thurisaz

Dopo che la bastonata andò esattamente come doveva andare – perché Baltasar non era affatto stupito del successo del proprio attacco, andava proprio tutto come programmato –, il diciassettenne fischiettò soddisfatto, labbra strette in una piccola O e sopracciglia sollevate sulla fronte.
Non gli piaceva picchiare la gente: sapeva farlo, perché le lezioni di corpo a corpo non poteva saltarle, ma questo significava poco e niente. Quella contentezza dipinta sul viso, provato dalle onde e dai movimenti delle barche sul lago, non aveva niente a che vedere con il fatto che avesse o meno messo a segno più colpi su chi, al contrario suo, non vedeva l’ora di farlo fuori; poteva piuttosto affibbiarla all’esaurimento nervoso cui era giunto negli ultimi tempi, magari, ma maggiormente a quel calore nel petto per star riuscendo a fare ciò che si era prefissato, e per cui si era tanto allenato.
Aveva una main quest, che era per forza di cose quella di riportare a casa suo fratello ed i suoi amici segregati chissà dove, ma aveva anche diverse side quests: tra queste rientrava l’affrontare le proprie paure – ironico che l’universo l’avesse messo su una barca, a tal proposito –, il migliorarsi sotto ogni punto di vista, ed il fare in modo che i suoi amici e la sua famiglia fossero fieri di lui, facendo quanto in suo potere per fare in modo che non ci rimettessero troppo la pelle.
«SOFFIA SOFFIA SOFFIA!» (cit.) quel gran figlio di una poco gentil signora aveva dato fuoco ai capelli di Mini, e probabilmente non aveva idea di ciò che ne sarebbe conseguito; un po’ era anche colpa sua, però, e per questo iniziò a battere con la mano tesa sulla testa della bionda per spegnere quei fili dorati che ancora bruciavano. Voltò poi il capo sull’altra barca, quella di Liz e compagnia cantante, focalizzandosi sul taglio al volto del Belby. «appena torna la magia» come se fosse il 4G dello Sri Lanka, e non prendesse su quel lago: alla fine era proprio quello che stava succedendo, no? «te lo disinfetto!» aveva imparato qualche trucchetto al San Mungo, e non vedeva l’ora di metterlo in atto; l’unica preghiera che fece al cielo, era che quelle offerte non si accumulassero troppo.
Dunque, tornò a guardarsi intorno, trovandosi ad osservare una scena alquanto particolare. Istintivamente, a quel Mood Bigh con la voglia di suicidarsi, avrebbe detto mood, non il tuo nome, o anche magari non adesso, eh. Non scelse nessuna delle due opzioni, però, pensando intensamente, fronte corrucciata e occhi cioccolato a seguire i movimenti dell’amico. «ma…» sollevò il capo, e come i Linguini insegnavano strinse tra loro i polpastrelli delle dita, flettendo ed estendendo il polso con aria confusa. «che cazzo fai.» non al serpeverde, sia chiaro: stava guardando Dazbog, che poco prima aveva usato la forza del pensiero per lanciare al ragazzo un ramo e subito dopo pensava fosse corretto istillare nella sua mente l’idea di togliersi la vita. «ti reporto per cheating. o scegli un potere, o scegli un altro: non funziona così il gioco.» odiava la gente che usava i trucchi per vincere – un po’ come quello Zed che poteva usare la [R] ogni tre secondi.
Risolto quel piccolo intoppo, sperando per il meglio – «balt,» «mood…» voleva di nuovo ucciderlo come nella DA? Oddio, per carità, si godeva – però magari aspettasse metà settimana di quest, ecco. «se salti tu, non salto io.» oh. Oh. «ok, lo accetto.» sporse il labbro inferiore, un po’ triste, guardando sia lui che Mini. «mi mancherete.» e poi niente: si lasciò scegliere.
Con tutta l’atleticità di cui era capace, corse (due passi, la barca era piccola) e prese spinse il piede sulle mani di Mood, lanciandosi sulla barca nemica con tutta l’intenzione di saltare sul suo nemico preferito – sì, sempre lui – con il pugno pronto a ficcarglisi sul muso. «ehi, merdina!» raggiunse un altro degli avversari, quello con la bacchetta puntata su Liz. «quella è mia sorella, non ti azzardare!» ed anche a lui, riservò un bel pugno in faccia.

Adrenalina, forse; negazione, più probabilmente.
Per un motivo o per l’altro, Balt aveva deciso di diventare sordo ad ogni suono che non fossero le indicazioni dei suoi compagni, gli incantesimi lanciati dagli avversari, lo scroscio dell’acqua contro le barche. Aveva ignorato, volente o nolente, l’impatto delle nocche coperte dal tirapugni contro il proprio nemico giurato, il sangue non suo a macchiargli la mano, l’uomo a terra ed immobile. Per un buon motivo, d’altronde: qualcuno aveva deciso di maledire sua sorella, e non aveva il tempo di stare a pensare a cosa fosse successo solo due istanti prima.
Quando si accorse di aver fallito nel tentativo di difendere Liz, e che quest’ultima avesse iniziato ad affogare senza nemmeno cadere una seconda volta dalla barca, fu costretto ad uscire da quel vuoto cosmico che aveva creato e nel quale si era rifugiato per annichilire ogni tipo di pensiero – positivo, negativo, era indifferente dal momento che non ne voleva di nessun tipo.
«mi…» gli dispiaceva, ovvio che gli dispiaceva – avesse colpito un po’ più forte, o un po’ più in tempo, avrebbe evitato di vedere la bionda in versione fontana di luce –, ma non riuscì ad emettere un singolo suono. Si ritrovò a volgere il capo, a vedere con la coda dell’occhio Mood che rischiava di cadere in acqua, prima di lasciar cadere lo sguardo laddove lo sapeva, lo sapeva che non avrebbe dovuto guardare.
L’istinto gli avrebbe detto di muoversi allo stesso identico modo di come, già qualche volta prima di allora, al San Mungo, gli era capitato di fare: chiamare la persona incosciente a gran voce, scuoterlo per vedere se ci fosse almeno un cenno di qualcosa, praticare ogni tipo di misura di emergenza. Un protocollo, una linea guida perfettamente disegnata per situazioni del genere – era facile, era spontaneo, era ciò che doveva fare.
Non si mosse, gola secca ed iridi di caldo cioccolato immobili sulla figura stesa sul ponte di quella piccola imbarcazione. Sapeva non sarebbe servito a nulla, tanto quanto sapeva fosse colpa sua.
Aveva ucciso un uomo.
Aveva ucciso un uomo: gli si era lanciato addosso senza pensare a nulla se non a quello che era giusto fare; aveva affondato il pugno sul suo viso e non aveva creduto, sul momento, che ci sarebbe stato alcun tipo di conseguenza.
Deglutì irrazionalmente, fingendo che non ci fosse nemmeno la bile a risalire lungo l’esofago pronto a fargli rigettare tutto quello che il mal di mare non era stato capace di buttare fuori una remata sì e l’altra pure. Perché di vomitare, al momento, ne aveva tutta l’intenzione. E di piangere, a dirla con quanta più sincerità possibile.
«tutto ok, balt?» non sapeva nemmeno in quale momento Mini l’avesse raggiunto, ma non provò una sola oncia di vergogna a scuotere la testa. No, non era tutto ok – come… come poteva essere tutto ok? In quale mondo, poteva esserlo?
Odiava tutto.
Inspirò dal naso, perché sapeva che aiutasse ad evitare un’iperventilazione, e percepì chiaramente i singhiozzi far tremare l’aria nella gabbia toracica come un fottuto diapason; li nascose dietro la mano a premere sul viso, sulle gote pallide da cui raccolse gocce che non poteva imputare all’acqua del lago. «io– » aveva alcun senso, dire che non volesse? C’era qualcuno lì, tra i presenti, che credeva possibile il tassorosso fosse partito con l’intenzione di effettivamente porre fine a qualche vita? Non si era sognato arcobaleni ed unicorni, ma aveva confidato fino all’ultimo che potessero sfangarsela mettendo al tappeto la gente senza necessariamente doverla uccidere; gli piaceva credere che la speranza non fosse una mera illusione, anche quando tutto quanto gli dava contro.
Avrebbe continuato a farlo.
Voleva tornare a casa. Voleva farlo con sua sorella, con Mood e Mini, con i Ben10 ovunque essi fossero, con Check ed Hans perché erano comunque una squadra; voleva riprendersi Wren, e Kaz, e Clay, e chiunque altro ci fosse alla fine di quel dedalo. Avrebbe pagato le conseguenze di tutto ciò che era servito per permettere che quel desiderio si avverasse, una volta che si fosse seduto sul proprio letto.
«sto bene.» accennò un sorriso alla ragazza, ma fece comunque fatica a muoversi da lì: un conto era decidere che doveva stare bene, che non potesse permettersi di cedere; un altro, era farlo capire al proprio corpo.
«sai, lo guardo e l’unico pensiero che riesco a formulare è noi.» non si volse a guardare il guardiacaccia al proprio fianco – se quella barca piena di nemici era diventata una festa aperta a tutti, si era perso un paio di passaggi al riguardo –, ma corrugò le sopracciglia confuso. «uh…» cioè, mh… no niente, era confuso e basta. Quantomeno, lo costrinse a guardare la faccia deturpata del soldato in una maniera diversa – non accettabile, di certo, ma non necessariamente come “vittima del suo primo omicidio”.
Lo sapeva che dovevano uccidere anche gli altri, sì?
Non gli rispose subito, ma decise di stringere i denti e piegarsi sul cadavere – voleva affrontare le proprie paure, dopotutto. «devo esserne necessariamente felice?» lo chiese davvero, sincero, perché voleva sapere cosa passasse per la testa del Vibe: lui era contento, di togliere delle vite?
Si mosse automatico, dita a slacciare la cintura dalla vita del suo avversario, e quando vide la rivoltella al suo fianco non esitò a raccoglierla. «graçias.» mugugnò appena, prima di rimettersi in piedi e cercare il Bigh sull’altra nave; gli lanciò la cintura, e si limitò semplicemente a guardare sua sorella. Non aveva dubbi che Mood avrebbe saputo contro-maledirla, né che per un motivo o per l’altro l’avrebbe salvata da quell’annegamento. Sorrise ancora a Check, vero e sincero – una piega che poteva tremare e vacillare, sembrare sul punto di rompersi, ma che non poteva andare via tanto facilmente se ci cercava nel buio almeno una ragione per tenere le labbra sollevate. «grazie, ma se non ti dispiace ora...» aveva qualcun altro che voleva picchiarlo, e come se non bastasse era lo stesso che aveva puntato il suo bestie. «un piccione con due fave?» mah, chi poteva dirlo: lui nel dubbio lo prese a pugni una, due, più volte di quanto necessario, pungiball momentaneo di quanto non aveva intenzione di esprimere a parole o emozioni – cervello spento, nessun pensiero tra sé e l’obiettivo –, e si allontanò vedendo la bacchetta di Mood puntata sullo stesso bersaglio. A sua volta, prese la rivoltella dell’avversario e la puntò su di lui – ma quando fece fuoco, lo fece sulla rotula.
«e non ho ancora vomitato.» traguardi.
Non annunciò al mondo le lacrime sul viso solo perché aveva ancora un pizzico di dignità.

«sì vabbè, anche meno.» la rivoltella fumava ancora dell’ultima pallottola sparata, quando Balt si ritrovò a pensare che forse – forse! – un po’ se lo meritavano di morire male. Oltre alla storia che avevano rapito amici, parenti, fidanzati e chi più ne ha più ne metta, per la quale sicuramente non si meritavano un trattamento con i guanti di velluto, ci aggiungevano anche quello.
Dove, per quello, si intendeva venir bullizzati, maltrattati e picchiati a sangue da dei ragazzi che nemmeno avevano ancora preso il diploma. Non dovevano essere dei professionisti, loro? Mercenari e sicari mandati lì con l’unico scopo di far fuori qualsiasi intruso? Sulla carta, avrebbero dovuto sterminare loro e le barche su cui si trovavano in un batter d’occhio. Con tutto il rispetto per sé stesso e per i suoi spettabili compagni d’avventura, però eh: a volte sapeva anche essere oggettivo, pur credendo e sapendo nel cuore che loro fossero i più fighi di tutti – li battevano solo tutti i Ben10 messi insieme, ma quello era un altro discorso ed era chiaro che il Ministero li avesse separati perché temevano conquistassero non solo la missione, ma lo Sri Lanka intero e poi il mondo.
E invece che facevano? Si facevano esplodere le ginocchia, e frustare violentemente senza nemmeno provare realmente a difendersi. Iniziava a sentire la puzza di presa in giro mescolarsi con quella del sangue e del sudore, e doveva dire non fosse esattamente la sua cosa preferita al mondo.
«ma… è morta?» così, di punto in bianco. Le entrava in bocca un nocciolo che Dio solo sapeva dove potesse averlo trovato Hans, e quella lì schiattava. Non c’era nessuno che sapesse fare una manovra di Heimlich, tra i suoi colleghi? «sul serio fanno?» guardò Mini, poi Mood, e poi il cielo con un sospiro.
Oh beh, immaginava fosse meglio per lor– «oh.» aveva parlato troppo presto, oppure lo stesso cielo al quale si era rivolto lo stava punendo per non essersi pentito più di quanto avesse fatto per il male che aveva causato su quel lago – mannaggia a te Ictus, esci dalla mia testa, non è il momento. Si strinse la maglia al petto, all’altezza del cuore, quando lo sentì contorcersi con violenza fino ad arrivare in gola: studiando al San Mungo, sapeva anche che non fosse del tutto impossibile avere un infarto a diciassette anni, però che cazzo. Non era il momento.
Si guardò attorno, mandibola serrata fino a farsi male ai denti, perché era davvero troppo assurdo – le coincidenze erano un conto, ma quello non era possibile. Di fatti, la concentrazione di Dazzy era molto sus. «dazbog vent» disse soltanto, per risparmiare aria nei polmoni, prima di arrancare fino al mercenario e spingerlo contro il parapetto della barca per deconcentrarlo.
«tu!» indice inquisitorio rivolto a quello con la balestra, prima di riprendere fiato e scagliarglisi contro. «ti ho detto» gli diede uno spintone per fargli perdere la mira, e ritrovarselo faccia a faccia. «che devi lasciar stare mia sorella.» madonna che screanzato: sigillò le proprie parole con un bel pugno in faccia, e tanti saluti.