«mi hai rotto i coglioni»
E quello, signori miei, era la prova che Theo e Kaz stessero finalmente diventando amici. Il Kayne era una persona semplice, e gli ci volle davvero poco per portare gli angoli della bocca ad accennare un sorriso che prometteva poco di buono, e di innervosire ancora di più lo special, prima di sussurrargli piano: «sembra che ti stia contagiando,» perché insulti e botte e leccate e sputi era il love language di Theo Kayne, e Kaz Oh stava rispondendo perfettamente, quasi un madrelingua anche lui. «in realtà ti piaccio, lo sapevo.» Probabilmente no, ma il grifondoro era troppo pieno di sé per poter pensare al contrario. Gli diede un buffetto con la spalla, dopo avergli pulito (ovvero: spalmato per mezza faccia) un po’ di sangue che colava copiosamente su denti e (orribile) camicia.
«non puoi comportarti sempre così, devi iniziare a controllarti. Viviamo in una società»
Lo squadrò appena, sopracciglia scure ad aggrottarsi, come se non capisse dove volesse arrivare: Theo era una persona civilissima, nella società ci calzava a pennello (no). «sai che noia se fossimo tutti bravi a eseguire gli ordini? lo faccio per loro,» un plurale generico che poteva andare dai professori agli adulti della resistenza, fino alle forze dell’ordine, «li tengo sempre in movimento e non li faccio annoiare.» Non che si aspettasse comprensione da parte dell’Oh.
Che poi, che ne sapeva lui: Theo, quando voleva, sapeva essere un soldato perfetto.
Il problema nasceva dal fatto che lo volesse troppo poco spesso.
E quindi, immaginava che non si sarebbero fatti le unghie e scambiati i segreti, quindi. Mah, peccato. Kaz fingeva persino di non sentirlo, e poi era THEO quello immaturo. Non gli interessava la sua teoria sulla pioggia? Beh, peggio per lui: Theo sapeva di aver ragione. Si fece comunque trascinare in piedi, in effetti iniziava a non sentire più l’osso sacro a furia di star seduto, ma pur sempre perso nei suoi (terribili) pensieri. Solo alla fine, quando sentì il lumocineta avvisarlo che ce ne fossero altri, allora si riscosse dal torpore.
«cosa? dove? chi sono?» e seguì le indicazioni di Kaz, correndo insieme a lui verso la finestra. A quanto pare, era in corso una sorta di riunione di condominio e lui si era perso svariati pezzi per strada. Tra l’altro, senza occhiali non vedeva praticamente nulla, perciò impossibile dire chi fossero; poteva solo riconoscere le sagome di qualcuno che si sbracciava per chiedere cose. E Kaz, being Kaz, rispondeva sbracciandosi a sua volta. «ma quale inchio– ah» ci arrivò con un attimo di ritardo, ma ci arrivo. E poi sorrise. «se vuoi posso continuare, vedi che so come rendermi utile se voglio?» era davvero… davvero qualcosa.
Poi si strinse nelle spalle, tornando verso il letto e afferrando uno dei cuscini, per rubare la federa e usarla come foglio di fortuna. «vieni qui,» disse, ma agì prima di dare tempo all’Oh di avvicinarsi, e passò una mano sul suo viso per raccogliere abbastanza sangue da scrivere qualcosa di utile. «eh?! perfetto, no?» gongolò infine, osservando le lettere traballanti e poco comprensibili che avrebbero dovuto recitare: AUTIO NO MAGIA, e invece sembravano un’accozzaglia casuale di geroglifici.
Perché era tante cose, Theo Kayne, tra cui spettacolare e divertente e affetto da disgrafia. «dici che capiranno? proviamo?» E avrebbe davvero fatto un (fallimentare tentativo) se uno sguardo familiare ai piedi del letto, qualcosa che non aveva notato fino a quel momento, non lo avesse distratto dalla missione.
«quello cos’è–» chiese, inchinandosi già per raccogliere il foglio piegato, e dispiegarne i lembi fino a leggere il contenuto.
O meglio: fino ad osservare la foto di una persona che Theo conosceva molto bene, perché era la persona che, idealmente, avrebbe dovuto capitanare grifondoro al posto suo. Nahla.
Scomparsa.
Dal quattordici febbraio.
Quello riusciva a leggerlo persino lui che faticava a riconoscere lettere e numeri.
Lo mostrò a Kaz, sguardo incupito e preoccupato, mentre presumibilmente tornavano alla finestra per mostrare un messaggio che fosse comprensibile dalla razza umana. «questo significa che non è più il quattordici» disse, capitan ovvio. «kaz… da quanto cazzo di tempo siamo qui? c’è nahla tra le persone che hai visto alle altre finestre? cosa straminchia sta succedendo?» e quanto, di preciso, erano fottuti?