i was waiting on a different story

aidan, libera

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    You and I are crashing course
    Driven by a holy force
    «Assolutamente no.»
    Eh, vabbè. Detto di cuore. Di anima e con sentimento. Voleva davvero bene a Toothless, Aidan, ma come cristo era possibile che la sua vita si fosse trasformata in quella di un qualsiasi padre di famiglia nucleare con un lavoro serio, sporadici e sofferti contatti con i parenti stretti, e un ragazzino costantemente appiccicato al fianco? Eppure i suoi step calcolati per evitarsi quel genere di situazione li aveva presi. Facendosi rapire, sparendo cent’anni nel passato, partecipando a una guerra e legandosi emotivamente a un uomo così che le probabilità di un figlio accidentale cadessero a uno zero tondo.
    E invece t’oh, eccoci. Così disperato per una breccia che spezzasse la sua routine casa-lavoro, cose che manco i genitori divorziati, che aveva bellamente ignorato le miliardi di red flags di quell’invito. Sospetto perché non aveva una vita sociale, innanzitutto; con Maple in un qualche lato di mondo decisamente troppo lontano per una delle sue sporadiche visite, Charles sparito dalla sua vita – una questione per cui non portava (virgola, disse) rancore –, e Arci letteralmente a portata di mano il suo contatto col mondo esterno tendeva a limitarsi alle pause caffè tra un incarico e l’altro. Fosse stato solo quello, però.
    Aveva girato e rigirato il biglietto tra le mani, sfiorando l’altorilievo delle lettere sotto i polpastrelli con interesse quasi scientifico. Non era più un ragazzino scemo, Aidan; purtroppo, aggiungeremo. Esperienze pregresse ed istinti ben oliati dal mestiere che si era scelto lo avevano portato persino a cercare tracce di magia oscura sulla busta in cui era stato racchiuso. Ricevere un invito promozionale a un evento in costume d’alta società non era poi così strano. In tempi come quelli, poi, dove la gente voleva mettersi alle spalle gli orrori della guerra con le frivolezze opulenti tipiche di una società in decadimento? Fottutamente tipico. È che lui certe cose le filtrava; non era semplicemente interessato, Aidan Gallagher, a tenersi stretto quegli ultimi vestigi di falsa superiorità razziale. Non era certo la sua famiglia fosse della sua stessa opinione, ma poteva ormai ritenersi indipendente dalla loro morsa ferrea. Quindi per far giungere quel pezzo di carta tra le sue mani, e via posta prioritaria, evidentemente ci stava un qualche tipo di fregatura nel mezzo.
    Ma di nuovo. Disperazione. Poteva essersi trattato di un infelice errore di sistema, così come di una trappola per bloccarlo nell’ennesimo casino di portata mondiale con cui non voleva avere a che fare volontariamente. O forse sete di vendetta da parte di qualcuno che non aveva particolarmente a cuore il Ministero: difficile, ma non impossibile. Aveva comunque sistemato i capelli e stretto la cravatta in un nodo, e si era trascinato fino al luogo d’incontro.
    E lì.
    Davanti ai giardini dell’Aetas.
    Proprio .
    Ci aveva trovato fucking Toothless.
    «Assolutamente no
    Cristo santo. «Ma non avevi quella festa con–» lasciò svolazzare la mano in aria, espressione contrita ancora puntata sul Simmons. «Quel gruppo di gente che dicevi?»
    E Toothless Simmons, che dal canto suo era altrettanto sconvolto, ebbe pure il coraggio di strabuzzare gli occhi e annuire lentamente come se stesse parlando con un deficiente. E di sembrare offeso, ma quella era una costante: gli piaceva cambiare interessi con la rapidità delle scale di Hogwarts, e ci rimaneva male quando Aidan dimenticava metà dei nomi esageratamente complessi che gli venivano sputati contro quando passava per casa. Le sere del weekend, solitamente; quando Aidan aveva una settimana di lavoro da seppellire e poco spazio cerebrale per immagazzinare altre informazioni.
    «Sì, il fanmeeting con il cast dell’Hellfire.»
    Aidan:
    Tooth:
    Aidan:
    Tooth: «Sono Rue!»
    Seguì, a quel punto, il movimento teatrale delle sue braccia. E guardò meglio i suoi vestiti. Le corna sulla sua testa. La pittura (che sperava, forse inutilmente, che fosse cosmetica) secca sulla pelle scoperta. E fissò nuovamente occhi vitrei in quelli del Tassorosso.
    Citando Ariana Grande: yes, and.
    Annuì fingendo di capire; non spiegava perché fosse all’Aetas, in ogni caso. Qualcosa che avrebbe ripetuto ad alta voce, se non fosse stato preceduto.
    «Sei venuto senza cosplay a un raduno col cast e neanche riconosci i personaggi?»
    Aprì e chiuse la bocca come un pesce fuor d’acqua, poi batté le palpebre.
    Lo aveva fatto?
    «Ma che dici.»
    No. No, che non lo aveva fatto; e per dimostrarlo sfilò persino dal taschino la busta contenente il biglietto incriminato. Con la medesima teatralità di Toothless, che da qualcuno doveva pur essersi fatto influenzare, glie lo spinse contro il naso – sopracciglia arcuate con la saccenza di chi sa di avere ragione. Certo, questo finché la sua faccia non si accartocciò per la confusione. Quella riflessa anche nello sguardo di Toothless.
    Tono piatto: «Sagra della salsiccia?»
    Cosa. «Cosa.»
    «Fan delle salsicce ti ci facevo già.» Cosa. «Dei Nickelback, meno.»
    Roteò il biglietto così da poter leggere meglio; uno sforzo inutile, in ogni caso.
    Perché.
    Never made it as a wise man.
    Fece scattare la testa nella direzione del palco.
    I couldn’t cut it as a poor man stealing.
    «Oh.» schioccò la lingua contro il palato, così rapito da qualunque cosa stesse accadendo da non far caso ai punti interrogativi sulle facce anonime attorno a lui. Su Toothless che cercava a sua volta il biglietto, e ripeteva ad alta voce la condanna.
    Nickelback On Tour
    New York
    Londra
    Parigi
    La Sagra Della Salsiccia @ Aetas Park
    «Oh mio dio.»



    Are we having fun yet.
    «No.»
    reeli
    brother i’m going to be honest with you. i don’t give a fuck if he’s “redeemable” or not. what is this, the checkout counter? he’s not a fucking COUPON!!!!!

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    non deve davvero avere senso un post che dite

    ok allora. reminder.
    - siete tutti stati invitati a un evento. quale? mah, sta a voi decidere. gala? festa in maschera? meeting tra cultisti? eyes wide shut? un rave? libero arbitrio, ma se non siete vestiti a tema siete dei codardi
    - free entry ma qualcuno di voi potrebbe benissimo essere stato scammato per un evento esclusivo che non esiste davvero da un venditore del mercato nero
    - in realtà è la sagra della salsiccia, una delle tappe più attese del tour dei nickelback. ci sono e stanno suonando how you remind me proprio per voi! quando arriverete all'aetas il biglietto si rivelerà magicamente per quello che è davvero
    - è tutto assolutamente random ed è una safe escape route per noi poracci che dobbiamo ancora finire di censire ma non abbiamo il tempo e la materia grigia per rispondere alle role vere; però insomma, chiunque è il benvenuto!

    conosco i miei polli quindi il codice è questo per chi dovesse fare lo schema
     
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    E quindi.
    E quindi porca virgola.
    Si era davvero ridotto a quello. Agli strascichi. Al dover scommettere contro se stesso per convincersi ad apparire sul grande palco della vita– anche chiamato censimento. Ma la domanda fondamentale, quella domanda che tutti si stavano ponendo era la seguente: perché una persona come Xavier Stevens si trovava alla sagra della salsiccia? No pun intended. Ecco, se lo stava domandando anche lui, sguardi circospetti ai suoi dintorni e sorpresa nel constatare che i………..Nickelback fossero lì. Ma perché. Ma erano ancora vivi? Ma poi chi erano. Insomma, il pirocineta era pieno di domande, ma aveva deciso di lasciare che fossero le sue figlie a prendere in mano la situazione. Aveva pensato che portarle all’Aetas per festeggiare il carnevale sarebbe stata una cosa diversa dal solito, una tradizione che potevano avere come famiglia, solo loro tre. E in effetti, per quanto avesse sbagliato giorno perché non vi era alcun carro o coriandoli sparati in aria, pareva essere capitato a un evento simile. Pieno di pagliacci e co. Non che lui fosse messo tanto meglio, vestito da un certo Kaegan dell’Hellfire club. Non aveva idea di chi fosse, ma aveva deciso per una volta nella sua vita di accettare il consiglio di Stiles, e lasciarsi scegliere un personaggio a caso. Non era colpa sua se non aveva idea di cosa fosse in al momento, vivere per anni in Messico l’aveva tagliato fuori dal mondo. E voi mi direte: ma come, non avete Internet in Messico? Fatti i cazzi tuoi. Xavier sapeva solo di aver esagerato con il realismo, e avere un'armatura addosso si stava rivelando più complicato del previsto sia per il range di movimento che per il peso, ma nell'abbassare lo sguardo sui volti entusiasti di Juno e Atlas decise che forse ne valeva la pena. Anche se lo stavano trascinando verso lo stand di salsicce. «Guardate che ho i soldi contati» - cit ogni padre alla fiera della domenica
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    mort rainey
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    honestly it's a shit show
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    Tutti volevano sapere cosa stesse facendo Mort Rainey dopo il diploma, dopo la guerra, se gli eventi a cui aveva preso parte l'avessero riappacificato finalmente con il perduto amico di infanzia Alan, se i denti gli fossero ricresciuti, se finalmente qualcuno gli aveva detto della sua vera famiglia.
    La gente si poneva un sacco di domande su dove fosse finito il Rainey, che fine avesse fatto, e perché fosse sventuratamente andato via da un momento all'altro — canali twitch dedicati, podcast su Spotify, puntate di quarto grado, e anche speciali di porta a porta con un preoccupato Bruno Vespa. Il mondo intero, era chiaro, appariva terrorizzato dall'assenza improvvisa di Mort Rainey.
    In realtà, l'ex prefetto e poi caposcuola Serpeverde non era del tutto sparito, e non si stava certamente nascondendo, ma stava vivendo pacatamente nell'ombra, e non perché questa volta tramasse qualcosa (incredibile a credersi) ma perché, come un moderno (più aitante, più coraggioso, più fiero, e più eroico) Batman si stava allenando.
    Probabilmente non ci sarebbe stata nessuna nuova guerra nel breve periodo (o forse sì, chissà), e Mort Rainey, ovviamente, essendo un membro di spicco dell'élite governativa, lo sapeva già, e il suo allenamento, pertanto, non era fatto di duro esercizio fisico e di resistenza, no, lui stava addestrando ed esercitando la sua mente e il suo intelletto, stava lavorando sulla sua immagine, sul suo futuro, sul futuro del suo paese, e ovviamente...

    Non c'era alcunché di cui stupirsi, era ovvio che avesse ricevuto quella lettera; la lesse quasi con superficialità, ma con la serietà e la severità con cui un Presidente legge la lettera ai propri sudditi alla fine dell'anno. «dovrò andarci per forza, Karl, non ho molta scelta» lasciò la lettera aperta sulla scrivania e poi si sfilò, con fare forse un po' teatrale, gli occhiali e li posò sul pezzo di pergamena pregiato «non posso deluderli così tanto, hai sentito come me l'hanno chiesto, no?» e che Karl l'avesse sentito o meno, il Rainey ribadì il concetto prendendo di nuovo la lettera tra le mani e leggendo a voce alta «Illustrissimo Signor Rainey» si fermò per fare un appunto con un sospiro poco convinto «e vabbè hanno sbagliato il titolo, è vero, ma si tratta dell'Associazione dei bambini con la rarissima sindrome emorroidale, Karl, possiamo permetterci di perdonarli, sono bambini che soffrono e che stanno morendo!!!» con uno schiocco sulla lingua mise un punto definitivo sulla questione senza permettere all'altro nessuna replica «saremmo estremante onorati se potesse donarci una benedizione con la sua onorevole presenza al nostro evento» il tono si fece man mano più fiero e aulico «la sua vicinanza sarebbe di immensa ispirazione per i nostri bambini, una luce in mezzo a una vita di buio pesto» sembrava starsi quasi per emozionare, quindi dovette smettere di leggere la lettera e piuttosto si alzò dalla sedia lentamente, andando verso l'armadio e ammirando la sua armatura nella penombra. «certo che sono pronto, stavo aspettando solo il momento giusto, ed è arrivato» e solo allora si voltò per rivolgere un ghigno soddisfatto ma serio al pesce rosso nella palla di vetro «è ora di tornare in azione, Karl»

    Ovviamente era vestito di tutto punto, e ovviamente aveva portato dei gadget per i bambini dell'Associazione.
    Non si era fatto troppe domande e non si era minimamente stranito, perché aveva perfettamente senso, no? Si trattava di bambini, e seppur fossero gravemente malati — alcuni di loro addirittura in fin di vita — avevano anche loro diritto a un parco, a godere dell'aria aperta e della natura prima che il loro momento inevitabilmente e prematuramente arrivasse.
    Mort era davvero felice di poter partecipare a quella magnifica iniziativa, e aveva anche scritto un'affezionata lettera in risposta in cui li ringraziava caldamente dell'invito e confermava la sua presenza, ma solo a condizione che non lo pagassero affatto. E aveva insistito tanto sul punto eh. Aveva dovuto insistere sul punto perché l'Associazione si era detta pronta a sborsare un importante cachet per garantire la sua partecipazione. Aveva dovuto addirittura minacciarli di non partecipare più se avessero anche solo provato a dargli un centesimo.
    Era un uomo caritatevole, lui, benevolo e genuino, non aveva bisogno di un compenso per poter fare del bene, era anzi mosso così tanto da buona volontà nei confronti di quella iniziativa che si era avviato addirittura in anticipo e ora poteva godersi un po' dello spettacolino di apertura con calma.
    Probabilmente quei vecchi signori che cantavano dovevano essere genitori o parenti degli sfortunati bambini, perché ci stavano mettendo tutto loro stessi in quelle esibizioni, tant'è che Mort si sentì ancora una volta magnanimo quel giorno e li lasciò andare avanti ancora un po', nonostante l'orario in cui fosse prevista la sua presentazione sul palco fosse passato da un po'.
    Aveva salutato dalla distanza e con un cenno del capo qualcuno degli organizzatori di quella iniziativa, che fortunatamente avevano preso alla lettera quello che il Rainey gli aveva scritto sul non voler creare una grande folla intorno a sé, di non volere guardie del corpo, e di essere trattato esattamente come tutti gli altri. Era convinto che fosse il modo più giusto e genuino per avvicinarsi a quei bambini così sfortunati.
    Ne adocchiò uno da lontano, con voluminosa capigliatura riccia e un visetto un po' deforme, e sentì effettivamente una particolare connessione che lo spinse a camminare verso di lui, porgergli una mano sulla spalla, e con fare compassionevole abbassarsi per raggiungere la sua altezza. «non preoccuparti, un giorno tutto questo finirà. Ho qui un regalo per te, per risollevarti il morale» si guardò sospettosamente intorno per assicurarsi che non lo stesso spiando e non lo assalissero, e poi porse allo sfortunatissimo bambino una copia esclusiva del nuovissimo libro che avrebbe presentato solo da lì a pochi momenti su quel palco. Era una copia piuttosto spessa, e il passaggio dalla gioventù e l'inesperienza del primo volume alla maturità e alla solennità di questo primo sequel si notava sin da subito nel colore scuro della copertina, su cui figurava solo il titolo in grande: Mein Zahn: memorie e successi del Sommo Generale Mort Rainey.
    Lasciò quindi una pacca leggera sulla spalla del bambino e poi sospirò «sii forte, si può vincere ogni guerra con i miei insegnamenti»
    general_of_the_Army
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    Bugiardi. Tutti bugiardi con le vostre 200 parole e via senza senso. Ma non importa, perché ci sono io a ristabilire l’ordine con la cocaina in corpo e una preghiera rivolta al Signore.
    Gaylord, being Gaylord, era felice. Di default, proprio, perché a quanto pare quando si era famosi, belli e benestanti non era difficile mantenere un permanente sorriso sul viso. Eppure quella volta vi era un motivo, e aveva a che fare con la lettera che qualche settimana prima era stata recapitata al suo appartamento. Un’associazione che si occupava di bambini con una rara sindrome emorroidale, o qualcosa del genere, non importavano le specifiche quando il Beckham poteva dare una mano al prossimo. Dopotutto non tutti potevano essere fortunati come lui, ed era sempre il primo a riconoscere il proprio privilegio. Quindi sì, aveva fatto una donazione all’associazione, e aveva promesso di partecipare al loro evento. O meglio, l’aveva fatto il suo manager, ma contava comunque. Il Beckham non si era preoccupato di indagare sui dettagli, aveva lasciato che il flusso della vita lo trasportasse fino a quel momento, motivo per il quale rimase sorpreso quando finalmente giunse al luogo dell’evento. Perché…non si aspettava proprio quello. Sembrava davvero tutto molto disorganizzato, come se delle persone a caso si fossero riunite in un luogo a caso per fare cose a caso. Mah, strange forte. Quello che era innegabile, tuttavia, era che ci fossero dei bambini. Certo, non sembravano particolarmente malati, ma che ne sapeva lui non era un professionista. E sapete cos’altro vedeva? «MORT????» davvero, nessuno ever era mai stato così felice di vedere Mort in vita propria prima di quel momento. Così felice che gli corse incontro, rivolgendogli uno dei suoi sorrisi smaglianti (perché si faceva anche sbiancare i denti, ovvio) «cosa ci fai qui? hanno invitato anche te?» beh, in effetti era una figura pubblica. Kinda……………..se vendere due copie del proprio libro contava.
    donboscosupremacy
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    Sapete cosa? Lui nemmeno la leggeva la fottutissima posta che gli arrivava nello studio a Hogwarts. Di solito la raccoglieva e la nascondeva in un cassetto della sua scrivania, lasciandola a marcire fino a far diventare inutile ogni parola scritta su quei fogli di carta. Alla fine, la maggior parte di quelle cose erano tutte inutili: si trattava perlopiù di spam, incontri tra professori, annunci di nuovi libri in uscita — quindi, tutto spam, esatto —, e le bollette gli arrivavano a casa (sia mai cedere al digitale, era convinto che se gli fossero arrivate via email in qualche modo la banca avrebbe trovato il modo per rubargli i soldi tramite il computer), quindi perché perdere tempo a leggere quelle cose? Una saggia scelta, se ci pensate bene.
    Se è per questo le scelte del Faustus erano quasi sempre sagge al principio, lui partiva sempre con le migliori intenzioni e con le migliori pianificazioni, poi chissà come, per un motivo o per un altro, andava sempre tutto a puttane e lui si ritrovava a rimpiangere qualsiasi cosa.
    Quella volta le cose erano andate diversamente però, perché erano andate a puttane sin da subito. Quando aveva raccolto il malloppo di posta della settimana, o due, magari anche tre, appena prima che lo abbandonasse nel cassetto delle lettere fino a data da destinarsi, questo, piuttosto che ammassarsi insieme a tutta l’altra posta non aperta, tentò il suicidio rovesciandosi sul pavimento.
    Ora, Freddie era un uomo dalla sconfinata pazienza e quindi non bestemmiò, ma dovette prendersi qualche attimo di silenzio per guardare le lettere cadute a terra e non decidere di liberarsene con un incendio – c’era poi da chiedersi perché non bruciasse tutte le lettere visto che tanto non le leggeva, ma per sciogliere questo nodo si dovrebbe indagare più a fondo la psicologia del professore di trasfigurazione, e nessuno vuole questo, non ora, non qui, soprattutto non mentre succedeva qualcosa di cui poi eventualmente si sarebbe pentito. Perché, quando si era abbassato a raccogliere la posta caduta, pronto a metterla al suo posto nel cassetto del destino, i suoi occhi avevano scorto un particolare interessante: era un involucro colorato di giallo, con su disegnini di palme varie e soli sorridenti. Freddie non aveva figli (a parte il buon Davide di cuore, ma a quanto pare il bambino era sparito e nessuno voleva dirgli che fine avesse fatto – era anche un po’ preoccupato fosse finito in qualche ospedale psichiatrico, ma continuavano a dirgli che era meglio che lui non sapesse), e non era iscritto a nulla che giustificasse quella busta così infantile e allegra, ma proprio per questo gli sembrò interessante e l’aprì.
    Ed era proprio quel momento che avrebbe rimpianto, una volta arrivato al boschetto dove si doveva tenere l’incontro.
    Se era un po’ sospetto che gli avessero chiesto di presentarsi in un luogo aperto, nel freddo gennaio scozzese, con quell’outfit specifico? Un po’, ma non si era fatto troppe domande; cioè se l’era anche fatte, ma gli sembrava abbastanza plausibile che il ritrovo annuale del camping HH Happy in Honolulu proponesse vestiti a tema.
    E quindi eccolo lì, il buon Frederik Faustus, pantaloncini beige, camicia hawaiana, cappellino di paglia, e infradito, pronto a gustarsi un buon cocktail fresco con l’ombrellino colorato e condividere la sua esperienza life-changing nel resort a Honolulu, trovarsi invece a dover scansare pozzanghere fangose sul prato del boschetto, mentre sul palco in lontananza un malandato e trascurato Chad Kroeger gli ricordava che quell’immagine di lui (anche quella) così conciato e vestito probabilmente non l’avrebbe mai risparmiato o lasciato in pace. «this is how you remind me» risuonava alle sue orecchie più come una minaccia che come il verso di una canzone.
    Avrebbe potuto smaterializzarsi all’istante e scappare a casa, ma a quel punto era convinto che le telecamere di Eugene Jackson l’avessero già filmato, quindi tanto valeva abbracciare quella croce, avvicinarsi al primo stand, e mostrare quanto fosse effettivamente dispero «ma non è che per caso vendete anche la droga qui?» chiedo.
    stressed__wolfie
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    And what the hell is on Joey's head?
    Aloysius Angus Crane non aveva ricevuto nessuno strano invito, per quel giorno. Nessun evento di beneficenza, nessuna rievocazione storica, nessun convegno e nessuna presentazione di alcun tipo.
    Niente di niente.
    Lui sapeva. Tante cose, anche se non lo dava a vedere, ma questo è un altro discorso; ciò che era importante, era che sapesse la verità su quanto riguardava quel giorno. Lo aspettava, lo agognava da anni.
    Ed era lì, sotto al palco, da più tempo di quanto fosse lecito. Era necessario? No, perché era un evento esclusivo di cui poca gente conosceva la reale portata, ed avrebbe trovato posto nelle prime file anche se fosse arrivato all’unico secondo. Aveva evitato di appostarsi lì dalle prime luci dell’alba – cosa che avrebbe tranquillamente fatto una quindicina di anni prima – soltanto perché River e Flow avrebbero fatto troppi capricci stando tutto quel tempo nell’Aetas. Perché sì, ovvio che sì: si era portato i suoi figli al concerto dei Nickelback. «ci pensi?» e perché mai avrebbe dovuto pensarci, il bambino di sei anni a cavalcioni sulle sue spalle, che da buon erede di suo padre probabilmente già voleva morire. «avevo solo dodici anni quando è uscita questa canzone!» se avesse le lacrime agli occhi mentre Chad Kroeger urlava nel microfono di non avercela mai fatta da uomo saggio, era solo un suo problema.
    «papà… quanto manca…» il Crane sorrise gioviale, scompigliando i capelli di Flow e tirando la sua adorabile testolina contro il proprio fianco. «oh, bimbo mio… è appena iniziato una minaccia, una condanna forse. «io ho fame.» volle far finta di non aver sentito la vocina di River sopra di sé, ma in fin dei conti How You Remind Me era quasi finita e poteva fare lo sforzo di distogliere l’attenzione dal palco (dopo averla cantata a squarciagola) per fare il buon genitore. «vuoi una salsiccia?»
    Foreshadowing.
    «oddio! guardate, quello è un collega di papa!» come se ai due fregasse qualcosa. «FREDDIE!!!» si avvicinò all’uomo, bisbigliando ai figli di non giudicarlo per l’abbigliamento. «anche tu sei un fan?» perché non glielo aveva mai detto in quei mesi? Infame.
    serotnin
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    mizumaki chouko
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    «Fermate il gioco.»
    Cit Giulia, che ha quattro personaggi da censire e tipo un’ora per farlo, realisticamente, perché poi deve tornare a svenarsi sulle scadenze della tesi e pregare che la Madonna e Cher la assistano prima che perda quel vago soffio di sanità rimasto.
    «Non ho capito.»
    Eh, sempre noi. Perché vedete, Chouko non solo l’aveva data (la via a Google Maps) tre volte e comunque era riuscita quasi a finire in Scozia accidentalmente (al terzo tentativo si era resa conto di aver messo la navigazione a piedi), ma per i primi venti minuti buoni del concerto era rimasta speranzosa. Ci aveva voluto credere, poster di The X-Files di noi altri. Aveva visto un ometto raggirarsi vestito da Bob The Builder — e okay che aveva forse qualche collarino e imbracatura in pelle di troppo, ma non si era fatta troppe domande a riguardo. Love is love, etc. Di gente che con i robot ci faceva cose strane di cui lei non voleva sapere davvero troppo ce n’era, dopotutto. Poi le era passato davanti un altro tizio con l’armatura medievale, e si era sentita impossibilmente meglio. Che grandissimo, stratosferico slay; voglio dire, l’unione del metallo rozzo con l’intelligenza artificiale? Balenciaga!
    E poi erano apparsi gli elfi.
    E i signorotti ottocenteschi.
    Ed erano arrivati i Nickelback, non so se intendo.
    Sapeva di essere un soldato forte, Mizumaki Chouko, ma non così tanto. Cominciava un po’ a velarsi di grigio, il suo sguardo; le pozze scure degli occhi ormai in modalità screensaver.
    Masticò l’interno della guancia, nascose le mani nelle tasche della giacca, e danzò sui talloni; così, tanto per non abbandonare l’ultima speranza come Giulia ogni volta che apre la chat col relatore, piegò un’ultima volta la testa in direzione della folla.
    Perplessa quanto lei, quantomeno.
    «E quindi. Tutti qui per condividere la passione per gli oggetti meccanici?» Che non era uno strano doppiosenso.
    «ma non è che per caso vendete anche la droga qui?»
    Ok. Evidentemente no.
    Roteò saggiamente su se stessa, e mise la sua debita distanza da qualunque cosa stesse succedendo nelle sue vicinanze.
    E quindi adesso a chi lo mostrava il suo meraviglioso arsenale per la quale aveva perso preziose ore di sonno in vista di un fucking raduno che non esisteva veramente?
    Accartocciò le labbra a cuore, e decise su due piedi di scegliere un fortunello (vuoi essere tu? Proprio tu?) (ma tu chi, che questo post nessuno dovrebbe leggerlo per mantenere un minimo di reputazione sana) che ancora non era stato rapido dal richiamo della sirena!Chad Kroeger.
    «È un work in progress,» così, a cazzo duro. No perditempo. «Ma morirei per lei, e ora devi aiutarmi a darle un nome.»
    E che l’altra persona fosse pronta o meno, infilò una mano nella giacca — simil spacciatore; forse non sarebbe stato male scegliere Freddie per questo scopo, in effetti —, e aprì il palmo per rivelarne il contenuto: un ovale piatto di pochi centimetri, innocuo sotto ogni punto di vista. Apparentemente, quantomeno. Un semplice sfioramento del pollice sul tasto d’accensione, e guardò il suo robottino spiegare ali cibernetiche e circolare attorno all’involontario spettatore.
    «Un cyber-famiglio!!!&&&»
    Ma che sto scrivendo.
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    Tooth non stava avendo una bella giornata.
    Ne aveva avute di peggiori, tutto sommato. Nel grande schema delle cose, ecco. Ma quella si piazzava sicuramente a un punto della classifica tra il medio-alto; superata giusto dai traumi della guerra e quelli infantili tra la fanghiglia di Bodie, in pratica. E no, non era affatto un ragazzo melodrammatico, che dite, discriminazione.
    Anche perché aveva la tinta che si stava seccando contro la sua pelle, punto primo. Una che probabilmente aveva anche quel giusto livello di tossine elevate in grado di trasferirsi sul colore naturale della sua pelle e renderlo bluastro per almeno un paio di mesi. E di farlo stare male, anche, ma quello era l’ultimo dei suoi pensieri.
    Poi. Era stato sedotto e abbandonato.
    Slealtà e inganno.
    Disonore ai Nickelback.
    Disonore alle loro mucche.
    «Neanche sapreste gestirle, delle mucche.»
    Detto da un vero avventuriero cresciuto nel Far West; un insulto vero. Serio, col suo peso emotivo.
    E POI MINCHIA VOLEVA DAVVERO INCONTRARE L’HELLFIRE MA CHE STORIA MISTICA ERA QUELLA.
    Lui che era un vero fan. Che sapeva dove fossero le priorità (Fear che prende le redini della storia e si appropria del potere, altro che Rezmir) (ALTRO CHE SAMMIE E KEAGAN BUUUUUUUUUUUUUUUU).
    Lui che aveva ignorato i compiti di Erbologia e ora non poteva logicamente più perché i suoi impegni del weekend erano, beh. Saltati non è il termine giusto.
    A quanto pare non erano mai esistiti.
    Ma sapete cosa.
    Non era solo, chiaramente.
    E sapete cosa but in a different font.
    Quel vago livello di disperazione (suo, di Aidan che si era probabilmente andato ad impiccare a uno dei pali degli stand col cravattino da piccolo lord) non lo avrebbe fermato dall’essere il solito, emerito dito nel «secondo me.»
    E a proposito di dita messe in luoghi dove non dovrebbero logicamente stare, spinse un indice praticamente in faccia dello sconosciuto.
    «Keagan nasconde qualcosa.» e con chi altro poteva star parlando, d’altronde, se non l’unico altro povero sfigato che aveva colto il memo sbagliato tanto quanto lui. Per niente intimidito dalla differenza di stazza; somigliava pure un po’ a quel pirla di Arci.
    «l’unico che non ha condiviso la sua storia, mhm. Nella seconda campagna rivelerà la sua vera identità.» palpebre ridotte a fessure, tono cospiratorio: «come, ad esempio, il fatto che la sua finta cottarella sia in realtà un modo per controllare Salem, perché lui è un servo di Daurgothoth.»
    LA SUA (!!!) TEORIA (!!!!!!) che sui forum gli veniva contestata. Maledetti shipper.
    Team marinaiosenzanome.
    «e comunque il tuo cosplay è inesatto.»
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    I think the ground is pulling me down
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    I think my ways are wearing me down
    Come da proverbio:
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    Un esempio lampante, quello.
    Come, esattamente, Richard Anthony Quinn si fosse fatto trascinare in un angolo di quella bolgia a sorseggiare la peggior birra che il mercato potesse offrire è una storia lunga. Una che nella testa del sopracitato continuava a ripetersi come le immagini della cassetta di The Ring: scene confuse, pozzi, bambine che si pettinavano le ascelle. Quasi canon.
    La lettera si era praticamente calata sulla sua scrivania in un giorno non descritto. Nessun preambolo, nessun mittente. Posizionata sotto a documenti che era certo di aver sfogliato solo la notte prima, e che sapeva con certezza che nessuno avesse toccato nelle ore precedenti al suo ritorno; illogico. Ma aveva imparato a essere cautamente indifferente all’illogico, Richard: sotto certi punti di vista, si poteva addirittura dire che ne avesse fatto il callo. Sicuro era diventato una sorta di nomea — chi, a quel punto, non si aspettava di ritrovarsi nelle situazioni più strane in sua presenza.
    Aveva sollevato il sigillo. L’aveva aperta. Aveva letto i contenuti.
    L’aveva riposta in un cassetto, e se n’era dimenticato.
    Il giorno dopo, se n’era ritrovato un’altra.
    Stesse modalità, ma stavolta incastrata nel plico di pergamene in via di correzione. Sapeva — perché si era premurato di annotare la cosa — di non aver inserito alcun tipo di lettera sulla scrivania. Sapeva anche che, un’altra volta, nessuno si fosse addentrato nel suo studio. La certezza di quest’ultimo fatto stava in quello stesso plico: nessun trattato in più che accidentalmente gli era sfuggito tra la lista dei nomi che avevano consegnato in tempo.
    Parole più convincenti, in quella seconda lettera; uno studioso che aveva letto alcune delle sue pubblicazioni e voleva commentarne alcuni punti. Tempo di scendere di qualche riga, e calò anche il suo interesse. Perché nessuno leggeva le sue pubblicazioni; e di certo, anche chi cascava nel tranello non leggeva i suoi trattati più… audaci. Quelli che la sua università gli aveva gentilmente chiesto di ritirare dagli archivi, e che di fatto esistevano solo nella vetrina del suo appartamento.
    E di nuovo. Stessa storia. Stesse modalità.
    Il dubbio che potesse esserci lo zampino del Demonio gli era anche balenata in testa, vista l’insistenza. Ma era abbastanza certo che per quanto il Moonaire fosse un uomo in grado di mantenersi fedele ai suoi teatrini oltre il necessario, sapeva con ancora più convinzione che neanche lui si sarebbe osato tirare fuori materiale d’archivio sulla scienza sperimentale per il solo gusto di dargli fastidio. Era già tanto se ricordava il suo percorso di studi.
    Si era fatto raggirare come un bambino di fronte a una caramella, per farla breve. Affascinato dalla persona sconosciuta dall’altro lato del pennino, forse. Le vie verso il suo cuore, d’altronde, erano sempre state poche ma d’effetto.
    Quando l’ultima lettera gli aveva proposto, per la terza volta nel giro di una lunga, intensa settimana di contatti (unilaterali e) giornalieri, si era stretto nelle spalle e aveva accettato. Nel migliore dei casi era un altro docente, o qualcuno del personale scolastico, che aveva scelto di mantenersi anonimo per evitare pregiudizi o disagi; nel peggiore, un fanatico che voleva trascinarlo in una setta per riprendere il potere del mondo.
    La seconda meno strana della prima, visto il clima politico che si viveva di quei tempi. E quindi. Aveva qualcosa da perdere?
    «La ringrazio.» @ chiunque gli avesse offerto una salsiccia; non Al, perché sarebbe strano. E un tono che voleva essere piatto, ma sotto il frastuono della musica uscì di qualche decibel più alto del dovuto. Voce spezzata and all. «Ma credo di star diventando vegetariano.»
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    La cosa bella delle role improvvisate è che non c’è bisogno di elaborare, perché qui ci sarebbe molto da elaborare considerato che è da prima della quest che non elaboro proprio niente, come se niente fosse successo e nulla fosse cambiato.
    Ebbene, mettiamola così, anche Holden non aveva elaborato proprio niente da quel maledetto mese di maggio; si era chiuso in casa, perlopiù, si era messo in malattia – ma poi aveva dovuto tornare a lavoro a un certo punto perché non poteva essere depresso e anche dormire sotto i ponti, c’era un limite a tutto –, e a un certo punto imprecisato in tutti quei mesi poi aveva anche lasciato entrare Ethan (non nel suo culo, o forse sì, chissà? Intendevo nella sua anima, comunque), magari un po’ di pratica con i draghi l’aveva davvero fatta per esercitarsi perché spoiler alert (visto che non l’ho mai segnato nell’apposita sezione) in tutto ciò era diventato un fucking pirocineta da almeno un paio di mesi.
    Come l’aveva presa? Abbiamo detto che non elaboreremo perché queste non sono le sedi opportune, non c’è abbastanza tempo e nemmeno abbastanza volontà di affrontare la drammaticità che quel cambiamento comportava, diremo solo che il Collins leggeva tutta la posta che gli arrivava come aveva sempre fatto – un po’ deadpan e senza davvero provare profonde emozioni, ma questo era solo Holden in a nutshell –, ma ora spesso gli capitava che mentre leggeva, come una Bloom qualsiasi, i suoi poteri si attivassero inconsciamente e desse fuoco a tutto.
    Banalmente, era proprio quello che era successo con quella lettera. A un certo punto della lettura, la lettera puff aveva semplicemente preso fuoco, e allora era riuscito a scorrere solo velocemente con lo sguardo sulla pergamena per leggere frammenti di parole quali pirat-, pappag-, cors-, man-. Ora, certo che tutte quelle parole potevano significare piratare pappagallesche corse con mandarini, ma Holden era uno scrittore e lui aveva lasciato che gli ingranaggi nella sua testa cominciassero a elaborare, elaborare, elaborare, fino a che il finale possibile di quelle parole spezzate a metà diventasse *indice di doctor strange* (so che roberta sarà veloce a trovare l’immagine giusta) uno.
    Avrebbe potuto ignorare quell’invito, e in circostanze normali l’avrebbe decisamente fatto, ma in quei nove mesi di chiusa totale aveva avuto davvero bisogno di qualcosa che lo rendesse di nuovo vivo, qualcosa di ignoto che lo facesse di nuovo appassionare alla vita e tutte quelle cose lì (a parte Ethan, scusa Ethan), e quando uno scrittore aveva il blocco dello scrittore cos’è che faceva? Si dava ai videogiochi, esatto, ed era proprio quello che aveva fatto il Collins! E quindi, e quindi… e quindi era andato anche da un sarto importante lì a Londra, famoso soprattutto nel giro delle recite delle scuole elementari, e aveva anche speso parecchi soldi per essere il più credibile possibile – era un vestito complesso, un po’ strano, indubbiamente unico nel suo genere, ma che Holden Collins indossò con fierezza il giorno dell’incontro.

    Non era affatto come lo immaginava, c’è da dirlo, e soprattutto nessuno sembrava aver seguito la regola di presentarsi in cosplay, e poi che ci faceva lì Al a vibare su quella canzone dal dubbio gusto? Non poteva mica avvicinarglisi e chiederglielo, quindi piuttosto si avvicinò all’uomo dietro al carretto delle salsicce «mi scusi il disturbo ma questo non è il raduno di Corsare Lesbiche e il povero signore, giustamente, lo guardò come una nonna guarda il nipote parlare con il linguaggio di tiktok, quindi Holden provò a spiegarsi meglio «Corsare Lesbiche, il gioco di ruolo, quello sui pirati che vengono uccisi dalle piratesse, guardi, io sono l’ex Capitan Fools, il capitano pappagallo mannaro…» gli mostrò il suo accuratissimo vestito, metà con vestiti da pirata e metà da pappagallo, ma il venditore di salsicce gli sembrò ancora più confuso, forse un po’ spaventato, quindi sospirò «no eh? Era uno scam eh? Vabbè» almeno era uscito di casa dai, una vittoria!!! (come quella di alessia di finire il censimento, nessuno ci avrebbe mai creduto e invece eccoci qui amici)
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    C’erano passioni che il fu Park Mudeom teneva stretto al petto con la gelosia di chi deve proteggere dei lingotti d’oro. Stranamente, non era una sostanza supefacente; quelle erano divertenti una vita fa, quando la debolezza di un attimo ancora non era sinonimo del suo cranio spaccato come un cocomero.
    L’opinione altrui sui suoi interessi più, come dire, di nicchia non era il motivo per cui certe cose rimanevano giusto fra lui e il Signore; aveva conosciuto poche volte il sapore della vergogna, Ritter, e di certo non in contesti simili.
    Era più un essere geloso delle cose alla quale teneva particolarmente. Così particolarmente, che i volumi sulla serie li teneva racchiusi nel cellophane, poi in scatole di plexiglass come un qualunque fan kpop col suo santino preferito dell’idol prescelto a subirsi le sue ossessioni peculiari.
    La sua non era il genere di vita che concedeva il lusso di uno scaffale d’esposizione, figuriamoci una cassaforte; quando la Corea aveva smesso di essere luogo sicuro, non aveva potuto far altro che lasciare la sua collezione alle spalle. A malincuore, ma lo aveva fatto. Cose più urgenti venivano prima.
    E per anni, da quel giorno fatidico, aveva sepolto l’amore che nutriva per quel mondo insieme al suo nome. A quel dolce richiamo, però, non era riuscito a resistere. Ci aveva provato — davvero. Razionale come poche volte era stato. Non era il caso di presentarsi.
    Poteva essere una trappola.
    Poteva succedere una qualsiasi cosa a un evento così grande.
    E poi, era accaduto l’impensabile: tra le luci fioche delle vie secondarie dI Hogsmeade, il sangue ancora umido sulle vesti, lo aveva visto. Buttato in un cassonetto, nascosto da occhi meno percettivi dei suoi; e come un Willem Dafoe di fronte alla maschera di Green Goblin, aveva stretto i palmi attorno alla costruzione in metallo e aveva sobillato cosa vuoi da me. Poteva giurare di aver sentito la parrucca di Lady Oscar ridere — malvagia, distruttiva.
    Seduttrice.


    Nickelback.
    «facciamo che vado a sistemare i wireframe.» cosa? «volevo dire: cavallo.»
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    Or are you really here to cut me off?
    Or maybe just to turn me on
    Non era stato facile trovare un'armatura nell'anno del signore 2024 (grazie forgia di Marcus, e tipo strano emozionatissimo all'idea di forgiarne una), e mentre Arci pensava a tutti i posti che gli sarebbe piaciuto grattarsi ma non riusciva a raggiungere, capì anche perché non venivano più usate quelle trappole mortali in ferro. L'armatura era pesante, non particolarmente comoda, lo rendeva lento, e anche se sapeva che lo stile medievale piaceva a qualcuno, non si sentiva neanche particolarmente affascinante (anche se gli erano mancati i capelli lunghi non legati).
    Allora perché era vestito così, vi chiederete voi?
    Aveva forse ricevuto un invito da bambini mezzi morti che sollecitava il suo ego, come il generale Mort e Gay? Si mimetizzava in mezzo ai fan dei Nickelback cantando struggenti canzoni tristi? Era un fan segreto dell'Hellfire club? Era lì per scommessa, per sbaglio?
    No, Archibald Leroy era in quel parco vestito da (*looks at smudged writing* Keagan come Cher e Madonna) perché voleva essere un bravo padre. Non perfetto, non pretendeva tanto, ma per lo meno voleva essere decente; migliore di quelli che aveva avuto lui come genitori affidatari, migliore di quello di Aidan.
    Rideva delle passioni da nerd dei suoi amici. Non capiva le opere che Bells esponeva al SUB. Sfotteva Aidan e i suoi libri chilometrici.
    Poi però li ascoltava parlarne, per ore se necessario. Accompagnava la Dallaire tenendola a braccetto e, indicando qua e là, le diceva cosa vedeva, la bellezza intorno a loro, nell'attesa che anche lei volesse tornare a vederla. Stava coricato con la testa sulle gambe di Aidan, ad occhi chiusi, mentre questi gli leggeva poesie scritte per persone ben più meritevoli di lui, come facevano a Bodie.
    Dimostrava affetto a fatti, non a parole.
    Dimostrava di supportare chi amava mettendosi armature pesanti e scomode andando ad un incontro accennato a cena di cui aveva riso, ma con affetto-... perchè Tooth sapeva che era stato fatto con affetto, vero? Questo un dubbio che lo tormentava da giorni.
    Trovava stupida la passione di Toothless per un programma di gente che improvvisava avventure, quando avrebbe potuto andare a cercarsene di sue? Forse. Glielo aveva detto? Sicuro.
    Ma amava il sedicenne ferocemente, gli apparteneva tanto quando lui apparteneva a toothless, e voleva che fosse felice, che fosse se stesso - anche quando voleva dire chiudersi in stanza al computer, saltare qualche consegna dei compiti, mettersi della pittura nera in faccia, corna finte, e andare a fare brutto con gente in armatura alta il doppio di lui (mamma mia, gli voleva così bene. Ma puoi mai andare da Xavier ad attaccare briga?).
    Si avvicinò ad Aidan, individuandolo immediatamente nella folla (e qui non ci perderemo a parlare dieci minuti di come lo avrebbe sempre trovato, del mondo in cui il suo sguardo fosse sempre attirato dal ministeriale e bla bla bla perchè ugh, romanticismo, ew), arrivando accanto a lui un attimo dopo che Toothless se n'era andato per andare a parlare col fremello di Jay.
    «Gallagher» avrebbe smesso di chiamarlo così un giorno, forse; magari quando Aidan avrebbe preso un cognome più bello, e perchè proprio il suo. Lo cinse per un fianco lasciandogli un bacio sul viso di saluto prima che potesse sottrarsi (accettava la distanza in pubblico al ministero, ma lì c'era una tale accozzaglia di caos che non gliene fregava un cazzo). «che ci fai qui? Non vai più a quella festa da ricconi? Avevo il cambio in macchina pronto nel caso cambiassi idea sul bisogno di supporto morale» sopracciglio sollevato e sorriso bieco «o altro» scopata cruda contro la porta di una camera di qualche ricco stronzo? Sì. Been there, done that.

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    edward moonarie
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    c'era un che di ironico, nella bestemmia a seguire: alla Sagra della Salsiccia, edward moonarie rischiava di essere l'unico normale.
    in apparenza, ovviamente. cadere nella trappola non era poi così difficile, se ci si fermava all'involucro esteriore, senza scavare sotto la scorza — aveva una superficie piacevole, Eddie. un po inquietante, appena ci si fermava un attimo ad osservare; terribilmente sbagliata, quando finalmente lo sguardo incrociava il suo. ma a quel punto, ed è una storia che si ripete senza mai imparare dai propri errori, era tardi.
    quel giorno però, in mezzo alla fauna locale, persino il ghigno tutto denti aguzzi del moonarie passava quasi in sordina. nessun bambino si era ancora messo a piangere al suo passaggio, i chihuahua con cui era solito litigare quando Barbie lo portava a fare un giro [meme dell'omino che tiene al guinzaglio l'altro] se ne stavano instupiditi tra le braccia dei loro padroni; fissavano altro, con quei loro occhi grandi e vuoti (vale sia per i bambini che per i cani): nello specifico, strani personaggi vestiti come fossero ad una festa in maschera.
    nessuno, Richard Quinn compreso, sembrava essere mai stato ad una sagra della salsiccia — magari qualcuno di loro si, ma Edward immaginava fosse una salsiccia diversa. good for them. era inevitabile quindi che i partecipanti forzati attirassero le attenzioni di chi tra quel profumo di carne suina fatta alla griglia e boccali stracolmi di birra c'era andato volontariamente; era anche difficile non spiccare in mezzo a tutte quelle giacche da boscaioli e cappelli da modern cowboy au. Eddie stesso ne aveva indossato uno, la tesa appena sollevata sulla fronte ad adombrare il resto del viso.
    nel caso non fosse già chiaro, non si trovava lì perché aveva ricevuto un invito.
    non gliene fregava un cazzo di meno neanche dei Nickelback (anche se la tristezza intrinseca delle loro canzoni e la chiara depressione dipinta sul volto del cantante aveva un che di captivating).
    era in missione.
    e non certo per conto di dio.
    aveva un appuntamento da rovinare — svariate modalità ed elevate probabilità di successo. se solo dick avesse fatto meno il misterioso, tenendolo aggiornato sui suoi scambi epistolari perversi, forse lo avrebbe lasciato stare; tutto sommato, ciò che Eddie voleva era sentirsi coinvolto: nel modo un po ossessivo e morboso con cui invadeva la vita delle persone e rubava spazi mai concessi. era troppo chiedere di potersi fare i cazzi di Richard, metaforicamente e non?
    domanda retorica.
    non solo era suo diritto farsi i cazzi di Richard, ma pure un dovere.
    una questione di vita o di morte, se vogliamo; non che il concetto di una o dell'altra avesse davvero piantato radici nella mente del moonarie. le affrontava entrambe allo stesso modo, senza pensare neanche per un secondo che le sue azioni avessero il potere di influenzare entrambe. non esistevano conseguenze, nell'au psicotico di Eddie, tranne quelle che voleva lui. tutto il resto capitava e subito gli scivolava addosso, incapace di penetrare attraverso la pelle e i muscoli e arrivare al cuore.
    sempre ammesso ne avesse uno: il giorno che morirà (mai), sentitevi liberi di sezionare e studiare.
    «oh mio dio» suore che si fanno il segno della croce «vedi anche tu quello che vedo io?» afferrò swag per la collottola, ignorando il principio di soffocamento causato nell'altro da un boccone di panino con la porchetta andato di traverso. il perché si fosse portato dietro il ragazzo era talmente banale e scontato che non andrebbe nemmeno spiegato, ma qui bisogna arrivare almeno alla scroll quindi ve lo dico: esisteva forse un'occasione migliore della Sagra della Salsiccia per fare incetta di portafogli e borsette? probabilmente si, ma non stiamo qui a spaccare in due il capello. nel non ricevere risposta gli diede anche una pacca in mezzo alle scapole, osservando il pezzo di porchetta volare fuori dalla bocca dello svervegese con distaccato interesse — stava succedendo qualcosa di troppo bello perché potesse distrarsi con altro «dai smettila di strozzarti swag, non è il momento. GUARDA»
    e glielo indicò.
    swag: 💀
    Eddie:
    swag: 💀💀
    «che palle che sei» ma affectionate, le dita della mancina a scompigliare i capelli del jattelik piegato in due su se stesso nell'intenso tentativo di riprendere fiato. tentativo al quale Eddie non aveva alcuna intenzione di assistere; infatti lo mollò sul posto, saltellando via come un bambino al Luna Park scapperebbe dal controllo non proprio ferreo dei genitori. ecco perché, esattamente come il moonarie, anche le piccole bestiole andrebbero portate in giro legate.
    l'uomo a cui si avvicinò, di soppiatto e con un sorriso troppo ampio dipinto sul volto, non lo aveva mai visto; a meno che Frederick non avesse frequentato il BDE, ma non è che Eddie tenesse a mente tutti i clienti. nel caso, peggior per il professore: fin troppo facile beccare un gelato o uno yogurt corretto, di questi tempi. ma il Mangiamorte al minore lo conosceva benissimo — era una star, Freddie. «tu sei— ohmiodioaiuto» giggling, twirling my hair. con le mani premute sulle labbra e gli occhi lucidi per l'emozione, Edward si era appena trasformato nella più entusiasta delle fangirl «sei quello del video! » oh, si.
    il video.
    il video che Eugene Jackson aveva mandato in loop al BDE per almeno un mese, dopo l'oblinder. e che ogni tanto riproponeva, per sottolineare e ricordare al pubblico un unico, profondo e imprescindibile concetto: «COMACOLLA FOR THE WIN!»
    COMACOLLA for the win.

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