othila

Aveva due fratelli minori, Friday De Thirteenth: Remí poteva divincolarsi quanto voleva, ma non aveva alcuna possibilità di liberarsi dalla sua (foreshadowing!) morsa. Inspirò dal naso, la lingua sull'arcata superiore dei denti, sollevando seccata iridi verdi al cielo cingalese. «placati» secca. Qualunque creatura fosse - un bambino vero, un alieno, un shapeshifter, un'allucinazione collettiva - l'aveva già stancata, e non aveva tempo per i suoi capricci. Ebbe un minimo istante di cedimento quando sentì il suono del sangue gocciolare al suolo, sguardo abbassato sulle ferite inferte da Olga. Letali, a lungo andare. Se ci fossero arrivati. Non sapeva neanche in cosa sperare. Corrugò le sopracciglia, stringendolo più forte. Cercò gli occhi della (? russa ?) chiedendo silente se avesse notato anche lei qualcosa di diverso: il sangue avrebbe dovuto essere solo sangue, ma quello sembrava essere qualcosa di più.
Di meno? Non ebbe tempo di indagare oltre. Tenne un braccio di Remi con una mano, l'altra libera a reggere la bacchetta. «amos, gentilmente. marcus o non marcus, non ti porterò a casa in un sacco nero.» sperava che dovendo scegliere fra se stesso ed un, falso o meno, Marcus Howl, avrebbe scelto se stesso - in caso contrario, avrebbe scelto lei per lui. Lanciò un rapido Flos alla pistola nel momento in cui udì lo sparo. Il primo incantesimo che le era venuto in mente, quello di tramutare polvere da sparo in petali: non si sentiva particolarmente hippie o coquette, in quel momento. Non l'avrebbe detto nessuno considerando che l’incanto successivo - una pianta che, ottimisticamente, avrebbe ingoiato la pietrina prima che colpisse Joni - eppure… era così.
Stava ancora bloccando Remi, almeno era giustificata ai successivi morsi da 60pa, ringhió piano e furiosa. Ma possibile che non ci fosse un cazzo di limite alla tossicità mascolina? Poi si chiedevano perché le ragazzine crescessero con Daddy issues. «chiudi quella piffero di bocca» pure censurata, mentre con la mano libera afferrava la balestra e la sbatteva nei denti di Javi. Le mancava il tipo di impegno che l'uomo avrebbe preferito, ma si faceva quel che si poteva.

e siamo di nuovo al punto in cui scrivo due cagate perché le bestie potrebbero svegliarsi da un momento all'altro, scusate.
dicevo.
seguì con lo sguardo la parabola discendente di Mac (il falso, Mac. aveva proprio ragione sara sr: non bisognava mai dargli dei nomi) al suolo, quel tentativo quasi nullo di difendersi dallo spintone. e gli occhi, così chiari da contenere un mondo intero, una multitudine di universi nascosti. per qualche ragione, questione di sogni e ricordi seppelliti sotto una superficie ancora malleabile e sottile, joni in quelle iridi aveva sempre letto piu di quanto fosse logico aspettarsi. quanto bisognava che leggesse — condividevano qualcosa che non potevano spiegarsi, Mac e Joni, domande scarabocchiate sulla carta e lasciate a galleggiare nel mezzo.
odiava, odiava non riuscire a distinguere.
l'impostore da quello vero, ma anche ciò che le sussurrava la logica rispetto alle urla assordanti del muscolo cardiaco impazzito. così, divisa a metà tra quello che voleva, e ciò che temeva fosse reale, sapeva di non essere utile a nessuno. non a fray, che stava per essere azzannata a sangue da un fucking bambino, né tantomeno ad Aracoeli.
amos.. beh. amos sembrava stranamente a suo agio con una pistola puntata alla tempia, non lo giudichiamo.
«sai cosa. vaffanculo allora» ma che, le stava lanciando una pietra? ah, i bei vecchi tempi: quando andava ancora tutto bene e l'unica preoccupazione di Joni era portare la sua squadra a vincere la Coppa. si spostò di lato, cercando di schivare il proiettile (18+12. è proprio Mac); una corsetta, quei quattro passi che la dividevano dall'amico, e nell'entrare in scivolata gli diede una mazzata al ginocchio destro.
voleva evitare di ucciderlo — per la scienza. non aveva dubbi, Joni. non uno nemmeno mezzo. nessun dubbio alcuno. mac se sei tu ti meno finché non me lo dici, cristoiddio; ma non poteva limitarsi a spintonarlo da una parte all'altra dello spiazzo. dava evidenti segni di non essere assolutamente portato a fermarsi, il battitore.
a quel punto diresse la bacchetta contro di lui, castando un everte statim che non le sfiorò le labbra, nel tentativo di coglierlo di sorpresa. staigiùstaigiùstaigiù — cacchio, ma non poteva andare anche lei a picchiare javi come tutti gli altri?? (ciao papi miss you 🥺)

Avrebbe tanto, tanto, tanto voluto convincersi che non solo non erano chi sembravano essere, ma anche non erano nemmeno reali. Copie, semplici copie, prive di vita, accese da una scintilla che non era spirito ma qualcos’altro, qualcosa di oscuro, privo di qualsiasi calore. Anche solo pensarli non morti, ma nemmeno vivi, era una tortura orribile, saperli bloccati in un limbo forse eterno, senza alcuna speranza di poter tornare indietro, o andare finalmente oltre. Avrebbe voluto trovare conforto nel realizzare che Javi e Mira non c’erano più, che avevano trovato la pace che avevano sempre meritato, ma, ormai come le accadeva sempre più spesso, in quegli ultimi mesi, Aracoeli si rese conto di essere egoista. Non voleva arrendersi all’idea che suo padre e sua zia fossero morti. Era egoista, lo sapeva, ma sapeva anche di avere bisogno di loro. Come avrebbe potuto essere altrimenti? Aveva paura. Non voleva rimanere sola, non di nuovo.
Eppure era successo.
E ora fissava gli occhi di suo padre che, in ginocchio, le rivolgeva una supplica silenziosa, tenendosi la gola. «¿No puedes… hablar? ¿Fui yo?», gli domandò in un sussurro pieno di dolore e orrore.
Avrebbe tanto, tanto, tanto voluto convincersi che quello non era Javier Iglesias-Mendoza, quel padre che non conosceva davvero perché non ne aveva ancora avuto la possibilità, ma era lì, davanti a lei, a riflettere il suo dolore, il suo orrore. «Lui… non vuole! Lo vedete? Lui non vuole farmi del male!» Aracoeli non aveva mai avuto fretta di crescere, né aveva sostenuto a gran voce di essere grande, di non essere più una bambina. In un modo contradditorio ma del tutto sensato, era completamente consapevole della propria giovinezza e della propria ingenuità, così come le sembrava assurdo negare l’evidenza. Dunque, si sentì una bambina nel fare quella constatazione strozzata, ma come poteva essere razionale in quel momento? Adulta? Si era sempre fatta dominare dai sentimenti, eppure non aveva perso il sorriso nemmeno dopo la morte di sua madre.
Così non si accorse di nulla, di ciò che le accadeva intorno, a partire dalle proprie ferite fisiche, dal momento che quelle nella sua mente, e ancora di più nel suo cuore, occupavano tutto lo spazio. Il dolore al petto era troppo e gli occhi continuavano a rimanere lì, su quella richiesta, quella preghiera silenziosa. Sentiva la risposta lì, sulle labbra, nel sapore salato delle lacrime…
Come in un sogno, o più propriamente in un incubo, notò quello che sembrava, era?? Lapo avvicinarsi a (mommy) Olga. style="color:#651333;font-weight:bold">«Petrificus totalus», cercò di fermare l'italiano, allontanando per un istante lo sguardo dal padre.
Forse fu per questo che riuscì a sentire quell'incoraggiamento. «resisti, ok? andrà tutto bene»
Sbatté gli occhi una, due, tre volte, scoprendoli appannati. Non era la voce di Javier. «Joni?» Come in un sogno spostò lentamente lo sguardo su quel suono, incontrando le iridi azzurre dell’ex tassorosso. Lei l’aveva… curata? Arrossì e sentì le labbra cercare di tendersi nella loro naturale posizione sorridente, ma senza riuscirci del tutto. «Grazie. Io non…» Lanciò un’occhiata intorno, spaesata, per poi tornare sulla furia rossa. Provava un timore reverenziale nei confronti della Peetzah, e un affetto sconfinato, sebbene non potesse fregiarsi dell’onore di essere sua amica. Joni era tutto quello che lei aspirava a essere, ma che probabilmente non sarebbe mai diventata. Aveva imparato a conoscerla ancora meglio attraverso i racconti di Kaz, ma essere al suo cospetto, e aiutata da lei, le faceva comunque girare la testa. «Io non capisco. So, anzi, spero che non siano loro, ma…» Si sforzò di tenere lo sguardo lì, su Joni, e di non tornare su suo padre. «… È come una sensazione, qui», si sfiorò il petto, «e come diceva la signora», Friday, naturalmente, «stanotte l’ho sognato e l’ho sentito, appunto… qui».
Inevitabilmente, alla fine, i suoi occhi tornarono a incontrare quelli identici di Javier. Lo sentì, ancora.
«Sí, vamos a casa, papá.»

Guardò Aracoeli con la coda dell'occhio, irrigidendosi nel sentire le sue parole. Batté le ciglia alle lacrime sulle guance, gli occhi verdi a rimbalzare dal volto della ragazzina a quelli dell'uomo. Friday De Thirteenth avrebbe potuto dire cento cose alla Tassorosso, alcune più morbide di altre, ma strinse le labbra e l'attenzione la rivolse alla Peetzah. Inarcò un sopracciglio, offrendole la possibilità di essere la figura di riferimento della quindicenne prima di intervenire e rimettere il mondo nel suo assetto.
Perché la capiva. Davvero. La giustificava perfino, senza alcuna cattiveria nei suoi confronti. Ma allora perché era lì. Qual era il punto, se quella era la sua reazione alla prima difficoltà? Guardarlo? Sperare che i numeri lo facessero suicidare da solo? Perché visto come stava andando, sarebbe stato un suicidio assistito molto lungo. L'americana era sensibile ed empatica, ma anche incredibilmente pragmatica - e stanca, cazzo, che quello fosse il mondo. Joni avrebbe dovuto essere ad allenamento, Ara a scuola, Amos a cercarsi qualcuno che lo facesse sentire importante senza farlo sembrare un sacrificio. Tutti lì perché qualcuno doveva sempre giocare a fare Dio, dichiarando guerra ai maledetti piani alti e facendo pagare pegno a chi non c'entrava niente.
Cristo Dio com'è difficile scrivere. Ho sonno. Sono in macchina con tre (3) persone che continuano (ovviamente) a parlare e con una certa enfasi. Ho mal di testa. Ho le orecchie tappate. Voglio fare colazione. Scrivo le combo e mi spengo cerebralmente.
«uh?» Si era distratta un (1) attimo, e Remi aveva avvolto la sua tenera, adorabile boccuccia sul suo polso con l'intento di tranciarglielo di netto. Evviva! La mano libera la usò per schiacciare pollice ed indice sulle guance del nano riccio, cercando di forzarlo ad aprire la bocca e sfilare il polso. «cucciolo santo» (derogatory) «lascia» la bacchetta la fece scivolare sulla fronte, guardandolo intensamente.
Ma quella era una bestia, e se ne strabatteva i coglioni. Allora sapete che c'era? «stupeficium» perché è il primo che mi sia venuto in mente. Volerà via trascinandosi dietro anche il braccio di Fray? Scopriamolo insieme!

«stanotte l’ho sognato e l’ho sentito, appunto… qui».
non posso nemmeno fare la battuta.
perché qui sono joni e non moka, e le lacrime di Aracoeli non aiutano certo ad essere unhinged. ma un effetto, almeno sulla peetzah, lo facevano comunque: furia, cieca.
poteva accettare che amos si facesse abbindolare dal bel faccino del finto Marcus, al punto che probabilmente l'attacco successivo se lo sarebbe preso in pieno (ma ne riparliamo oggi pomeriggio), perché l'hamilton era un adulto grande grosso e vaccinato.
Aracoeli era una bambina.
messa alle strette di fronte ad un padre implorante che lei stessa si era unita a quel circo per trovare e riportare a casa.
lo sapeva, joni, perché si era offerta volontaria pur soffocata dalla paura — non esisteva alternativa. nessuno li aveva preparati a quello, tra parentesi: un conto era malmenare sconosciuti cercando di spazzarli via come birilli sul proprio cammino, un'altra rompere la faccia ad una persona amata. c'era un punto nascosto nel cuore di joni, una fessura invisibile nel pavimento; lì sotto, la ventenne aveva sotterrato l'idea che Mac potesse essere morto.
non ci pensava mai, testarda nel rifiutare l'idea, ma l'idea era li: impegnata a crescere, giorno dopo giorno, ora dopo ora. non serviva incrociare lo sguardo con Aracoeli, o chiunque altro attorno a lei, per sapere che il pensiero si era affacciato tra le costole di tutti loro «vogliono fermarci, ara. non lasciarti ingannare» portò una mano alla fronte, ritrovandosi i polpastrelli sporchi di sangue fresco.
ok McKenzie, OK.
«li costringeremo a dirci dove sono» forse. insomma, non era poi così sicura, ma qualcosa doveva pur dirle — il prossimo passo era levarla direttamente ad un albero, così da impedirle di fare sciocchezze.
e oddio ho solo cinque minuti mi sono distratta come una elisa qualunque con i giochetti psicosessuali (cit.)
si avvicinò a fray afferrando remì per i capelli (se avessi un centesimo oer ogni volta che un mio pg ha strattonato per i capelli qualcuno a distanza di sei ore avrei due centesimi. che non è molto ma è comunque strano sia successo due volte) nel tentativo di staccarlo dal polso di fray e buttarlo a terra. qui c'è la parte in cui la de13 lo scaraventa via quindi lasciala fare e facciamo finta abbia funzionato: nel guardare il ragazzino dall'alto verso il basso, joni ebbe un sussulto.
non un ripensamento, ma quasi.
sollevò le iridi chiare sul volto emaciato di Mac.
ho sognato joni. le ho parlato. ho detto agli altri di venirle incontro con me – devono essere vicini. spero di non piangere.
dio, mac, non piangere.
no.
assolutamente, irrimediabilmente, no.
«mi dispiace» un sussurro, che non stava rivolgendo a remì, sebbene la mazza si sollevò per poi calare sul suo ginocchio; doveva credere in qualcosa, joni peetzah, o sarebbe impazzita — ed era più facile pensare non fossero loro, ma fottuti robot giganti come un terminator «immobilus» bacchetta puntata e ciaone.
poteva scegliere un incanto ben peggiore, tienilo a mente remì.

provate a distogliere lo sguardo, ma il pensiero di aver ucciso un bambino (un altro, Fray?) vi perseguiterà.
ah, se solo joni fosse stata Barry.
forse quell'immagine l'avrebbe perseguitata davvero, come lo faceva il ricordo di un ragazzino già morto che non poteva salvare.
la peetzah per certi ripensamenti dell'ultimo minuto non aveva mai avuto spazio: si era messa in testa una cosa — un'idea — e gli occhi imploranti del Thornhill mentre la luce li abbandonava ebbe il blando effetto di farla, se possibile, incazzare ancora di più. perché quella sensazione sbagliata che aveva provato sin dal principio si era fatta sempre più opprimente e tangibile con lo scorrere del tempo e delle botte, e dall'ansia era passata all'urgenza.
odiava sentirsi fuori tempo massimo, joni.
«hanno qualcosa di strano. hai visto come si è rimesso dentro la spalla lussata? e i rumori che fanno le ossa. come se avessero preso la loro—» si strinse nelle spalle, rivolgendo uno sguardo a fray, il dito puntato ad indicare la scatolina metallica «coscienza? e l'avessero messa dentro un contenitore» ma dov'era Adam. Kadmon con i suoi complotti, quando serviva?
non li con loro purtroppo.
e qui si passa oltre perché come al solito c'è sempre una bestia che non dorme e scrivere con una mano sola non rientra nelle mie molti doti: non sono mica Lele.
«scusa, puoi rimandare a dopo? » gli intricate rituals con Marcus, intendeva. con la mazza indicò ad amos il loro obiettivo primario, la donna che lo special aveva accecato poco prima. un cenno di intesa (???) con l'hamilton, e la presa ferrea che avrebbe impresso sul manico dell'arma lo rivolse al polso destro della donna, cercando di allontanare gli artigli da papà Eddie «signora, neanche a fare così però» il tono asciutto della peetzah rispecchiava perfettamente quanto odiasse quella situazione e quanto poco fosse disposta a mantenere un certo aplomb. la tirò indietro, mentre amos faceva lo stesso dall'altra parte, e solo allora le puntò addosso la bacchetta castando un incarceramus per legarla al primo albero nelle vicinanze.
e, di nuovo, si stava dimostrando fin troppo gentile (remì bastonato e mazzate: 🗿🗿🗿🗿)