, gli ho detto che gli avresti dato un biscottino se avesse fatto il bravo durante il viaggio»
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    next to me, imagine dragons
  8. .
    i want your ice cream, i want it melting on my tongue
    i want your ice cream, what are you waiting for?
    when & where
    a hot day at bde
    what
    mental breakdown
    who
    libra drama queen
    Prese il fazzolettino di stoffa dal taschino della giacca e se lo premette prima sulla fronte, poi sulle labbra, e infine scese al collo. Le labbra si erano ridotte a una sottilissima linea piena di tensione, le dita delle mani strette in due pugni saldi, e la gola si era fatta incredibilmente secca, addirittura più secca di quando era entrato nel locale.
    Aveva tutti gli sguardi puntati addosso e li sentiva uno per uno farsi largo lungo la sua schiena per arrivare a gravargli sulle spalle, sempre più pesanti; c’era lo sguardo che gli rivolgeva quello in fila dietro di lui che guardava l’orologio in continuazione e sbuffava, c’era il commesso che non era impegnato a servirlo appoggiato alla porta con le braccia incrociate, la bambina che tirava la mano della mamma e faceva i capricci per essere accontentata subito, il gruppetto di ragazzini seduto al tavolo che guardava quella scenetta nell’attesa della risoluzione definitiva, e c’era anche lo sguardo che gli rivolgeva Sherlock, che si era steso in attesa sul pavimento sul quale aveva formato una piccola pozzanghera di bavetta.
    Voleva togliersi la giacca.
    Okay, Londra non era Sharm el Sheik e non stava facendo così tanto caldo in quelle giornate, ma comunque neanche la capitale britannica era immune al cambiamento climatico ed era evidente che le temperature non fossero più quelle di una volta. Insomma, 25 gradi a maggio? Ma dove siamo, in Sudafrica? Dov’era finita la buona e vecchia pioggia inglese, l’aria fresca, il cappotto fino a luglio inoltrato?
    Sentiva caldo.
    Non a caso, Holden stava sudando, ma cosa più importante, stava sudando freddo.
    Sì certo, poteva essere dovuto alla vicinanza al banco frigo, o magari avevano acceso l’aria condizionata, ma fatto sta che il giornalista in quel momento sentiva le guance avvampare e nello stesso istante in cui un brivido gelido gli percorreva la schiena.
    Holden Collins non performava bene sotto pressione.
    Voglio dire, era vero che fosse abituato a lavorare sotto pressione, con le scadenze ravvicinate che impone la vita da giornalista, le lunghe attese quando un pezzo doveva essere approvato, le lunghissime attese, spesso mai giunte a un termine, quando aspettava che la bozza di qualche romanzo venisse approvata dalla casa editrice, o quantomeno letta, ma quello era il suo lavoro. In quel contesto poteva accettare la pressione, e anzi spesso la ricercava, perché lo aiutava a mantenere il ritmo, a stare al passo con i colleghi, ad avere più fiducia in sé stesso, a tenere attiva la mente, la creatività, a provare il brivido del multitasking. Più di tutto, quella pressione gli serviva ad alimentare la propria voglia e la forza di scrivere quando aveva la sensazione di voler cedere alla stanchezza e mettere in pausa il suo lavoro perché sapeva benissimo che se l’avesse fatto sarebbe ricaduto nel nero e buio vortice del blocco dello scrittore – quindi spesso se la autoinfliggeva partecipando a challenge di gruppo, fissando un minimo di parole giornaliere da scrivere, e stabilendo anche dei premi quando riusciva a portare a termine il proprio obiettivo. E in quei casi, quindi, era una condizione che accettava, che accoglieva, e che a tratti desiderava anche, ma quel particolare contesto era ben lontano dal contesto lavorativo, e di conseguenza ben lontano anche dal poter creare un ambiente in cui sentirsi sotto pressione si trasformava incredibilmente in un fatto positivo. In quel momento, in quel locale, in quella occasione, la pressione non lo aiutava a credere in sé stesso o a far fuoriuscire la parte più creativa di sé; al contrario, si trasformava in stress, lo metteva ancora di più in crisi e dilatava ancora di più i tempi di quella difficile mansione. Non che i tempi fossero stati ristretti fino a quel momento, come ci tenne a sottolineare qualcuno nella fila che si era formata dietro di lui, alzando il braccio verso il bancone e picchiettando con l’indice contro il quadrante dell’orologio come un Mazzarri qualunque.
    «allora???»
    Se fosse stato qualcun altro, qualcuno con la battuta più pronta e meno isterico, avrebbe sicuramente risposto “sessanta minuti” a quella domanda, ma purtroppo lui era Holden Collins, era una bilancia – per definizione incapace di prendere qualsivoglia decisione – ed era anche piuttosto melodrammatico. «allora, allora» borbottò in uno sbuffo, mentre scorreva con lo sguardo tutti i gusti di gelato presenti nella vetrina «un. attimo.» rispose a denti stretti e stavolta poggiò lo sguardo sulla macchina per fare gli yogurt. Di nuovo. Così come stava facendo da già dieci minuti. «io… non lo so, ok?» stavolta si girò verso la fila che si era formata dietro di lui «non lo so, non lo so, n o n l o s o. e non è che lo saprò più velocemente se tu sbuffi» puntò un povero cliente che era in attesa «o tu lasci tua figlia piagnucolare, o tu» stavolta si rivolse direttamente all’impiegato che lo stava servendo «mi guardi con quello sguardo» quale sguardo? beh, dipende dall’impiegato malcapitato ma le varianti sono molteplici, e tutte ugualmente divertenti. «ci sono così tante cose da prendere in considerazione» spiegò passandosi una mano tra i riccioli disordinati «ad esempio: si scioglie prima il gelato o lo yogurt? e se prendo il gelato poi nel cono o nella coppetta? La coppetta è meno soddisfacente però il cono è più complicato e forse, avendo anche il cane da portare al guinzaglio, andrei meglio; ma allora perché non lo yogurt? ma con quale topping? E se poi lo yogurt qui non mi piace? Se è troppo acido? Allora vada per il gelato! Ma fruttato, più dolce, più fantasioso, con panna, senza panna, tre gusti, due gusti?» gonfiò le guance e poi sospirò pesantemente, sopraffatto da tutte quelle possibilità di scelta di fronte alle quali si sentiva letteralmente perso. Fece congiungere il polpastrello dell’indice con quello del pollice della mano destra, chiudendola in una specie di cono con un foro al centro, piegò leggermente la testa in avanti e si fece più serio: one does not simply «non si sceglie facilmente il gusto del gelato» scandì molto chiaramente, concludendo il tutto con un profondo sospiro stressato; uno sguardo veloce, fulmineo, alla vetrina dei gelati, e poi chiuse gli occhi, ormai sull’orlo del tracollo mentale.
    «invece di starvene qui a lamentarvi potreste, che ne so, darmi un consiglio, un suggerimento, qualcosa» qualsiasi cosa, per l’esattezza. Avrebbe accettato letteralmente qualsiasi cosa l’avesse sollevato dal compito di prendere quella difficile e sofferta decisione, e dall’eventuale responsabilità di aver causato la fine del mondo per aver preso il gelato alla menta al posto dello yogurt al caffè.
    holden
    collins
    I give it all my oxygen,
    so let the flames begin ©


    SPOILER (click to view)
    era rimasto serio troppo a lungo, era strano.
    role molto random e libera! potete essere chi volete, chi lo aiuta, chi lo offende, chi giustamente gli tira un pugno, chi lo prende in giro, la piantina di cactus sul bancone, il cane che lo guarda imbarazzato, etc etc
  9. .
    But I can see us lost in the memory
    August slipped away into a moment in time
    holden collins
    'cause it was never mine
    «ti piace davvero?»
    La domanda da un milione di galeoni – forse un milione è un po’ esagerato, in realtà la domanda non era così complessa quindi abbasserei il montepremi a 250 galeoni.
    Per sua fortuna, comunque, l’unica cosa che accendeva Ethan era il suo cuore, perché non era il Gerry Scotti del mondo magico e non aspettava una risposta definitiva da parte del giornalista – perlomeno, così sperava Holden, che una risposta pronta non ce l’aveva affatto e per questo si limitò a lanciare un’occhiata veloce all’amico prima di tornare a perlustrare il posto con lo sguardo.
    Gli piaceva davvero?
    Certo che gli piaceva, non era ovviamente quella la questione attorno alla quale stava arrovellando il suo cervello. Il problema, che non era un vero problema ma assunse comunque il carattere di un evento quasi epifanico per l’ex grifondoro, era che stare lì in piedi nello studio dell’Huxley gli aveva fatto comprendere quanto fossero profondamente diversi. L’ambiente che desiderava – e che indubbiamente meritava – Ethan era caldo (*inserire battuta sui draghi che gli danno fuoco*), accogliente, pieno di oggetti che gli ricordavano la sua casa, i suoi affetti, ma anche semplicemente pieno; l’ambiente in cui lavorava Holden, invece, era di un disordine tutt’altro che caloroso, solo la proiezione della sua confusione mentale. Per il resto, preferiva lavorare in un ambiente minimal, accuratamente pulito nelle sue più minime parti, ma soprattutto sgombro di qualsiasi cosa potesse fungere da distrazione per lui – e la cuccia di Sherlock lontana dai suoi piedi, i suoi occhi che chiedevano costantemente carezze lontano dalla sua vista e il suo pelo rado che comunque non gli impediva di perdere tanti tanti peli lontano dalla sua sanità mentale.
    Le piccole differenze caratteriali che erano già emerse durante l’amicizia dei due ex grifondoro a Hogwarts, ora, sembrava essersi approfondita ancora e ancora di più, fino a formare una buca enorme che, beh… poteva diventare una tomba oppure… una piscina?! Qualcosa di piacevole, insomma – non esistono molti buchi che vengono riempiti con cose piacevoli, suppongo (*non inserire battutina a sfondo sessuale*).
    Passeggiò in tondo per un po’, dando un’occhiata in silenzio agli angoli della stanza che gli indicava Ethan, infine lo raggiunse e gli posò una mano sulla spalla, ridendo.
    E quella risata era stata così spontanea e pura che aveva sorpreso anche sé stesso.
    «inizio quasi a pensare che tu sia qui come interior design e non come addestratore» se non era stato chiaro fino a quel momento che stesse cercando di lasciarsi andare del tutto con l’altro, si concesse addirittura dell’ironia – e del contatto fisico, cosa da non sottovalutare assolutamente.
    «ne devi dare cibo a Goleador prima di arrivare al mio bambino!»
    Al mio bambino.
    Bambino.
    Inarcò un sopracciglio nella sua direzione, poi arricciò le labbra in un sorrisino. «o il padre» aggiunse vagamente divertito, perché era chiaro che man mano che si avvicinava il momento la sua tensione cresceva a dismisura – e allo stesso tempo la sua risata scemava lentamente, fino a diventare quasi un singolo rantolo pieno di disagio.
    C’era da dire che se Holden nutriva qualche riserva sul fatto che il minore potesse essere un buon interior design, non aveva mai avuto alcun dubbio, invece, riguardo al ruolo di padre per cui si sarebbe dimostrato, un giorno, perfetto. Non c’erano altre parole con cui avrebbe potuto descriverlo né sfumature che riteneva possibili: semplicemente, perfetto! Ethan non era come il fratello (che abbandonava i bambini), era amorevole, ci sapeva fare, era giocoso, e protettivo, ma non in modo ossessivo, in un modo premuroso.
    Era più che consapevole che l’ora domatore fosse stato sempre affascinato dai draghi e che quel comportamento che adottava nei loro confronti fosse il frutto di un amore che aveva maturato nel tempo attraverso tantissime fantasie; ma era anche più che sicuro che quello stesso amore e quella stessa premura l’avrebbe avuta per un esemplare di cane, o di gatto, o di pulcino, di pesce spada, di aquila, e persino di mosca, perché Ethan era semplicemente così: era buono, e non avrebbe mai potuto far del male a nessuno.
    Dubitava, però, che quelle stesse attenzioni potesse averle per lui. Non perché non le avesse mai avute, ma perché Holden non le meritava. Quindi, quando gli prese la mano e poi gli scoprì l’avambraccio, intensificando un contatto a cui non era – e non erano – più abituati ma che entrambi anelavano, sussultò inevitabilmente per un attimo. «spero… spero ti piaccia il mio odore, Goleador…» oh merlino, si sentiva così stupido a parlare con un drago, e così stupido a farlo anche in modo timoroso. E poi l’Huxley gli posò un pezzo di carne sulla mano ed ebbe il folle istinto di ritirarla e scappare nell’angolino dove il draghetto non avrebbe potuto bruciargli un arto. «non… non sono molto bravo a lanciare le cose, lo sai che il quidditch mi piaceva vederlo dagli spalti» con una risatina nervosa spostò lo sguardo dalla carne sulla sua mano, poi sulla bestiola che attendeva con ansia la sua pappa, e poi sul domatore proprio accanto a lui «non… non sarà un problema, vero?» ma prima di poter ricevere una risposta a quella domanda che, se n’era reso conto, poteva risultare molto stupida, si fece coraggio e afferrò la carne tra le dita, poi la lanciò in alto e strizzò gli occhi aspettando, e sperando, che Goleador l’afferrasse senza dare fuoco alla sua mano.
    E non riaprì gli occhi. Stava aspettando che Ethan gli dicesse qualcosa, che era stato bravo, che il drago non l’aveva mangiato, qualsiasi cosa, invece ci fu solo silenzio, e solo dopo una domanda che non si aspettava. Tutto bene? E lo chiedeva a lui? Che ne poteva sapere Holden. A quel punto riaprì gli occhi e lo guardò confuso, un po’ perché si sorprese di essere ancora vivo, un po’ perché non si aspettava quella reazione da parte dell’amico. «ancora? cioè non si è saziato con quello…?» faceva tanto l’intelligente, Holden, ma faticava comunque ad abituarsi a quelle creature e a comprendere come il loro stomaco potesse digerire tanta carne tutta insieme.
    E più di tutto: voleva davvero ripetere quell’esperienza?
    Quella visita nello studio di Ethan si stava rivelando piena di domande, ma a questa qui seppe dare una risposta appena il minore si alzò per sistemare l’acqua, i zuccotti, e fare tante altre cose solo per distrarsi mentre parlava – ed erano proprio le sue parole a spingerlo verso la risposta definitiva a quell’ennesimo quesito: sì, avrebbe preferito decisamente ripetere l’esperienza di sfamare Goleador piuttosto che affrontare la discussione che Ethan aveva appena tirato in ballo, e magari anche morire nel tentativo.
    Maneggiò un altro pezzo di carne cruda lentamente, poggiandolo sul palmo della mano e lanciando un’occhiata sempre timorosa alla creaturina che vedeva già pregustare il sapore della carne (probabilmente quella di Holden, stavolta) nelle sue fauci «Ethan io…» non è chiaro se volesse rispondere alle sue parole o chiedergli se stesse procedendo bene «puoi perfavore…» e poi la scenata dell’anno scorso, Emma, ricordi di un anno fa che si mescolavano con ricordi ancora più vecchi. Chiuse di nuovo gli occhi e si lasciò andare
    «desidero solo tu sia felice»
    Lanciò il pezzo di carne e guardò il drago nano assaporare il suo spuntino con gusto, mentre al giornalista la gola era diventata completamente secca e lo stomaco si era chiuso improvvisamente. Come faceva la gente ad affrontare certi discorsi con tanta naturalezza? A parlare delle proprie cose, dei propri sentimenti, a voce, davanti all’altro. Sospirò e cercò di sgombrare la mente e dare all’Huxley una risposta che fosse quantomeno degna. «non devi preoccuparti per me, Ethan» iniziò schiarendosi la voce e drizzandosi meglio sulla sedia per guardare l’altro «o di Emma. Lei-» scelse accuratamente le parole da usare, poi cercò di glissare con un vago gesto della mano e una veloce spiegazione «avevamo altri problemi da molto più tempo, siamo più felici così entrambi» aveva provato a dirgli che la loro storia era finita, ma l'amico avrebbe dovuto leggere tra le righe, cosa che non pensava sarebbe stato un problema. Ethan era un ragazzo intelligente, ci sarebbe arrivato dai. «e io sono felice che tu resti, Ethan» gli rivolse un sorriso morbido e sincero «così avrò modo di conoscere tutti i tuoi draghi» ovviamente scherzava, era chiaro no? non aveva davvero intenzione di conoscere tutti i draghi, Goleador gli bastava e avanzava per il momento «oh e tu il mio. È una belva indomabile. Davvero. Terrificante» ovviamente si riferiva a Sherlock, e non ad altro... e aveva fatto ancora dell’ironia, toccava misurargli la temperatura. Ma dopotutto si era da poco risvegliato dal coma, non stava proprio bene bene e questo era chiaro ormai.
    journalist # rebel # 1993
    @scotland | 28.08.2021
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    But I can see us lost in the memory
    August slipped away into a moment in time
    holden collins
    'cause it was never mine
    Holden non amava mostrarsi in ansia, in agitazione o a disagio; cercava sempre di mascherare le sue emozioni dietro l’espressione stoica ma ammorbidita, di non serrare la mascella e di non lasciarsi andare a tic nervosi. Era sempre stato così, non aveva mai voluto che qualcuno potesse leggergli in faccia quello che non aveva intenzione di dire a voce alta, e da quando era entrato nella resistenza si esercitava ancora di più ad apparire imperturbabile per non destare alcun sospetto, ed era sensibilmente migliorato. Ma sapeva benissimo anche lui che non fosse un joker così abile, e soprattutto sapeva benissimo che, nonostante i sei anni lontani, Ethan lo conoscesse ancora meglio di quanto non avesse mai fatto egli stesso. Per questo motivo tentò non solo di apparire rilassato, ma di rilassarsi veramente; gli risultava incredibilmente difficile farlo, però, viste le circostanze: ambiente ostile, animali dalla furia omicida, Ethan emozionato e felice con i suddetti animali dalla furia omicida, Ethan che gli diceva che fosse “tenero”, i draghi, l’aria aperta, Ethan che gli chiedeva di dar da mangiare al suo fucking drago.
    Il Collins era un uomo semplice, nel senso che preferiva la semplicità e il minimalismo, e i sentimenti – contrastanti – che stava provando in quel momento erano tutt’altro che semplici e minimalisti, ma complessi e intrecciati tra di loro. Era felice di vedere l’amico così emozionato, preso, e a suo agio, era felice di passare del tempo insieme, di mettere da parte anni e anni di incomprensioni e silenzi, ma allo stesso tempo era terrorizzato, e non solo dai draghi, ma dalle aspettative che Ethan avesse su di lui e dalla possibilità – concreta – che potesse disattenderle e quindi deludere, ancora una volta, l’ex grifondoro.
    Fu il “Sì, vorrei ci provassi.” che lo costrinse e mettere in moto tutti i meccanismi per non tradirsi e per non mostrare la sua vera agitazione. Cioè, normalmente di fronte a una richiesta di quel tipo avrebbe riso istericamente e poi si sarebbe andato a nascondere sotto a un tavolo in attesa di essere al sicuro, per poi correre via in preda al panico come quando si fanno le esercitazioni per il terremoto a scuola, ma visto che non voleva deludere la prima richiesta fattagli dall’amico – il giorno del suo compleanno, peraltro – , si limitò ad allargare il sorriso e annuire lentamente «bene, allora scopriremo se mi preferisce al sangue o ben cotto» scherzò (scherzò?) abbandonandosi a una risatina ironica, ma poi si schiarì la voce e ammorbidì l’espressione. Cercò di evitare di guardare troppo la creaturina magica – che a suo avviso continuava a lanciargli occhiate decisamente troppo torve e sbuffava con troppa frequenza perché potessero mai andare d’accordo – e lasciò che lo sguardo si posasse e si focalizzasse solo su Ethan.
    Alla fine Holden non lo faceva per Goleador o per qualsiasi altro drago; era solo indirettamente interessato a quelle creature tramite l’Huxley, e cercava di capire, anche solo per curiosità, cosa fosse che lo affascinasse così tanto di quegli animali, e per creare un’altra possibilità di condivisione.
    L’aveva fatto per lui.
    Non aveva molta voglia di farsi mangiucchiare la mano da un drago impertinente, ma ne aveva tanta di far felice Ethan di nuovo dopo tanto tempo.
    «ci proverò» parafrasò, confermando con un sorriso morbido e un cenno del capo, poi si schiarì la voce e fece per seguirlo nel suo studio.
    “Mi rende felice tu ti sia ricordato.”
    Abbassò gli occhi per un attimo, tirando un sorriso un po’ imbarazzato e colpevole. Gli faceva piacere sentirselo dire, ma gli faceva un po’ meno piacere vivere quel momento. Holden aveva dei problemini con l’esternazione dei propri sentimenti, al punto che era arrivato spesso a chiedersi se ne provasse affatto, ma poi, stizzito, si era sempre detto che sì, cazzo, provava anche troppi sentimenti: era stato indescrivibilmente felice, e poi immensamente triste, e aveva provato orgoglio, fierezza, soddisfazione, e sicuramente anche l’amore, uno alla volta e tutti insieme, ed era capitolato spesso sotto una quantità immensa di sentimenti inaspettati. Appurato che non fosse una persona anaffettiva, quindi, restava comunque il problema della sua rigidità di fronte a quelle manifestazioni d’affetto – doveva pensarci veramente troppo prima di riuscire a lasciarsi andare a un abbraccio, a un bacio, o una parola dolce, o peggio romantica. Lo sapeva e l’aveva sempre saputo, e anche – ma non solo – per questo aveva deciso di allontanarsi dall’Huxley, in primo luogo.
    L’unico modo che Holden conosceva per esprimere completamente se stesso e quello che provava era scrivere, e per sei anni aveva scritto a Ethan tutto quello che non era riuscito, e probabilmente non sarebbe mai riuscito, a dimostrargli da vicino, e in quel momento l’aveva assalito il terribile pensiero che sarebbe stato meglio essere muti, così da poter prendere taccuino e penna e scrivere le parole che l’amico veramente meritava – ma lui non era muto. Gli dispiaceva essere così, si sentiva in colpa, e quasi rimpiangeva amaramente essersi presentato quel giorno sapendo che non poteva, non riusciva a essere una persona diversa, la persona che Ethan avrebbe indubbiamente meritato. Ma cercò di ignorare la schiena rigida e i muscoli bloccati, e si schiarì la voce, tornando finalmente a guardare il festeggiato «non avrei mai potuto dimenticarlo» rispose un po’ dubitante in un mormorio.
    C’erano tante altre cose che avrebbe voluto dirgli e che premevano per essere dette, ma non ci riuscì, però ci stava provando fortissimo, nonostante Ethan continuava a rendergli la vita poco facile. Tentennò un po’ quando l’altro gli prese la mano, ma si lasciò comunque trascinare all’interno del suo studio, dove fortunatamente ebbe modo di distrarsi concentrandosi sull’arredamento davvero – monotematico – peculiare, ma che gli scaldò decisamente il cuore. Si lasciò andare a una risata e poi scosse la testa «è davvero molto carino, è proprio così che l’avevo immaginato» impregnato di Ethan in tutti i suoi componenti, pieno zeppo della sua passione.
    Lasciò i zuccotti sulla scrivania come gli disse, e poi gli si avvicinò, non senza timore, per dar da mangiare alla canaglia di drago che si portava dietro proprio come gli aveva promesso.
    Gli altri? Altri draghi? Più grandi?
    Ci pensò un po’ su, con le labbra dischiuse e una risposta lasciata in sospeso. «possiamo… possiamo iniziare solo da lui, per il momento?» non voleva essere scortese e stroncare i suoi sogni che vedevano il Collins subito cavalcare un drago fiero e possente (il suo coaffcoaff), ma insomma… «possiamo andarci piano, no?» con i draghi, ma alzò gli occhi verso quelli dell’Huxley per stendere un sorriso addolcito e rassicurarlo «abbiamo un sacco di tempo» e con ogni probabilità quella volta non si riferì soltanto ai draghi, ma a loro, la loro amicizia, il loro interesse reciproco, il loro passato ma anche il loro futuro.
    Avevano un sacco di tempo perso da recuperare, ma avevano anche un sacco di tempo davanti a loro – o almeno così sperava Holden.
    journalist # rebel # 1993
    @scotland | 28.08.2021
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    But I can see us lost in the memory
    August slipped away into a moment in time
    holden collins
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    La faceva semplice Ethan, sembrava logico a lui: «se ti annusa e non gli piaci… ti sbrana». Il Collins rimase immobile, le sopracciglia leggermente piegate all’insù in un arco piuttosto… confuso, ma anche terrificato; non sapeva bene quale risposta si aspettasse, ma quella appena ricevuta era tra le ultime alternative.
    Come aveva fatto a non pensarci. Aveva quasi voglia di tingersi i capelli di rosso, farsi crescere la barba, e assumere la tipica posa di Hank Scorpio, battendo il palmo della mano contro la fronte.
    Insomma, conosceva le caratteristiche dei draghi, sapeva quale fosse il loro ruolo nella catena alimentare, di cosa si nutrissero, e quale fosse la loro potenza di attacco – l’aveva letto in qualche libro e si sa che i libri non mentono mai – ma dalle pagine piene di inchiostro a trovarsi di fronte a un drago che potenzialmente poteva davvero… sbranarlo… eh. «semplice» ripeté arricciando le labbra e annuendo leggermente col capo.
    Spostò ripetutamente lo sguardo dal domatore al draghetto tra le sue mani, e solo infine fissò le iridi sull’ultimo, passando dall’essere pervaso dal terrore a una sorta di fascinazione, ma soprattutto invidia. Alla fine, non c’era nulla di sbagliato in quelle parole: ai suoi occhi per un drago era davvero semplice vivere, farsi rispettare, essere libero. Se un drago si trovava di fronte una persona che non gli stava simpatica gli bastava bruciarla e mangiucchiarsela. Se Holden si trovava di fronte una persona che non gli stava simpatica – e capitava diverse volte al giorno – doveva forzare un sorriso falso e annuire compiacente; o, per mantenere la differenza di stazza, se Holden si fosse trovato di fronte un bambino che non gli stava simpatico, avrebbe dovuto ridere, scherzarci insieme e dargli anche qualche pacca sulla spalla.
    Una delle due prospettive – quella di essere sbranato da un drago, o dover fingere piacere nel passare del tempo con un bambino – lo fece ridacchiare nervosamente, forse in un principio di attacco di panico.
    Ai tempi in cui era un giovane studente di Hogwarts, era capitato più di una volta che si lasciasse sopraffare da ansia e/o preoccupazione per qualche compito importante o qualche mansione che riteneva troppo importante per lui, e per sei interi anni l’unica cosa che era riuscita a dargli il sostegno e la motivazione necessarie per andare avanti, era stata la presenza dell’Huxley, con i suoi modi calmi e gentili e il suo sorriso solare e rassicurante. Con il tempo poi aveva imparato a gestire i suoi problemi, a tenere sotto controllo le emozioni, e soprattutto a cavarsela da solo; eppure, a distanza di tutti quegli anni, quando alzò gli occhi verso il viso dell’ex concasato, il suo sorriso lo scaldò di nuovo, e lo aiutò a recuperare quella tranquillità che l’attacco inaspettato del drago aveva messo a dura prova. Vedere l’amico – se poteva ancora definirlo in quel modo – così tranquillo e a suo agio con quella creaturina in mano gli ricordò di quanto fosse felice durante le lezioni di Cura delle Creature Magiche, e realizzò che, in fin dei conti, per quanto fosse stata una decisione sofferta decidere di allontanarsi da lui per mandarlo in Romania, aveva pagato: era riuscito a rendere felice Ethan veramente, forse per la prima volta. Si sentì egoista per aver pensato di poter incombere in quell’ambiente per lui così felice, si sentì di troppo e voleva scappare – ma venne riportato alla realtà dalla successiva domanda.
    Si raddrizzò con la schiena e si schiarì la voce con un colpetto di tosse. «la carne cruda…?» gli stava chiedendo di dar da mangiare al drago o…?
    L’incombenza della morte spingeva le persone a fare cose assurde e che non si sarebbero mai sognate di fare; Holden non era un tipo che rischiava spesso la morte, o facesse cose spericolate – prendere parte alle missioni della Resistenza era già abbastanza per i suoi standard, e lì comunque non poteva fare cose assurde perché non sapeva che non aveva a disposizione una seconda chance, una possibilità di tirarsi fuori dai guai. In quel caso, invece, quella preoccupazione lo spinse fare qualcosa di folle e violare una delle più importanti regole della retorica: non rispondere mai a una domanda con un’altra domanda. «intendi la mia o quella di altri?» che sì, per i più studiati poteva sembrare anche un quesito stupido, ma che ne sapeva il giornalista di cosa davano a mangiare a quelle bestie? Potevano essere carcasse di animali come cadaveri umani, potevano essere i barboni trovati per strada e potevano essere ribelli che erano stati catturati – magari era finito nella tana del lupo e senza saperlo si era incastrato da solo. «posso… posso provarci, se vuoi» azzardò cercando di darsi un certo tono tranquillo «se mi assicuri che non perderò nessuna mano» aggiunse con una risatina divertita, sebbene lo sguardo che lanciò all’ex grifondoro nascondesse un certo terrore. «anche se speravo di sfamare qualcun altro oggi» tipo te, Ethan, e non il tuo drago infame che lo voleva mangiare! Ecco perché aveva portato i zuccotti, mica per Goleador, pft.
    Fu proprio la bustina con i zuccotti che strinse nervosamente tra le dita prima di porgerla a Ethan – e rimanere in quella posizione da imbecille per un tempo un po’ troppo lungo prima di capire che il minore fosse impossibilitato a raccogliere quella bustina perché stava tenendo in braccio il drago che poco prima aveva provato a mangiarlo. Ritirò la mano con una risata imbarazzata, poi scosse la testa lentamente «non è niente, è una sciocchezza, avevo solo pensato che ti facesse piacere» anche se «non so se ti piace ancora, in realtà» ammise alla fine con un soffio di voce mancante.
    Era vero, ed era molto triste riconoscere che quella che una volta era la persona che meglio conosceva, era diventata praticamente uno sconosciuto.
    Ma quel giorno era lì anche per questo, perché voleva provare a recuperare il tempo perso. «oh» si raddrizzò un po’ con la schiena e si finse non troppo emozionato «earl grey andrà benissimo» accettò l’invito piegando le labbra in un morbido sorriso. «sempre se lui» lanciò un’occhiata a Goleador «non deciderà prima di rendermi la sua merenda» ridacchiò ma ah ah ah Ethan save me please.
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    @scotland | 28.08.2021
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    «no, perché non voglio che finisca come è finita all’Amortentia» aveva glissato così la domanda della Piper, senza mostrare esitazione alcuna nel tono di voce, e aveva scrollato le spalle con insolita nonchalance – o imprudenza che dir si voglia. Quella di Svetlana, infatti, non era stata una vera e propria domanda, ma se n’era reso conto solo quando l’ex serpeverde l’aveva condotto personalmente, tenendolo stretto sotto al braccio, a vedere le sue due tigri.
    «allora puoi sempre fare compagnia a loro» era stata allora la controproposta della bionda, dove compagnia probabilmente stava per cena; e per quanto fosse convinto, il Collins, della qualità A++ dell’addestramento delle tigri di Svetlana, e per quanto gli piacessero gli animali selvatici – categoria con cui i suoi amici di vecchia data ultimamente stavano giocando un po’ troppo per i suoi gusti –, si era schiarito la voce e aveva fatto dietrofront. «sai, quasi quasi preferisco Elwyn alle tigri»
    Non era mai vero: avrebbe preferito farsi sbranare dalle tigri piuttosto che avere a che fare con Elwyn, ma c’era, effettivamente, un Huxley per cui valeva la pena essere ancora in vita.
    Ethan gli aveva chiesto giorni e giorni prima se fosse andato all’inaugurazione del nuovo locale di Quo Vadis Town, gestito incredibilmente proprio dal maggiore degli Huxley – e da Arabells, ma con lei non aveva mai avuto molti rapporti, qualche intervista rilasciata in qualità di capitano delle Arpie, e poco altro. Se ne pentiva, ora. Avrebbe preferito senza dubbio andare lì in quanto amico della giocatrice di Quidditch, che andarci in quanto amico?! di Ethan.
    La richiesta dell’amico, neanche a dirlo, gli aveva fatto salire un’ansia incredibile e quasi un senso di nausea, oltre che rabbia. No ovviamente, non era l’idea di andarci con l’ex grifondoro a nausearlo, fargli compagnia e passare una serata insieme era anzi una cosa che contava (e sperava) di fare molto presto; era la prospettiva di trovarsi nella stessa stanza con Elwyn a pizzicargli i nervi.
    Rassicuriamo i più ansiosi: no, all’inaugurazione dell’Amortentia non c’era stata nessuna scazzottata (così ha deciso la palla, purtroppo), ma l’uscita di Elwyn aveva gettato tensione su un gruppetto insolito che già dapprincipio non viaggiava su binari troppo sereni. Holden aveva serrato la mascella, chiuso i pugni, ed era stato tentato veramente di alzare il braccio e stampare il suo pugno sul viso dell’ex corvonero, ma aveva preso un respiro profondo, aveva socchiuso le palpebre e aveva sorriso falsamente. Non amava la violenza il Collins, non aveva mai giustificato nessuna rissa, e non aveva mai preso a pugni neanche un sacco da boxe, tantomeno una persona vera, quindi non avrebbe mai potuto picchiare Elwyn in quel momento.
    Ma le cose erano cambiate.
    In quel lasso di tempo, dall’inaugurazione del locale della Hilton all’inaugurazione del Sub, Holden aveva affrontato la separazione ufficiale e definitiva da Emma, il blocco dello scrittore, la missione con i ribelli, il breve coma (mica come quello di JD, ciao JD); insomma era abbastanza stanco e incazzato, e aveva davvero paura che presentandosi all’inaugurazione del suo locale, avrebbe dato adito a Elwyn di esibirsi in un altro dei suoi commenti non richiesti e di cattivo gusto, e questa volta non poteva essere sicuro che sarebbe riuscito a trattenersi.
    Quindi, non aveva dato subito una risposta a Ethan, non aveva né accettato né declinato l’invito, aveva preso del tempo per pensarci e si era dato un’aria un po’ imbruttita: «non so, vediamo dai, se riesco magari», ma al tempo non aveva ancora messo in conto Margaret Piper e le sue tigri.

    «è davvero una vergogna che non ci sia un’entrata secondaria per i giornalisti» la prima lamentela giunse pochi minuti dopo che fu arrivato fuori al locale, quando si rese conto che, nonostante avesse mostrato il tesserino da giornalista, avrebbe davvero dovuto aspettare insieme a tutta l’altra gente che aprissero per la prima volta le porte del Sub «e che gente» la seconda lamentela ovviamente era rivolta direttamente al gruppetto di ragazzine che aspettava trepidante con dei poster di Elwyn dalla grandezza e dal gusto discutibile, pronte a lanciarsi in avanti come all’apertura delle porte prima di un concerto.
    Si schiarì la voce con un colpetto di tosse, poi prese penna e taccuino.
    «scarsa organizzazione»
    Alzò lo sguardo e si guardò attentamente intorno.
    «platea» c’erano quelli che sembravano veramente interessati, quelli che erano lì per scroccare da bere, le fan di Elwyn, i fan di Bells, le scrittrici di fan fiction, polgy girl (da qualche parte sicuramente c’era!) «eterogenea», e gli appunti si spostarono poi su quello che l’aveva aspettato all’interno del locale: «bolletta della luce non pagata», «discorso di presentazione debole», «la gente si tocca».
    Scriveva appollaiato in un angolino del locale, a una debita distanza da tutte le altre persone, e sembrava anche molto preso dalle pieghe che poteva prendere quella recensione, ma di tanto in tanto alzava gli occhi, si guardava intorno, e poi prendeva un sorso di vino. Non avrebbe cercato Ethan, aveva paura di trovarlo accanto al fratello, e per quanto ce l’avesse con quest’ultimo, non voleva rovinare il loro momento familiare, ma avrebbe quantomeno voluto vederlo, fargli sapere che aveva accettato il suo invito.
    holden
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    all about the things I'd
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    'cause it was never mine
    La cosa che Holden si chiedeva più spesso era: perché.
    Che poteva essere il segno che avesse una mente analitica e filosofica, ma anche il segno del pentimento che nasce subito dopo la consapevolezza di aver fatto una scelta sbagliata.
    Nello specifico, non aveva ancora chiarito con se stesso perché avesse deciso di andare a trovare Ethan per provare a riallacciare i loro rapporti visto che non si parlavano da quasi un intero anno – e tutti gli anni precedenti le loro comunicazioni erano state unilaterali, con le lettere del Collins che non avevano mai ricevuto risposta; e, ammettendo che le motivazioni dietro quella decisione fossero anche valide (il compleanno dell’ex grifondoro gli era sembrata una scusa più che opportuna), c’era comunque da capire perché avesse scelto di raggiungerlo alla Riserva e non avesse invece proposto un appuntamento in un luogo più civile e umano, o, se proprio ci teneva al fattore sorpresa, non si fosse presentato a casa sua con una torta e un cappellino di buon compleanno.
    L’aveva capito appena aveva messo piede nella Riserva che quello non era il posto per lui: il terreno umidiccio che gli dava l’impressione di poterlo far sprofondare da un momento all’altro, l’odore di sterco di drago, not a big fan; era un uomo di città, Holden, amava passeggiare sui marciapiedi lastricati, ripararsi dal sole sotto i rami di alberi curati con insetticidi e pesticidi, sentirsi un grande attivista dell’ambiente ogni volta che si ritrovava nella Londra babbana e preferiva la metro ai taxi. L’unico ambiente bucolico in cui Holden avrebbe mai voluto immergersi era quello di un orticello in cui poter coltivare le sue verdure in vecchiaia, un luogo di pace e tranquillità, dove il più grande nemico erano i moscerini che ronzavano intorno alla lattuga, e dove non rischiava di essere abbrustolito da un drago dalle ali – e dalle fauci – enormi.
    Non era comunque quello il caso, perché il drago che gli si piazzò davanti evidentemente non era un diretto discendente di Smaug o Ancalagon, non aveva la stazza mastodontica e non era neanche così spaventoso a dire la verità; ma per sapere tutte queste cose il giornalista avrebbe dovuto tenere gli occhi aperti, cosa che non fece. Piuttosto rimase rannicchiato sul terreno, le braccia che coprivano il volto e la testa, come se questo avesse potuto frenare il drago dal renderlo uno spuntino fresco fresco per l’animale, e attese il suo momento.
    Fu senza dubbio un sant’uomo quello che con un no secco e deciso fermò il drago; un sant’uomo di cui Holden riconobbe all’istante la voce, e forse anche per questo motivo rimase fermo, ancora accucciato sul selciato, gli occhi chiusi e il cuore che andava a vento nel suo petto.
    Non avrebbe dovuto stupirsi più di tanto di trovare Ethan nel suo posto di lavoro, lì dove era andato volutamente a cercarlo, ma si trovò comunque a dover fronteggiare una gamma di emozioni che andava dallo stupore all’imbarazzo, passando per l’ammirazione e la paura.
    E ci mise un tempo considerevole a fronteggiarle.
    Si rese conto di essere ancora rannicchiato sul terreno con gli occhi chiusi solo quando l’ex concasato glielo fece notare, e solo allora si scoprì il capo e schiuse le palpebre. Aveva il viso arrossato e le mani ancora tremanti dallo spavento, ma cercò comunque di darsi un contegno e dopo aver riso un po’ nervosamente e un po’ in imbarazzo, prese la mano del ricciolino e lasciò che lo aiutasse a rimettersi in piedi. Con i muscoli che aveva messo su in quel periodo non doveva essere un gran problema – e si ritrovò a dover scacciare quel pensiero con fare un po’ colpevole, prima di tornare all’obbiettivo principale:
    - festeggiare il compleanno di Ethan
    - non diventare la cena dei draghi
    Mentre si dava una ripulita ai pantaloni fece oscillare lo sguardo dall’Huxley al draghetto tra le sue mani, e poteva giurare di vedere nei suoi occhietti gialli già un profondissimo odio nei suoi confronti, e una indiscutibile voglia di azzannarlo. Lo scrutò con circospezione, poi quando si sentì troppo minacciato tornò ad alzare lo sguardo verso l’ex grifondoro – una visione decisamente più familiare e confortante. «se mi annusa e non gli piaccio cosa succede…?» domandò con il dovuto timore. Aveva sul braccio e sulle mani ancora qualche graffio che gli aveva gentilmente lasciato Sherlock, ma i suoi denti erano piccoli e poco affilati, non sapeva quale sarebbe stato l’effetto di essere azzannato da un drago. E non voleva certamente scoprirlo. Ma alzò gli occhi verso quelli dell’Huxley e vide la naturalezza con la quale teneva in braccio il drago, la tranquillità e il senso di pace che sembrava trasmettergli, e si sentì pieno di orgoglio nei suoi confronti. Non voleva che si allontanasse dai suoi draghi, non voleva mettergli il bastone fra le ruote, voleva continuare a vederlo così rilassato e a suo agio, e voleva entrare in quel suo mondo, non quello che l’aveva portato, esattamente un anno prima, a barcollare sul suo portico ubriaco fradicio.
    Sorrise sinceramente e scosse la testa, dando un’ultima botta con il palmo della mano alla giacca per aggiustarne la piega. «ti conviene iniziare a prendere la crema contro le scottature» era già pronto ad affrontare il suo destino «non credo che sia un mio grande fan» aggiunse con una risatina, ma lo sguardo che lanciò di nuovo al draghetto fu comunque pieno di timore.
    Non fu però l'occhiata piena di risentimento di Goleador, né la paura di essere mangiucchiato dallo stesso, a farlo irrigidire improvvisamente, fargli stringere le dita intorno al sacchetto che conteneva i zuccotti che aveva comprato per Ethan, e fargli fare mezzo passo indietro; fu la prospettiva di essere andato lì inutilmente, con la pretesa prepotente di festeggiare un compleanno a cui non era più invitato. In quel momento voleva sprofondare.
    Magari aveva altri programmi.
    Magari non voleva passarlo con lui.
    «io…» cercando di non apparire troppo stupido, evitò di parlare e decise di porgergli semplicemente il sacchetto con i dolcetti. «volevo solo augurarti buon compleanno» ci fu un attimo di silenzio, poi lo fece veramente, con un largo sorriso spontaneo: «buon compleanno!!» evitò i convenevoli imbarazzanti da zia di campagna “come ti sei fatto grande” “sempre più vicino agli -enta, eh?”, e saltò subito ai saluti finali. «non volevo disturbarti a lavoro. Anche se l’ho fatto. Posso aspettarti fuori se do fastidio qui» era verosimile, avrebbe aspettato anche ore probabilmente, tanto si era portato da leggere. «oppure… me ne posso andare» tanto i dolcetti glieli aveva dati, magari voleva mangiarli con i colleghi, o con i draghi, il suo compito lì era finito.
    A meno che il domatore non volesse domarlo ehm, fare due chiacchiere.
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    @scotland | 28.08.2021
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    chissà
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    Quando aveva riaperto gli occhi per la prima volta, era stato investito da un fascio di luce che gli aveva provocato direttamente una scossa dolorosissima al cranio e l’aveva costretto a rifugiarsi di nuovo sotto le palpebre serrate. Non sapeva a cosa fosse dovuto, non pensava di aver bevuto troppo la sera prima, e in realtà non ricordava affatto di aver bevuto qualcosa la sera prima; dopo quello che gli sembrò essere uno sforzo disumano per il suo cervello, si rese conto che a voler essere sinceri non ricordava assolutamente nulla dell’ultimo periodo – un lasso temporale che poteva comprendere, per quanto ne sapesse, pochi giorni o un anno intero – né tantomeno aveva idea di dove si trovasse e per quale motivo. Non pensava di aver perso la memoria: sapeva chi era, sapeva cos’era, sapeva ancora cosa voleva essere, ma non sapeva come si era trovato ad aprire gli occhi per scoprire di avere un mal di testa lancinante e una terribile sensazione di nausea che gli attanagliava lo stomaco. Due era le possibilità (e non tre, lo so, sono una delusione): o era andato al Lilum a piagnucolare per l’ennesima volta tra le braccia della Piper, che gli avrebbe dato a quel punto qualcosa di più (di troppo) forte per metterlo k.o., oppure doveva aver comprato inavvertitamente quella tisana che prometteva “un sonno lungo 33 ore, anche a prova del bacio del vero amore” che aveva sempre voluto provare ma che aveva sempre lasciato un po’ a malincuore tra gli scaffali del supermercato perché convinto che non potesse permettersi un riposino così lungo per via del lavoro e altri impegni più o meno seri e limitanti. Entrambe le possibilità, comunque, non avrebbero spiegato perché il Collins si sentisse così a pezzi e avesse dolori muscolari e ossei che gli percorrevano più o meno tutto il corpo: la tisana avrebbe dovuto semplicemente farlo rilassare e non credeva che Margaret l’avesse utilizzato come sacco da boxe per far allenare i suoi ballerini più fisicati prima di uno spettacolo, ma di questo non ne era comunque sicuro.
    Holden sapeva cos’era e a cosa serviva il quinto piano del San Mungo, eppure quando gli fu detto di essere lì non riuscì comunque a mettere insieme i pezzi: ci vollero almeno un paio di descrizioni dettagliate da parte di medici ribelli perché il giornalista capisse e – se non riuscisse a ricordare, almeno – fosse conscio di quello che era successo al museo egizio e la sorte che gli era aspettata, certo non troppo crudele, ma neanche delle più clementi. Il primo pensiero fu spettrale, le prime parole che pronunciò dopo le settimane di incoscienza quasi automatiche: «ci sono morti?», ma i pensieri immediatamente successivi furono in qualche modo quelli più rivelatori. Il Collins non aveva grandi affetti, non frequentava compagnie di amici allargate, e non aveva una persona che dipendesse (in senso affettivo) da lui. Perlomeno, non più. Sarebbe potuto scomparire per settimane, mesi, probabilmente anche anni, e qualcuno avrebbe semplicemente pensato che si fosse preso un periodo di vacanza, che si fosse rinchiuso in qualche baita sulle Highlands scozzesi a picco sul mare per scrivere il finale del suo ultimo – tragico – romanzo mai pubblicato; quindi non fu troppo difficile mascherare la sua assenza in quelle settimane di incoscienza, per il lavoro qualcuno (dai qualcuno della resistenza ci avrà pensato, no? – meanwhile, la resistenza: *balledifieno*) aveva provveduto a prendere giorni di ferie/malattie, qualcuno di buona volontà doveva aver pensato anche di passare a far mangiare Sherlock – almeno così sperava – e dopotutto da quando era finita con Emma non aveva poi così tante persone che si preoccupassero per lui. D’altra parte lo scrittore non aveva del tutto eliminato l’ex compagna dalla sua mente, sentiva di provare ancora qualcosa nei suoi confronti, ma si era convinto, finalmente, che fossero semplicemente gli strascichi di un affetto sincero ma mai pienamente appagante su cui si era adagiato per anni interi prima di decidere di chiuderla lì – non senza pianti disperati da parte dell’uno o dell’altra, ripensamenti dell’ultimo minuto, e dichiarazioni ad effetto che negli ultimi anni erano mancate. Dopotutto è sempre difficile chiudere una relazione di ben s e i anni (lo so, è stato uno shock anche per me, che persona di merda che sei Holden). Eppure, nonostante la forza dell’abitudine lo spingesse automaticamente a comporre il numero della ragazza sul telefono e rassicurarla sulle sue condizioni, lei non sapeva più nulla di lui, non poteva sapere nulla di lui, di quello che era successo, di quello che (non) aveva fatto – tipo non riuscire a difendere Murphy dalla maledizioni ma that’s ok –, e quando fece ritorno a casa ci fu solo Sherlock a dargli il bentornato.

    Aveva seguito alla lettera i consigli dei dottori: riposo, nessuno sforzo esagerato, evitare il consumo di bevande alcoliche, e varie ed eventuali, ma quando si svegliò sabato 28 agosto si sentì smosso da una smania tale che gli impediva di star fermo o a riposo; aveva provato a sedare il tutto scrivendo, ma neanche una parola giusta era stata cavata fuori dalle sue mani, leggendo, ma si accorse con grandissimo nervosismo che non riusciva a concentrarsi appieno sulle parole. Aveva tentato di distrarsi portando a spasso Sherlock, ma dopo il secondo palo della luce (e conseguente secondo trauma cranico) che quasi prendeva in pieno decise che anche quella non era la modalità giusta per distrarsi.
    La verità è che Holden aveva i pensieri da tutt’altra parte, ma rivolti esclusivamente a una situazione specifica, a una persona in particolare.
    Seduto sulla poltrona di casa sua in silenzio, con il labbro inferiore stretto tra i denti, guardò fuori dalla finestra con fare pensieroso, rivivendo davanti agli occhi le scene che si erano svolte in quell’angolo di strada esattamente un anno prima: i colpi sulla porta, la puzza di whiskey, le lacrime di Ethan, le terribili confessioni, l’ultimo abbraccio, e poi il vuoto totale. Per un anno. Si erano visti solo un’altra volta, durante l’inaugurazione dell’amortentia, ma avevano scambiato due parole e poi niente più. Holden non aveva smesso di pensarlo – mai veramente in tutti quegli anni – ma l’Huxley era stato più che chiaro: non gli bastava più. Non il suo affetto, non la sua amicizia, non la sua presenza. Aveva detto chiaro e tondo che gli aveva solo provocato danni, che gli aveva solo fatto del male, e la scena del ricciolino che aveva conosciuto come felice, innocente e spensierato a Hogwarts, barcollare invece sopraffatto dai fumi dell’alcool sulla soglia di casa sua, accasciarsi a terra e piangere, continuava a passargli davanti agli occhi a rallentatore, e le sue parole a rimbombargli nelle orecchie come una sorta di maledizione. Dovevano stare lontani, separati, lui non doveva avvicinarsi a Ethan per il bene dell’altro.
    Eppure.
    La vita di Holden era fatta di scelte sbagliate stupide.

    Smaterializzarsi fu la prima mossa non del tutto geniale: ritrovare l’equilibrio e far sparire i dolori atroci alla testa e il fischio all’orecchio richiese un minutaggio maggiore di quello che avrebbe mai potuto pensare, e comunque non passò del tutto; indossare delle scarpe classiche in vernice in un posto come quello, la seconda; presentarsi alla Riserva di draghi in cui lavorava Ethan, la scelta stupida numero 0 da cui erano scaturite tutte le altre.
    Quella volta non era lì per lasciargli egoisticamente la sua corrispondenza di un anno con scritti tutti i suoi sentimenti nascosti e anche abbondantemente soffocati nel tempo, era lì perché voleva per una volta fare un’azione genuina e disinteressata come augurare un buon compleanno ad un amico. E infatti era lì proprio da amico, anche se all’entrata, dopo essersi schiarito la voce con un paio di colpetti di tosse e aver alzato il mento con fare quasi fiero, aveva detto «sono un giornalista» non del tutto falso, ma non per forza vero; ma per rendere ancora più credibile la sua presenza lì in qualità di inviato di un giornale del regno unito, mostrò anche il tesserino (???) e recuperò taccuino e penna per prendere appunti. «sto scrivendo un pezzo su… i… draghi…» inventò al momento, poi scosse la testa e fece un vago gesto con la mano libera «insomma mi piacerebbe parlare con l’addestratore» rivolgersi al suo compagno di casata e di infanzia con quel “titolo” gli provocò una specie di moto d’orgoglio interiore, un calore che lo pervase su tutto il busto. Aprì il taccuino su alcuni appunti che non c’entravano assolutamente nulla con quello che stava per dire, ma fece comunque finta di leggere «H-Huxley?!» chiese scrutando l’uomo all’entrata – un custode o qualcosa di simile a primo impatto. Questi puntò con il dito verso il sacchetto bianco che il giornalista teneva tra le mani, e Holden si strinse nelle spalle. «zuccotto? un omaggio della redazione» e così comprò il suo ingresso nella riserva, cedendo al custode o chicchessia uno dei zuccotti che aveva portato per l’ex grifondoro, un pensierino in ricordo dei bei tempi, quando, ancora due nani studenti al Castello, passavano le giornate a Hogsmeade tra zuccotti e bibite alla soda (a differenza di molti loro compagni che invece cercavano di trasgredire le regole e riuscire a raccattare già le prime bevande alcoliche).
    Si incamminò sospirando, un po’ teso e nervoso, ma soprattutto ben attento a non diventare la cena di nessun drago.
    Così attento che al primo fruscìo di ali (un movimento che spostava un enorme quantità di aria, bisognava ammetterlo) si piegò sulle ginocchia e tentò quasi di accovacciarsi sul terreno, coprendosi la testa e strizzando gli occhi.
    Sopravvissuto all’attacco dei mangiamorte, non pensava di morire così, abbrustolito da un lucertolone alato.
    journalist # rebel # 1993
    @scotland | 28.08.2021
39 replies since 1/6/2020
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