eihwaz

Dunque.
La difesa monet non era andata granché ben(e) (ah ah), eppure — abbassò lo sguardo, la Benshaw, cercando il foro di un proiettile o qualcosa di simile, stendendo la stoffa e pizzicando la pelle. Non c’era nulla. «ben… benny. vedi nulla?» solo della compagna poteva fidarsi, e fu proprio da lei che corse, prendendola per un braccio e demandando che le desse attenzioni, come la ragazzina viziata che era e che sapeva di essere. Era certa di aver sentito qualcosa colpirla, e poteva essere un sassolino o un qualche detrito partito nella mischia ma, «ho qualcosa nei vestiti» le bisbigliò, quasi all’orecchio, tirandola a sé fino a che i loro visi non erano a pochissimi centimetri l’uno dall’altro. Stava forse diventando pazza? «e se fosse… qualche insetto?» di solito non era una tipa che si lasciava spaventare o che si schifava di insettini innocui (anche perché aveva lo sfortunato piacere di guardare in faccia Ictus tutti i giorni, quindi aveva decisamente alzato la sua resistenza alle cose brutte) ma… era come se qualcosa le camminasse sulla pelle.
No, peggio.
Sotto la pelle.
Era a tanto così dallo spogliarsi davanti a tutti, ma non lo avrebbe fatto perché ugh, uomini, che schifo. E anche perché stavano succedendo cose, tipo il loro professore che rischiava di morire per uno sparo in pieno petto. «prof, si sposti!» aveva pensato per un breve istante di non dirgli nulla, di farsi gli affari suoi e lasciare che fosse il fato a decidere le sorti di quell’evento — ma su nove ben, sicuro ce n’era uno che apprezzava cura delle creature magiche come materia (balt, probabilmente.) e – ugh – lo doveva fare per loro.
Poi, come una Evie qualsiasi in un mondo di Mal, con un sospiro e una giravolta, strinse la presa intorno al catalizzatore magico e castò un «farfallus explodit» in faccia a Dilovar, per distrarlo dall’attacco sul vecchio con i capelli sporchi; dopodiché mirò in direzione di Simona e provò a schiantarla lontano, sotto il fascio di luce di un expulso.
Il tutto, con la stranissima (e francamente disturbante) sensazione di avere qualcosa che le risaliva lungo il fianco. «ben.» sibilato a denti stretti, mentre ritrovava il suo giusto posto nel mondo, accanto alla Meisner, come un elastico in tensione che, una volta rilasciato, tornava sempre alla sua forma originale. Uno yoyo, se vogliamo.

«Oh oh, qualcuno qui è un po’ nervosetto…» le persone che potevano rientrare in quella categoria potevano essere molte in quel frangente, a partire dalla gentile Mona e le sue non così cortesi spintarelle e a finire dalla scortese Simona e la sua voglia di ridurlo in un formaggio con i buchi, «vi presterò la mia bottiglia sensoriali con cui potete sentire i rumori del mare, ho capito.» disse massaggiandosi la braccio per cui era stato strattonato. Ma lo capiva, il Malatesta: ognuno aveva il proprio modo di dimostrare affetto, e a quanto pare quello di Mona era la violenza fisica. Si sarebbe abituato in fretta.
«Eula che volo…» sussurrò più a se stesso che alla Meisner nel vederla ribalzare da un lato all’altro del campo di battaglia dopo il petto contro petto che si erano si erano scambiati, portando una mano sulla fronte per poter riparare gli occhi dalla luce del sole «gg ez!». E già che c’era diede un amichevole pugnetto sulla spalla di Ictus nel sentirlo ringraziarlo, facendogli poi cenno di dare un’occhiata alla tecnica del furetto volante (Ben) che avevano appena inventato – pavoneggiandosi un po’; e se lo meritavano decisamente.
E sebbene fosse sempre stato un tipo solitario, più per costrizione che per scelta vera e propria, era felice di avere qualcuno al proprio fianco ad affrontare quel caso – certo, quel qualcuno era un insieme eterogeneo e totalmente caotico di persone che difficilmente sarebbero finite nella stessa stanza in un’occasione diversa (ma Mimmo, c’è un tuo insegnante e almeno tre dei tuoi compagni di classe! appunto . insieme eterogeneo e caotico, non avrebbe elaborato ulteriormente); tradotto, Mimmo era contento di avere altre braccia, occhi ed orecchie a disposizione, dato che il cervelletto del pugliese non avrebbe saputo gestire tutti quegli stimoli contemporaneamente e sarebbe finito a) per piangere, b) a cercare un posto dove piangere, c) a piangere mentre cercava un posto dove piangere.
«Amo oddio noi!» disse mettendosi nuovamente al fianco di Ictus, notando le due fanciulle portare le mani alle loro pistole (titolo del mio sextape) per dar vita ad una pioggia di proiettili indirizzata proprio ai due studenti; forse anche troppi per il suo povero scudo. Proprio per quel motivo estrasse dalla tasca posteriore dei pantaloni la propria bacchetta, ricordandosi della sua esistenza soltanto nel vedere altri suoi compagni utilizzarla e provando a pronunciare un «Obice Medusa!» con annesso movimento di polso per poterli difendere. Se tutto fosse andato a buon fine, ed il Malatesta non avesse perso le dita nel frattempo, si sarebbe voltato in direzione di Simona per un calcio alle costole.

Stava per sentirsi male. Un nodo allo stomaco stretto, pronto a risalire per la gola e farle saggiare l'amaro sapore della bile. Sentiva il proprio cuore seguire un ritmo (sfizioso) rapido, poco scandito. Così veloce da risultare un flusso costante. Teneva i polpastrelli premuti sulla pelle di Mona Benshaw, riflettendo il pallore che andava via spargendosi sulla pelle dorata della concasata.
«ben… benny. vedi nulla?»
Alzò gli occhi scuri oltre le spalle della bionda, ignorando la sua richiesta di contatto visivo per ricercare quello di Raphael. Aveva appena compiuto diciassette anni, Bennett, ed alla fine della giornata, del mondo non sapeva davvero un cazzo. Poteva fingere, e poteva perfino crederci. Poteva liquidare i consigli di Nelia e partecipare comunque ad una missione ministeriale con i suoi migliori amici, ma quando la situazione si faceva... drastica, aveva ancora bisogno delle parole di un adulto a rassicurarla che tutto sarebbe andato bene. Occhi neri come l'inchiostro, quelli che la Meisner puntò sul docente di Cura. Inquisitori, protettivi. Non una vera e propria domanda, quanto più un obbligo morale a sapere cosa cazzo fosse quella cosa che si muoveva sotto la pelle di Mona Benshaw, perchè se era lì per non sapere un cazzo quanto loro, poteva anche andarsene a fanculo e dichiarare fallito il suo ruolo di formatore. Deglutì, umettando le labbra.
Non le avrebbe mentito dicendole che probabilmente non fosse niente.
«non mi piace» mormorò, piano, cedendo al bisogno di incontrare comunque la sfumatura oceano degli occhi della Corvonero. Senza filtri, perchè non ne aveva bisogno, con quel pressante grado di preoccupazione a rendere lo sguardo di Ben serio. Bollente come magma. «non -» era un incantesimo che conoscesse, non le sembrava trasfigurazione, e sicuro come l'oro non era un proiettile normale. «magari è una specie di .... geolocalizzatore» Interrogatoria, spostò la propria attenzione sulle armi degli avversari, senza mai togliere le mani dalla pelle di Mona. Spinse le labbra all'infuori, grugnendo piano di tutto il resto a demandare la loro attenzione.
Ma potevano non rompergli il SACROSANTO CAZZO? Lasciarle stare la PATATA CONSACRATA? Avevano.... fuckin sparato a MONA BENSHAW sotto la sua SUPERVISIONE. L'avrebbero pagata, tutti, e qualunque cosa fosse quel... coso, gliel'avrebbe fatto mangiare, espletare, e poi mangiare di nuovo.
Bastardi infami porca virgola eccetera eccetera.
Si separarono, per poco. Ognuna a cercare a suo modo - molto simile, in effetti - di sopravvivere e far sopravvivere i compagni. Si ritrovavano sempre, in ogni caso.
Ben alzò la scimitarra, frapponendola fra sè e Garnet, perchè lo odiava, cazzo, non aveva tempo per preoccuparsi di lui, e con un ringhio furente, fendette poi l'aria cercando di mozzargli il braccio già messo k.o. dagli attacchi precedenti. Oh, ma prima o poi avrebbe desistito dal romperle i testicoli che non aveva, no? Già che c'era, Ben per il (poco) sociale, saltò verso il tizio che continuava a sparare al prof piazzandogli un calcio alla bocca dello stomaco.
Si. Aveva saltato molto in alto. Faceva parkour con Balt, fatele causa.
«prof, c'è un cazzo - scusi - di coso di merda - scusi - che si stracazzo - scusi- muove dentro mona» punto. E se non hai una buona risposta per la Meisner, sarà la fine anche per te, Vaughan.

Che fosse Mimmo, o la persona dietro dietro al suo cervello a star perdendo la lucidità, questo non era dato saperlo.
Immaginate un entro terra lontano da ogni forma di vita se non per una banda di fuorilegge alle calcagna, il caldo gli stava togliendo il respiro, la stanchezza al livello delle braccia non era più una semplice sensazione ma una gran voglia di staccarsele a morsi e la presenza dell’umidità ad appiccicarsi sull’epidermide non faceva altro che rendere quella situazione ancor più insopportabile di quanto non fosse: benvenuti al campus luigi einaudi. Ah no, era lo Sri Lanka. Stessa cosa, banditi inclusi.
«Tarantallegra!» e non sapeva se fosse il caldo, la stanchezza o un insieme di entrambe le cose, ad aver generato quell’allucinazione collettiva ma una cosa era certa: quella che gli era stata proposta (imposta) era una gara di danza e Mimmo Malatesta non si sarebbe tirato indietro. Non se c’era la sua cultura di mezzo. Gettò lo scudo a terra ancor prima che il fascio di luce dell’incantesimo potesse colpirlo, aprendo le braccia a mo’ di crocifissione per lasciarsi andare al fervore della danza.
I prismi spasmi all’altezza dei piedi per poi risalire e diffondersi all’interno corpo, schiarendosi la voce che risuonò inizialmente come un eco lontano «se nu te scierri mai de le radici ca tieni…» per poi farsi sicura e quasi stordente nel momento in cui il Malatesta provò ad incanalare la sua pugliesità in quei movimenti « rispetti puru quiddre de li paisi luntani… ».
Mimmo, ma non sei foggiano? Certe cose vanno ben oltre i confini geografici: hastag costruzione sociale.
«Messere, si unisca alla danza!» perché Mimmo era una persona educata e riteneva fondamentale il coinvolgimento sociale dei giovani anziani a certe attività. Provò a prendergli le mani per portarlo al centro del campo, provando così a guidarlo in quella danza all’apparenza semplice, ma che richiedeva un certo fervore e preparazione psico-motoria: non tutti potevano essere posseduti dal morso della Taranta, e quella era un’ottima prova per testare se quei ragazzi potessero essere effettivamente dei buoni compagni di squadra. « Canta con me adesso! » era proprio vero, la danza, e l’arte in generale, univa generazioni lontane e riportava la pace nei conflitti… ❤️‍🩹
«Anche tu adesso!» e si avvicinò ad Heidi, e provò a spintonarla tra la macchina da guerra danzante (il proprio corpo) ed il suo compagno di balletto, «se nu te scierri mai de du ede ca ssa ieni» ed era chiaramente un attacco personale quello, dato che mettersi in mezzo a due persone che ballano la taranta significava essere, metaforicamente parlando, come tra tue beyblade.

Amava Bennett Desmon Silke Meisner.
L'amava con tutta se stessa, e con tutto l'amore con cui non amava nessun altro al mondo — ma porca puttana ladra.
«magari è una specie di .... geolocalizzatore»
Non riusciva nemmeno a guardarla negli occhi, credeva fosse così grave? Mona le passò due dita sotto al mento, premendo affinché smettesse di cercare chiunque stesse cercando e guardasse lei. «non sono un cazzo di cane.» ce ne era già uno di Mona-cane, e tanto bastava.
Strinse l'altra mano contro la stoffa della divisa di Ben, aggrappandosi a lei quando sentì, con suo immenso disgusto, la cosa muoversi ancora di più, e non aveva bisogno di guardarsi allo specchio per sapere di aver perso il colorito roseo che tanto adorava e curava; lo poteva leggere negli occhi neri di Bennett, quanto la situazione sembrasse terribile.
Strinse le labbra, e strinse un po' di più la presa su Ben, sia quella al mento che quella sugli abiti, recuperando le forze facendo sue quelle della compagna, se fosse stato necessario, perché sapeva che Ben le avrebbe ceduto anche un battito del proprio cuore se fosse servito a tenerla in vita.
Dopo un istante, annuì con decisione.
«posso continuare» la informò, e la lasciò andare per tornare ad essere utile — alla cosa che si muoveva sotto pelle, qualsiasi cosa fosse, avrebbe pensato in un altro momento. Per ora, la sua priorità numero uno era puntare lo stronzo che le aveva sparato, e ottenere la sua vendetta: con la bacchetta a mezz'aria, fece un preciso movimento col polso e tentò di maledire Constans, con un eldheit kvikmynd, concentrandosi il più possibile sul calore del fuoco in cui voleva veder bruciare l'infame.
Poi, ignorando la sensazione sottopelle il più possibile, si voltò verso Mimmo che — si era messo a ballare? Uh. Piegò appena il capo, la Benshaw, osservando la scena come la professionista del settore quale era. Suo malgrado, doveva ammettere che Mimmo Malatesta sembrava sapere bene ciò che stava facendo. «guarda,» si intromise, incapace di non dare un suo giudizio, come al solito, «posso darti un cinque, compresa la performance canora» che, da parte sua, era un votone.
Infine, perché non poteva fisicamente stare lontana da Ben più di cinque secondi, specialmente non in quel momento, tornò al fianco della concasata e diede una gomitata sul naso di Garnet, sperando di spaccare qualche osso. Aveva un sacco di rabbia e frustrazione da lasciar andare, Mona.

«la salute mentale!» che non c'era in quel momento, se poteva esserne alcuna indicazione l'occhiata scambiata senza motivo con Mimmo. Succedevano delle cose, nel mondo, per cui la dimensione oblivion ancora non era pronta: pugnetti, sacrifici, violenza domestica, piroette - bestemmie, con e senza virgola. Momenti di unione profonda incomprensibile ai più, soprattutto se spiegati in un secondo momento. Cose tipo che, dopo aver mozzato il braccio di una persona ed essere intrisa di sangue come un calzino, con la sua migliore amica infetta da qualcosa di alieno, una si girava e con naturalezza domandava «e tu che winx sei» perchè su quei dettagli, apparentemente infimi, si fondava il principio dell'amicizia. Quegli scambi erano i momenti in cui si creavano legami indissolubili, come il giorno in cui Mimmo annunciò a Ben che l'avrebbe salvata lui, e dopo averla scudata, è stato preso dal gancio di blitzcrank, concludendo il suo salvataggio con il proprio sacrificio. Un eroe. ed in che senso nulla di quanto appena scritto era mai successo? L'AVEVA FATTO. ERA STATO REALE!
Dove contava di più.... come avrebbe detto matregna, nel culo :emoji cuore ferito:
«tecna, lesbian queen» annunciò, prenotando il ruolo ad alzata di mano.
E poi. «prof raph, ma lei che winx è»
L'imprevedibile.
(la salute mentale!)
la connessione.
(la salute mentale!)
«le cose belle devono stare tra le cose belle»
Porse la mano a entrambi, così che potesse roteare velocissimo come una farfalla. she was a fairy. Un obiettivo impossibile da raggiungere, per loro. Per lei? Prese a calci tutto quello sul suo cammino - forse anche voi, se non vi siete spostati - al grido di «NOI! RAGAZZE DEL WINX CLUB» ringhiato in un basso baritonale proveniente direttamente dagli inferi.
E poi saltò, capriola. Piroetta ed inchino.
«energiaaaah!» e, scimitarra nuovamente alla mano, lo infilzò al ventre.
Punto.

«Oddio raga... godo? Stiamo godendo? Siamo felici o no?» si portò una mano davanti alla bocca, Mimmo Malatesta, le iridi che cominciarono a bruciargli e le lacrime a mescolarsi con il sudore nel bagnargli le guance. Mimmo forse non lo era così tanto, godente. Era fortemente stratificata quella sensazione e andava decisamente elaborata a livello collettivo: nessuno aveva apprezzato così tanto la danza di Mimmo come quella ragazza di cui non sapeva neanche il nome, tanto da perdere (quasi letteralmente) la testa per lui... e gli aveva anche confessato il suo amore... nessuno gli aveva mai detto ti amo... «simu salentini de lu munnu cittadini, radicati a li messapi cu li greci e i bizantini...» cantò il Malatesta, perdendo il fervore del momento per lasciarsi trasportare da una certa malinconia, avvicinandosi al corpo della ragazza dopo aver raccolto un fiorellino dal terreno e poggiandolo tra le sue mani, «mi dispiace averti incrinato le costole... insegna agli angeli la tarantella, adesso... ».
Ma non c'era tempo di piangere sulla tarantella versata, dunque il Malatesta si issò nuovamente in piedi per potersi asciugare le lacrime ed il sudore con il dorso della mano libera, ricollegandosi alla realtà terrena quando un «le cose belle devono stare tra le cose belle» riecheggiò in giungla (jngl diff), «AAA !!! HO SEMPRE SOGNATO DI !!! GIOCARE ALLE WINX !!! » un redemption arc davvero importante per Mimmo, costretto da piccolo a fare sempre ed esclusivamente uno degli specialisti. Eppure le cose cambiavano davvero in fretta: un momento prima ti complimentano per lo scudo e quello dopo siete uniti da un profondo legame magico per la vita.
Avrebbe provato a prendere la mano di Ben senza esitare neanche un momento, gonfiando il petto con dell'aria per poter urlare a squarciagola: «AMICHE, UN CUORE CHE BATTE SIAMO NOI » e puntò alla carica di un Constans che sembrava parecchio confuso dalla situazione - e come non esserlo.