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ft. troy @ supermercato

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    wyborowa “row” moskovskaya
    C’erano delle cose che succedevano così in fretta, che era davvero complicato rendersi conto del susseguirsi degli eventi, o essere in grado di metterli in un qualche ordine cronologico – ma anche soltanto logico, per dire.
    Wyborowa Moskovskaya non avrebbe saputo come piazzare in maniera coerente tutti quei frammenti di esistenza vissuta su una linea del tempo, e fino ad un certo punto non gli era nemmeno mai interessato farlo.
    Non aveva mai pensato gli sarebbe servito, d’altronde, e sapeva sarebbe morto abbastanza presto da non avere bisogno di un album dei ricordi per quando la demenza l’avrebbe inesorabilmente costretto a ricercare in foto e diari le memorie della propria gioventù.
    Aveva ventun’anni compiuti da pochi mesi, quando era tornato a casa con il sangue rappreso sulle nocche che non era riuscito a lavare via ed aveva visto Magda seduta sulla panchina sotto al portico, lo sguardo basso sulle mani giunte sul ventre. Quando le si era avvicinato con il solito sorriso beffardo dipinto sul volto, e con dita gentili le aveva sollevato il mento per ammirarla, per soffiarle un bacio sulle labbra che rispondeva silente alle domande cui la ragazza sapeva lui non avrebbe replicato – dove sei stato, cos’hai combinato, di cui è quel sangue, ti prego tiratene fuori. Quando lei, contrariamente a quanto si era aspettato, non gli aveva rivolto alcuna di queste, ed aveva detto tre semplici parole: «jestem w ciąży.»
    Aveva ventun’anni, quando aveva deciso di non farsi rintracciare dalla ragazza, di sparire dai radar, perché cos’altro poteva fare? Non di certo prendersi carico di quella faccenda: di un bambino, lui, non sapeva che farsene. Non lo voleva, non era pronto, non avrebbe neanche lontanamente saputo come essere un padre – e nemmeno a dire un buon padre: uno di base, di quelli che potevi vincere con i punti dei cartoni del latte. La sua vita andava bene così com’era, non poteva immaginare di mandarla a puttane per un difetto di fabbrica dei profilattici.
    Aveva ventun’anni anche quando erano passati diversi giorni, addirittura settimane, e tra le lenzuola di altre batteva il chiodo per scacciare quello precedente: Magda era soltanto una delle tante, in fin dei conti. Quanto era stato con lei? Forse nemmeno mezzo anno; quanto gliene poteva fregare?
    Si rese conto, che la risposta era diversa da quella che aveva creduto.
    Aveva ventun’anni, dunque, quando aveva sentito il campanellino della porta tintinnare sopra la sua testa, occhi d’ambra a scrutare posti nei quali non aveva mai messo piede – e nei quali, sinceramente, mai avrebbe voluto o pensato di entrare. I gioielli, Row, era stato solito rubarli dai sontuosi cofanetti nelle case delle vecchie o sfilarli dai colli dei passanti, per poi indossarli o rivenderli ai migliori offerenti; si sentiva un elefante in quella cristalleria, e guardando le cifre appuntate sotto ogni pezzo comprendeva ancora di più perché non avesse mai comprato niente di quella roba lì. Era il gesto a contare, ed in quel caso più che mai: non sapeva che parole avrebbe usato per farsi perdonare, per farsi riprendere da una persona che forse non sarebbe mai stata la donna della sua vita, ma che semplicemente non l’aveva stancato nemmeno dicendogli che avrebbe sfornato un essere urlante, fastidioso, dispendioso e che magari aveva anche dei difetti. Tenere il frutto di quel rapporto, per il polacco, non era un’opzione di cui tenere conto – ma potevano affidarlo a sua sorella, magari, o lasciarlo a qualche sconosciuto che avrebbe saputo prendersene cura meglio di loro.

    Ventinove anni dopo, aveva ancora ventun’anni – e no, nella fatiscente e costosa gioielleria di Kolbudy non aveva affatto trovato un elisir di giovinezza. Aveva trovato un deficiente, e l’ultimo ricordo coerente che aveva era... era...
    C’entrava uno scrigno.
    No. Era un cesto.
    Doveva... recuperarlo. Il cesto o lo scrigno?
    Forse lo scrigno... ed era stato messo – no, lanciato nel cesto... e c’era il pancino di quell’orsacchiotta che avrebbe davvero... davvero voluto massaggiare. Oh sì!, voleva farle molti grattini.
    «ti piace, eh...» ed era quello che stava facendo.
    Ed era quello che stava facendo?
    Corrugò le sopracciglia, gli occhi sulla mano che non stava tenendo la nuca e le cui dita solleticavano con esperienza il tessuto marroncino.
    Così tante cose che non funzionavano, che. Che.
    Si alzò in piedi, trovandolo un movimento più complicato del previsto – il fatto che avesse avuto delle zampe in stoffa e fibre sintetiche incideva senza dubbio, ma il vero problema era il poco, e scomodo, spazio nel quale si ritrovava a muoversi –, le mani strette intorno al ferro; le labbra aperte, i polmoni pieni e pronti.
    Magda.
    Kosmo.

    Certo, nomi che avrebbe avuto molto piacere di urlare. Con sentimenti diversi, ma quello erano.
    Invece: «TROY!!!» saltò fuori dal cesto, scrollandosi di dosso un peluche che era rimasto attaccato dove non avrebbe dovuto.
    «TROYYYYY!!!»
    Corse.
    E corse.
    E corse, per tutte le corsie, ignorando molte cose – dalle occhiate, agli urli – fino a quando non la trovò. La strinse in vita, e sollevandola roteò su sé stesso.
    Felice. Umano.
    «SONO IO!!!» Anastasia? «PORNHUB!!!» quasi.
    «mammaaa perché quel signore è nudo?» «fatti i cazzi tuoi.» amen.
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    Sistemò meglio le zampette del peluche fra quelle dei suoi simili, un sorriso vagamente folle a tirare le labbra. Sapeva che Pornhub sarebbe tornato sempre da lei come una cazzo di malattia venerea, ma provare non costava niente, e l’idea che l’orso maniaco fosse adottato da un bambino che si divertisse ad affogarlo in piscina ed a farlo riprodurre con il resto dei suoi pupazzi, bastava a migliorare una giornata che era già iniziata di merda.
    Come tutte le precedenti.
    Troy Bolton Hawkins era la persona meno complicata sulla faccia della Terra. La sua storia era complessa, ma solo a causa di scelte banali e facilmente prevedibili, tutte riconducibili alla sua innata pigrizia. Funzionava a risparmio energetico, ma poche cose al mondo sopravvivevano alla modalità aereo, e le relazioni interpersonali non rientravano fra quelle. Di solito, perlomeno. Faticava ad affezionarsi alle persone perché si dimenticava di loro e viceversa, perdeva i contatti e non faceva nulla per recuperarli. Vivere da vagabonda per quasi tutta la sua vita, le aveva impedito di soffermarsi troppo su quell’aspetto della sua vita.
    Poi si era fermata a Londra. Aveva obbligato i suoi inattendibili spazi personali a far posto agli ingombranti due metri di suo fratello, perché meritava la possibilità di mostrargli un mondo in cui lei non fosse quella cattiva - era proprio vero che la storia la scrivevano i vincitori, fuck you mom and dad – e per uno strano incidente del destino, aveva reso il liquido nel quale galleggiava da quasi trent’anni, abitabile anziché tossico. Non ospitale, non esageriamo, ma comunque in grado di far sopravvivere qualcosa.
    Un incubo. Un - un cazzo di incubo. Non era abituata a quella strana pressione al petto, Troy. Il nodo allo stomaco, la gola stretta nel ritrovarsi ogni giorno di fronte all’officina di Kyle ad osservare la posta accumularsi all’entrata. Una volta ci aveva incontrato una ragazza, gli occhi tristi e l’espressione determinata; se n’era andata prima che quella facesse il passo nella sua direzione per chiederle qualcosa, perché non avrebbe saputo cosa dirle.
    Quei sintomi lì, si era ridotta a cercarli su internet. Google le aveva diagnosticato diversi tumori, e consigliato di vedere un medico al più presto. Pornhub l’aveva guardata, con quei suoi piccoli occhietti neri a bottone, e le aveva detto «ti mancano, cogliona» e – era stato terribile. Il signore dei piccioni e lo svitato dei robot…? Le …. le mancavano? Come… esseri viventi nella suo ecosistema? Come funzionava. E che doveva farci, con quella tristezza insensata a depositarsi sulla lingua. Mica poteva schioccare la dita e farli riapparire; con tutta probabilità, erano già morti.
    E le bastava pensarlo, per trovarlo intollerabile.
    Quand’era successo, che si fosse……….affezionata? Non ricordava il momento. Non sapeva neanche come si facesse, a voler bene a qualcuno. Kyle, poi? Era come instaurare un rapporto con un maledetto tostapane, e ne trovava decine in sconto all’Aldi, esattamente dove si trovava quel giorno, in qualunque momento. Qual era il punto. Ogni notte, cercava di rimanere vigile abbastanza da trovarlo ed insinuarsi nei suoi sogni, diramandosi come una peste bubbonica. Moriva dalla voglia di invadere i suoi spazi personali, stringergli le mani sulle spalle come sapeva lui odiasse, e scrollare l’Hang come una pignatta, perché se ne rendeva conto? Lo capiva? Era assurdo, ed impensabile. Terribile, che le mancasse. Dovendo affibbiare le colpe a qualcuno, ovviamente l’avrebbe fatto al coreano. Mica poteva essere colpa sua, lei certe cose non le faceva. Amici? Conosceva solo il programma delle De Filippi. Troy guardava i suoi (tristi) noodles precotti, e si rendeva conto di non riuscire a mangiare. Lei! Non riuscire a mangiare! Perchè era…. preoccupata? Era un cazzo di incubo dal quale voleva svegliarsi il prima possibile. RIPETO: IL PRIMA POSSIBILE.
    Poi, per quale legge del destino continuava a perdersi Kyle, e non quell’orso bastardo. Dov’era la GIUSTIZIA. Dov’era il senso. DIO, SE CI SEI, PRENDITI LUI E RIDAMMI LO SPREMIAGRUMI ELETTRICO! «vaffanculo» sibilò, con lo stesso tono entusiasta e poco sano, allontanandosi di un passo dalla cesta dei pupazzi per ammirare il suo capolavoro.
    Perfetto. Ovviamente si integrava alla perfezione con il resto dei suoi simili, molto più di quanto non facesse appeso al suo culo – letteralmente o meno che fosse. «bon voyage, o quello che è» ignorò le occhiate del resto dei clienti del supermercato, portando due dita alla fronte in congedo all’orso infame.
    Un breve, congedo. Sapeva fosse così. Se lo sarebbe fatto bastare.
    Proseguì fra gli scaffali, finalmente non accompagnata dal fastidioso mugugnare su quanto fosse povera, e quanto fosse triste la sua vita, e come avrebbe guadagnato meglio se si fosse finalmente dedicata alla prostituzione come la sua faccia meritava. Lo sapeva anche senza il contributo di un ammasso di cotone, grazie tante. Pungolò l’interno della guancia, avvicinandosi alle etichette dei prodotti in sconto per scegliere quale fosse l’opzione più tossica ed economica, aka quella che sarebbe tornata a casa con lei.
    «TROY!!!»
    Ma. Troy lei…? Drizzò la schiena, guardandosi attorno con l’indice puntato innocente contro il proprio petto. Oh, per una cazzo di volta che «non ho rubato niente?» cosa volevano da lei. Era una ONESTA CITTADINA che cercava di sopravvivere allo spropositato prezzo dei sughi pronti.
    «TROYYYYY!!!»
    Corrugò le sopracciglia, piegando il capo sulla spalla e lanciando un’occhiata alle luci al neon sul soffitto. «dio, sei ……….tu» che fosse finalmente giunto il giorno in cui le rispondeva, ascoltando le sue umili richieste…?!
    E l’inaspettato. L’assurdo. L’impensabile. E voi direte: Troy. Troy! Ti sei unita al circo a dieci anni, hai perso la magia per darla ad un ragazzino ricco, sei stata schiavizzata da un mago nano e bullizzata da un orso di pezza per anni, cosa può esserci di più insensato nella sua vita? Mah, boh. Un ragazzetto nudo che le correva incontro gridando il suo nome, tipo.
    POLIZIA NON è COME SEMBRA?! Si guardò attorno allarmata, indietreggiando di un moderato paio di passi indietro mentre l’altro sfrecciava euforico nella sua direzione. «uhm -» Così perplessa da rimanere paralizzata mentre il tizio NUDO LA STRINGEVA E LA FACEVA ROTEARE? «sono» «IDIOTA?» «pornhub!» Stessa cosa. Lo allontanò da sé, tornando stabile con i piedi per terra, e la prima cosa che fece non fu chiedere spiegazioni. Non fu chiarire nome, cognome, e che lei quel tizio manco lo conoscesse.
    Fece scendere lo zainetto dalla spalla per stringerne la cinghia fra le mani, ed iniziò a prenderlo a borsate. «MA CHE» uno « CAZZO DI PROBLEMI HAI» intervallò ogni parola con un colpo, perché inconsciamente il suo cervello aveva, assurdamente, recepito il messaggio.
    «SEI NUDO» La priorità, che indicò con un ampio cenno del braccio. «pornhub?» Non l’aveva neanche ancora insultata, era già tutto: sospettoso. Assottigliò le palpebre, studiandolo perplessa.
    E lo fissò. Per un tempo ben oltre l’accettabile, considerando non avesse vestiti. «il mio Non era possibile. Non era, semplicemente, possibile. Soffiò l’aria spostando una ciocca azzurra, agitando vaga una mano nell’aria. Aveva deciso.
    «non ho spicci. levati»
    Liquidato.
    I am locked out, sedate me
    My mind is slowly pushing up daisies
    I am chained on a lockdown, in a daydream
    And it feels like I am stirring up crazy
     
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