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La cosa più frustrante, era che non aveva assolutamente idea di come fosse successo.
Un istante prima, teneva dietro il proprio braccio quel diavolo della Tasmania dai capelli rossi, iridi chiare puntate sulla granata appena lanciata ma ogni altro senso perfettamente allertato per bloccare ogni suo movimento, perché l’aveva vista – e se non erano allucinazioni, le sue, così come aveva assistito alla presa perfetta tra i denti del bastone allungabile, altrettanto si aspettava facesse qualcosa di incredibilmente, incommensurabilmente e innegabilmente stupido: voleva davvero evitare di vederla andare ad acciuffare la “palla” come un cane da riporto ed osservarla esplodere in diretta.
Quello successivo, la ragazza era morta – cioè: non era più lì, ed aveva dato per scontato fosse riuscita ad eludere le barriere alzate per la sua salvaguardia e fosse andata a scoppiare; pace all’anima sua et al. – e lui era dovuto arretrare di più passi, spinto senza possibilità di contraddittorio, manco fosse una trasmissione del servizio televisivo pubblico italiano.
Digrignò i denti, la mano sinistra a sfiorare appena il braccio leso per capire dove fosse il danno e la sua effettiva entità, puntando lo sguardo sulla puttana ed il suo scudo, dietro il quale si nascondeva sghignazzante.
«SCUSAAAA» non si voltò alla ricerca dalla voce – per quanto gradisse, andare a cercare un contatto visivo con la fidanzata di Gaylord gli avrebbe soltanto fatto abbassare la guardia. Si limitò a sollevare un pollice, segno che stesse bene: era davvero il minore dei mali, una scudata di quel genere.
Diventava un problema quando, di punto in bianco, questa spariva nel nulla.
«puoi non…» sospirò, approfittando del cercarla attorno a sé per guardarsi attorno ed assicurarsi non andasse tutto troppo a rotoli – e doveva dire che, a parte le offensive ai suoi riguardi e a quelli del Beckham, gli pareva una situazione abbastanza gestibile. Fece apparire un varco oscuro vicino alla mora, così da sfruttare la rincorsa del nemico con il fucile per mandarlo a finire chissà dove, e per chissà quanto, sollevando poi il fucile – soffrendo per la forza dell’abitudine che d’istinto l’aveva portato a poggiare il calcio sulla spalla destra, cambiando guardia nell’istante successivo. «ma tu non eri morta?» poteva riferirsi a Pooja, che effettivamente non aveva più visto dall’esplosione, ma no: gli occhi zaffiro erano fissi sulla De Thirteenth, che evidentemente aveva deciso non fosse il caso di andare a rincorrere una granata. «meglio così.» insomma, se ne sarebbe fatto una ragione e di certo non si sarebbe sentito in colpa eccetera eccetera, però preferiva fosse ancora in vita. Poteva sempre essere utile, con quei denti che si ritrovava. Riservò invece a Dylan un cenno del capo con cui la invitò a spostarsi dalla sua visuale, e dopo aver evocato nuove ombre per bloccare le braccia e le gambe del mago gli sparò al petto.
E poi di nuovo: era lì, in piedi, con il suo fucile puntato, e subito dopo si ritrovava con il culo per terra. «state tutti bene?» non le rispose, perché non abbiamo nessuno con la chiaroveggenza. Preghiamo.

Daveth Thanatos Gallagher era: indignato, offeso, deluso.
Osservò la lama d’ombra recidere la pelle del collo avversaria, affondare nella carne trovando negli spazi più morbidi una via d’accesso, e lasciandola svanire nell’etere accolse gli zampilli scarlatti ovunque essi decidessero d’andarsi a posare. Con costernazione, tuttavia, rimase a guardare il mercenario farsi beffe di quell’ingente danno, dei fiumi di sangue sgorgati dalla carotide, e rimanere in piedi come se nulla fosse.
Aveva sgozzato gente con molto meno impegno, e con strumenti di fortuna che nemmeno potevano dirsi affilati; di certo, non quanto le tenebre plasmate dal suo potere.
Ma lui no – lui no, lui no: lui sorrideva, cercava un modo per proteggersi… –, lui aveva deciso di vivere un altro giorno per morire più dolorosamente quello successivo. L’avrebbe quasi compreso e rispettato, se non fosse stato che odiava certi insuccessi: era un cazzo di militare, Dave; quella roba lì avrebbe dovuto essere una passeggiata di salute, un gioco da ragazzi.
Vedendo come effettivamente le più giovani del gruppo avessero appena mutilato e ucciso con moderata brutalità due su sei loro avversari, ebbe una strana realizzazione che l’avrebbe portato, di lì a poco, a dissociarsi: era davvero un gioco da ragazzi, il problema era che lì in mezzo si sentiva… vecchio. Dentro lo era sempre un po’ stato, doveva ammetterlo e andarne fiero perché aveva sempre odiato i propri coetanei, ma si era comunque mantenuto su una media costante da non esserlo troppo. La differenza di millennio di nascita lo colpì più bruscamente di quanto avesse desiderato.
Fu orribile.
Per questo prese le distanze dal nemico, onde evitare che il contatto ravvicinato potesse dargli modo di colpirlo di sorpresa, e prese dal taschino della mimetica due cose essenziali per la sua sopravvivenza in quello status mentis drammatico: telefono, e sigarette; avesse avuto anche una birra sarebbe stato perfetto. Accendendo il cilindro di tabacco, scrollò brevemente le proprie applicazioni prima di sorridere nel trovare quella del suo desiderio; dunque, soffiò una nuvola di fumo davanti a sé, occhi zaffiro che andavano cercando la sua vittima sacrificale. Quando l’ebbe trovata, non attese molto tempo prima di raggiungerla con passi lenti e calcolati, ed un sorriso sincero sul volto.
Spinse il pover’uomo in un varco oscuro senza mezzi termini e lo seguì, mettendo piede nel proprio reame d’appartenenza come se avesse appena semplicemente varcato la soglia tra cucina e camera da pranzo e non fosse appena entrato nella più fitta delle tenebre. «ci sei su tiktok?» domandò atono, premendo con l’oscurità sul tipo per evitare si muovesse più di tanto. «no? non segui shiloh abbott, quindi?» che fortunello, lo invidiava da morire.
Aprì la live della ragazza, e gli mise il telefono tra le mani.
Non rimase lì a lungo – giusto il tempo di assicurarsi fosse partito il video, e di inspirare un altro po’ di tabacco e catrame, prima di uscire dal varco oscuro.
In lontananza sentì delle grida: quelle di Shiloh che cercava di arrampicarsi da qualche parte, che prendeva rami in faccia, che cadeva, che rischiava di morire un istante sì e l’altro pure, che provava a vendere prodotti di skincare (forse, che ne sapeva lui).
Una tortura, e di quelle peggiori: si sentì un dio magnanimo, quando nel buco nero lanciò anche una granata prima di chiuderselo alle spalle.