Ryuzaki poteva riassumere il tutto con: stavano succedendo molte cose. Troppe cose, per qualcuno che a malapena riusciva ad elaborare la propria vita al momento. Perché la gente continuava a sparire, perché una cazzo di guerra non era stata abbastanza, e perché lo special in un modo o nell’altro si trovava sempre al centro di tutto quello. Li aveva visti i volantini, aveva impressa ognuna delle facce dei suoi fratelli scomparsi e di coloro che suo malgrado aveva lasciato avvicinare. Gli sarebbe piaciuto di essere stato lucido, quando si era trascinato in quel luogo che Grey chiamava appartamento, ma non era stato così. Ricordava sprazzi di conversazione, l’urgenza di far capire al fratello che dovevano fare qualcosa, se il Ministero non avrebbe alzato il culo. Non era un eroe, il Kageyama, non vestiva i panni del cavaliere nelle storie che tesseva da bambino, ma poteva essere colui che si sporcava le mani per chi non poteva farlo. Era il suo lavoro, no? Strinse il fucile al petto, il peso dell’arma familiare nelle sue braccia, un alleato che sapeva non l’avrebbe tradito– non come la sua magia, capricciosa e volatile come la fiamma d'una candela al vento. Fu memoria muscolare, quando i primi spari richeggiarono tra le pareti della stanza, spostarsi un po’ più vicino a Mac. Erano famiglia, per quanto suonasse surreale alle sue orecchie, e Ryuzaki non avrebbe lasciato a uno stronzo qualsiasi di usarli come bersagli di tiro. Sgusciò alle spalle della donna, complice il rumore della battaglia nel coglierla di sorpresa, e portò il calcio del fucile alla sua nuca per disorientarla. Ma il Kageyama era troppo concentrato sul parare il culo a Mac, e aveva dimenticato di difendere prima se stesso. Bene ma non benissimo, preferiva non beccarsi un machete in pancia prima di liberare gli ostaggi. Tentò di schivare il colpo spostandosi rapido a destra con il corpo, una sequenza di passi ormai istintiva nella sua linea di mestiere. Quello che non si aspettava era che qualcuno stesse prestando attenzione, e fosse disposto a dargli una mano. E perché proprio Kieran Sargent. Tutto troppo terribile, preferiva non pensare ai ricordi che evocava la figura. Osservò la ragazza muoversi con una violenza che in quel corpicino era francamente terrorizzante, la lama della falce spietata nel venire giù, diretta verso il braccio che teneva il machete del mercenario. «Non ce n’era bisogno, ma grazie» perché era una persona educata quando voleva, duh.