[miniq05] I'm like a ghost, I'm not hard to see through

[piano terra]

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  1. western nights
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    era un po’ che javi non sentiva i pugni prudere così insistentemente.
    il primo giorno non si era fatto domande. il secondo aveva stretto il muso di dante tra le dita, aveva affondato il volto nel pelo del cane, e si era imposto di non farsene ancora. il terzo, aveva fissato lo schermo del telefono — tutti quei messaggi privi di una risposta, mai ricevuti — e si era chiesto se fosse il caso di cambiare tattica. aveva sfiorato col dito il contatto di william barrow, e poi aveva cambiato idea.
    era una coincidenza, e andava tutto bene.
    al sesto twat aveva battuto violentemente piede nel suo appartamento, un lecito mi sono rotto il cazzo come forma di saluto, e lui gli aveva piazzato una birra tra le mani. incapace di fare altro, se non osservarlo da dietro ai cuscini del divano mentre gli veniva detto — a lui — di restare fermo. mentre twat — twat — andava a recuperare chissà cosa, chissà dove.
    giunti al decimo, voleva solo spezzare qualcosa. di pensieri, nella sua mente, ne erano frullati parecchi; nessuno particolarmente positivo. ne fosse stato in grado avrebbe persino riso, quando avevano riunito le forze e si era ritrovato di fronte alle stesse facce che lo avevano affiancato in siberia. niente olga, ma quello non lo aveva particolarmente sorpreso. però la mancanza di moka a sfiorargli le dita, sempre più vicino di quanto fosse consentito, era stata una doccia fredda. e ci aveva provato, javi, a non rendere palesi le immagini che continuavano a presentarsi dietro alle palpebre. non era certo di esserne stato del tutto capace, in quegli attimi precedenti all’ingresso in struttura. occhi scavati, assenti; labbra bluastre, arti rigidi. questo quando si concedeva di intrattenere l’idea che ci fossero ancora resti da riportare a casa. e quando l’olezzo della carne bruciata, spettro del novosibirsk, non tornava a infestargli le narici.
    strinse le labbra in una linea retta, e posò lo sguardo su wind. e finì per cadergli anche sull’hastings, un’altra serie di ricordi vaghi a stringergli la gola. fu istintivo battere le nocche contro la sua spalla, mormorare uno «stai bene?» — un anno dopo, e la fine di quella guerra era ancora pesante sulle spalle di javi. un’altra serie di sagome anonime da inserire nella lunga lista di quelle che lo perseguitavano. e non lo conosceva abbastanza, wren, ma cristo iddio. cristo, se meritava di non vedere più le sue stesse mani imbrattate del sangue altrui. non in quel modo; mai in quel modo.
    certo, e poi imbracciò il fucile; fece quei passi in avanti, i pensieri rivolti ancora al gruppo di volontari separato dal suo — e li vide davvero.
    non tutti. distolse gli occhi da quelli di diaz, ironicamente primo a catturare la sua attenzione, e contò uno ad uno i presenti nella manciata di secondi a disposizione. un autocontrollo che aveva poco di naturale; figlio, piuttosto, dell’addestramento rigido che gli aveva concesso di mantenere lucidità in situazioni peggiori di quella. ne mancavano svariati, all’appello. ne era certo, perché tra le teste non riconosceva quelle di marcus howl e sinclair hansen.
    (hansen con la a, per i posteri.)
    non si concesse di ragionare troppo su qualunque cosa stesse vedendo. anche se finì lo stesso per perdere più tempo del necessario a fissare le manette che univano mireia al suo fottutissimo amico. e sulle dita rotte e sanguinanti di sua sorella.
    e di nuovo, pensa il caso!, su diaz.
    stavolta, le iridi scure erano pregne di emozioni in contrasto con quelle mostrate poco prima; non c’era davvero bisogno che lo dicesse ad alta voce, quel te voy a matar. abbastanza certo si percepisse già nell’aria.
    piuttosto spinse il calcio del fucile verso il fianco di (checks notes) GHALI????&& ghali. con l’intento di fargli quantomeno arrestare l’avanzata. già troppo vicini rispetto allo stretto necessario, ma aveva da tempo smesso di farsi domande sulle scelte strategiche dubbie della popolazione magica. tanto che non batté cigliò manco di fronte all’improvvisa presenza di catene pericolosamente vicine al suo braccio; chouko mizumaki, per quel poco che ne sapeva, era un altro soggetto tutto particolare. lo aveva capito nel momento in cui si era presentata con un sorriso nervoso stampato in faccia ed entrambe le mani strette attorno a quello che pareva a tutti gli effetti uno strumento di tortura medievale. e ne stava avendo la conferma in quel momento, mentre tentava di scostarsi prima che la palla micidiale della ragazzina potesse impattare contro la sua, di testa, invece di quella del nemico.
    e allora. allora, con un sospiro a smuovergli il petto, cedette alla tentazione di cercare moka nella folla. quell’emerito coglione; lui e le sue scariche elettriche che quasi non lo avevano fatto fuori più volte di quanto gli piacesse ammettere. lui e le sue cazzo di sparizioni immotivate, e — corrugò la fronte.
    assottigliò lo sguardo.
    piegò appena il volto nella sua direzione.
    quasi effetto collaterale, la confusione che tramandò telepaticamente al tipo di passaggio. perché aveva un po’ di punti da sollevare, javier. iniziavano tutti con la bandiera americana drappeggiata sulla sua figura, e finivano con il genere di bestemmie sottovoce che il telly era solito tirargli fuori.
    ma perché.
    ma perché.
    «sentite.» e batté le palpebre, cercando di scacciare quell’immagine frutto, evidentemente, di strane fantasie del subconscio. «è troppo presto per pentirmi di essere qui?»
    (no.)
    Ma l’amaro torna Ed è la prima volta
    La vita che mi togli Passa dalle mani
    Ma tu già lo sai Che io non sarò mai
    Un porto sicuro In un mare calmo


    (14) DIFESA GREY (giacomino + javi): calcio del fucile nel fianco per destabilizzarlo
    ATTACCO GHALI (chouko): mazzata in testa

    (19) DIFESA ELLIS (javi + mina ): gli passa un po’ di sana confusione telepatica
     
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68 replies since 24/2/2024, 00:00   1440 views
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