laguz

«incazzato così?»
Galen si prese i suoi cinque secondi. Fissò, circospetto, il cadavere mutilato ai piedi del Monrique. Poi alzò un pollice in su nella direzione di Balt, rivolgendogli un’espressione che sperava fosse neutra. Beh! Aveva sicuramente… un futuro. Non proprio ciò che aveva immaginato lui nel suo breve momento Ted Lasso, ma da qualche parte si doveva pur iniziare.
Schiarì la gola, maledendosi nel privato della sua mente confusa oltre ogni limite di aver scelto di smettere di fumare in tempi simili, e quando il suo sguardo cadde sull’occhietto malvagio del fottuto drone – sospirò. Pesante, ed esasperato.
Rivolto a tutti o nessuno: «un bombarda maxima è tecnicamente un crimine di guerra, secondo voi?»
Fuoco amico, distruzione generale, eccetera.
Non si permise di ragionarci troppo sopra – perché giunti a quel punto ci stava pensando con più serietà di quanto gli sarebbe piaciuto ammettere anche solo a se stesso. –, rivolgendo un altro expulso al dannato marchingegno. E lui che era partito convinto che nelle guerre magiche, nonostante l’influenza esterna della tecnologia, si combattesse comunque e principalmente come il santo signor Merlino visionava nell’era di Cristo. O quand’era stato, insomma; non un dettaglio importante nel grande schema delle cose. Convinto, ha!, che con la sua arma fatta appositamente per lo scontro ravvicinato avesse potuto ottenere un vantaggio automatico sul nemico; bello il wishful thinking.
Puntò un dito contro il drone, sopracciglia inarcate: «al prossimo giro lo faccio davvero.» e quindi cazzo disabilitati grazie amen.
Poco da fare, a quel punto, se non afferrare Taichi per la collottola come un cane disubbidiente; prima che Olly potesse tagliuzzarlo creativamente davanti ai suoi occhi, si spera.
«ti vedo, mascherina.» lui, e quella strana espressione (deadpan) che era bruciata sulla nuca di Gale. «quali altre strane domande stai plottando segretamente?»
Spoiler: nulla. Roberta chissà, invece; una wild card di tutto rispetto. Così come Shiloh, che nessuno sa alla fine se si limonerà o meno questo cristiano – men che meno il cristiano stesso, che nel dubbio. Lo so. Lo so vi sorprendo! Nessuno se lo aspetterebbe mai!
Sparò alla cieca verso Trace, in attesa di un destino che si spera non tardi troppo ad arrivare perché tra sedici minuti scade la combo.

È giusto sapere, giunti a questo punto della nostra avventura (giorno 350 di quest), che Galen Acharya avesse poche pretese sul genere di compagnie che manteneva.
Era cresciuto in una famiglia di ceto medio, perché le ricchezze degli Acharya erano rimaste nel loro paese d’origine all’incirca sei secoli prima della sua nascita. Una famiglia di letterati; filosofi, storiografi, teorici della cazzobubbola selvatica rintracciabile solo nei mari delle Bermuda. Come diretta conseguenza, i suoi genitori gli avevano fatto affrontare più salotti di dialogo metafisico di quanto un ragazzino prepubescente avrebbe dovuto sopportare; e questo, inutile dire, lo aveva reso l’uomo che era diventato. Bravino, con una presa sulla magia che gli veniva naturale perché era la seconda lingua che si parlava dentro casa. La prima era l’inglese, tra parentesi, perché nessuno metteva più piede in Pakistan da prima che ricevesse un nuovo, moderno nome che permettesse alla signora Elisabetta, pace all’anima sua, di lavarsi le mani di secoli di colonizzazione.
Ma semplice. Un uomo che preferiva il diretto, il tangibile, il concreto. Il coerente. E quindi, forse, un po’ poteva farsi piacere anche Shiloh Abbot; che nella sua coerenza infinita aveva scelto di confonderlo un’altra volta, tanto per cambiare.
Ebbe giusto il tempo di voltarsi, la canna ancora fumante stretta tra le dita, e di raggiungerla ovunque lo volesse; pronto a fermarla qualora stesse per iniziare un altro monologo che non era davvero intenzionato ad ascoltare, ma disposto a stare al gioco per puro beneficio del dubbio.
Al suo «non lo so facendo per te, sia chiaro», inutile dire, aggrottò la fronte. Socchiuse le labbra in una domanda che non riuscì neanche a pronunciare; perché improvvisamente la sua bocca era un po’ occupata.
E per un attimo, la mente allegramente priva di pensieri coerenti, rimase rigido come un fottuto cadavere. Lì dove Shiloh lo teneva fermo in un incantesimo tutto speciale. Poi – chissà. Ci sarebbe stato tempo, post battaglia, per ammonirsi delle scelte che seguirono; pensi per una vita intera di essere superiore all’uomo bianco etero cis, e poi ti ritrovi a stringere un braccio attorno ai fianchi di una bella ragazza e roteare il volto nel modo giusto, per offrire un accesso migliore. Non a fermarla, ma a incoraggiarla. Proprio vero, che la carne maschile fosse particolarmente debole.
Nei postumi (sì, stile sbornia; l’effetto era molto simile), si concesse quei cinque secondi per guardarla. A costo di suonare ripetitivo: «cos’è appena successo.»
Un sussurro, stavolta. Privato, a galleggiare tra lui e la Abbot. Certo di essersi perso qualche capitolo di troppo; forse avrebbe dovuto iniziare ad ascoltare i suoi soliloqui, da quel momento in poi.
Schiarì la gola, e lasciò cadere il braccio. Poi si voltò nella direzione del loro pubblico.
Eh, ma allora. «anche meno?»
@ Trace che sembrava sull’orlo del vomito e Taichi con l’espressione di chi si era svegliato nel cuore della notte solo per scoprire che i suoi genitori stessero scopando a due porte di distanza dalla sua camera.
La guardò con la coda dell’occhio un’ultima volta, più o meno letterale perché doveva difendersi da un 25, e diresse un protego nella direzione del Lìmore. Anche se forse, Beau voice: un po’ se lo sarebbe meritato di vomitare lumache. Così, per scienza.
Quindi – barcollò avanti, e schivò casuale la torcia umana perché quella volta, come ogni altra volta, non aveva tempo per le sue cazzate.
«ma ti pare.»
Rivolto a Balt, che forse nel frattempo si era avvicinato con lo scopo di aiutarlo nell’omicidio; e batté il calcio della shotgun contro la nuca dell’uomo, stordito e stanco e con un paio di riflessioni da fare se Neal ce la faceva a lasciarlo stare per cinque secondi.