Posts written by that's hot

  1. .
    CONTRO - e si, aggiorno di volta in volta o mi dimentico.

    sara sr:
    01 / 02
    CODICE
    <i class="fas fa-long-arrow-right" style="color:#AB532E;padding-right:3px;font-size:15px;"> <b>sara sr</b></i>: <i class="fa-regular fa-star-half-stroke" style="color:#bfbd3d;padding-right:3px;font-size:10px;"></i>
    — [url=https://oblivion-hp-gdr.forumcommunity.net/?t=63034154]01[/url] / [URL=https://oblivion-hp-gdr.forumcommunity.net/?t=63036767]02[/URL]
  2. .
    bring cocaine to the airport so you can pet the dogs
    Poche cose al mondo mettevano tutti d’accordo, ma la qualità del cibo degli ospedali era indubbiamente una di quelle. Per qualche motivo, indipendentemente dal grado di denaro sganciato al complesso sanitario, tutto ciò che veniva offerto sapeva di medicine. Forse un lascito di legittimi problemi di fiducia: non vedere da dove arrivasse il pasto, e sapere di essere lì per guarire, tendeva a creare la suggestione che potessero averci infilato qualche pasticca sbriciolata. Forse le pareti erano così impregnate dall’odore amaro delle pozioni, da farlo assorbire anche al purè in pentola. Inspiegabile. Yale Hilton guardò il contenuto sul vassoio di plastica che il Medimago aveva lasciato sul comodino di Dave, nonostante il Gallagher fosse ancora fuori uso, con lo stesso disappunto con cui il medico aveva guardato lui: labbra curvate verso il basso, sopracciglia corrucciate, bocca dischiusa per un rimprovero che non arrivò mai. L’altro scosse il capo, sospirando; Yale, in tutta risposta, sorrise arricciando pigro le dita, seguendolo con lo sguardo mentre lasciava la stanza.
    All’Hilton gli ospedali non piacevano. Oltre a trascinare con sé rimasugli di ricordi poco piacevoli, tendevano a riportare a galla il fatto che avrebbe potuto esserci lui, lì, se solo non avesse abbandonato gli studi preferendo una vita comoda, e gli intrighi della politica. Le sue memorie di gioventù rimbalzavano su fogli bianchi, un po’ come quelle dell’incidente da cui erano reduci, ma non era difficile incolpare le sostanze stupefacenti con cui si era sciolto ogni possibilità di diventare la versione migliore di sé. Meno assurdo di pensare avesse fatto una scelta, un tempo, di cambiare il mondo, e l’avesse rimpianta comprendendo che i suoi obiettivi non si allineassero con quelli della causa: se doveva scavare altre fosse, tanto valeva attendere che le forze del male si ingoiassero da sole lasciando spazio a qualcos’altro.
    Tutto, lasciava posto ad altro.
    Lo Sri Lanka, a pigri pomeriggi nel proprio appartamento. Le ferite, ad un aeroporto affollato e rumoroso. Dopotutto, l’impatto lo ricordava perfettamente, ancora a premere sulla pelle con uno sbalzo fisico e molto quantistico. Ah, i miracoli di un corpo costretto dalle circostanze a sopravvivere! Corpo che Yale, per inciso, aveva piazzato pigramente sul letto della sua macilenta guardia del corpo, incurante del fatto che andasse contro almeno metà delle norme di sicurezza ed igiene di un ospedale. Si aspettavano mica che rimanesse seduto su quelle poltroncine insensate ai lati della stanza…? O che tornassi a casa, magari. Era già stato dimesso, lui e i suoi miracolosi tre graffietti in croce – li aveva sbattuti tutte e tre in faccia alla Abbott, quando aveva ripreso i sensi; scontato che il primo letto che avesse abitato, fosse stato il suo: poteva forse vedere qualcun altro, appena svegliata da un trauma, che non fosse il suo miglior amico preferito? - ed avrebbe potuto tornare all’appartamento in attesa che anche la seconda principessa aprisse gli occhi, ma non l’aveva fatto. Non si sentiva in colpa per le condizioni di Dave – dopotutto, proteggerlo era il suo lavoro - e non voleva dargli una mancia aggiuntiva per essersi preso il grosso dell’impatto. Era semplicemente… lì, perché non aveva senso essere da nessun’altra parte, per Yale. Nahla era tornata dalla sua gita fuori porta - da cui non aveva mandato neanche una foto tra l’altro, molto rude - al sicuro fra le mura di Hogwarts, e Rosario era tornata nella sua madrepatria per assistere Fergie nell’ennesimo crollo mentale dovuto a solo Dio sapeva cosa: non c’era nulla che lo attendesse a casa.
    Ed anche ci fosse stato, avrebbe aspettato.
    Malgrado la sua reputazione, era un ospite eccellente: non si muoveva troppo, non faceva alcun rumore, non osservava in maniera inquietante Dave che dormiva. Si prodigava, di tanto in tanto, a premergli un dito al centro della fronte, uno dei pochi spazi senza bende, quando gli sembrava avesse un sonno agitato, ma in linea generale era come non averlo. Allungò una mano verso il vassoio, appropriandosi dell’insulsa, chimica, e irresistibile purea di frutta che portavano insieme al pranzo, cucchiaio di plastica già fra i denti. La mano libera a tastare il comodino alla ricerca del telecomando con cui impadronirsi anche della televisione, navigando fra le applicazioni alla ricerca di Netflix. Tolse il volume, lasciando solo i sottotitoli.
    Senza musica drammatica l’intro di Twilight non era lo stesso, ma se ne sarebbe fatto una ragione.


    yale
    hilton

    - do you have a hobby?
    - self destruction
    werewolf
    #teamjacob
    *winks*
    29 y.o. — are we having fun yetNothin' that I need to say
    That hasn't been said
    I don't need an apology
    Just show me you'd stay
    if u think i'm pretty
    Artemas
    Mother of Night, darken my step
  3. .
    si dice che sulle teste dei seguaci di arda vegli la dea da cui prendono il nome. queste abili sentinelle mirano ad indebolire il nemico e darlo in pasto ai loro alleati.
    L’Hilton era un personaggio pubblico, non lo stupiva che il biondino sapesse il suo nome; sperava non la prendesse sul personale, se non era in grado di ricambiare il favore. Si erano mai presentati? Ricordava quel 14 Febbraio come un'allucinazione, e per quanto lo riguardava, non era nemmeno una rarità: passava più tempo in stato alterato che non, Yale, ed aveva imparato ad adattarsi all’assurdo senza farsi domande. Non vedere la faccia delle persone presenti nella stanza? Il sogno di ogni cena di Natale in famiglia. Essere rapito? Era ricco, famoso, e sconsiderato: come avrebbe detto il suo caro nonnino, non il suo primo rodeo. Sedurre sconosciuti era parte della sua quotidianità, quindi, in linea generale, non si era trattato di un evento particolarmente memorabile. Non significava che non l'avesse trovato piacevole, né rendeva meno sincero il sorriso a graffiare le labbra. «non dirmi che ora spunta nelia dal bagno» Non domandó chi fosse solo perché, in barba a quel che si diceva di lui, non era un'idiota quando non aveva bisogno d'esserlo, e supponeva Nelia fosse il nome a completare il loro alquanto particolare triangolo. Concluso il teatrino di San Valentino, Yale non aveva più visto nessuno dei due - frequentavano compagnie diverse, evidentemente - e non li aveva neanche mai incrociati a lavoro, unico altro posto in cui non incontrasse depravati, alcolisti, tossici e ninfomani. Dichiarati, si intendeva. E si, quello era il suo tipo di pomeriggio ideale, con compagni di gioco perfetti. «non mi stupirebbe, sai? se il mondo è così piccolo da fare incontrare noi, perché no» scrollò le spalle, un braccio poggiato sul sedile del ragazzo. «vieni spesso qui?» curioso, perché non vedeva un quarto di motivo al mondo, ad eccezione del caso, per cui qualcuno avrebbe dovuto volontariamente scegliere di passare il proprio tempo libero in quel posto. Non giudicava, fosse mai, ma sarebbe stato interessante sentire un punto di vista differente. Magari aveva un fascino tutto da scoprire, quel finto loft li. «cosa mi racconta la mia anima gemella preferita?» Batté le palpebre, un sorriso distratto al cameriere arrivato con il suo ordine. Lo rimandó indietro con i bicchieri che aveva portato con sé: non ne avrebbe avuto bisogno. Trovava l'alcool avesse un sapore migliore, direttamente dalla bottiglia.
    Cosa poteva raccontargli?
    Con il pollice, svitó il tappo del liquore più scadente, scegliendo di iniziare con il botto. «potresti essere l'ultima persona a vedermi vivo, quindi cerca di ricordare solo cose belle di questa serata» Ammiccò, come se l'alternativa fosse contemplabile: era adorabile, di ottima compagnia, e perfino di bella presenza, cosa poteva desiderare di più? «anche se…il dramma vende di più, quindi capirei se scegliessi di non farlo» Portó la bottiglia alle narici. Il solo odore bastò a fare sorgere diversi rimpianti, ma non a farlo desistere dal berlo comunque.
    La storia della sua vita.
    «tu? se hai segreti o altarini, è l'occasione perfetta» curvó solo un angolo della bocca, osservandolo da sotto ciglia dorate. Indicò il proprio petto con l'indice, bisbigliando «una tomba» perché oltre ad essere affascinante, era anche troppo divertente. Un problema dei Bellissimi.

    yale
    hilton

    i may be sad but did you see my outfit
    sentinella seguace di arda
    [ dimezza attacco O difesa del nemico ]
    MAGO
    LEADER
    28 y.o. — once rebel — daddy (yale's version)Babe you can't hate mе more than me
    I got you hanging by my teeth
    Don't call me a mеss
    Cause I'm a mess & a half
    And you don't know half of it
    MESS & A HALF
    KINGS
    moonmaiden, guide us
  4. .
    si dice che sulle teste dei seguaci di arda vegli la dea da cui prendono il nome. queste abili sentinelle mirano ad indebolire il nemico e darlo in pasto ai loro alleati.
    Alla tavola rotonda del Consiglio, Yale Hilton aveva portato una bottiglia di whiskey ed un sorriso lezioso. Sapeva di trovarsi lì solo per le proprie origini e la quota pubblico che lo amava con il fervore di una religione. Aveva firmato il contratto conscio di essere, ancora e sempre, nulla più di uno strumento ad uso e consumo degli altri. Quando passavi tutta la vita ad essere solo un qualcosa, però, sviluppavi la tendenza a farti posto come un recipiente di plastica al microonde: si gonfiava finché non minacciava di rompersi, e nessuno a quel piano voleva avere a che fare con le conseguenze di un giocattolo rotto.
    In quelle settimane, era rimasto in silenzio più del solito. Aveva ponderato le possibilità, ascoltato quanto i colleghi avessero da dire in merito al criptico messaggio, e realizzato con netta e concreta consapevolezza che a nessuno dei Ministeriali sbattesse un cazzo di qualcosa della quota umana del Lotus. Se non ci fosse stata in atto una minaccia più grande, non avrebbero neanche preso in considerazione l’idea di fare qualcosa, perché cos’erano una cinquantina di persone quando avevano ai loro piedi l’intera umanità. Un ragionamento che comprendeva, e che trovava avesse senso… per loro. Nell’ottica in cui si richiedeva ad altri di unirsi, mancava però della scintilla di motivazione. I soldi spingevano i piani superiori ad entrare in azione, ma erano i sentimenti quelli a trascinare il popolo verso un unico obiettivo. Gli ideali. Non era stato lui a suggerire di sfruttare gli Smarriti come propaganda politica, ma ne era stato un fiero sostenitore. Aveva curvato le labbra verso l’alto, la guancia poggiata sul palmo della mano, e suggerito dolcemente che avrebbero potuto fare qualcosa di assolutamente utopico tipo pensare davvero a come liberare quelli che erano in tutto e per tutto diventati ostaggi. E perché mai dovremmo, gli avevano domandato, con il resto a cui pensare? Yale aveva liquidato la questione con un movimento distratto della mano ed uno sbuffo. Non lo so, Jared, magari perché a chi partecipa importa davvero, e vogliamo evitare una rivolta nel momento meno propizio. Magari perché se vogliamo che seguino le regole, dobbiamo concedere qualcosa, così da evitare di essere presi alla sprovvista e non sapere più come tirare le fila di un esercito di volontari privi di mentalità da soldati. Non so però, eh, valutate voi, era solo un’idea. Sia mai! Che era l’equivalente di un gentile succhiami l’uccello, perché di Yale si potevano dire tante cose tranne che non fosse un uomo delicato. Non si sopravviveva alla corte senza sapere il proprio posto; si vestiva da cortigiano a giullare a seconda delle necessità.
    Si era offerto di partecipare per visionare l’intero piano dall’interno. Mostrarsi parte degli altri, così da farli sentire più vicini ad un’entità antica e inamovibile come il Ministero. Era eccezionale nel far da ponte fra i due estremi della civiltà umana, perché dopotutto, era quello che aveva sempre fatto. Ufficialmente, Yale Hilton IV era un Consigliere irreprensibile, una risorsa fondamentale, e la colla che avrebbe tenuto insieme quella buffonata quando tutto sarebbe immancabilmente andato a puttane, considerando che non sapessero a cosa prepararsi. Non per mancanza di tentativi.
    La realtà era che non gliene potesse fottere un cazzo di meno di essere l’uomo copertina dell’ennesima guerra in nome della giustizia, o chi per essa. Se, per la prima volta nella sua vita, sceglieva di rischiare la sua vita per un reale motivo, e non le sue usuali tendenze suicida, era solo per Nahla. Glielo doveva. Aveva già perso tutto, e Yale… Yale si era preso una responsabilità, quando l’aveva accolta a casa sua. Non voleva averle dato il proprio nome solo come condanna, voleva significasse qualcosa. Era sopravvissuto a se stesso per quasi trent’anni, cosa mai poteva essere una scaramuccia magica fra chi comandava il mondo e chi cercava di cambiarlo.
    «che adorabile posticino» mormorò, pensando avesse fatto bene, un anno prima, a non seguire le orme dei suoi compagni di avventura per andare a bere qualcosa in amicizia in quella topaia. Si fingeva minima, ed in stile loft. L’unica cosa degna di nota del locale, era che fosse sopravvissuto alla guerra.
    Molte cose di Londra l’avevano fatto, stronza privilegiata ch’era, quindi neanche una gran menzione storica.
    Il perché fosse lì, era molto semplice: a caso. Totalmente, ed inequivocabilmente, senza motivo. Non un pensiero né un secondo fine. L’aveva solo intravisto con la coda dell’occhio nell’usuale passeggiata serale in cui cercava pub dove perdere i sensi o l’innocenza (vi state chiedendo quale? Fate bene, non ne aveva) e l’aveva trovato divertente. Non aveva avuto bisogno di altro per entrare, occupare uno dei tavoli, e sorridere al cameriere nel chiedere una bottiglia della cosa più economica che avevano, ed una di quelle più lussuose. Il meglio dei due mondi, come Hannah Montana. Tamburellò le dita sul tavolo, allungando poi le braccia sullo schienale alle proprie spalle. La mano arrivò a sfiorare la spalla di qualcuno, e dato che solo le persone depresse e tristi bevevano da sole, picchiettò l’indice sulla schiena della sconosciuto con l’invito ad unirsi al suo tavolo, e se voleva portare con sé chiunque stesse aspettando.
    Perlomeno, quella era l’idea.
    Quando lo vide, i meccanismi alquanto rallentati dal conoscere milioni di persone dell’Hilton, scattarono sull’attenti.
    Uno sconosciuto adorabile, pensò subito con un sorriso.
    Poi.
    Aspetta. Oblinder 2k23?
    Ed un sussulto che non nascose, la mano a coprire la bocca con sorpresa. «la mia anima gemella?!» GASP!
    yale
    hilton

    i may be sad but did you see my outfit
    sentinella seguace di arda
    [ dimezza attacco O difesa del nemico ]
    MAGO
    LEADER
    28 y.o. — once rebel — daddy (yale's version)Babe you can't hate mе more than me
    I got you hanging by my teeth
    Don't call me a mеss
    Cause I'm a mess & a half
    And you don't know half of it
    MESS & A HALF
    KINGS
    moonmaiden, guide us
  5. .

    28 y.o.

    councilor

    neutral
    drama
    nombe
    Doveva aver passato troppo tempo con suo fratello, perché la prima cosa a cui pensò varcando le porte in ferro del Haus of Lüneburg, fu che sarebbe stato un setting perfetto per un film porno. Non una critica, né una di quelle battute soffiate a fior di labbra: una considerazione oggettiva, ed anche una ammirabile. Gli occhi blu dell’Hilton sfilarono sul gioco di luci del locale, il nero a settare le linee guidando lo sguardo dove si voleva rimanesse posato. Gli specchi, dove Yale vide il proprio riflesso da centinaia di angolazioni, non abbastanza umile da non apprezzarne ogni inquadratura. Se rimaneva fermo al centro del punto di vendita, riusciva a sentire il calore emanato dalle lampade che sempre accompagnavano le videocamere, a udire i suoni morbidi e forzati della pelle a sfregare su altra pelle, risucchi umidi e perversi a rimbalzare da un microfono all’altro. Si chiese quanto sarebbe stato di cattivo gusto domandare alla Von Schneider se fosse disponibile a prestare il negozio per girare una pellicola erotica, dopotutto nulla vendeva più del sesso, o, in alternativa, prestarglielo per un paio d’ore. In intimità, si intendeva. Dovevano essere gli specchi, si disse, intrigato, finendo ancora per cercarsi in una delle superfici riflettenti.
    Yale Hilton era sempre un bel vedere. Composto ed elegante, perfetto per quel tipo di eventi. L’uomo copertina dei Consiglieri, considerando da chi fosse composto il resto del loro entourage, con un pedigree opinabile ma una nomea abbastanza famosa da renderlo dettaglio di poco conto. Famoso in tutti i mondi come un blockbuster, un classico che non stancava mai: gli hotel, i sex toys, gli scandali, i cugini. I soldi. La bellezza. Una fama universale del quale il mago viveva come da ossigeno, masticando lento il frutto del lavoro d’altri e l’errata percezione che le persone avevano di lui. Incontrò le proprie pupille dilatate, e si sorrise, ammirando una composizione eccellente come un critico d’arte. Non portava mai il segno delle notti insonne sulla pelle, Yale, né il costante consumo di alcool e droghe – giusto quella stessa mattina aveva fatto colazione con whiskey ed un paio di simpatiche pasticche colorate – o l’odio che provava verso se stesso. Impeccabile. L’unica scia che lasciava alle proprie spalle era quella del denaro giovane ed il potere antico, un miscuglio peculiare che lasciava in bocca invidia e polemiche. Non sapevano che ogni giorno, oscillando liquido in bicchieri di cristallo, tirava una monetina morale per scegliere se sarebbe arrivato all’alba successiva o meno. Non sapevano della bile ormai stanziata costantemente alla base della gola, delle notti passate a fissare il cielo finché non cambiava colore, per battere poi le palpebre e scrollarsi nelle spalle.
    Il Vecchio era morto, comunque. Se a qualcuno poteva importare. Non a Yale, considerando fosse solo il secondo erede del padre, ed avesse vinto più soldi di quanti mai in una vita potesse spenderne, perfino con i suoi lussuosi vizi. Non era neanche più un problema di Harvard, il primogenito, visto che la Guerra aveva reso il loro nome babbano molto meno accattivante di quanto non lo fosse prima: una catena di hotel senza futuro, e giochi erotici che non sarebbero mai passati di moda. Al Ranch non ci andava più nessuno, malgrado avesse visto un’intera generazione di Hilton rincorrersi fra le mucche e sparare alle bottiglie. Yale ci tornava spesso, giusto per ricordarsi che al mondo non esistessero legami e fosse tutto destinato ad essere dimenticato o cancellato.
    Il Vecchio era morto, ed i Parker si erano eclissati. Una delle famiglie storiche del Regime, il cui nome ancora incuteva timore, aveva semplicemente deciso di passare sotto il sistema come un manipolo di Traditori qualsiasi. Non sapeva a cosa stessero lavorando, nell’oscurità delle loro magioni; non gli era mai fregato un cazzo, non vedeva perché avrebbe dovuto cominciare in quel momento. Per la prima volta in quasi ventinove anni, Newhaven Cedric Edward George Stpehen Hilton IV, era… libero. Dalle aspettative, e dalle assurde regole imposte da un sistema nato ben prima di lui. Dagli obblighi di famiglia, e le tradizioni che gli avevano insegnato come sorridere e chinare il capo. Era schifosamente ricco, e non aveva più nessuno a controllarlo: la ricetta perfetta per il caos, se se lo fosse permesso. Nell’arco dell’anno appena passato, aveva valutato più volte di usare il denaro degli Hilton-Parker per andare nei Laboratori, il suo ultimo atto di ribellione, ma aveva desistito, e non certo per un senso di solidarietà a tutto quello che rappresentava. Fosse mai. Non temeva neanche di poter perdere il senno, conscio che quella linea fosse passata da un pezzo, ma non poteva accettare l’idea che potesse non piacergli quello che sarebbe diventato. Non voleva un potere noioso, e temeva che qualunque arcana magia facessero all’interno dei Lab, rischiasse di riflettere il suo vero io - uno Yale che Yale non voleva conoscere, figurarsi tutti gli altri.
    Ed aveva avuto delle responsabilità, in quei mesi. Non tante in realtà, solo una. Una per la quale gli avevano detto non fosse pronto, e che fosse ridicolo che lui, fra tutti, se ne facesse carico. Yale Hilton? Saresti in grado di uccidere anche un cazzo di cactus, gli avevano detto.
    Ma lui Nahla l’aveva presa comunque, perché che ne sapevano loro. Un obbligo morale, il mantenimento di una promessa fatta per immagine, ma non per la quale credesse meno. Non aveva nessun altro. Si era detto che ce l’avrebbe fatta, dopotutto era un ottimo improvvisatore, e Nahla era già un’adolescente. Praticamente un’adulta fatta e finita. Che ci sarebbe voluto?
    Abbastanza da perderla, a quanto pareva. Smarrita nel nulla.
    Odiava che avessero avuto ragione, tutti quanti. Che non fosse adatto a quel compito, e che magari, se le avesse concesso una famiglia migliore, sarebbe ancora ad Hogwarts a lamentarsi delle lezioni di incantesimi e trasfigurazioni, perché che palle usare la bacchetta, Yale. Non che l’avesse reso un problema di qualcuno. Se l’era tenuto per sé, pressato fra le costole come un fiore a seccare fra le pagine di un libro, a scavare ogni giorno più spazio. Svuotandolo dall’interno.
    Passò le dita fra i capelli castani, offrendo un sorriso alla cameriera ed una smorfia ancor più sollevata al calice offertogli. Lo prese fra le dita con un cenno di ringraziamento, portandolo alle narici per inspirare profondamente. Profumava di soldi, e l’Hilton ebbe l’improvviso impulso di ridere.
    Era assurdo, come funzionasse quel mondo. Davvero fottutamente assurdo.
    Vi state forse chiedendo perché mai Yale Hilton fosse all’inaugurazione di una boutique di moda? Spero di no: poche cose al mondo gridavano più Yale Hilton dell’alcool gratuito e vestiti d’alta moda. Era un VIP, dopotutto. Con queste premesse (fenomenali!) do per scontato che conoscesse la proprietaria del locale, e che la cercò all’interno del punto vendita per offrire i propri omaggi e congratulazioni. «heloise von schneider» salutò, offrendole la mano per quella strana presa che anticipava i due baci sulla guancia da gente molto ricca, o mafiosi italiani – a voi la scelta. - senza sfiorarle la pelle con le labbra. «quanto tempo» Non si conoscevano davvero, solo con la superficialità di chi condivideva un certificato di nascita nobile. Magari conosceva meglio Harvard, lei, essendo quasi (penso.) coetanei. «sempre meravigliosa» quello, perfino in un mondo di inganni e menzogne come il loro, non poteva che essere sincero e reale. «una boutique, uh? Molto anni sessanta» le sorrise, morbido quanto le bollicine di champagne che portò alla bocca.
    Ain't nothin' but drama,
    I'm just playing a part
    When I'm feeling the spotlight,
    I see nothing but stars
    yale
  6. .
    yale
    hilton
    twentysomething
    councilor
    werepuppy
    life ruiner
    Flip the switch, flip the stove
    World gone mad, let's start the show
    Get your kicks and let's go
    If you're sad, don't let it show
    Say I'm happy today
    Morley Peetzah era proprio un uomo. Non solo era così al naturale, senza l’influenza di alcuna pozione magica e dalla dubbia morale, ma aveva tutte le priorità sbagliate, come se nel grande schema delle cose un anello o la presenza della famiglia potessero fare la differenza, e le domande più scontate, tipo «oh. OH. intendi… vuoi sposarti ora?» Esisteva forse miglior momento di ora? Del domani non c’era mai certezza, ed ogni istante vissuto valeva la pena essere consumato fino al nocciolo. Si amavano disperatamente lì, in quell’ufficio. Non avevano occhi per nulla che non fosse l’altro, le labbra ancora calde degli ultimi baci, le mani a stringere senza alcuna intenzione di lasciare. Come, si domandava l’Hilton, avrebbero potuto non sposarsi in quella parentesi unicamente loro? In quei battiti di cuore, non c’era altro che volesse al mondo che non fosse passare ogni singolo giorno della sua vita al fianco di quell’uomo. Ventiquattro ore su ventiquattro. Svegliarsi al mattino con il suo sorriso sulla pelle, e la sua bavetta sul cuscino. Farsi bruciare la colazione, arrivare in ritardo a lavoro per una sveltina sul bancone della cucina, sgridarlo per la tavoletta mai abbassata, e guardarlo ingrigirsi come la prospettiva pensionistica di un millenial sapendo di averne condiviso ogni ruga. Un tatuaggio di coppia, magari; il suo nome sul cuore, e la sua faccia sul bicipite. La data del loro incontro sulla chiappa sinistra, e l’impronta dei denti sulla destra, così che potesse portare con orgoglio il simbolo del loro amore laddove li si addiceva di più: sul culo. «vuoi sposarti… ora.» Di nuovo. Umettò le labbra, e quando sentì il sapore del Peetzah indugiare sulla lingua, dovette scuotere il capo per distrarsi dal pensiero di quali altri gusti sapesse, e quanto li volesse sentire tutti. Si obbligò a strizzare le mani sulle sue guance, piuttosto che sulle sue p - «sì, morley. voglio sposarti ora» ribadì, malgrado fosse ovvio. Non poteva immaginare un altro istante della sua vita in cui non avessero condiviso il cognome, e non avesse avuto la certezza fosse suo.
    Per sempre.
    Anche nell’aldilà, le loro anime si sarebbero incontrate ancora ed amate come in quello sgabuzzino maleodorante e con una pessima qualità di mobilio, nonché scarso gusto estetico. Una (condanna. Maledizione.) promessa. Doveva essere una pozione davvero potente quella che aveva fatto invaghire perdutamente l’Hilton del Peetzah, perché all’ennesimo dubbio - «las vegas? sei sicura?» - non gli diede neanche una testata, preferendo metterlo a tacere con la propria bocca sulla sua. Rubando ogni grammo d’ossigeno, così che (morisse?!) non potesse sprecarlo in inutili fiati, la lingua fra le proprie labbra per impedirgli di mettere ancora in discussione i suoi intenti. «voglio tutto di te, morley peetzah, e lo voglio ora. aspettare non ha mai funzionato» Una vena amara, mero istante in cui le palpebre di Penn si abbassarono su uno sguardo, se non lucido, perlomeno non Penn. Scuro, e devastato; poco familiare sul dolce volto della cugina, e più consono su mandibola marcata e spalle più larghe. Così rapido che non ebbe il tempo di registrarlo, né di aggrapparsi a quel vago sentore di lucidità abbastanza da rendersi conto di quanto stesse succedendo. Fece piuttosto scivolare le dita dalle guance dell’allenatore al suo petto, premendo leggermente. «il tuo cuore» mormorò, con onesti occhi ambra a cercare quelli chiari dell’americano. Le mani a scivolare verso il basso, senza alcuna intenzione di distogliere lo sguardo, e quando strinse sul gonfiore dei jeans, lo fece con peculiare delicatezza, come se tra dita avesse qualcosa di prezioso e delicato. Non poteva certo rovinare la materia prima: Yale voleva avere tutti i suoi figli, ed anche qualcuno in più. «il tuo corpo» non mostrò neanche il mezzo sorriso divertito che quella situazione avrebbe richiesto, perché si rendeva conto si trattasse di un momento solenne. Importante. I polpastrelli si arrampicarono quindi a cercare le sue mani, che strinse fra le proprie. Le massaggiò piano, prima di sollevarle verso le labbra, e posare il più leggero dei baci sulla nocca dell’anulare. Era una dichiarazione d’amore, quella lì. Alla sua anima, ed al suo c- «il tuo cognome» (cristo non mi sento bene) Yale Peetzah suonava bene. Completo. Perfetto. Signor Peetzah. Newhaven Cedric Edward George Stephen Hilton The Fourth – Peetzah, sapeva già di poesia ed ode. Non vedeva l’ora di vederlo inciso sulla propria lapide, dove sarebbe rimasto ben oltre il suo misero tempo su quella terra, portando in memoria il loro amore per i posteri, ed anche quelli dopo. I libri di storia avrebbero parlato di loro.
    Censura permettendo; era abbastanza certo di piacere abbastanza a Dorothea perché gli concedesse almeno un paragrafo.
    «sposami, e ti prometto che ti renderò la donna più felice del mondo, penn hilton.»
    Era il momento di prendere in mano la situazione. Sospirò, già la donna (e uomo. Persona in generale, diciamo) più felice del mondo, le dita a cercare la propria bacchetta. Era stato abbastanza volte a Las Vegas da non avere problemi, neanche in quelle condizioni, a visualizzare il loro posto d’arrivo. Si strinse all’uomo, chiuse gli occhi, e - pop. Non era mai stato un grande ammiratore della magia, e potendo, preferiva non usarla, ma non poteva permettersi di perdere altro tempo con jet e autisti di varia natura. Doveva avere quel matrimonio subito.
    Battè le palpebre di fronte al casinò al quale li aveva smaterializzati, tenendosi in equilibrio sul suo braccio. Sorrise – estasiata, brillante – prendendolo per mano ed iniziando a correre, guidandolo verso la cappella che sapeva essere lì vicino. Sì, per esperienza personale. Era stato testimone a diversi ricevimenti; si era commosso ad almeno la metà. «charlene? CHARLENE!» conosceva la donna che celebrava, una drag senza età e solo bellezza e meraviglia. La sua versione di Elvis, era la migliore in circolazione – gender fluid, e con un eyeliner pazzesco. La trovò.
    Lei la guardò confusa. Con il braccio libero, Penn la abbracciò comunque. «hilton, ricordi?» sì, ma ne ricordava un altro. Charlene battè le palpebre, non impressionata, omaggiandoli entrambi di un mezzo inchino. «morley, charlene. Charlene, morley. Ci sposi?» chissà quanto durava la cerimonia. Era troppo presto per dire «lo voglio!» ?
    1:28
    2:49
    happy face, jagwar twin
  7. .
    yale
    hilton
    twentysomething
    councilor
    werepuppy
    life ruiner
    Flip the switch, flip the stove
    World gone mad, let's start the show
    Get your kicks and let's go
    If you're sad, don't let it show
    Say I'm happy today
    Yale Hilton non aveva mai amato nessuno.
    In generale, come regola di vita. Aveva imparato a voler bene con moderazione, così da non perderci mai il sonno. Amava a momenti, prendendo le distanze dai propri sentimenti quando rischiavano di diventare debilitanti: amava Shiloh quand’era in città, ma si allontanava quando lei spariva per mesi senza essere raggiungibile neanche per via telematica; amava la sua famiglia, ma senza aver bisogno di loro, perché in un modo o nell’altro finivano sempre tutti per lasciarlo indietro. Romanticamente parlando, poi, Yale quella possibilità non se l’era neanche mai data, perché adorava perdere tempo solo nelle cose sbagliate. Quella sembrava richiedere un genere di fiducia ed abbandono che l’Hilton era disposto a concedere solamente alle droghe ed all’alcool, le uniche costanti che sembrassero incapaci di deluderlo.
    Rimpiangeva tutto. Come aveva potuto privarsi per tutta una vita di quello? E come aveva potuto, prima di quel momento, guardare Morley Peetzah senza sentire il bisogno fisico, tangibile, di prendergli il volto fra le mani e baciarlo finché avesse avuto ossigeno per farlo? In quel momento, faticava a tenere uniti i pensieri, ma quelle domande sorgevano comunque spontanee fra un fiato e l’altro – solo per sé, e con risposte soffocate sulla pelle dell’americano. L’aveva amato per tutto quel tempo? La sua gelosia nei confronti di Penn, era stata invece per Piz? Aveva guardato sua cugina dare il proprio cuore all’uomo che aveva sempre amato?
    (Oh per Dio Yale, ma ti pare.)
    Quella era la sua occasione per prendersi tutto, marcare Piz come proprio e stringerselo al petto finché morte non li avesse separati. Non avrebbe mai permesso a nulla di mettersi fra di loro, neanche a sua cugina.
    (aiuto)
    Il trasporto di Yale, era sincero e totale. Non gli importava neanche che le dita allacciate alla nuca dell’allenatore non fossero le proprie, perché la sensazione sotto i polpastrelli era comunque sua. Aveva davvero importanza che forma avesse il contenitore?
    (Uhm… SI?!?!?)
    Mugugnò infastidito quando l’altro si allontanò per guardarla, sentendo le guance arrossate e le labbra gonfie. Le strinse brevemente fra loro, prima di sporgersi ancora e posare altri baci sulla gola, le gambe aggrappate a Piz a spingerlo contro di sé. La scrivania offriva una prospettiva interessante, con svariate possibilità che Yale, tempo permettendo, avrebbe volentieri sperimentato tutte. C’erano ancora i vestiti a separarli, ma era così sensibile che avrebbero potuto non esserci affatto, per quanto la frizione gli stesse facendo mancare il respiro.
    (Magari non avrebbe rimpianto tutto tutto, dai. Esperienze!)
    «Non ho un anello,» Oh GESù BEATO ERA PROPRIO UN UOMO! Grugnì, non senza un certo fastidio, distanziandosi quanto bastava a premere le unghie ben curate sulle guance di Piz e stringere, obbligandolo a guardarla. «non mi serve un anello. Ho già tutto quello che voglio» e per ribadirlo, fece scivolare un dito sullo zigomo, poggiando il palmo a coppa contro la guancia solo leggermente ruvida. «Dobbiamo cercare il luogo, e dirlo alle nostre famiglie.» Troppe parole, pochi fatti. Se non l’avesse amato così tanto, si sarebbe già spazientito, ma la seccatura nello sguardo di Penn evaporò in fretta, perso com’era in quello chiaro di Morley.
    «Dobbiamo cercare il luogo, e dirlo alle nostre famiglie.» A chi importava delle famiglie?
    (Reale, onesto. Yale nord coded)
    Scosse appena il capo, labbra dischiuse. «non ha importanza dove. Importiamo solo noi» bisbigliò, premendo un soffice bacio sulle sue labbra.
    «Sposami, Penn.»
    Annuì, Yale Hilton. Annuì, e rise felice, testa reclinata all’indietro. «sposami, morley» reclamò entrambe le gote con i palmi, strizzandolo verso di sé. «ora. Adesso. Andiamo a las vegas. Il resto può aspettare» fece scivolare i polpastrelli lungo le braccia, fermandosi sulle mani che strinse nelle proprie. Le portò alle labbra, soffiando dolce il proprio fiato caldo. «ma voglio essere tua ora.»
    1:28
    2:49
    happy face, jagwar twin

    mi dispiace così tanto piz. così tanto. bacino in fronte di supporto da sara, you're nothing but an angel - in compenso im really havgin the time of my life .
  8. .
    gifs27 y.o.counciloryale hilton iv
    currently playing
    begging to bleed
    8 graves
    I won't even ask if you're bleeding,
    I'll be colorblind
    Birra... Birra! Gli bastò avvolgere, con lenta intenzione, le dita attorno alla bottiglia di vetro, per sentire il proprio rango e classe sociale abbassarsi a quello di un popolano qualsiasi. Già si vedeva come uno di loro, con l'olio dei motori a macchiare le unghie e le guance sporche di polvere, a grugnire il proprio malessere in seguito ad un'intensa giornata lavorativa con l'amaro frizzante di una bionda. Yale Hilton guardò l'etichetta della bevanda fermentata, piegando sornione un angolo delle labbra. Nella sua vita, aveva lasciato che quella parvenza di liquore toccasse la sua lingua solo a undici anni, perché voleva sentirsi adulto come suo fratello, ed alle feste delle confraternite ad Harvard. Sapeva di povertà e bassifondi, di crudo e vissuto; Yale permise a quell'associazione dispregiativa e pregiudizievole di affiorare negli occhi blu, scintille a galleggiare in un mare di tenerezza, nello sguardo che sollevò sul viso di Daveth; alzò la bottiglia per un brindisi alla sua salute, alternando una boccata dalla sigaretta ad una dalla bottiglia. Palpebre pesanti, labbra strette languide all'una o l'altra con l'ombra di divertimento a pendere dal bordo della bocca, perché sapevano entrambi non intendesse l'accendino, e che se le mani fossero state impegnate con altro, avrebbe rivolto gentilmente la stessa attenzione su altro. Scelte, immaginava. Ruotò il viso verso l'uomo a terra.
    Trattenne un sospiro premendo la lingua sugli incisivi.
    Una persona poco saggia, probabilmente Rob, ha detto che morte e sesso non si escludessero necessariamente fra loro; magari era il momento di confermare o confutare l'ipotesi. Non era eccitazione quella provata dall'Hilton nello spandersi della chiazza cremisi, da sempre più masochista che sadico, ma comunque un'emozione troppo calda - qualcosa che non voleva, che desiderava scrollarsi di dosso come pioggia e sabbia - per Yale, gli occhi a farsi lame sottili ed il cuore ad accelerare da sé di un battito. Era così che elaborava i sentimenti troppo puri: una fabbrica imperfetta nel raffinare la materia, ma comunque qualcosa.
    «che cosa vuoi fare?»
    (sara sul treno, con freme di fronte e tre bambine che parlano di Frozen sedute di fianco: Guess I'll wait for y'all in hell.)
    Immaginava non intendesse la parte in cui insinuava le dita sotto la sua maglia, i polpastrelli a tracciare la pelle del ventre, senza preoccuparsi se scendere o salire; non quella in cui avrebbe premuto le labbra nell'incavo del collo, i denti a graffiare appena la pelle tenera, i respiri a scaldare una spalla umida di saliva. Magari non l'avrebbe neanche baciato, come una puttana - faceva differenza chi dei due la fosse? - perché tanto non se ne faceva nulla di avere quello, se poteva avere il resto. Avrebbe trovato dove impegnare la bocca, e non dubitava che Daveth Gallagher potesse fare lo stesso. Sembrava un ragazzo ... creativo.
    Reclinò il capo all'indietro e rise come se invece avesse inteso esattamente quello, la brace della sigaretta alle stelle e gli occhi a cercare la guardia del corpo fuori servizio indulgendo in un misto di rimprovero e rimpianto. «un ritratto. magari una cazzo di statua» smise di ridere, perché dirgli rifarlo, e farlo nel modo giusto suonava un po' troppo disperato per le sue corde. E cosa si aspettava rispondesse? Yale Hilton IV non aveva quotidianamente a che fare con dei cadaveri. «sono un po' estroso, oltre che estronzo» cit il grande Giorgio, che non è il pappagallo della Vale né il bambino di freme, ma comunque una presenza importante nella loro vita; formativa, forse. Molte cose da dire, e pochi posti in cui farle: come nascere Azzurra, crescere Celeste e morire Blu. Poeta. Scosse impercettibilmente il capo, rotolando il fumo sulla lingua per sbuffarlo dalle narici. «non lo so» ammise poi, piano. Confessione e condanna, perché non lo sapeva: doveva lasciarlo lì e andarsene? Sotterrare il cadavere? Bruciarlo? Denunciarlo alle autorità? Immaginava che di opzioni ce ne fossero dieci e mille; non gliene interessava abbastanza nessuna.
    «sai, yale,» (patronizing) Yale, che quasi sicuramente non sapeva, socchiuse le palpebre spostando un interrogativo sguardo blu sull'altro - spalle dritte, muscoli tesi. C'era qualcosa del tono di Daveth Gallagher che iniziava già a non piacergli, ed arcuó preventivo entrambe le sopracciglia. «non ho mai avuto alcun interesse a negartela.» La verità? Non sembrava. A Yale sembrava piuttosto che a Daveth piacesse offrire la sua verità, e che fosse il più vaga possibile. Impalpabile, zucchero filato a sciogliersi sulla lingua senza lasciare nulla alle proprie spalle, e non riteneva fosse considerabile non negabile. Riteneva, invece, che Dave tendesse a scegliere la soluzione più semplice - ma poteva essere solo una sua impressione, chissà. Forse Yale, semplicemente, si aspettava che tutte le verità fossero complesse e puntellassero sulla parte esposta di ogni ferita all'aria aperta. «magari sei tu che non sei abituato a riceverla.» E sapete che c'era? Probabilmente Dave aveva ragione: Yale non sapeva cosa significasse sentirsi dire la verità, troppo avvezzo alle menzogne che condivano i sorrisi a lui rivolti. Forse le verità che era solito ricevere picchiavano sempre troppo vicino a casa, premendo fra le costole e sulla carne nuda, e quando si trattava di sincerità innocue non era in grado di riconoscerle come tali. Si limitò a sorridere, le ciglia a battere lente sugli occhi blu, perché non aveva nulla da aggiungere in merito. «per quanto riguarda l’altra…» Una situazione già più interessante, più facile per Yale, che si ritrovò a reclinare la testa sulla spalla, lo sguardo posato sul profilo di Daveth. «forse dovresti imparare come chiedere meglio le cose che vuoi.» Mordicchiò l'interno della guancia, squadrandolo dalla punta dei piedi. Yale non aveva bisogno di chiedere, nulla. Soprattutto, non aveva alcuna intenzione di farlo. Qualunque cosa volesse da quella situazione, non era insostituibile, e se doveva dipendere da una richiesta dell'Hilton, potevano rimanere in quella situazione di stallo fino a che non lo avesse ulteriormente annoiato - le occasioni, per Yale Hilton, erano considerabili perse o irrilevanti. «devo?» perché non ricordava funzionasse così il mondo, l'americano. Sorrise comunque, schioccando la lingua sul palato. «puoi volere qualcosa senza doverlo chiedere» non era sempre una questione di ottenerlo, tra le altre cose. Non il caso specifico di Yale Hilton e Daveth Gallagher, lui davvero quel falso tabù avrebbe voluto eliminarlo, ma immaginava che nel mondo altre possibilità esistessero. Esitò con la bottiglia a pochi centimetri dalle labbra, facendo sfuggire una increspatura appena divertita. «se vuoi che ti preghi, devi essere più convincente» e non negava di essere disposto a farlo, nelle giuste circostanze.

    sooner or later you're gonna tell me a happy story. i just know you are.


    pensa te, ieri alla fine l'avevo finito davvero.
  9. .
    yale
    hilton
    twentysomething
    councilor
    werepuppy
    life ruiner
    Flip the switch, flip the stove
    World gone mad, let's start the show
    Get your kicks and let's go
    If you're sad, don't let it show
    Say I'm happy today
    Se l’era cercata. La leggenda narrava che chi fosse causa del proprio mal dovesse piangere se stesso, e Yale Hilton sapeva benissimo di essere l’unico colpevole di quella situazione. Sapeva che in qualunque momento, davvero qualsiasi, avrebbe potuto fare un passo indietro, moralmente e fisicamente, e che era bene quell’epifania giungesse prima piuttosto che poi. Ma era Yale, di per sé una condanna: non sapeva imporsi limiti, e quando cosciente esistessero li scavalcava, saltando dall’altra parte con un inchino ed una mano sul cuore. Fece scivolare i pollici fra i corti capelli della nuca del Peetzah, ricambiando il suo sguardo con un’intensità eguale ma opposta, cercando cosa del Morley avesse mai attirato le attenzioni di sua cugina. Comprendeva il lato fisico – in parte, anche se non avrebbe definito l’uomo il suo tipo - ma la parte sentimentale? C’era da dire che avessero conosciuto due Morley Peetzah diversi, e quello fosse uno scorcio di quanto Penn vedesse ogni giorno. Provò un primo, minuscolo, briciolo di rimorso, nel ritrovarselo fra le dita più nudo di quanto non sarebbe stato senza vestiti addosso. Vulnerabile. Un omone grande e grosso che sentiva fragile fra i palmi delle mani; lo sfrullare d’ali del battito a scandire l’importanza di un momento che Yale non capiva, e dubitava avrebbe mai compreso. Quel peculiare tipo di abbandono. Fiducia. Sicurezza. Non poteva negare di esserne intrigato, affascinato dal concetto stesso dietro lo sguardo adorante dell’allenatore. Non era la prima volta che qualcuno lo guardava così, ma c’era qualcosa di più… viscerale, e onesto. Amare l’Hilton maggiore era maledettamente facile, ma nessuna delle persone che gli aveva affidato il proprio cuore l’aveva poggiato ai piedi di Yale. Morley Peetzah amava davvero Penn Hilton.
    Eh, vabbè. Era sopravvissuto ad un bolide alla testa, sarebbe sopravvissuto anche ad un cuore spezzato.
    Un sospiro tremulo. Gli occhi serrati, perché poteva farcela. Un bacio era un bacio, qualcosa di carnale e fisico che poteva gestire - anzi, a voler peccare di modestia, la sua specialità. - e sinceramente meglio di qualunque cosa fosse presente in quel momento negli occhi dell’americano. Gli venne da ridere nel momento meno propizio, quello in cui avrebbe dovuto percepire un’alta carica di tensione sessuale, e sperò l’altro lo scambiasse per affetto, uno scherzo loro premuto stretto fra i costati. Si alzò sulle punte, andando incontro all’inevitabilità del destino che si era scelto, posando il sorriso divertito sulla bocca del Peetzah. Dischiuse le labbra permettendogli di insinuare la lingua, le dita ad arrampicarsi sui corti capelli chiari per premerlo contro di sé, e oh sentiva che fosse entusiasta della cosa, e non potè fare meno di schiacciarsi su di lui strofinando appena, perché era un pezzo di merda e lo sapeva. Si lasciò coinvolgere dal bacio, perché era una creatura debole e amorale. Abbastanza abietto da districarsi abbastanza e soffiare aria calda sulla sua bocca, offrendogli un respiro tutto suo, conscio che il senno di poi l’avrebbe reso più tossico del resto. Sorridere ancora, cercare la sua bocca perché il danno era fatto, e non era così male sentire le mani dell’altro su di sé a stringerle la vita sottile – più delicato di quanto sarebbe piaciuto a Yale, ma non era lì per quello, quindi non insistette. - e carezzarle il viso. Strinse piano il labbro inferiore fra gli incisivi, spingendolo con la lingua prima di fare qualcosa di molto stupido e tagliare la carne.
    Si appoggiò alla porta, alzando il capo per incrociarne lo sguardo. Doveva ammettere che almeno quello sapesse farlo bene; in altri contesti, Yale ne avrebbe approfittato un po’ di più. Passò le dita sul suo volto, carezzando gentile le guance glabre come giada nei sogni di sara.
    E poi.
    «ti amo»
    Oh Cristo. Dio. Buon Signore.
    Sapeva di definitivo e di culmine. Sapeva di un segreto che non era destinato a custodire, e , Yale Hilton, si sentì completamente la terribile persona che sapeva di essere, ma raramente comprendeva a pieno. «Lo sai, vero?» Morley Peetzah aveva appena -
    [bestemmia] Cancellò in fretta la sorpresa – e l’orrore – dal proprio viso, nascondendolo nell’incavo del suo collo. Lo strinse a sé perché gli sembrava la cosa giusta da fare, una reazione consona alle circostanze. Fu perfino onesto nel mormorare «pensavo non me l’avresti mai detto» che suonava più divertente alle sue orecchie che a quelle di Piz, ma rise comunque. Allegro, brillante. Si distanziò quanto bastava per posargli un significativo bacio sulla guancia, le dita a percorrere la linea delle sopracciglia.
    Poi piroettò sul posto, riempiendo l’ufficio della propria presenza. Adocchiò una bottiglia sulla scrivania di Piz – aveva anche ancora un fiocco, doveva trattarsi di un regalo – ed anche se non era propriamente sobrio, perché Yale Hilton non era mai completamente pulito, decise di averne bisogno. La agitò delicatamente di fronte a sé, ammiccando all’altro nel premere i pollici sul collo e stapparla. «a noi?» ed a me soprattutto, ma ingollò quel pensiero insieme all’alcool, dando le spalle a More per non mostrargli quanto avesse bisogno di bere per affrontare il rimanente di quel pomeriggio. Non così tanto: quanto durava la Polisucco? Non era mai stato abbastanza attento a scuola alle nozioni riguardanti il tempo, un concetto altamente relativo nella vita di Newhaven. «dovremmo -» si volse, e fu questione di un istante.
    Uno solo.
    Un maledetto secondo, e l’intero ecosistema di Newhaven Cedric Edward George Stephen Hilton IV si invertì come una cazzo di eclissi. Un passo, esitante, verso il Peetzah. Capo reclinato all’indietro, occhi a cercare i suoi. Combattè contro il nodo alla gola, le farfalle a pizzicare lo stomaco, i brividi sulla pelle. «lo sai, vero?» ribattè, la voce a tremare appena. Ingoiò saliva, cercando le mani dell’altro per stringerle nelle proprie. «che ti amo» completamente, inevitabilmente. Non riusciva ad immaginare come potesse essere diversamente. Era più certo di amare Morley Peetzah, di chi fosse lui - lei? - stesso - stessa?. Non aveva importanza. Così lo attirò a sé, i palmi sulle sue spalle a far pressione perché potesse saltare ed avvolgergli le gambe alla vita. Creatura abitudinaria, nello spingere appena sulla parte più sensibile, e lo scendere nuovamente con le labbra a cercare le sue – e la mandibola, ed il collo. Si soffermò sull’orecchio, soffiando piano e caldo, «perchè non ci sposiamo e basta?»
    1:28
    2:49
    happy face, jagwar twin
  10. .
    ci sono molte parti divertenti, ma per qualche motivo queste sono le mie preferite.
    chi? nicky. highlight: biblietto
    CITAZIONE
    «due biglietti» giuro ci ho provato a dare un sesno mi ma mi sono confusa e persa ec ocsa
    cosa succede
    «no. scusa . uno,. sono da sola» era anora confusa. per chi era il secondo biglietto? gwn non c'era. arci non ceora
    aidan non c'era
    shiloh?
    ma shiloh la conosceva?
    no
    quindi
    losers
    bej dove sei
    meh?????????
    era con erin
    oakes chissò dov'era
    «un biblietto. scusa. scusa » on odiarmi. era fatta.
    dov'era mac''?????????????
    «giuro sto bene» si guardò intorno. shiloh?? aiuto??? salvala?????????????????

    e
    si inizia con il botto
    help mee hghejk come titolo. Una poesia. è quel "hghejk" that did it for me
    poi.
    chi? dara. highlight? il doppio fallimento
    CITAZIONE
    «ho anche copiato il codie role»
    cioè capito. pure il codiece role

    perchè sbagliare solo una volta è da pathetic bitch. e pure in maniera diversa
    chi? sempre dara. highlight? codice morse
    nessuno:
    proprio nessuno:
    sara:
    elisa:
    lele:
    dara:
    arianna:
    CITAZIONE
    474

    va bene così
  11. .
    gifs27 y.o.counciloryale hilton iv
    currently playing
    begging to bleed
    8 graves
    I won't even ask if you're bleeding,
    I'll be colorblind
    «penso che tu sia una persona.» E che risposta diplomatica, era quella. Distaccata, impersonale, impossibilitata ad essere sia giusta che sbagliata. Un dato di fatto. Sorrise suo malgrado, l’Hilton, perché era stato addestrato così: sorridere sempre, anche quando quel che avrebbe preferito fare fosse sospirare alla notte la propria frustrazione. Oh, Daveth. In un mondo in cui nessuno sembrava disposto a dargliela, chiedeva solo un po’ di sincerità, Yale. Qualcosa di genuino e spontaneo che non fosse il frutto di castelli machiavellici e letali. Qualcuno che lo guardasse in faccia, lo vedesse, e gli desse una stracazzo di risposta che non fosse politicamente corretta. «non migliore di tante altre, né peggiore. non ti etichetterò come una cattiva persona per una cosa che hai fatto,» Etichette? Non ne chiedeva per la vita, l’americano. Sollevò con lenta intenzione gli occhi sulla sua guardia del corpo, inarcando le sopracciglia brune. «se è quello che vuoi da me. la domanda non avresti dovuto rivolgerla a me.» Appallottolò il mozzicone spento nel palmo, Yale, e rise. Asciutto e ruvido, ma sempre meraviglioso. Da copertina, perché sin da bambino gli avevano detto che avrebbe potuto incontrare fotografi in qualunque momento: ogni sua istante era una posa studiata per altri. Uno Yale fatto su misura per chiunque avesse potuto e voluto guardarlo, fatto di vizi, gioventù, e fascino del bravo ragazzo da presentare alla famiglia per i pranzi domenicali. «ci sei solo tu, qui. O mi sbaglio?» Non negò che non fosse la risposta che voleva. Se il Gallagher voleva rimanere sul piano del distante, potevano farlo in due – con il mago a tastare sempre i limiti dei confini auto imposti con la punta del dito, chiedendosi cosa sarebbe successo se avesse spinto un po’ di più.
    Di vivere o morire, non gli era mai importato particolarmente.
    Infilò la mano in tasca, prendendo un’altra – l’ennesima – sigaretta dal pacchetto accartocciato. Non la voleva davvero, sentiva i polmoni già gonfi e la gola grattare fastidiosamente, ma era principio. Fare qualcosa delle proprie mani, riempirsi la bocca. Cedere alle abitudini per non realizzare l’accaduto. Aprì il palmo verso Daveth, chiedendo l’accendino senza proferire parola.
    (oddio non capisco un cazzo.)
    «lo sai che da te ho sempre voluto solo una cosa» cedette, un sospiro sottile. Parole mormorate appena, perché non pensava di doverlo specificare, o tanto meno chiedere. Sorrise. Solo un angolo delle labbra, ma sorrise, sollevando ironico un sopracciglio. «facciamo due» concesse divertito, ampliando il sorriso ed offrendo alla curva della bocca la nota maliziosa che meritava. «vuoi dirmi cos’è successo, o vuoi che ti dica come penso sia andata?» Umettò le labbra, distogliendo lo sguardo dal biondo per riportarlo sul corpo a terra. L’espressione del mago si fece un poco più corrucciata, riflessiva. Premette la lingua sul palato per impedirsi sia di ridere che di piangere, perché non sapeva quale reazione fosse più opportuna in quel momento - quale versione di sé volesse offrire. Era solo una persona, giusto? Aspirò il tabacco e strizzò i denti fra loro, rimanendo a guardare l’uomo steso al suolo. Pensò di chiedergli quale fosse la sua versione. Voleva sentirla, spinto da un bisogno perverso ed ingiustificabile di capire quanto di lui, in quegli anni, avesse capito: pensava potesse uccidere a sangue freddo? Che fosse così sfortunato da trovarsi in simili circostanze per puro caso? Che fosse rimasto dopo che l’altra persona aveva compiuto il fatto? Forse con un’altra risposta, l’avrebbe fatto. Avrebbe aspettato.
    Ma era solo una persona, ed allora la replica arrivò piatta e repentina.
    «mi ha detto che avrebbe fatto qualunque cosa per me»
    Portò la sigaretta alle labbra, aspirando fino a sentire la lingua bruciare. La gola. I polmoni. Le parole.
    «gli ho detto di uccidersi, allora» il fumo non lo soffiò, lasciando che si dissipasse da sé, strizzato com’era fra lingua e guancia. Ruotò gli occhi su Daveth Gallagher; non sorrise. «quanto meno, era stato sincero»
    Smise perfino di sorridere.

    sooner or later you're gonna tell me a happy story. i just know you are.
  12. .
    gifs27 y.o.counciloryale hilton iv
    currently playing
    begging to bleed
    8 graves
    I won't even ask if you're bleeding,
    I'll be colorblind
    Yale Hilton credeva fermamente che la cosa più interessante non fosse conoscere, ma supporre. I fatti nudi e crudi erano noiosi, e la conoscenza, pensava, privava il fatto di fascino ed attrattiva. Lui non voleva sapere: voleva presumere di farlo, decidendo per sé ed altri la narrativa in corso. Purtroppo, Dio e le circostanze non l’avevano dotato della stupidità di cui tutti lo credevano in grado, ma solo della creatività per poter fingere fosse così. La vita degli idioti era semplice, ed all’Hilton piaceva prendere le cose semplici e complicarsele da solo. La dualità della conoscenza, l’averla o farsene un’idea personale in merito, rappresentava gran parte della personalità dell’americano, ed una grossa percentuale del suo fascino. Sapeva le cose, e fantasticava di no, dando così un duplice significato, spesso ambiguo, a tutto quel che il mondo dava per scontato come realtà. Una linea di pensiero che gli permetteva un ampio margine di manovra laddove le scelte, invece, parevano sempre costrette ed obbligate. Sembrava sempre distratto perché faticava a seguire un solo filo, incespicando sempre nei nodi e gli incroci – indeciso su quale scegliere, quale fosse il più allettante. Era così da che avesse memoria, Yale. Da quando da bambino l’avevano farcito di menzogne pensando potesse crederci, e l’avevano ingozzato di verità convinti le avrebbe ingoiate e digerite. In entrambi i casi, aveva scelto di fare un po’ ed un po’, sviluppando pensiero critico e fantasioso. Non era cambiato nulla il giorno prima, e dubitava potesse farlo quello dopo.
    Certamente, non l’avrebbe fatto in quel momento.
    C’era distacco, sul volto di Yale. Le labbra erano rilassate, appena dischiuse a lasciar uscire un sottile arco di fumo, e gli occhi erano appesantiti dalle palpebre in parte abbassate. Il pollice sfiorava metodico la bocca, da destra a sinistra e da sinistra a destra. Il palmo della mano libera reggeva il gomito contro il petto. Il suolo sotto i piedi era morbido, le foglie impegnate a tentare di oltrepassare le calzature per solleticargli le caviglie. Si percepiva in maniera fisica ed imprescindibile: sentiva la gravità; sentiva la notte premere sulle spalle, il freddo a scolpire la pelle cercando di tirarla di più, rendendo maggiormente prominente la linea degli zigomi e della mascella. L’odore di terra smossa, del fumo a risalire alle narici, il più distante di dolci e pop corn.
    Quello del sangue.
    Neanche il gelo sembrava strappare l’aroma ramato dal naso dell’Hilton.
    Eppure, non era impressionato.
    Non era impressionato, nel continuare ad osservare il corpo steso a terra, bianco contro il nero. Una parte di Yale ne apprezzava il contrasto e l’immobilità; l’altra, si chiedeva cosa cazzo non andasse in lui per non essere impressionato da un fottuto cadavere. Il compromesso, era non provare niente. Una terra di mezzo fatta di concessioni e privazioni che spesso lo portava a non sentire niente, e qualche volta lo graziava con malsana dissociazione perché potesse non esisterci nemmeno, in quegli istanti. Non era quello il caso, perché Yale era perfettamente consapevole di dove fosse, di chi fosse, e di cosa fosse successo; i miracoli erano solo per i disperati.
    Si inclinò appena così che la cenere cadesse per terra e non sui vestiti. Portò la sigaretta alle labbra, occhi blu a seguire il movimento del liquido scuro dal cadavere. Era abbastanza sicuro che il terreno l’avrebbe assorbito prima che potesse raggiungere le scarpe, e tanto bastò perché scegliesse di non spostarsi. Lo sfidò a toccarlo, se avesse voluto. Lo invitò come un amante; come il serpente di Eva a sollecitarla a prenderne solo un morso, non lo saprà nessuno.
    Sentì le labbra bruciare, e per puro e testardo principio aspirò ancora scottandosi labbra e lingua.
    Non erano stati di Yale, i passi concitati e le imprecazioni. Aveva pronunciato poche parole, e con l’usuale tono basso a promettere tutto quello che nelle giuste circostanze, avrebbe perfino dato. E non si scompose, quando sentì la natura aggrovigliarsi all’arrivo di qualcun altro, semplicemente perché non gli importava. Perchè, se avesse voluto, avrebbe potuto sistemare la questione da solo, e se non avesse voluto, qualcun altro l’avrebbe fatto per lui. Non temeva testimoni, così come mai gli era interessato che i paparazzi lo cogliessero in flagrante. Anzi, tendeva ad invitare entrambi sulle sue scene del crimine, dilettandosi nell’odio con cui seconde parti si occupavano dei suoi problemi.
    A ciascuno i propri passatempi. Yale Hilton, ne aveva parecchi.
    Sciolse la presa sul braccio per avvicinare la mancina a sfiorare la punta della bacchetta. Non l’avrebbe sguainata contro un perfetto sconosciuto, e non progettava davvero di usarla, ma solo perché si comportava come tale, non significava fosse uno sprovveduto. Si fermò lì, le falangi sul legno, occhi pigramente sollevati su una delle tante persone che quella notte aveva scelto di non farsi i cazzi propri. Chi era lui per giudicare?
    Certo, non si era aspettato che quella persona fosse Daveth Gallagher. Per molti motivi, primo fra i quali la sua scarsa competenza nello svolgere il proprio lavoro di guardia del corpo, viste le circostanze attuali: lo apprezzava anche per quello. Ricambiò il sorriso, tirando languido un angolo delle labbra verso il basso. Lavorava con - e non per: sapeva Dave fosse più puttana di sua madre, che non la sua – lui da anni, e non vedeva un quarto di motivo al mondo per cui fosse obbligato a fingere. Lo faceva? Di solito sì, ma per puro divertimento.
    Non era divertito, quel Yale Hilton al limitare del bosco. Il sorriso sulla bocca, era quello di chi con i segreti ci viveva e moriva. «Ho solo una domanda.» Reclinò il capo sulla spalla, studiandolo di sottecchi. Preferì soffermarsi sui dettagli allettanti – le gambe, le spalle – piuttosto che ricordare a se stesso ed a Dave, che l’unica cosa che non dovesse fare erano proprio le domande. Gli aveva concesso tutto il resto, e lui sceglieva sempre di infrangere la regola sbagliata. «Perché, di tanti posti al mondo, sei dovuto venire qua ad uccidere una persona?» Oh, Dave. Dave, Dave, Dave. Non distolse lo sguardo dal Gallagher, neanche quando l’altro lo abbassò sul cadavere ai propri piedi.
    Voleva chiedere cosa ne pensasse. Cosa credesse fosse successo. Quale fosse il suo parere professionale, ma soprattutto, personale. Lo invitò ad avvicinarsi con un cenno del capo, scucendo le labbra solo per portarle al filtro della sigaretta. Soffiò il fumo fra i denti, prendendo marginalmente nota della birra stretta fra le dita del biondo. Inarcò un sopracciglio, ma non disse nulla. Si concesse un passo indietro per dargli margine di manovra, se avesse voluto: il coltello a terra, a distanza dal cadavere; la pelle bianca, ma le labbra non ancora cianotiche. Se l’avesse toccato, sarebbe ancora stato caldo. La pozza si allargava sotto alla testa dell’uomo. Al buio era difficile riconoscere il perché, ma se Daveth si fosse chinato, avrebbe visto un taglio sul collo.
    Solo uno. Impreciso, ma solo uno.
    Alcuni schizzi di sangue sul viso del corpo.
    Non una goccia sulle mani di Yale. Significava forse qualcosa?
    «Uno non può nemmeno godersi in pace il suo giorno libero.»
    C’era una nota d’affetto, nel tono dell’Hilton. E di rimprovero, nella stessa danza che portava ciclicamente avanti da anni. «se è così che ti godi in pace le tue giornate libere, non me ne stupisco» birre e parchi divertimenti? Oh, Dave.
    Lasciò che si facesse un’idea. Non disse niente. Ticchettò sulla sigaretta per far cadere la cenere, e tenne il tronco di tabacco fra le dita anche quando la fiamma si spense.
    Abbassò il tono di voce, distanziandosi moralmente dalla scena. Cercò di immaginare come potesse vederla uno sconosciuto, e come potesse interpretarla qualcuno che, in fondo, poteva vantare di conoscerlo meglio di molti altri. Yale gli aveva permesso di conoscerlo meglio di molti altri.
    «daveth. pensi che sia una cattiva persona?»
    sooner or later you're gonna tell me a happy story. i just know you are.
  13. .
    heirssss

    CODICE
    <tr>
    <td colspan="3" bgcolor="#D5D5D5"></td>
    </tr>
    <tr>
    <td rowspan="5" width="20%">[URL=https://lordeasriel.tumblr.com/post/655292814472757248/anthony-marston-the-sin-of-gluttony]<div style="background-image:url(https://64.media.tumblr.com/b8a90e86cce5ba282141d7e6a5b97070/c48780d58ce5af6e-27/s400x600/3256cb516a8251ed11208cd321ae3fd038c6c27d.gif);width:110px;height:80px;-webkit-filter: grayscale(1);background-size:cover;border:5px solid #fff;"></div>[/URL]</td>
    <td rowspan="5" width="20%">[URL=https://lomapacks.tumblr.com/zoeydeutchone]<div style="background-image:url(https://64.media.tumblr.com/8f1b5abf00da6c7e50523cee9adc765e/af8dea41095e321c-85/s540x810/69c5e3b9552b014d4d6da3673ab2301d19ae43c1.gif);width:110px;height:80px;-webkit-filter: grayscale(1);background-size:cover;border:5px solid #fff;"></div>[/URL]</td>
    <td width="60%" style="font-weight:bold;">heirs</td>
    </tr>

    <tr>
    <td>[URL=https://oblivion-hp-gdr.forumcommunity.net/?act=Profile&MID=11105968]yale hilton[/URL] + [URL=https://oblivion-hp-gdr.forumcommunity.net/?act=Profile&MID=9964157]shiloh abbott[/URL]</td>
    </tr>

    <tr>
    <td><span style="background-color:#fff;padding:3px;"><b><i class="far fa-star" style="color:#D12B2B;font-size:10px;"></i> partners in crime</b></span></td>
    </tr>

    <tr>
    <td style="font-size:8px;letter-spacing:0.5px;"><b>player</b>: sara sr + eli jr</td>
    </tr>

    <tr>
    <td style="font-size:8px;letter-spacing:0.5px;"><b>more?</b> [URL=https://www.pinterest.it/royalflvsh/brotp-heirs/]pinterest [/URL]</td>
    </tr>
  14. .
    yale
    hilton
    twentysomething
    councilor
    werepuppy
    life ruiner
    Flip the switch, flip the stove
    World gone mad, let's start the show
    Get your kicks and let's go
    If you're sad, don't let it show
    Say I'm happy today
    Rimpiangeva già tutto.
    Raramente le idee di Yale erano buone idee, ma quella, forse, le superava tutte. Era bravo a fingere? Sì, e mantenne il sorriso delicato e complice anche quando il volto del Peetzah si illuminò di stupore e affetto, ma a quale prezzo. Parte della sua anima lasciò il corpo in cerca di lidi migliori, lasciandolo un po’ più vuoto di quando era entrato. «Cosa ci fai qui?» Iniziava a chiederselo anche lui. Non aveva ripensamenti morali, non era una così brava persona, ma qualcosa lo provava comunque: senso. Essere guardato … in quel modo da Morley Peetzah lo metteva più a disagio di quanto aveva immaginato, per una serie di motivi che avevano solo in parte a che fare con l’allenatore di Quidditch (certo era che quel faccione a luna piena non aiutava. Ugh). «una sorpresa» si strinse appena nelle spalle, avanzando di un passo all’interno dell’ufficio. Si fermò quando l’altro si alzò e fece il giro della scrivania, shentendo che stesse per accadere qualcosa che , aveva messo in conto, ma per cui avrebbe dovuto essere molto più ubriaco di quanto non fosse per poterlo razionalmente accettare.
    Troppo vicino.
    (Penn ma quanto sei bassa. Doveva reclinare!! il capo!! all’indietro!!! per guardarlo!!! Beh che preferiva non farlo, però.)
    Le mani – grandi. Oddio. Ma era tutto così grande dal pov di sua cugina. NON VOLEVA PENSARE A QUELLO CHE STAVA PENSANDO, ma ci stava pensando, ed una scintilla di curiosità animò lo sguardo della Hilton; forse era per quello che More le piaceva tanto – sui suo fianchi.
    Newhaven aveva imparato a fingere prima ancora di sapere cosa significasse farlo, naturale come respirare o piangere dopo una caduta, e malgrado tutto nel suo corpo gli suggerisse di irrigidirsi ed andarsene, rimase rilassato ed a proprio agio, chiudendo gli occhi forte forte per non dover assistere all’inevitabile.
    Stava succedendo. Eh vabbè dai. Aveva baciato gente per molto meno che non Il Bene Superiore.
    Lasciò che Piz lo baciasse, oh così tenero, e riuscì perfino a sollevare una mano e posarla sulla spalla dell’altro senza spingerlo via. Gli sorrise, languido e soddisfatto, percependo il nascere di un impulso auto distruttivo ma letale sulla punta della lingua. Perchè… perchè. Poteva essere banale, fargli una scenata e causare un minor inconvenient nei carbs che avrebbero facilmente potuto superare, oppure avrebbe potuto seminare il dubbio nello sguardo fiducioso di Morley Peetzah, e macchiare ogni futuro gesto d’amore o parola gentile di sospetto.
    Penn non l’avrebbe presa bene.
    Però! Sarebbe sopravvissuta!
    «Non sono ancora pronto, ma ci metto pochissimo se vuoi attendere, oppure»
    Stava pensando qualcosa che mai nella vita avrebbe creduto di pensare. Lui, ch’era sempre stato libertino ed un po’ ninfomane, il cui sesso – insieme alla droga, ed altri bad habits che non siamo qui a discutere – era stato il copy mechanism che gli aveva permesso di giungere alla veneranda età di vent’anni e qualcosa perchè sara non sa contare, davvero NON VOLEVA (non voleva) sentire l’erezione del neanderthal sul suo ventre piatto. In parte trovava lusinghiero che fosse così felice di vedere sua cugina – d’altronde, chi non lo sarebbe stato – ma dall’altra, YIKES. «possiamo fare tardi per una buona ragione.» No, beh. Non aveva molti limiti, ma su quello lo imponeva. Lo intrigava possedere una vagina, l’avrebbe volentieri testata sul campo, ma a) non con il corpo di Penn; sapeva di incesto e b) non facendosi penetrare da MORLEY PEETZAH. EDDAI. AVEVA DEGLI STANDARD! Nulla di quei pensieri apparvero sul viso di Penn, le cui labbra si aprirono in un sorriso estenuato ma (ughh.) felice, una risata bassa ed un pugno, forse un poco più intenso di quanto avrebbe fatto la vera Penn, sugli infiniti bicipiti montagna dell’Arpia Maggiore. «per quanto sia tentata... no» Infilò le dita nei passanti dei jeans (pantaloni. Cos’hai. Ci basta sapere che non sei nudo.) di Piz, tenendolo comunque premuto contro di sé.
    Poteva farcela. «dopo» promise, e sincero. Sapeva che, purtroppo, sarebbe successo, ma fortunatamente per Yale, con la vera Penn Hilton. Una vittoria per tutti! Però.
    Però.
    Si prese qualche secondo di riflessione, cercando di capire come volesse agire.
    Sapeva cosa volesse fare. Ma VOLEVA davvero? Eh. Mh.
    Ok. Nascose lo sguardo all’altro con la banale scusa di lasciargli un bacio ovunque la bocca di Penn arrivasse, speriamo abbastanza in alto da non essere nulla di sconcio (.), confidando che valesse come bacio sul kwore o qualunque cosa facessero le coppie funzionali. Can’t relate.
    Inspirò.
    (Piz… baby… puzzi.)
    Espirò.
    Inspirò nuovamente, prendendo Coraggio TM.
    «...magari un pochino. Siamo in anticipo, no?» allacciò le mani dietro la nuca del Neandarthal, sorridendo come se quella facciazza enorme fosse la cosa più bella che avesse mai visto, e tutto quello che volesse nella sua vita. DAI. VIECCE PIZ. POMICIAMI TUTTO. USA LA LINGUA. I’LL LEAVE YOU SCARRED FOR LIFE & that’s my plan.
    1:28
    2:49
    happy face, jagwar twin
  15. .
    yale
    hilton
    twentysomething
    councilor
    werepuppy
    life ruiner
    Flip the switch, flip the stove
    World gone mad, let's start the show
    Get your kicks and let's go
    If you're sad, don't let it show
    Say I'm happy today
    Di solito, Yale Hilton non era pericoloso per gli altri. Fastidioso? Spesso, e volontariamente - con anche più di una punta d’orgoglio, a voler essere pignoli – ma per quanto sapesse di poter essere una minaccia, tendeva a scegliere di non esserlo. Il resto della popolazione era già abbastanza sfortunato da non essere lui, quindi perché mettere il dito nella piaga? Le discussioni ed i litigi, a meno che non ne fosse mero spettatore, non gli piacevano, ed aveva vissuto abbastanza da aver reso la propria vena polemica un tratto caratteriale che suonava come ironia, ed allo stesso tempo si posava dolce sulla curva morbida del proprio sorriso. Era l’antitesi dello scontro, il diplomatico per eccellenza.
    Ma.
    Ma.
    Aveva un grande nemico, quello da cui si erano ramificati gran parte dei problemi che lo affliggevano alla veneranda età di ventisette anni, e quel nemico era la noia. L’alcool, la droga, ed il sesso – sì, rientravano tutti e tre come passatempi; era anche abbastanza certo che fossero sul suo CV – non sempre bastavano a riempire tutti gli spazi vuoti che sentiva sotto la propria pelle. Ce n’erano troppi, abbastanza da allagare stanze intere – duravano poco, come pezze di scotch su un rubinetto che perdeva. L’avversario che non poteva battere, che l’aveva guidato verso ogni scelta sbagliata.
    Ne aveva fatte parecchie, di scelte sbagliate, Yale Hilton. Tendeva a non rimpiangerne neanche una, e sapeva non avrebbe rimpianto neanche quella.
    Era successo in fretta.
    Yale: «stasera al wizburger?» Gli piaceva mangiare come i poveri, era un gesto simbolico per sentirsi parte di qualcosa.
    L’ingrata (conosciuta anche come l’infame, la traditrice, la spacca cazziuori; probabilmente l’avete sentita nominare anche come sua cugina Penn): «stasera non posso, esco con piz»
    Tanto era bastato. La noia si era mescolata all’oltraggio, l’oltraggio all’insofferenza, ed il tutto ad una minuscola (enorme) parte di malinconia, perché Penn era cresciuta e Yale non era più la sua persona preferita, e gelosia, perché tutti sembravano andare avanti con le proprie vite e continuare a lasciarselo alle spalle come un gioco che avesse ormai annoiato. Razionalmente, capiva non fosse quello il caso. Ma lo sapeva? Dopo una vita ad aver morso ogni centimetro di spazio che gli fosse stato concesso per allargarlo un po’ di più, un’esistenza di imposizioni della propria persona così che nessuno potesse, neanche volendo, dimenticarsi di lui, era… difficile da interiorizzare, che qualcuno potesse farsi un’altra famiglia e continuare a volercelo dentro.
    D’altronde, non l’aveva mai fatto nessuno. Il sangue del suo sangue fingeva Yale non esistesse un giorno sì e l’altro pure. Aveva imparato a trovarlo divertente, anziché mortificante, ma non era la stessa cosa, con Penn. All’Hilton raramente fotteva un cazzo di qualcuno, ma lei era una sorella, e l’unica cosa buona e pura che ancora lo tenesse ancorato ad una realtà semi sana. Ho già detto una delle poche persone che ci tenesse a lui, che si fidasse di lui, e che non avesse mai chiesto i ‘perché’ ma solo i ‘cosa posso fare per aiutarti’? Perchè, oh, quelle sì che erano rare (= solo Shiloh, la quale però aveva la tendenza ad abbandonarlo in solitaria per mesi, quindi insomma, fuck you Shiloh).
    Il succo era che Morley Peetzah gli stava rovinando la vita, e Yale non lo diceva di tante persone. Odiare sembrava… complesso, e non quella la circostanza adatta in cui applicare un sentimento così importante, ma ci andava maledettamente vicino. Gli era mai piaciuto? No, il che era strange forte visto che a Yale piacevano tutti (sì, perfino quel cosino che si era portato dietro tutta l’estate, TURITO! Bello de sugar mama, poi più erano casi umani più li adorava) ma era stata un’intolleranza pacifica per molti, molti anni. Perfino divertente, a suo modo.
    Poi aveva deciso di COPULARE CON SUA CUGINA! ANDARE IN COMA? E RIAPPARIRE NELLA VITA DI PENN COME PADRE DEL BAMBINO. UGH. Il suo bellissimo nipotino...rovinato per sempre da una genetica che non poteva cambiare… scandalo a corte. Slealtà fra i ranghi. Il suo unico nipote preferito. Poteva superarlo, se solo… se solo! Sua cugina non fosse stata così FOLLE E MISCREDENTE DA INVAGHIRSI! DI NUOVO! DI PIZZAIOLO. Cioè……. Non solo era povero (chi non lo era, rispetto agli Hilton?), non solo era seducente come il grembiule pezzato di Rosario, era pure brutto. Possiamo parlarne?? Non era un dettaglio insignificante, agli occhi di Yale. Sembrava uscito direttamente dal paleolitico, e Piz doveva – doveva! - sapere di essere un neanderthal, altrimenti perché, fra tutti i ruoli del Quidditch, scegliere quello con la clava? Era lì, sotto lo sguardo di tutti, quella somiglianza incancellabile. Era canon. Erano la stessa immagine. PENN… LA SUA FAVOLOSA! INTELLIGENTISSIMA! GNOCCHISSIMA! CUGINA!
    Non poteva andare avanti. Non poteva e basta.
    Magari Penny avrebbe pianto qualche lacrimuccia e mangiato un po’ di gelato, ma quella storia doveva finire - sperava nel migliore dei modi, altrimenti avrebbe dovuto trovarsi un sicario per ucciderlo. Poteva chiedere a Dave, ma per puro principio sapeva che l’altro non l’avrebbe fatto.
    Vabbè allora a che cazzo servi nella vita pure tu – ma quello era un altro discorso.
    Quindi, in tutto ciò.
    Dovevano pensarci gli adulti, risolvendola come i grandi.
    «chi c'è?»
    Clic. Clic. Clic. Il rumore dei tacchi nel corridoio degli spogliatoi (era felice fosse una squadra totalmente al femminile, almeno l’unico olezzo era quello delle calze; amava il cazzo, meno la puzza del sudore di un qualsiasi uomo dopo l’adolescenza – chi lo trovava sensuale, mentiva) era quasi ipnotico, e Yale si distrasse guardandosi pigramente attorno. Quidditch… mah. Forse lo sport più anti sesso che esistesse, e ricordo al pubblico in sfortunata lettura, che esisteva il polo. Non ci poteva pensare che Penn Hilton aveva guardato Piz in faccia e aveva detto <d>dang, i’ll bang him non ironicamente (e pure con pun intended, ciao nipote), e lo diceva uno un po’ ninfomane. Nella propria vita aveva immaginato di farsi davvero chiunque (perfino Alister, anche se erano cugini? sì) ma mai Morley Peetzah. Passò la lingua sulle labbra laccate di rosa pallido, alzando gli occhi al cielo ed evitandosi il tuo incubo peggiore che sentiva premere sulla lingua. Visto? Che uomo maturo. Meraviglioso. Mio Dio quanto si amava. Una volta aveva fatto sesso con uno special con la metamorfosi (i won’t elaborate, perché so che lo farete per me) ed era stato bellissimo. Fece capolino davanti alla porta aperta di Piz.
    «ding dong» gli sorrise, perché era eccezionale in tutto, ma fingere era sempre stato un altro livello. Per un breve istante, prima di ricordarsi perché – ma soprattutto per chi - fosse lì, aveva valutato di entrare in full mode Yale Hilton e calarsi in un gioco di ruolo dai risvolti sessuali. Una fortuna che la faccia di Piz bastsse ad ammosciare qualunque tipo di erezione. Non che in quel momento avesse un pene, ma la sua vagino-erezione era a posto così – secca come il Sahara. «ti disturbo?» Spoiler: non sapeva quanto.
    1:28
    2:49
    happy face, jagwar twin
87 replies since 25/3/2018
.
Top