laguz

«palla, ma il guardiamarina e il marinaio pomiciano?»
Law drizzò le orecchie a quella domanda, facendo saettare gli occhi da cucciolo di golden retriever da Ty, a Galen, e poi di nuovo sul lampione atmocineta. Se gli serviva un marinaio, lui poteva farlo: arrghhh.
Ma stavano succedendo un po’ troppe cose in quel momento, tipo:
Balt che veniva preso in pieno da un proiettile, «ouchie» detto dall’ex serpeverde, a denti stretti, un’espressione di dolore a macchiare i lineamenti altrimenti puliti e gioviali. «forse ho dei cerotti da qualche parte!» cit pandi ogni volta — e poi non li ha mai.
Oppure, tipo:
Shiloh che viene colpita dalla maledizione giusta per lei, e viene confusa. «oh no, come farà adesso! dobbiamo aiutarla!» un’espressione (finamente) preoccupata a spazzare via quella di dolore di poco prima; perché era un bravissimo (figlio di puttana, sempre salvando la mamma biologica) attore, il Matheson, e sapeva passare da un ruolo all’altro con una facilità convincente al punto da farci credere chiunque, checché i compagni di squadra di pandi ne dicessero: pubblico difficile, quello! Ma non lo preoccupavano.
O, ancora, tipo:
Galen beccato dalla frusta di fuoco, mentre lui era stato impegnato ad affogare. «ci metta sopra questo,» gli disse, sfilandosi il foulard che aveva legato al collo e che, come risultato della fattura idropompa, era zuppo quanto lui, «non è molto ma è qualcosa» glielo avrebbe persino legato attorno al braccio, se Acharya glielo avesse lasciato fare.
Infine: nuovi attacchi.
«uhm, signor Acharya, dovrebbe spostarsi» bisbigliato con tutta la calma del mondo, come se non ci fosse un folle con l’alabarda spiegata che volesse infilzare il guardiacaccia nello stomaco, nope. Lance gli afferrò un polso e lo tirò a sé, rivolgendogli un sorriso innocente. «ricambio il favore!»
Shiloh e Rodney i nuovi Cherry e Carlos.
A proposito di Cherry.
Lo sentiva nelle ossa (e nel DNA) che, ovunque fosse, la sua bestia del cuore stesse cercando di comunicare telepaticamente con lui. smettila di fare il cazzone che ti tengo d'occhio Un ammonimento, e qualcosa che Lance trovava incredibilmente divertente. Un «mai» soffiato al cielo, prima di tornare alla battaglia e manovrare i nunchaku a mezz’aria, ruotando su di sé, per provare a colpire chiunque gli capitasse.
Non Anima, evidentemente, troppo lontana per essere presa dall’arma, ma che stava puntando sulla gamba che Lance si era già quasi giocato l'anno prima, nella fottuta radura di Stonehenge.
E allora sai cosa?
«la gamba no, bastarda» una semicit di alta cultura, la sua, bacchetta sfoderata e puntata contro il nemico, un «exculcero» a lasciare labbra fatte per mentire e baciare. Dopodiché, con un gesto atletico (perché negli ultimi mesi aveva lavorato molto sulla sua prestanza fisica, grazie ad Hayes), provò a raggiungere Anima e colpirla con una gomitata al naso.

Oddio, stavo dimenticando: un altro bombarda sul drone per mandarlo giù, speriamo.

Ebbe appena il tempo di godere come un riccio, osservando ammirato e sghignazzante il proprio pugno ancora ben infilato nel drone. L’adrenalina era tanta, e non aveva dubbi sul fatto che in quei due giorni avesse superato di gran lunga molti livelli raggiunti nel corso di sedici anni, ma non era affatto costante come avrebbe voluto che fosse; nell’istante in cui fece cadere quell’ammasso di ferraglia inutile a terra, non poté più ignorare la fitta all’addome. Abbassò lo sguardo, e senza pensarci due volte andò a sfiorare con le dita il foro di proiettile.
Si rese conto che avrebbe dovuto pensarci due volte quando il contatto con la carne esposta lo costrinse a rilasciare un sibilo tra i denti, prontamente serrati per non far fuggire un urlo decisamente poco necessario. Non era così doloroso, tutto sommato: se non lo considerava poteva fingere che non gli avessero appena sparato e che non stesse perdendo sangue, oltre che dal dito mancante, anche – «spero abbia colpito la milza» detto un po’ a chiunque volesse ascoltarlo – dalla milza. Meglio lì che altrove, in fin dei conti: dopo un anno che faceva il tirocinio al San Mungo, ancora non aveva del tutto capito a cosa servisse quell’organo – o se, in generale, avesse uno scopo o fosse lì soltanto per riempire spazi vuoti. Poteva andare davvero molto peggio. Poteva, ad esempio, non fermarsi tra carne e muscoli ed arrivare alla spina dorsale: gli andava bene rompersi anche tutti e quattro gli arti insieme, ma non voleva di certo rimanere su una sedia a rotelle per tutta la vita.
Coprì la ferita con la mano, pensando a come – o se, dato che non gli sembrava il momento più indicato per mettersi a fare l’infermiere – fasciarla con qualcosa di più pulito del proprio palmo, e distratto alzò lo sguardo per cercare la Abbott: anche lei, se non ricordava male, aveva un bel cazzo in culo da schivare. «shil–» mh. «shiloh?» a quanto pare lei lo aveva preso per bene. «shiloh?»
E sarebbe andato a vedere come stesse la ragazza, se («la gamba!» del Matheson non fosse stata minacciata da una fucilata, ma gli sembrava troppo lontano per raggiungerlo e spostarlo: confidava lo sentisse e agisse di conseguenza) non avesse notato Galen arrivare nella sua direzione con grosse falcate e un’aria minacciosa in volto. «adesso tu mi ascolti molto bene.» deglutì, ed istintivamente aprì la bocca soltanto per dargli fiato: «mi scusi?» preventivo, perché aveva tutta l’aria di un padre pronto a sgridare suo figlio perché aveva fatto qualche cazzata – non sapeva nemmeno cosa avesse fatto di male; anzi, con un kill count di due droni si riteneva anche abbastanza soddisfatto. «devi incazzarti un po’ di più, ragazzino.» uh. Batté le ciglia più volte tra loro, senza mai staccare gli occhi dal maggiore. «io–» si lasciò scuotere come una maraca, occhi grandi e labbra appena dischiuse: non era incazzato?
No, in effetti non si sentiva incazzato. Si sentiva stanco, si sentiva triste, e si sentiva che tutto quello fosse un po’ troppo per lui; ed aveva paura, sempre e comunque. La rabbia, dentro, ce l’aveva – poteva giurarlo al guardiacaccia, se fosse stato necessario, ma non aveva mai saputo tirarla fuori in una maniera che fosse… idonea al contesto. Funzionale.
«ok?» annuì inutilmente veloce, come se non potesse perdere tempo a fargli capire che avesse compreso – ma glielo doveva dire, che non sapeva come farlo? «non ci si scusa per gli errori degli altri.» «ma–» ed ancora non finì di parlare, stavolta un po’ più confuso. «non avrei dovuto sparare quando eri lì davanti, è stata una svista mia, e mi dispiace.» mh. Come glielo diceva che si era scusato per non averlo spostato di un nanometro, e non per quello. «non mi hai preso!» sorrise, quasi isterico – perché lo era. «sto bene!» non gli disse che non ci fosse bisogno di scusarsi, perché non gli sembrava il caso di entrare in un loop di “mi dispiace” che lo avrebbe confuso più di quanto non fosse confusa la Abbott in quel preciso istante.
«ti tengo sott’occhio.»
E se ne andò.
«è una minaccia?» era una minaccia? «SIGNOR ACHARYA ERA UNA MINACCIA??» aveva bisogno di saperlo. E guardandosi attorno per cercare la risposta a quella domanda negli occhi dei suoi compagni vide Laura caricare il braccio per tirare l’ennesimo coltellino addosso a Fake. Gli si lanciò addosso per bloccarle la mano, e cercare di fare forza per spingerla ad accoltellarsi da sola al collo.
Non sapeva se si sentiva davvero incazzato in quel momento – sicuro era ancora preoccupato: «secondo te era una minaccia?»

Ok.
Aveva appena ficcato un coltello nel collo di una donna.
Ok.
Usciva un sacco di sangue.
Ok.
Aveva il sangue della donna addosso.
OK?
«incazzato così?» sollevò gli occhi dalla ferita, sulla quale era rimasto più tempo del necessario, per cercare il suo nuovo padre – e che a Galen non stesse bene, faceva niente. Mi dispiace.
Sorrise, con l’isteria che si faceva sempre più galoppante perché non era assolutamente così che si era immaginato quella missione – di nuovo: non aveva pensato a fiori ed arcobaleni, certo, ma nemmeno alla perdita di un dito o a tutto quel sangue altrui addosso.
Inspirò profondamente. Espirò, e premette un po’ più forte la lama di Trace nel suo collo quando la vide intenta ad alzare la pistola per colpirlo: c’era una voce, nella sua testa – e sì, forse stava anche iniziando a delirare – che gli suggeriva piano: “il trucco è dissociarsi”. E sapete cosa? Balt lo fece. Doveva, non aveva altre alternative.
Dissociarsi, ed incazzarsi.
Perché non voleva morire, ma voleva piangere; non voleva aspettare che qualcun altro salvasse Wren al posto suo, ma non voleva porre fine a un’altra vita; non voleva che gli altri del suo gruppo soffrissero perché lui era un debole, ma non sapeva nemmeno cosa fare per dimostrare loro che potesse essere più che un semplice ragazzino viziato.
E quindi.
E quindi.
«ATTENTO!» ma quella volta non attese di vedere come se la sarebbe cavata il Matheson da solo, se sarebbe di nuovo andato a piangere tra le braccia dell’Acharya o altro. Puntò la bacchetta contro qualcuno che a quanto pare pensava che Lawrence avesse un cuore al quale sparare, e le lanciò un immobilus per tenerla ferma mentre si allontanava dalla fontana cremisi, così da raggiungerla e piantarle un pugno armato in faccia. A quel punto, un cranio fracassato in più o uno in meno faceva poca differenza.
Lele out.

Nessun cranio fracassato, e se da una parte ringraziò il cielo per avergli risparmiato di spaccare un'altra faccia, dall'altra si sentiva particolarmente offeso – per stanchezza, disperazione, sincero e crescente desiderio di darsi da fare e sfogare la frustrazione, più che la rabbia, sui propri nemici: non sapeva, Baltasar Monrique, dire quale di queste opzioni predominasse sull'altra in quel dato momento storico.
Non gli interessava nemmeno così tanto; stava nella sua bolla, e pensava soltanto a quanto gli sembrasse di essere tornato sull'isola di Hashima a sterminare pipistrelli OGM. Chissà se Thor stava prendendo a morsi qualcosa di potenzialmente tossico e letale.
«ma è parente tua?» piegò il capo verso Ty, indice puntato sulla donna. Anima de Limore Taichi sua. Aveva senso – anche troppo.
Ma ciò che rispose il cinese non c'entrava assolutamente nulla con la sua domanda, ed al suo «cosa sta succedendo.» decise di seguire lo sguardo del pappone (era... era un pappone, vero? perché dalle domande che aveva fatto a Gale sembrava davvero tanto così) e sentì una musica.
Careless Whisper, di George Michael.
«qualcosa» che cosa, non era certo di volerlo elaborare al momento attuale.
Non quando Law veniva bucato – e si chiese se sarebbe uscita aria invece che sangue per sgonfiare il suo ego ma non lo disse ad alta voce perché era una persona matura e rispettosa – da un raggio laser. «mi sa che servono pure a te i cerotti...» contributi importanti, lo sapeva, ma nel cenno del capo verso il maggiore lasciò comunque trasparire una muta domanda, un «tutto ok?» privo di voce.
E poi.
E poi.
«e poi sarà come morire...» sospirò, lanciandosi su una Shiloh ancora sdraiata a terra. La prese per i piedi, e la trascinò via prima che un raggio laser potesse prenderla; quando fu certo di averla portata in una posizione più sicura, congiunse le mani tra loro e guardò le nuvole oltre le fronde, rivolgendo una breve preghiera a chiunque volesse ascoltarlo. Quindi, piegandosi sulle ginocchia, le avrebbe dato uno schiaffo in faccia.
Ed ora ho completato l'achievement: tutti i miei pg hanno picchiato un loro compagno in quest.
«ma ti riprendi?» scusa scusa scusa scusa. «questa la prendo io, prima che la scambi per un calippo.» le prese la pistola, e sparò al drone che continuava a volerla disintegrare.