Posts written by antarctica

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    berenice hillcox24 | censorfashion designer
    Contrariamente a quanto molti potessero sostenere, a Nice Hillcox non piacevano i confronti. O meglio, le piacevano, ma solo quelli dove non era costretta a mettere in gioco nulla di se stessa, quelli dove non rischiava di perdere un pezzo di sé lungo la strada. Vincere non aveva lo stesso sapore se per farlo era costretta a rinunciare a parte della sua essenza. Non ne valeva la pena.
    Preferiva, in quei casi, chiudersi nei propri silenzi e ripararsi dietro le spesse mura che avvolgevano non solo il suo cuore, ma ogni parte di lei; quelli facevano da filtro per questioni per cui valesse la pena esporsi, e quelle che, al contrario, era meglio non affrontare. Albert era una di quelle questioni; così come a lungo lo era stato Dominic, o come continuavano ad esserlo i suoi genitori in quel tempo. Perché non vedeva un solo, singolo, scenario che finisse con il proprio cuore ancora intatto, e non aveva la minima voglia di concedere a nessuno, neppure al cugino, quel potere; non quando, anche per colpa del ragazzo, aveva passato l'ultimo anno a rivalutare ogni singolo aspetto della propria vita, per capire se valesse la pena o meno avere nuovamente delle persone da amare, quando poi l'unico finale era sempre e comunque uno che annegava nel dolore, e lei con esso.
    Non poteva farlo, fine.
    Ma non abbassò lo sguardo quando sentì Albie ammettere di non riuscire a guardarsi allo specchio, perché era troppo orgogliosa per dimostrare le proprie debolezze, anche a qualcuno che le conosceva tutte a memoria, una per una, come il fu Cox-Bulgakov-Wood. E una di quelle debolezze era la consapevolezza di aver vissuto sulla propria pelle quella sensazione, il non riuscire a guardarsi allo specchio a causa di un aspetto che faceva troppo male: subito dopo il viaggio, anche Nice aveva avuto difficoltà a incontrare il suo riflesso, troppo uguale a sua madre per non sentire una fitta al cuore ogni volta che il pensiero finiva inevitabilmente a Zoe, e di conseguenza a Cameron
    Anche se le motivazioni erano diverse, comprendeva più di quanto Albie potesse immaginare; lo aveva sempre fatto. Ma non glielo avrebbe detto.
    C'era un'altra cosa che condivideva con Zoe Cox, ed era l'orgoglio.
    «Ma come darle torto, visto che l’hai praticamente rapita? Si merita di fuggire…»
    Mentre chiudeva la porta alle spalle, rispose all'accusa del cugino con un «cosa ti aspettavi che facessi? Che la lasciassi sola, a badare a se stessa mentre tu andavi a morire chissà dove? Io l'avrò anche rapita, come dici tu, ma almeno ero con lei» Un tono di voce troppo piatto, troppo controllato, per non percepire almeno in parte quanto quelle parole non fossero solo per la gatta; era troppo forzata la postura dritta e impassibile, per non capire che servisse come difesa contro una rabbia troppo forte, delle emozioni così grandi che rischiavano di farla esplodere, e per le quali Nice incolpava, ancora una volta, il lato Cox del suo DNA.
    Odiava che solo in pochi non avrebbero letto tra le righe di quelle accuse, e odiava ancora di più che una di quelle persone fosse proprio il cugino.
    Nel vedere come Bee – famosa per essere sempre poco prona alle coccole che non fossero da parte di Nice o di Bertie – avesse accettatto senza neppure un miagolio infastidito che l'altra la prendesse nel suo abbraccio e nascondesse il viso nel pelo nero e morbido, colpi più vicino di quanto Nice fosse fosse disposta ad ammettere. Non aveva mai avuto dubbi che quella persona lì fosse Albert, ma non aveva nemmeno voluto (stupidamente) elaborare l'informazione, e accettare che fosse vero.
    Non il fatto che Albie fosse ora una donna, o uno special — a chi interessavano quelle cose, di certo non a Nice. Quanto più che fosse davvero lì, a casa sua, con la coda tra le gambe nonostante il mento alto, e la scusa più vecchia del mondo come riparo dietro cui nascondersi.
    Fu istintivo dunque per la Hillcox controllare le difese perennemente innalzate, e accertarsi che non ci fosse nulla fuori posto, neppure una minima intaccatura che avrebbe potuto rivelarsi fatale, facendo entrare più emozioni di quante Nice non volesse processarne. Persino il fatto che Albie cercasse di litigare con lei non la faceva stare meglio, perché era esattamente quello che Albert avrebbe fatto, e Nice non poteva accettarlo.
    Semplicemente, non poteva.
    «E poi guarda com’è contenta Bee…»
    Strinse le labbra tra loro, arricciandole e decidendo che quello fosse il momento perfetto per raggiungere la cucina e dare le spalle alla bionda figura ancora vicina alla porta. Aveva bisogno di aria, di spazio e tempo per riflettere e riprendersi e ricaricare il proprio arsenale.
    Avrebbe potuto dirgli che la spilla era un regalo, non che lui potesse capire, ma non lo fece perché, per qualche stupido e infantile motivo, non voleva cedere alle provocazioni del Behemoth e dargli la possibilità di insinuarsi sotto la pelle.
    L'aveva già fatto fin troppe volte, e dove l'aveva portata quell'atteggiamento? Lasciò che la spilla parlasse per lei, prima di rimuoverla dal petto dove era appuntata e appoggiarla sul tavolo della cucina.
    «Me li ha prestati Chelsey.»
    Un quasi inudibile tsk sfuggì dalle labbra ancora serrate della stilista, che si guardò dietro solo un secondo, prendendo nota degli abiti di Albie e commentando, semplicemente, «non mi stupisce.»
    Chelsey era tante cose, tra cui una forza della natura e una sua cara amica, ma sapeva di moda tanto quanto Nice sapeva di quidditch.
    No, anzi: Nice, per sua sfortuna, sapeva fin troppo di quidditch; quanto Bertie sapeva di quidditch, ecco.
    «Mi chiedevo se volessi trovarmi qualcosa di più consono da mettermi. Sai, grazie al tuo giusto senso estetico…»
    Stava cercando di comprarsela elogiando i suoi gusti e il suo talento? Beh, avrebbe funzionato in altre circostanze; in quella, invece, serviva solo a stringere ancora di più una morsa intorno al cuore gelido della Hillcox — proprio per questo, sempre più a rischio di rottura: un cuore come il suo, duro e dalle parete troppo rigide, non poteva essere strizzato e poi pretendere tornasse alla sua forma originale, o che continuasse a battere come se nulla fosse successo. Una volta incrinato, il muscolo cardiaco non era più in grado di riprendere le sue normali funzioni, di pompare sangue e amore e comprensione come avrebbe dovuto fare. Nell'ultimo anno, aveva subito fin troppe pressioni e Nice non sapeva quanto a lungo, ancora, avrebbe resistito prima di spaccarsi completamente, lasciando al suo posto solo migliaia di schegge di ghiaccio utili a nessuno. Di certo, non a lei.
    «non faccio la carità, e non ti presterò i miei abiti.» Avrebbe preferito che non avessero lo stesso body type, ma in quelle forme Albie era ancora più simile a lei di quanto non lo fosse normalmente, tanto che avrebbero potuto benissimo essere scambiate per sorelle.
    Un tempo, era stato esattamente così; Nice si era sentita più sorella di Albert che non di Flo, o del piccolo Paris. Era sempre stato più di un cugino — un confidente, una costante importante, un'anima gemella.
    Cosa era successo, poi?
    A quando risaliva quella frattura nel loro rapporto? Potevano incolpare il viaggio nel tempo, e il loro muoversi in quel nuovo-vecchio mondo a ritmi differenti, o era iniziato tutto dopo la morte di Cam? Nice non avrebbe saputo dirlo, perché si era nascosta dietro la cieca e infantile convinzione che andasse tutto bene per troppi, troppi anni.
    Osservò la figura del cugino attraverso il riflesso di Bertie sulla vetrina della cucina, quella dove Nice teneva il servizio di piatti buono, e i bicchieri più belli da servire a degli ospiti che non aveva (né avrebbe) mai avuto. Faceva male guardarlo, e poco dopo distolse lo sguardo, preferendo armeggiare con la teiera per avere qualcosa da fare, e l'unica che potesse davvero offrirle un caldo supporto in quel momento era il tè.
    Ancora dandogli le spalle, e osservando senza realmente vederlo il getto d'acqua corrente, gli chiese: «hai davvero fatto tutta questa strada solo per implorarmi di sistemare il tuo guardaroba, dopo che per anni hai denigrato la mia passione e il mio talento? Sei caduto molto in basso.»
    Ciò che non riuscì a chiedere: è una condizione irreversibile? Non tornerai mai più alle tue sembianze originali? Voleva convincersi non le importasse, ma Nice Cox-Hill era sempre stata una bravissima bugiarda.
    mars
    sleeping at last
    living in the middle between the two extremes
    (eliandi's version)
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    berenice hillcox24 | censorfashion designer
    Nice era una persona troppo intelligente per non sapere che quel giorno, prima o poi, sarebbe arrivato. Forse non era stata abbastanza matura, in quell’ultimo periodo, per far sì che si verificasse prima, ma su quel punto preferiva non soffermarsi oltre, ripetendosi che non fosse stata la mancanza di maturità a spingerla ad evitare con attenzione il cugino, ma tutta un’altra serie di motivi, e impegni, che una donna impegnata come lei aveva quotidianamente. Quelle non erano neppure vere e proprie bugie, a dirla tutta — ma di certo erano scusanti dietro le quali la ministeriale si era nascosta, scegliendo volontariamente di fare turni più lunghi in ufficio, di addossarsi un carico di lavoro ben più grande di quello che le spettava, con la risposta sempre pronta a chiunque le chiedesse perché: perché voleva che la Lovecraft apprezzasse il suo lavoro e lo riconoscesse per ciò che era, essenziale e imprescindibile. Voleva essere la giovane donna in carriera che aveva sempre saputo di poter diventare, pur nella carriera che non aveva mai sognato ma che, per circostanza e per necessità, si era fatta andare bene. Un fondo di verità, i suoi intenti, ce lo avevano avuto; che poi fossero serviti anche a tenerla il più lontana possibile dal fu Albert, era solo un dettaglio.
    Ma persino lei, determinata e ferma nelle proprie scelte, sapeva che non avrebbe potuto evitare quel confronto per sempre; le sarebbe piaciuto, certo, ma sapeva che non fosse possibile.
    Il punto era che sia lei che Albie avevano fatto delle scelte, e non necessariamente le stesse, o quelle che avrebbero reso fieri l’uno o l’altra, a seconda. Nice, delle sue scelte, non si pentiva: sapeva che il cugino, e i suoi genitori, avrebbero storto il naso nel sapere che aveva deciso di lavorare per il ministero, ma avere le mani in pasta nella censura era un modo come un altro per essere sempre un passo avanti su ogni cosa, e se i suoi parenti non riuscivano a capirlo, non era un problema suo.
    Non è che fosse andata in guerra per difendere il ministero, lei. O per combatterlo apertamente. Lei.
    E sì, certo che ce l’aveva ancora con loro – con tutti loro – per aver fatto esattamente quello che, meno di dieci anni prima e venti dopo, aveva rovinato per sempre le loro vite. Nice era stata l’unica ad aver imparato dalla storia come essere neutrale, come scivolare tra uno e l’altro schieramento ed evitare di lasciare che deragliasse la sua vita, limitandosi a trarre i benefici che il vivere entro un certo limite poteva offrire. Non si aspettava certo che i suoi genitori, all’oscuro di un futuro terribile che li aspettava, decidessero di non ripeterlo — ma Adalbert? Albert? Lui c’era stato, nel duemilaquaranta, quando Cameron era morto e i suoi stessi genitori erano risultati vittime di una guerra che avevano deciso di combattere volontariamente; c’era stato quando, insieme, avevano raccolto i pezzi delle loro vite e avevano provato a rimetterli insieme, consapevoli che non sarebbero più state le stesse; c’era stato, quando avevano giurato di non lasciare che quel tempo li trascinasse via, che li assorbisse al punto da farli sparire — e invece, mentre Nice decideva di andare avanti e accettare che quello fosse il loro nuovo tempo, pur senza dimenticare chi fosse e da dove (da quando) arrivasse, Albie era rimasto indietro. Si era fatto trascinare via. Si era fatto coinvolgere. E sebbene Nice non avesse mai avuto la conferma ai propri sospetti, non le serviva saperlo davvero per sentire di avere ragione: suo malgrado, conosceva ancora il Behemoth da sapere quando non le diceva qualcosa, e una cosa grande come la resistenza era impossibile da nascondere, tra loro. Potevano solo fingere entrambi che non fosse lì, consci che fosse una menzogna futile per entrambi.
    Ne aveva ulteriore conferma ogni volta che con la coda dell’occhio notava l’aspetto non più familiare di suo cugino, quella conseguenza che si era chiamato addosso da solo, decidendo di schierarsi — non si trattava nemmeno di aver scelto lo schieramento giusto o quello sbagliato, persino a Dominic la ministeriale aveva riservato, ancora una volta, il suo gelido silenzio per aver accettato di imbracciare le armi. Come non poteva incolpare suo cugino di aver fatto lo stesso? Con quale motivazione, poi, quella di seguire le orme dei loro genitori? Come se non lo avesse vissuto in prima persona dove il loro cammino li avessi condotti; come poteva essere così egoista? Così stupido? Perché impegnarsi a voler cambiare il mondo, perdere tutto per farlo, quando bastava vivere in quello che avevano e fare buon viso a cattivo gioco? Avrebbero potuto essere felici anche da soli, tra loro, ma Albie aveva fatto un’altra scelta — e nella sua inettitudine, continuava a incolpare Nice di aver fatto la propria, di essere andata avanti e di averlo volontariamente lasciato indietro.
    Quello che non capiva, quel buono a nulla di un Cox-Bulgakov-Wood, era che Nice lo aveva aspettato. A lungo. In cima ad una collina scalata in solitudine, e a fatica, e che le appariva incredibilmente solitaria senza Albie al suo fianco. Lo aveva aspettato, fin quando non aveva capito che Albert avesse scelto un’altra strada, e non l’avrebbe mai incontrata in cima a quella collina.
    Alla fine non le era rimasto altro se non raccogliere le sue cose, e il suo orgoglio, e cominciare a scendere e accogliere un’esistenza diversa, accettando di non avere più la sua unica costante, nonché punto fermo di tutta una vita, al proprio fianco.
    Ma ancora una volta aspettava, Nice; suo malgrado era lì, dall’altra parte della porta, con le braccia strette attorno al proprio busto, in attesa che Albert trovasse il coraggio per bussare, o per suonare il campanello. Lo sentiva aldilà dell’uscio, fermo e, ne era certa pur senza ricorrere alla Legilimanzia, alle prese con una lunga serie di pensieri che avrebbero rischiato di portarlo via da quell'appartamento, così come gli stessi l’avevano portato fin lì. Onestamente, la ragazza non sapeva quale dei due esiti preferisse; non era pronta ad accettare l’ingresso di Bertie in quella nuova vita, ma sapeva anche di aver rimandato quel confronto troppo a lungo.
    Strinse le labbra nel sentire una vocina riferirle quelle che, immaginava, fossero discorsi di incoraggiamento che il Behemoth stava rifilando a se stesso; con un sospiro, sfilò entrambi gli orecchini mettendo a tacere una volta per tutte quelle voci. Tendeva ad indossare l’accessorio quando era in casa per spiare, a suo modo, i vicini e per ridere delle loro banali e penose vite, e solo per caso aveva dunque sentito l’ex mago avvicinarsi al suo appartamento; erano stati proprio gli orecchini a riferirle del suo avvicinamento, e a metterla in allerta. Ma ora che Albie era davvero lì, Nice non li voleva più ascoltare: qualsiasi cosa avesse da dire il biondo, la Hillcox voleva ascoltarlo in maniera onesta, non filtrata attraverso le mezze verità dei gioielli incantati.
    Il suo stridulo del campanello, la fece trasalire.
    Non aveva creduto che il cugino trovasse il coraggio di farlo.
    Prese un respiro, e dopo aver atteso qualche istante, aprì finalmente la porta.
    «Sono venuta a trovare Belladonna. Mi mancava.»
    Non lo salutò, e si sforzò di non far trasparire alcuna emozione sul viso perfettamente impassibile, nemmeno la sorpresa di vedere ancora una volta quel viso a cuore e i capelli lunghi, piuttosto che quello familiare di Albert.
    Era sempre stato molto simile ai genitori, il biondo, ma ora la somiglianza con loro era sconcertante: non era bella come zia Dee, ma aveva qualcosa nella forma del viso e del naso, nello sguardo, che la ricordava particolarmente. I colori, invece, quelli erano ancora tutti di zio Adam. Cox.
    Faceva male guardarlo.
    Guardarla?
    Era impossibile non tornare subito con la mente a quel prom dove l’aveva vista per la prima volta. Contro ogni buonsenso, il suo per primo, si ritrovò ad ammettere: «le somigli moltissimo.» E non c’era bisogno che specificasse a chi.
    Poi si riprese, lasciando scivolare quel commento, e quel breve momento di debolezza, contro la cortina di gelo che nell’ultimo anno aveva rimesso al suo legittimo posto: intorno al proprio cuore. «Non credo a Belladonna sia mancato tu.» Lo informò, braccia conserte al petto e ferma ancora sull’uscio. «Temo tu abbia fatto un viaggio a vuoto.» E, infame come al solito, la gatta scelse proprio quel momento per fare la sua comparsa, miagolando e avvicinandosi al padroncino che riconobbe subito, nonostante tutto.
    Ugh, maledetta.
    Nice rivolse gli occhi al cielo, e si spostò di un passo lasciando al Behemoth la possibilità di entrare nell’appartamento. «Spero sia una visita breve,» si chiuse poi la porta alle spalle, tornando nella sua posizione ormai di default con le braccia incrociate e lo sguardo impassibile, «ho cose da fare.»
    «e quell’abbinamento fa male agli occhi; mai indossare una maglione simile con quei jeans.»
    Una leggera risata sfuggì dalle labbra serrate della ministeriale, che si affrettò ad indicare la spilla appuntata al petto, regalo natalizio di un collega (nda: nella mia testa è da parte di Mood, me lo tengo come headcanon). «è stata lei,» disse, come a volersi scusare per quel commento; o forse no. «ma in effetti ha ragione; vedo che il nuovo potere non ha portato con sé il giusto senso estetico, che peccato.»
    C’erano così tante cose che avrebbe voluto dire, ma le tenne gelosamente custodite infondo al cuore, preferendo optare per commenti vaghi e superflui, forse per tastare il terreno o forse per convincersi che non stessero davvero vivendo quella precisa situazione nel tempo e nello spazio.
    mars
    sleeping at last
    living in the middle between the two extremes
    (eliandi's version)


    +++ avvento: orecchini magici e spilla gingerbread
    CITAZIONE
    15) Dei semplici orecchini con clip (che possono essere indossati anche da chi non ha buchi ai lobi) con la peculiare capacità di riferire a chi li sfoggia conversazioni che avvengono anche a distanza (entro un raggio comunque limitato). L'unica fregatura? Gli orecchini riportano quanto udito a modo loro, travasando le conversazioni e aggiungendo qua e là piccoli dettagli per rendere il tutto, secondo loro, più interessante. Fidatevi di quanto vi sussurrano... ma non troppo!

    8) Una spilla di Natale a forma di gingerbread man! Non sembra avere nulla di particolare, fin quando non la applicate al maglione, ed iniziate a sentirla… parlare. E boi, non ha nulla di carino da dire su nessuna delle persone che incontrate - e lo fa con la vostra voce, così che gli altri pensino siate stati voi. Satan
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    OMG! Ho trovato la figurina di benedictus deogratias!
    link role: a misty memory, a haunting face


    OMG! Ho trovato la figurina di stan luna!
    link role: sing, "hit me baby, one more time"
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    1 2censor#darkhillnice hillcox
    currently playing
    empire
    beth crowley
    I'm gonna build me an empire
    and it's lonely at the top
    (nobody will ever convince me to stop)
    E quindi: l'arrivo dello studente non aveva risolto nulla, incredibile. Nice era: sconvolta, esterrefatta, incredula.
    Sospirò, rivolgendo le iridi cerulee di Jane verso il soffitto.
    «Sì!! Cioè, no… Voglio dire che…»
    «Si o no, deciditi, non è una domanda difficile.» Qualcuno doveva pur dire le cose come stavano, e trattare il ragazzino con i guanti non avrebbe aiutato la loro situazione; tanto valeva aiutarlo a spicciarsi e darsi una svegliata.
    «Insomma, siete voi quelle in difficoltà, mentre io non ho alcun diritto e…»
    Nice ispirò così forte dalle narici da smuovere l'aria, già stanca e di cattivo umore per tutta quella trafila, e di combattere con un bambino insicuro non ne aveva proprio voglia.
    «Vi vedo, sì. Ma non credo che siate morte? Spero che non lo siate!! Ma se lo foste… non sareste così?? C’è qualcosa di… di vivo, nelle vostre anime. Non come…»
    Che non fossero propriamente morte l'avevano capito anche loro, non serviva lo ripetesse, ma annuì comunque per esortarlo a tirare le somme di quella intricata situazione, se ci riusciva.
    «Come Ari! O Sara!»
    Ancora una volta mi domando: vediamo lo spirito di Ari? Unclear. Magari Ictus sta accennando al nulla cosmico, quindi sorvoliamo.
    Per fortuna di tutti, fu Lydia a prendere le redini di quella conversazione.
    «un incantesimo sarebbe troppo specifico. E complesso. Richiede volontà da parte di chi lo casta, e nella maggior parte dei casi – soprattutto quelli in cui il risultato è così personale – perlomeno la presenza di incantato e incantatore nella stessa stanza»
    Da escludere sicuramente — cosa che Nice, nella sua testa, aveva già fatto. Era più probabile fossero gli effetti di un artefatto maledetto o di una pozione riuscita male.
    «l’ipotesi più probabile è che di qualunque cosa si tratti, sia a tempo. Ventiquattro ore?»
    «sembrano già troppe,» sottolineò a bassa voce, aggirandosi nei pressi del divano e passando la mano sopra lo schienale, senza toccarlo, perché conscia che la sua mano sarebbe passata attraverso la tappezzeria e la sensazione era così strana da metterla a disagio.
    Riportò lo sguardo sull'assistente quando la sentì proporre di andare a cercare altri special con poteri più idonei per la situazione, e storse il naso con disappunto. «vogliamo davvero coinvolgere altra gente? Non so se me la sento di finire sulla bocca di tutti, studiata e rigirata come un esperimento» ok, voleva trovare una soluzione al problema, ma tenendolo comunque circoscritto al minor numero di persone: erano già in quattro, tre più del necessario per come la vedeva lei.
    «Mi dispiace che, tra tutti, sia capitato qui proprio… io. Sicuramente uno dei miei amici saprebbe cosa fare!! Io…»
    Sì, dispiaceva anche a Nice.
    Ma non lo disse, perché voleva effettivamente uscire da quella situazione e peggiorare le cose con il suo caratteraccio non avrebbe di certo aiutato lo sgorbietto con l'ansia da prestazione.
    «Potete possedermi!! O farmi tutto quello che volete!»
    Ew?! No. Decisamente no. «Grazie, ma passo.» Anche col suo consenso, era un genere di intimità che Nice non voleva esplorare, non con un tredicenne (o con nessun altro). «Qualcun altra si offre?» lanciò sguardi allusivi alle sue compagne di sventura, incrociando le braccia al petto: c'era un limite ai test che Nice era disposta a fare, e (tentare di) possedere un minorenne era assolutamente fuori da questi.
    «Fitz può spiegarmi!!» Cercò con lo sguardo il profilo dell'altra medium, inclinando il capo sulla spalla. «Dimmi cosa devo fare, e io lo faccio.»
    «puoi farlo?» Sperava che il momento Guru ™ di Fitz portasse a risultati concreti — dove con concreti intendeva: loro. Voleva tornare ad avere un corpo tangibile… per poi affrontare il secondo problema, ovvero quello che la vedeva confinata nell'aspetto dell'elettrocineta. Ma una cosa alla volta.
    «Siete… sicure? Del cronocineta, dico…» No, ovviamente, ma non disse nulla e lasciò la parola alle altre, «E se ci dicesse che siete davvero… morte? E se fosse… colpa mia??»
    «perché dovrebbe essere colpa tua chiese, lasciando intendere che se avesse avuto delle strane idee lo avrebbe preso a calci anche senza una forma corporea concreta. «ma piuttosto,» guardó ancora una volta Fitz e Lydia, «vogliamo ripercorrere le ultime giornate? Magari troviamo qualche cosa di strano, o il fattor comune che ci ha rese così.» picchiettò l'unghia non curata di Jane sul labbro, riflettendo sugli spostamenti di quegli ultimi giorni. «io sono stata al ministero, a casa, all'Amortentia, in giro a fare shopping… ma non ricordo di essere entrata in negozi di dubbia natura,» si affrettò a commentare, prima che potessero intervenire, «né ricordo di aver maneggiato manufatti incantati. Ma potrebbe essere stato qualcosa dalle sembianze apparentemente innocue…?»
    E aveva un'altra domanda molto più importante: «dove sono i nostri corpi? quando mi sono svegliata, nel letto di Jane c'ero solo io e nient'altro,» le informò: nessun corpo freddo, o in stasi, niente di niente. «è tutto molto strano,» pure troppo, per i suoi gusti.
    «denuncerò l'artefice di questo scherzo di pessimo gusto alle autorità» TIÈ.
    sooner or later you're gonna tell me a happy story. i just know you are.
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    whoberenice hillcox
    roleguest (bride's side)
    outfitdress & hair
    infotwenty-four | former slytherin
    infocensor | fashion designer
    Nice aveva assistito alla cerimonia da sola, seduta tra le prime file ma in disparte, costringendosi a non immaginare i suoi genitori al posto di William e Akelei. Era stato uno sforzo enorme, per il quale aveva dovuto stringere i denti e tenere lo sguardo chiaro concentrato sulla figura degli sposi davanti a sé, ricordandosi che fosse lì per loro, e non per veder realizzata qualche sua stupida fantasia.
    Onestamente, era contenta di non avere nessuno accanto a sé, nessuno che la conoscesse, non Renée impegnato ad assolvere i suoi doveri di testimone, non Chelsey o Hyde, non Albert, e non di certo Dominic; sarebbe stato ancora più difficile nascondere la mascella serrata o i pugni stretti, al punto da sentire le unghie smaltate di verde e oro lasciare rosse mezzelune sul palmo della mano.
    Da mesi, ormai, Nice era tornata a chiudersi in se stessa e pensare solo alla carriera, e alle soddisfazioni personali che quello poteva donarle: così facendo, non aveva il tempo per pensare a nient’altro, e al suo rientro a casa era sempre troppo stanca per riflettere o affrontare i fantasmi delle cose non dette che abitavano quel misero appartamento più di quanto non facesse la stessa Hillcox. Andava bene così.
    Si unì diligentemente all’applauso finale, muovendosi più per inerzia che per propria volontà, rendendosi conto di non aver davvero prestato attenzione alle parole degli sposi, né del fatto che la funzione fosse ormai finita. Rimase al suo posto, in attesa che Renée terminasse di parlare con Joe, e solo quando il generale fece per avvicinare i suoi genitori, allora lei lo raggiunse.
    «Congratulazioni,» sorrise ad entrambi, cercando di incanalare quanta più sincerità possibile nella sua espressione; era davvero felice per gli akerrow, quello senza dubbio, e voleva che almeno loro lo sapessero. «È stata una bellissima cerimonia, ancora tantissimi auguri.» Non si azzardò a fare nulla più di stringere le mani della sposa tra le sue, prendendo nota di quando fossero entrambi splendidi nei loro abiti (scelti dalla sottoscritta, modestamente), prima di passare ad accarezzare la schiena di Renée ed invitarlo ad allontanarsi, un stai facendo la fila divertito a piegare le labbra della stilista.
    «Fin’ora tutto bene, no?» A fatica, ma avevano superato il primo scoglio.
    Si fermò con il generale nei pressi del buffet, ignorando il resto degli invitati il più possibile. «Cos’hanno detto della cena?» Certo che lo sapeva anche lei, duh, Nice sapeva tutto. Così come sapeva che ci fosse qualcuno molto interessato dalla loro presenza, che con intensità lanciava sguardi nella loro direzione; Nice era decisa a fingere il più possibile di non vederlo, perciò quando il Barrow si voltò per cercare la fonte di tale fastidio, non molto distante da loro né difficile da individuare, Nice tenne lo sguardo fisso sul profilo del suo accompagnatore e fece la buona grazia a tutti quanti di rimanere in silenzio.
    Silenzio che, a quanto pareva, quel giorno volevano tutti mettere a dura prova.
    Non vedeva Albert da mesi, ma non avrebbe avuto bisogno di sentirne la voce o coglierne le parole per capire che fosse lui: lo vedeva nello sguardo, ora di qualche sfumatura più azzurra, e nella piega schifata delle labbra.
    E poi, quel viso Nice lo aveva già visto la notte del suo ultimo prom, anni prima.
    «Per fortuna Akelei può contare sul suo splendore naturale, perché quel vestito è davvero… insulso.»
    «O forse sei te a non avere gusto»
    Portò una mano a accarezzare distrattamente il petto del generale, e con una singola occhiata (ad Hyde, di supporto.) a Renée, gli ricordò che non c’era bisogno che combattesse le sue battaglie per lei.
    «non lo so, a me il vestito pare perfetto»
    Poteva fare da sola.
    «Lo è, non sprecare fiato con chi non ha le competenze per poter giudicare.» Già solo la scelta dell’abito fatta da su* cugin* la diceva molto lunga. Stava chiaramente brancolando nel buio, senza di lei.
    (In più modi di quanti Nice potesse immaginare.)
    Alzò lentamente lo sguardo in direzione del Capo del Consiglio, poi, trattenendo a fatica un sorriso a metà; un gesto con la testa fu l’unico salutò che affidò all’ex coinquilino, sapendo che sarebbe bastato ad entrambi. «Ora se volete scusarmi,» non aveva voglia di affrontare Albie in quel momento, fra tutti quelli possibili. Indicò con un cenno del capo un gruppo di ministeriali più in la, «con permesso.»
    E senza attendere un loro saluto, e senza nemmeno portare con se Renée, Nice si allontano in fretta prima di cedere alla tentazione di prendere a sberle il Behemoth.
    Aveva visto Albert, aveva persino intravisto i suoi zii tra le centinaia di facce radunate quel giorno, ma l’unica coppia che avrebbe voluto vedere in quel momento non era lì. Dove diamine erano i suoi genitori? Perché… perché non erano lì? Nice avrebbe pagato oro per vederli, anche solo da lontano, felici e spensierati, a mettersi in ridicolo sulla pista da ballo come in tante altre occasioni precedenti.
    Affidò la morsa che sentì stringere al petto ad un bicchiere di champagne, mandandone giù il contenuto con foga ma allo stesso tempo con una certa eleganza, lungi da lei dare l’impressione di volersi affogare con le bollicine.
    (Tentazion spericolata.)
    Il gruppo di ministeriali, comunque, lo aveva raggiunto davvero – per dare contesto e veridicità alla farsa – pur senza partecipare attivamente alla loro conversazione. Cosa stavano dicendo? Nice non ne aveva idea, era lì solo per non dover essere da nessun’altra parte. Soprattutto per non essere da nessun’altra parte.
    Eppure.
    «lo so che è uno sbaglio, lo so che sono uno sbaglio»
    Si girò lentamente, flute stretto tra due dita come se ne andasse della propria vita; si girò lentamente, e pur avendone riconosciuto la voce, non si era davvero aspettata di vedere Dominic lì, di fronte a lei. Era fottutamente sorpresa avesse trovato il coraggio di affrontare i propri demoni e avvicinarsi.
    Era quasi certa di star immaginando tutto, per questo motivo si limitò ad abbassare lo sguardo sul braccio allungato dal guaritore, domandandosi distrattamente se, toccandolo, avrebbe finito solo per tentare di stringere tra i propri palmi solo aria.
    «ma vuoi ballare con me?»
    Quel maledetto sorriso, e quegli occhi sinceri nei quali Nice si era persa fin troppe volte, anche a discapito del buon senso. Faceva troppo male, in aggiunta a tutto il resto.

    «sono tre anni che mi esercito aspettando questo momento»
    Non c’era bisogno che Dominic specificasse altro, Nice aveva ben chiara nella mente l’immagine di loro nella stanza in infermeria, nudi e accarezzati dalle prime luci di quella fatidica alba, il giorno in cui erano cambiate per sempre le cose tra loro.
    Ancora una volta, quel pomeriggio, il ricordo del suo ultimo prom tornava a bussare con prepotenza.
    «sbaglia con me»
    Cosa fare se non sostenere lo sguardo dell’altro, cercandovi all’interno, involontariamente, la promessa che non l’avrebbe più fatta soffrire come in quegli ultimi, terribili, mesi?
    Difficile, impossibile, non pensare ancora una volta al Dom di quella mattina, al quale aveva affidato completamente se stessa pur sapendo di star commettendo un errore; quel Dominic che l’aveva amata come la prima volta, e di più, e che lei aveva lasciato senza risposte e senza rimorsi, nella penombra di una stanza le cui pareti erano ancora impregnate di ogni loro istante d’amore.
    Abbassò appena le palpebre, la stilista, decisamente non così forte come aveva creduto di essere.
    Perché, al contrario di quanto aveva cercato di dirsi, Dominic le era mancato tantissimo. Le mancava tutt’ora. Sapeva che perdonarlo sarebbe stato difficile, perché lui aveva scelto volontariamente di partire per il fronte ben due volte, quando sapeva che fosse l’unica cosa in grado di terrorizzare la Hillcox in maniera impensabile, l’idea di perdere di nuovo qualcuno di caro — era lo stesso motivo per cui non poteva perdonare Albert. Loro avevano perso tutto, in un’altra vita; lo avevano perso insieme. Come poteva non capire?
    E Dominic.. Dominic, ad un passo da lei, con il braccio teso in sua direzione, e la speranza a piegare timidamente gli angoli della bocca in un sorriso incerto.
    Nelle notti più difficili, quando ogni certezza era venuta a mancare, e lei si era ritrovata sola in un appartamento nuovo con l’unica compagnia del gatto, aveva desiderato intensamente potersi rintanare tra le braccia del guaritore e lasciare che lui le accarezzasse i capelli e le ripetesse che andava tutto bene. Perché, nonostante tutto, amava Dominic Cavendish. E non c’era verso di cambiare quei sentimenti.
    Né voleva farlo.
    Allungò il braccio per lasciare il flute, pieno a metà, sul vassoio di un cameriere, e poi offrì la propria mano al biondo. «Spero tu ti sia esercitato parecchio, Cavendish.»
    Potevano ancora provare a ricostruire… qualcosa? C’era ancora speranza per loro?
    Nice si domandava se sarebbe stata in grado, prima o poi, di guardare Dominic negli occhi e non sentire il cuore rompersi come la mattina in cui aveva trovato il biglietto sul cuscino, o come quando avevano litigato nella cucina del loro appartamento, e si erano fatti male a vicenda — sarebbe stato molto difficile, pensò, mentre il lento (scelto da elisa per i gugel, quindi ce lo becchiamo anche noi zia), cresceva e riempiva la sala, e Nice sceglieva ancora una volta di sbagliare, nella speranza di non doversene pentire di nuovo.
    && if I get burned,
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    when3 september 2023
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    parla con renée, hyde e bertie; poi con dominic.
  6. .
    obliviontober 2023 settimana 1 // mini prompt: "something just like this"

    e18SFbJz3TroeE



    eh. doveva succedere. CIAO ADAMINO MIO !!! niente non ce la posso fare, Finn è così Adam che ogni volta mi fa male il cuoricino PROPRIO IL MIO BAMBINO !! BABY !! JULIE !!!
    ciao ciccina smack ti lascio anche la versione alt dell'avatr perché l'altra fa venire il mal di testa (// "proprio come adam" ci tiene ad aggiungere qualcuno OPSIES)


    (textures: cypher-s && ravenorlov)
  7. .
    yoooooooo ufficializzo anche qui dai, almeno rimangono i link #cos

    - monina: come amichetta d'infanzia purosangue!!
    - theo: per picchiarsi !! VIECCE !! ti spacca il setto natale, promesso *stelline*
    - ...in effetti basta, non ricordo chi altro ti avessi offerto, ma nel dubbio c'è il resto del team hogwarts: nelia (prof di corpo a corpo), lupe (prof di erbologia), nathan (assistente di storia della magia) e romolo (security)

    tutti gli altri sono grandi e/o non bazzicano per hogwarts quindi non saprei !! magari in futuro, con altri pg #cosa?cosa #PIGGIOMANIA!
  8. .
    obliviontober 2023 oblivion ft. mitologia greca
    settimana 1 // poteri fisici

    c. morales,
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    a. behemoth,
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  9. .
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    «siamo in anticipo.»
    C’era giusto un pizzico di frustrazione nella voce della ex serpeverde, mentre consegnava l’invito all’entrata, una mano a reggere la pergamena color avorio e l’altra stretta intorno al braccio del suo accompagnatore. «non arrivo mai in anticipo Lo sguardo, e le labbra arricciate, che rivolse a Renée la dicevano lunga: avrebbe potuto utilizzare quei preziosi minuti per concludere i preparativi e sistemare un po’ il trucco o i capelli, controllare che il vestito fosse in ordine e la collana perfettamente dritta e centrata. Ed invece era stata trascinata alla cerimonia in orario, il ché significava che non ci fosse ancora il numero di invitati presenti sufficienti a godere della sua entrata scenica.
    «guarda,» approfittò della mano ora libera dell’invito per indicare il centro della sala, le sedie ancora vuote e i gruppetti di persone che si andavano a formare pian piano, «non c’è nessuno.» Le iridi ghiaccio scivolavano sulle figure presenti come se non esistessero — nessuno di importante, nessuno per cui mettere in mostra la sua creazione di velluto e decorazioni in oro, solo qualche parente maniaco della puntualità e qualche sfigato che non sapeva che arrivare con qualche minuto di ritardo era buon costume. La puntualità era solo un’invenzione delle lobby.
    Ma capiva da dove arrivasse la fretta di Renaissance, e la accettava: anche lei avrebbe mosso mari e monti per non perdersi nemmeno un istante del matrimonio dei suoi genitori, e anche se il Capo dell’esercito non glielo aveva espressamente detto, Nice sapeva fosse anche per quello che l’aveva trascinata al ricevimento allo spaccare delle diciassette.
    Quello, e il fatto che fosse uno dei sopracitati maniaci della puntualità, ugh.
    «questo ti obbliga a fare il giro del giardino con me almeno tre volte, lo sai vero?» non si era fatta bellissima solo per fari vedere da quattro gatti e poi rimanere seduta tutto il tempo. «e non preoccuparti,» lo zittì prima di qualsiasi protesta, «le mie scarpe sono molto comoda, potrei camminarci su tutta la notte.» Una sfida nello sguardo gelido, come a dirgli di permettersi di opporsi alla sua volontà: erano lì insieme, e Nice non aveva voglia di vagare per il giardino da sola, come un’anima in pena, con il rischio di rimanere incastrata in conversazioni spiacevoli.
    Non che avesse paura di incontrare qualcuno con cui non voleva intrattenersi, ma anche; erano passati mesi, e ancora non aveva affrontato suo cugino, o un certo biondo infermiere, o chiunque altro. Renée era l’unica persona a cui Nice avesse concesso il privilegio e l’onore di rivolgere parola, anche dopo il conflitto, ed era bene che se ne ricordasse: non ci avrebbe messo molto a chiudere fuori anche lui, e solo il Barrow sapeva quanto bisogno avesse lui di lei, e delle loro chiacchiere in libertà riguardo il futuro da cui entrambi provenivano. Però sì: se avesse potuto evitare di scambiare inutili convenevoli in mezzo a centinaia e centinaia di invitati, affrontando persone che evitava apertamente e con classe da mesi, sarebbe stata molto più che felice. Renée era la sua barricata tanto quanto Nice era il supporto morale del “Calloway”.
    Ma non era neppure una stronza totale, la Hillcox: ogni tanto si ricordava di essere una persona e di avere un cuore, nascosto dietro una spessa coltre di gelo nuovo di zecca. Si fermò a qualche passo dall’inizio delle sedie disposte per gli invitati, e trattenne Renée con sé, applicando una leggera pressione sul braccio del comandante, fino a farlo voltare verso di lei. «non farmi fare brutte figure.» Che era un modo come un altro per dirgli di stare tranquillo, era solo un matrimonio, e tempo un’oretta avrebbero aperto l’open bar. Gli sistemò il papillon al collo, anch’esso verde e ricamato con filamenti d’oro, gli stessi con cui Nice aveva decorato il proprio vestito, e poi sistemò invisibili pieghe sulle spalle del completo indossato dal ragazzo. «non vedo l’ora di vedere Akelei sfilare sotto gli occhi di tutti.» fasciata nel vestito da lei confezionato: quello era il momento più importante della sua carriera.
    E sì, immaginava anche fosse un gran bel giorno special per William e Akelei, yay.

    Intanto, non troppo lontano da lì, qualcun altro era stato costretto ad arrivare in anticipo per ben altri motivi.
    Hold May Beer era totalmente, e irrimediabilmente, rapita e stregata dalla special che aveva di fronte. Al punto da inciampare nelle proprie parole quando, nell’incredibile imbarazzo che la visione di una Kieran vestita di tutto punto per assolvere il suo compito di damigella l’aveva gettata, tentò di fare un complimento alla mimetica. «stai bellissima», che non era né un stai benissimo né un sei bellissima e allo stesso tempo era entrambi, raddoppiato nella forza e nell’essere sentito, proveniente direttamente dal profondo del cuore della Beer.
    Aveva fatto il possibile, quel giorno, per essere all’altezza del suo ruolo di accompagnatrice, dall’avere i capelli puliti e accuratamente acconciati alla base della nuca, fino all’indossare un completo giacca e pantalone con tanto di bustino lilla abbinato al vestito da damigella di Kier: tutto, pur di rendere felice la mimetica e non farla sfigurare.
    Hold May Beer era finita letteralmente sotto un treno e aveva lasciato che la trascinasse verso l’oblio e l’infinito, persa per quegli occhioni da cucciolo di labrador che la osservavano ogni volta come se fosse la creatura più singolare e curiosa e degna di amore dell’intero universo. Hold non credeva di meritarselo così tanto, ma non era così sciocca da privarsene dando voce ai suoi dubbi e alle sue paure: da quando avevano chiarito il fatto che il bacio al sapore di viscere di clicker non fosse stato un caso, ma qualcosa che entrambe avevano desiderato da molto più a lungo, la relazione tra loro era cambiata. In meglio, osava dire l’acidocineta, perché Kieran Sargent aveva il vizio e la capacità di rendere tutto migliore, anche un caso disperato come la stessa Hold. La Sargent faceva davvero miracoli, altrimenti come si spiegava la presenza della maggiore ad un matrimonio, e per giunta con tutta l’intenzione di comportarsi bene e da persona civile quale non era assolutamente?!
    Persa, persissima: ecco cos’era, Hold May Beer.
    Strinse la mano della mimetica nella sua, senza paura di farsi vedere da qualcuno, ma quando si avvicinò a Kier fu solo per sussurrarle all’orecchio «queste scarpe sono scomodissime, posso toglierle sotto al tavolo?» (oh, civile sì ma fino ad un certo punto) e lasciarle un bacio così veloce sulla guancia che se pure qualcuno avesse guardato nella loro direzione, con un battito di ciglia avrebbe potuto perderselo.
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    nice: arriva con renée, parla solo con lui, avvicinatevi a vostro rischio e pericolo
    hold: arriva con kieran, parla solo con lei, avvicinatevi a vostro rischio e pericolo
  10. .
    me la canto e me la suono
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    aggiorno!
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