[ puoi non - ]

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    If the wind turns, if I hit a squallAllow the ground to find its brutal way to me
    april 1st, 2024
    Apri gli occhi.
    Lo senti? Il piacevole tepore del Sole primaverile sul viso: ti sembra una vita dall’ultima volta che hai dovuto chiudere le palpebre per non rimanere accecato dalla sua luce, e nemmeno un giorno.
    Non sai davvero dirlo, ma non ti interessa realmente quanto tempo sia trascorso da quando hai potuto sentirlo premere sulla pelle, scaldandola ed alleviandone ogni tensione. L’importante è che ci sia, in questo momento. Ti sembra che ogni singola cellula del tuo corpo ne stia godendo, raccogliendo tutte le particelle di luce che può e tenendole per sé, ed è tutto ciò che ti serve adesso – nient’altro che questo.
    Apri gli occhi.
    Lo senti? Non serve nemmeno che ti impegni più di tanto, per accettare che quell’odore penetri nelle narici, solleticandole. Dopotutto, potresti riconoscere il profumo del pane appena sfornato lontano chilometri: arriva da est, e non ti è difficile credere che alla tua destra ci sia un forno.
    Quello un po’ più acre del tabacco arriva con qualche secondo di ritardo, ma non ti dà così tanto fastidio.
    Ciò che ti fa prudere il naso, che odi dal profondo delle tue viscere, giugne con un po’ di ritardo – più tenue, infido bastardo che si maschera e si fa percepire appena. “Polline”, ti viene da pensare, “polline infame”.
    Apri gli occhi.
    Le senti? Tutte quelle voci – e no, se te lo stai chiedendo, non sono tutte nella tua testa. Arrivano da ogni dove, e dietro quel sipario scuro che ti cela la vista riesci a malapena a capire quanto siano distanti da te.
    Un bambino che piange, le ruote della carrozzina che si muovono – avanti e indietro, avanti e indietro – sull’asfalto, e la soffice voce della madre che canta una ninna nanna nel tentativo – vano, supponi – di farlo tornare a dormire.
    Un gruppetto di adolescenti che parlano animatamente dell’ultimo film uscito al cinema, e che sembrano aver appena visto: anche tu conosci la pellicola, ma non ricordi di averlo ancora visto; sapevi sarebbe uscito tra poco, ma forse ti sei sbagliato. Ti arriva anche lo zampillare dell’acqua – una fontana!, ma certo, come potevi aver dimenticato ci fosse una fontana lì? –, da quella che ti sembra essere la stessa distanza.
    Una coppia, e dalla cadenza dei passi riesci a dire che di anni insieme devono averne già vissuti parecchi, che non parla molto: passeggia non molto lontano da dove sei tu, commentando piano gli sprazzi di vita che si susseguono tutt’attorno – dal “ricordi tesoro? anche susan piangeva sempre così tanto!” ai borbottii dell’uomo uniti alle risatine di sua moglie, ormai avvezza ai modi poi non così tanto burberi di lui, quando dei ragazzini giocando gli correvano davanti.
    Quella donna d’affari che se ne frega, al contrario dei due anziani, di cosa succeda fuori dai propri spazi personali: ha la sua chiamata di lavoro da fare, tutto il resto per lei è fuffa.
    E tante persone, tante vite, tante voci che piano piano si fanno spazio.
    Apri gli occhi.
    L’hai sentito? Non si è scusata, quella donna impegnata, quando ti ha dato la spallata – troppo presa dai suoi doveri, per rendersi conto di averti urtato per il semplice fatto che eri sulla tua strada.
    Carne contro carne – e tu, che avevi creduto essere inamovibile fino ad ora, che ti sposti, un corpo la cui inerzia è stata annullata senza che potesse rendersene conto.
    Apri gli occhi.
    Va tutto bene, apri gli occhi.
    Sei vivo, apri gli occhi.

    Lo vedi?
    È esattamente come te lo sei immaginato, come ogni parte di te l’ha sentito.
    Ci metti un po’ a riabituarti alla luce naturale di quella giornata, ma la fontana è esattamente al centro della piazza esagonale – non grande, ma nemmeno così piccola –, e sul suo muretto c’è quel gruppo di ragazzetti che parlano animatamente. Andranno al liceo, forse è il loro ultimo anno. Alzi lo sguardo, e vedi quel vecchietto brontolone che rimprovera il bambino che gli ha tagliato la strada, la moglie che a sua volta gli dà un tenero schiaffo sulla spalla – imbronciata, ma non davvero. Segui il pianto del bambino, che ancora non cede alle preghiere della mamma: lei ti sembra stanca, evidentemente il figlio non smette mai di lamentarsi per qualcosa, ma comunque felice. Sulla spalla, tiene una busta con il logo di un – ma certo, il forno! È proprio dietro di lei, la porta ancora socchiusa. E della donna che ti ha colpito, vedi solo lo strascico mentre si allontana. Indossa un tailleur nero, elegante, i capelli bruni e mossi lasciati cadere sulle spalle: non si volta a guardarti, non potrai mai dire che aspetto abbia.
    Conosci quel posto.
    Non ricordi perché, né se ci sei mai stato; forse l’hai soltanto visto in un film quel piccolo borgo appena fuori Portsmouth, o ne hai letto in un libro.
    Non sai come tu ci sia arrivato, lì.
    È importante?
    Quando senti la mano calare sulla tua spalla, e sorridi, ti dici che non lo è poi così tanto.
    Sovrappensiero ti tocchi il collo, e quel lembo di pelle appena dietro l’orecchio, prima di voltarti a guardare di chi sono quelle dita – non che ce ne sia poi così tanto bisogno, per sapere che si tratta di una di quelle persone che senti di poter chiamare compagna.
    Ma compagna di cosa?
    Compagna perché?
    Tutto ciò che ti sovviene, è compagna da quando e compagna da dove: ventiquattro febbraio, Lotus Mirage Resort, Montrose, costa est della Scozia.
    «siamo…» ti guardi intorno, e finalmente li vedi. Alcuni sono ancora lì dove sei tu, altri si sono già lanciati a perlustrare la zona, altri ancora si sono seduti sulle panchine dietro di voi, a scroccare una sigaretta – o forse qualcosa di più pesante e rilassante: non li giudichi.
    «a casa?» annuisci.
    «se abiti qui direi di sì, io sto un po’ più al nord a dire il vero.»
    you can come as you are.
    hello?

    ..
    this is your
    mother,
    are you there?
    are you
    coming home?
    to be continued
     
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    april 1st, 2024
    Vieni accolto naturalmente, ed in maniera altrettanto spontanea ti muovi per quella piazza.
    Non c’è niente di strano in quei sorrisi casuali che i passanti ti rivolgono quando incroci il loro sguardo; tantomeno, nei timidi cenni del capo con cui ricambi quel saluto. Quella piazza è sempre affollata, d’altronde: nessuno sembra far caso a quelle cinquantasei persone in giro, e nemmeno tu ci fai caso. In ogni passo, in ogni gesto, non c’è l’ombra di disagio – solo… serenità.
    E tranquillità, e libertà.
    Ma libero da cosa?
    Non ti viene in mente niente, sebbene per qualche istante cerchi di fare mente locale – nel secondo successivo, però, capisci che non c’è nulla che debba fare capolino nella memoria.
    Hai solo una domanda. Semplice e banale per molti, ma non per te.
    Ti avvicini alla donna con il passeggino, e gettando uno sguardo nella minuta culla scopri che il bambino pare essersi finalmente acquietato. «salve,» sorridi alla giovane madre. A vederla meglio, non diresti abbia molti anni in più di te. «perdoni la domanda, ma saprebbe dirmi che giorno è oggi?»
    Lei ricambia il tuo sguardo, genuinamente sorpresa e confusa da quel quesito. Chi è che esce di casa senza nemmeno sapere che giorno sia, giusto? «sabato!» gioviale, candida, la sua voce: “oh beh”, deve aver pensato, “magari è qualche tipo di esperimento, o di trend, in effetti sono fuori dal giro dei social da un po’ di tempo”.
    Ma non è quello che ti interessa. «mi scusi… intendevo la data.»
    È abbastanza istintivo quel noi a balenarti nella testa, quando la vedi tentennare a quella richiesta e chiedere una risposta al cielo sollevando lo sguardo: sempre complicato, quando ci sono dei numeri di mezzo.
    «ventiq-»
    Apri gli occhi.
    «ventiquatt-»
    Apri gli occhi.
    «ventiquattro febbr-»
    Apri gli occhi.
    «primo apri-»
    Apri gli occhi.
    «oh cielo,»
    si passa una mano sulla nuca, occhi chiusi e fossette sulle guance.
    Tu, invece, corrughi le sopracciglia.
    È successo? È realmente successo? Per un attimo hai creduto che la ragazza si fosse fermata – anzi, non fermata: bloccata.
    Forse stava solo pensando, ed è normale che la stanchezza del badare un bambino la porti ad assentarsi in pubblico – no?
    Ma… è successo? O magari hai solo guardato il sole per troppo tempo, quando hai aperto gli occhi: i segmenti corporei della gente, dopotutto, non vanno a scatti.
    «ci credi che non mi viene in mente?» piega la testa, e sai che è sincera. «devi scusarmi, questo periodo è davvero...» non c’è mica bisogno che finisca la frase, dopo quello sbuffata sarcastica. Ne ridi con lei, e la ringrazi comunque prima di lasciarla.
    Alla fine, è sabato.
    Sabato, lo era anche il ventiquattro febbraio.
    Alzi lo sguardo sui tuoi compagni, e sui palazzi che circondano la piazza.

    Lo vedi?
    you can come as you are.
    and i said
    okay, who is this
    really?
    ..
    and the voice said
    this is the hand

    the hand that takes
    to be continued
     
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    april 1st, 2024
    Lo vedi.
    Tu sì, lo vedi.
    Per quanto tenti di strabuzzare lo sguardo, di premere i pugni sugli occhi per accomodare meglio la vista, di non vederlo, lo vedi.
    Non riesci affatto a non farlo – la tua attenzione è tutta lì, come un magnete alla costante ricerca del suo polo.
    «ehi,» non ti giri verso la voce, sei troppo preso, ma non hai dubbi sul fatto che sia rivolta a te. «che hai?» guardi quella che riconosci – perché la riconosci? – essere Chouko. Non ti sovviene il cognome, ma sai che è lei. Nei suoi occhi, non trovi però quello che stavi cercando – ma cosa, cosa stai cercando?
    Sorpresa? Confusione? Sgomento?
    Che cosa?
    Riflesso nelle iridi di lei, c’è solo un senso di sollievo che, lento ma inesorabile, si espande nel tuo torace. «non lo vedi?»
    Sai già la risposta.
    Sai già la domanda.
    «che cosa dovrei vedere?»
    Niente.
    «… niente» sollevi un angolo delle labbra, silente saluto alla ragazza che – con uno scappellotto ben assestato ed il consiglio di farti un bel riposo, sembri stanco – se ne va.
    Ma tu lo vedi, occhi puntati su quella calamita; non puoi non vederlo, anche se vorresti.
    Anche se ci provi.
    Va tutto bene.
    Leonard sta camminando, quando vuoi avvicinarti a lui – quando sai di doverlo fare, mosso da qualcosa che non hai trovato in precedenza negli occhi degli altri.
    Un passo, due passi.
    Non serve farne di più, perché
    (va tutto bene)
    va tutto bene.
    E lo stesso vale quando vedi Vin seduta sulla fontana, a chiacchierare del film con gli altri ragazzi.
    O Theo, che rincorre i bambini che giocano con il pallone; e Roxie, che non si sa bene dove ma è riuscita a recuperare un coltello con cui inseguire quella mandria.
    O Diaz, seduto su una panchina che lancia da mangiare ai piccioni con Giacomino.
    O Vincenzo, che chiede una sigaretta ad un Twat appoggiato con una scarpa contro il muro di un edificio ai bordi della piazza.
    Va tutto bene.
    Ti è solo sembrato si fossero bloccati – di nuovo, anche loro –, giusto?
    Te ne convinci, e guardi di nuovo i tuoi compagni, i palazzi.
    Il cielo.

    Apri gli occhi
    «il cielo…»
    È solo un –
    «il cielo… sta…»

    Va tutto bene.
    you can come as you are.
    so hold me,
    mom,
    in your
    long arms
    ..
    in your
    electronic arms
    to be continued
     
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