and who i am today is worse than other times

[preq. 11] mood ft. balt

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  1. maluma‚ baby
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    devotees have the soul of saviors, the paladin complex,
    and are ready to sacrifice themselves to defend their companions.
    Al sentire il proprio nome, Balt non si scompose affatto. Rimase immobile a guardare la stessa vetrina, nonostante la vista si fosse appannata nel breve tempo di inattività e la mente persa in ragionamenti altrettanto offuscati, senza capo né coda. Le uniche cose che avrebbe voluto dire in quel momento le tenne per sé, strette tra i denti e l’interno della guancia fino a quando quel che avrebbe potuto ferirlo nel riascoltarsi non divenne mero dolore fisico e sangue amaro sul palato – più sopportabile, più gestibile; meno logorante.
    Non sapeva quale necessità avesse spinto la stanza va-e-vieni a spalancargli le sue porte, ma odiava che tra le possibilità ci fosse proprio quella di sentirsi così – con addosso sguardi giudiziosi, sorrisi a metà tra la compassione e l’incredulità usati come un’arma puntata al suo petto, e pensieri tanto fitti a ronzare nelle menti altrui che non gli serviva essere un Legilimens per riuscire a distinguerli. A volte credeva di essere masochista, senza il bisogno di sconfinare nell’autolesionismo dal momento che ci pensava la vita a mettergli i bastoni tra le ruote un giorno sì e l’altro pure per farlo ammazzare da qualche parte, ma c’era un limite a tutto: gli bastava lo sprezzo dei genitori, la delusione nei loro occhi per quanto lui ci provasse, per quanto lui gli volesse bene; non voleva che altri rincarassero quella dose, e l’idea che ne avesse bisogno lo disturbava nelle viscere più profonde, stringendole e bruciandole.
    Avrebbe voluto dire a Mood che lo sapeva, che non serviva aggiungesse altro a quel «balt» semplice, ed esplicativo.
    Che gli dispiaceva, ma Dio solo poteva dire per che cosa fosse rammaricato: per aver fatto una domanda tanto stupida? Per essere tanto stupido? Era superficiale, il Monrique, e raschiava soltanto gli strati più apparenti delle situazioni, delle persone, perché non aveva mai avuto modo di doversi preoccupare di cosa ci fosse in profondità. Era buono, gentile; la casualità aveva voluto che nascesse in un ambiente fortunato che l’aveva tenuto in una torre d’avorio per tanti anni, crescendo all'oscuro di molte circostanze appena fuori da quelle mura: se tutto questo voleva dire che fosse un ingenuo, un ignorante, probabilmente lo era. Non spiccava nell’ingegno perché affianco ai suoi amici non poteva essere altrimenti, erano tra le menti più brillanti che avesse mai avuto l’onore e la fortuna di conoscere ed era felice che fosse così, ma non si era mai definito uno stupido – perché, semplicemente, non voleva esserlo, e possedeva da sempre abbastanza caparbietà e buona volontà per imparare dai propri sbagli ogni giorno.
    Che stava scherzando, perché con quel sorriso sulle labbra per molto tempo aveva creduto che gli si potesse perdonare tutto; spesso, era stato così.
    Tutte stronzate che aveva dovuto ingoiare giù per la gola fino a rigonfiare i polmoni. Un pattern che non voleva ripetere, che non voleva spostare da casa sua su qualcun altro – forse per capriccio, forse per principio, o forse perché sapeva non fosse giusto. O più banalmente, perché non era quello che stava cercando lì dentro.
    «sai quando il ministero apre le missioni ai civili?» non rispose, ma non perché non conoscesse la risposta: viveva con un ministeriale, uno dei pezzi grossi per giunta, da quando era nato; sapeva più cose su quel mondo di quante dovesse, o volesse.
    Quando non vogliono perdere risorse.
    Sentire quello che già pensava da una voce diversa da quella nella sua testa fu la conferma di cui non aveva assolutamente bisogno – e di certo, non per una specie di negazione della realtà dei fatti. Ancora, non si spezzò al suono di quelle parole. Ancora, rimase stoico ed impassibile, cosciente dal principio di ciò che sarebbe stata quella missione: il suo unico tarlo al riguardo era stato il fatto di trascinare i suoi amici in una vasca piena di squali, ma aveva risolto quel problema quando aveva capito (come se poi già non ne fosse consapevole) che non poteva andare diversamente da così.
    «la mente umana è facile da manipolare. o la è la nostra, o quella di chi è tornato. saperlo, o supporlo, non cambierà il fatto che andremo.» solo allora, tornò con lo sguardo su Mood, piegando appena l’angolo destro delle labbra. Voleva sapere se ci credesse davvero, in quelle parole. Non dubitava che avesse ragione, ed era ben conscio di essere incluso tra quelle persone facilmente condizionabili, ma faceva fatica a credere si trattasse solo di quello: una delle ragioni principali, è che dal primo momento aveva visto il Bigh come una di quelle persone complesse da influenzare, e che con altrettanta difficoltà seguirebbe qualcuno di meno tenace. Se proprio avesse dovuto sbilanciarsi al riguardo, a prima impressione sarebbe stato più propenso a supporre il contrario – che fosse lui, quello manipolatorio; non che questo cambiasse qualcosa per lo spagnolo, l’affetto ch’elargiva alle persone prescindeva da cosa queste fossero.
    «penso che…» chinò il capo sulle garze alle mani, tirandone i lembi con le dita – un passatempo e un antistress al contempo, oramai. «non era quello che volevo sapere da te.» enunciò quel pensiero con tutta la semplicità di cui era capace, senza un’unghia di amarezza a far tremare la voce: era un semplice dato di fatto, così come lo erano la sfilza di informazioni che gli aveva appena dato il serpeverde – nozioni di cui, straordinariamente, non era all’oscuro, e che confermavano solo ipotesi e teorie già consolidate. Dello studio matematico di come andasse il mondo secondo Mood Bigh se ne faceva poco: voleva qualcosa in più, che fosse un’emozione o una motivazione – non poteva del tutto dire di non averla ricevuta, ad ogni modo, bastava saper interpretare.
    «e che preferisco non pensare affatto.» non che quella fosse una novità: lungi da lui essere razionale e machiavellico, il Monrique rifletteva soltanto quando sentiva di star per dire qualcosa per cui ci fosse bisogno di porre un filtro tra cervello e labbra. «a cosa serve farlo? non cambierà il fatto che andremo, giusto?» sorrise un po’ più gioviale al ragazzo davanti a lui, lasciando affiorare la proverbiale spensieratezza per cui era più noto al mondo – come se niente potesse scalfirlo.
    Era così.
    Voleva, che fosse così.
    «promettimi solo una cosa:» si fece più serio, come se l’altro fosse effettivamente tenuto a promettergli qualcosa. «che andrà tutto bene.» l’aveva fatto con i Ben, e l’aveva fatto con Liz: non voleva essere confortato; non aveva nemmeno paura, per quanto lo riguardava. Del fatto che sarebbe andato tutto bene, trappola o non trappola, ne era sicuro – idealista e fiducioso, forse sì.
    Voleva soltanto che le persone a cui voleva bene sapessero di avere una promessa a cui tenere fede prima di partire.
    baltasar
    monrique

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    paladino devoto
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