Massaggiò le tempie, cercando di concentrare tutte le sue attenzioni sul rumore distante del traffico. Fece viaggiare le dita fino al setto nasale, quindi, strizzando le palpebre in un tentativo di tenere sotto controllo il mal di testa che era pericolosamente vicino dal lasciarlo senza scampo. «non so…» umettò le labbra, ulteriore pausa a segnalare che quantomeno ci stesse provando sul serio, a mantenere un tono rasentante il civile. «non so come altro farti capire che non è una buona idea.» perché non c’era veramente bisogno, di farglielo capire. Era ormai giunto alla triste conclusione che lo sapesse già, quella bestia del suo coinquilino, che mandare lui (lui! di tante persone!) a fare una cosa simile fosse una pessima, pessima idea; addirittura era pronto a scommettere che stesse godendo nel sentire l’ovvio panico nella sua voce, il caro vecchio Benjamin. Non necessariamente un eterno pessimista, Zeke, ma anni passati a condividere il suo appartamento con completi (o quasi) sconosciuti gli avevano insegnato a leggere le persone, nel bene o nel male. Ecco: Benjamin era il genere di emerito stronzo che alle medie chiedeva agli sfigati della classe di uscire per poi dare loro buca all’ultimo secondo, lasciandoli totalmente soli per scherzo. Benjamin era anche il genere di emerito stronzo in grado di tornare a casa alle tre di notte, svegliando l’intero vicinato nel mentre, per festeggiare un’ultima volta prima della finals week – poi passare tale finals week a chiederti di poter copiare le tue risposte nel nome della solidarietà tra coinquilini, una cosa che sicuramente esisteva e che andava applicata ogni volta che l’altro ne sentisse il bisogno e mai quando serviva a te. «senti.» incrociò le caviglie, ignorando bellamente il collega improvvisatosi bagnino che si sbracciava alla sua destra pur di attirare la sua attenzione; quindi schiarì la gola, mano libera stretta a coppa attorno alla bocca. «voglio la metà del tuo affitto pronta almeno dieci giorni prima d’ora in poi. niente più “coprimi e poi te li ridò il prossimo mese”. e niente più visite oltre mezzanotte senza avvisare.» e vabbè, insomma. a mali estremi, estremi rimedi. Non attese che l’altro finisse di ringraziarlo con frasi strappalacrime affatto sincere; aveva già sforato di due minuti con la pausa, a detta del rompicazzo con le mani ancora tese in aria, manco stesse lanciando segnali di fumo. Fece un cenno con la mano in segno di scusa, quindi tornò all’interno del negozio, cuore in gola e la certezza d’essersi fottuto da solo come pensiero costante.
«sento di star per morire.» e scrollò le spalle, perché what can you do. Ezekiel Rubén Walsworth, telefono stretto in una mano con così tanta forza da poterlo spaccare in due e involucro in plastica trasparente precariamente trattenuta tra pollice ed indice come se fosse una mutanda sporca, era [così] vicino dal crollare a terra o possibilmente farsi prendere in pieno da una macchina. «Benjamin, sto letteralmente per crepare.» Ma lo volete sapere come s’era ritrovato con una simile testa di minchia per coinquilino, tra l’altro? No? Meglio così. «cosa faccio. che di - play it cool. è il massimo che sai dirmi. lo fai regolarmente e il tuo unico consiglio è questo.» annuì tra sé e sé, non facendo caso alle occhiate dei passanti. Non era pronto ad affrontare anche Becky e Karen, in un momento simile. E vabbè, vaffanculo: se ne sarebbe occupato da solo. Dopotutto una vita gli serviva veramente, a lui? ma no, figuriamoci. Un lungo respiro, e si posizionò esattamente nel punto suggerito dal consumatore. Deglutì, imponendosi di non saltare nel momento in cui la voce lo raggiunse per fingere quantomeno di possedere contegno. Un minimo. Un minimo. Poteva farcela. Poteva farcela. Poteva farcela. Poteva farcela. Poteva farcela. «le hai portate?» Hm. «ecco. dunque.» schiarì la gola, portando casual alle labbra il microfono delle cuffie – sì, classic earpods: non era abbastanza ricco per le wireless, scusatelo. «c’è stato … temo, un piccolo incidente.» Poteva farcela. Poteva farcela. Poteva farcela. Poteva farcela. Poteva farcela. «prendi un lungo respiro. Cerca i chakra. Trova i chakra. Parla coi chakra e chiedi loro di darti forza.» sicuro ne avrebbero avuto bisogno entrambi, perché: «potrebbero essermi cadute… giù.» e dove mai potrebbero essere finite, le pasticche di Adderall che con tanta fatica si era portato in giro. «giù… nel tamigi.» la voce ridotta praticamente a un sussurro, e continuò la spiegazione con la calma di uno youtuber in piena sessione ASMR: «un tipo mi ha dato un’ombrellata sullo stinco e sono volate via. si sono… spaccate in modi che mai avrei pensato possibili. Quindi…» e strinse le labbra a cuore, ormai arreso al triste destino che lo attendeva. «ecco.» Ecco. | | |