lost among our winnings

@dallas / ft jeremy

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    1990

    deatheater

    quidditch
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    Incredibile, quanto tempo si aveva a disposizione quando non si passava la maggior parte del tempo in palestra o sul campo. Il passaggio da giocatore professionista ad allenatore era stato un aggiustamento per Hayes, specie quando si era ritrovato ad allenare la squadra di quidditch di Hogwarts. Per carità, bravi ragazzi, ma subpar per gli standard del Carter– ma erano standard alti, impossibili quindi non gliene faceva una colpa. Il fatto che si fosse trovato ad occupare la posizione del fratello, poi, portava con sé tutta un’altra serie di problemi. Il suo rapporto con Jeremy era sempre stato fragile, ma non per questo meno importante per l’uomo. Era consapevole di averlo abbandonato a badare alla madre, di aver voltato le spalle alla sua famiglia nel suo inseguire il sogno di una vita, e non aveva mai saputo come chiedere scusa. Preferiva le azioni alle parole, e l’uscita di quel pomeriggio era la lunga lista di un tentativo di rimediare ad anni di abbandono: cercare di ricostruire qualcosa con Jeremy, dopo che il mondo era andato a puttane per entrambi. Probabilmente nemmeno se la meritava quella opportunità, ma in famiglia erano sempre stati un po’ sottoni (parola non giusta ma sai cosa? rende l’idea). «volevo cambiare un po’» quella, la spiegazione che diede al fratello stringendosi nelle spalle, quando gli chiese perché l’hockey su ghiaccio «troppo quidditch stanca dopo un po’» e se il sorriso che rivolse a Jeremy era un po’ più largo del solito, un po’ più forzato, non doveva saperlo nessuno. Aveva respirato e vissuto quidditch per più di un decennio, da quando era stato capace di stare in equilibrio su una scopa, non esisteva troppo quidditch per lui. Ma assistere a una partita professionale dal vivo? Non sapeva se fosse pronto, o se lo sarebbe stato nel prossimo futuro. «vedi la squadra verde? noi tifiamo per loro. i blu sono degli infami, e il loro allenatore ancora di più» avrebbe potuto elaborare meglio? Sì. Ma Elisa no.
    Like a drunken ballerina
    who's too tired to dance
    But keeps on
    getting up to see if
    Anybody stuck
    around to see
    A show that has been
    over now for days
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    31.08.1999

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    deatheater
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    kodaline
    Dopo aver armeggiato per diverso tempo (non abbastanza, e più di quanto fosse necessario) con la cannuccia nel bicchierone di carta, sorseggiò rumorosamente la Coca-Cola senza distogliere lo sguardo dal campo davanti a sé. Gli occhi acquamarina nascosti dietro le lenti degli occhiali da sole ed il busto piegato in avanti, con i gomiti premuti sulle gambe, Jeremy Milkobitch sperava che continuando ad assistere alla partita, al disco nero slittare sulla pista di ghiaccio assieme ai giocatori e i loro pattini, questa potesse avere un effetto ipnotico sulla sua psiche – magari insinuandosi laddove la Siberia aveva lasciato delle crepe, che dopo tutti quei mesi ancora non si erano rimarginate come gli dicevano avrebbero dovuto fare: non del tutto, ma almeno un po’; quante cazzate. Che lo facesse addormentare, o che al contrario lo prendesse così tanto da iniziare a seguire realmente il gioco, gli era del tutto indifferente. Un effetto valeva l’altro, dal momento che nemmeno sapeva per quale assurdo motivo fosse lì.
    O meglio: per quale assurdo motivo avesse accettato di essere lì. Sfumature logiche di vitale importanza, se adattate al contesto.
    Non che avesse alcunché di meglio da fare. Stare con Arci e Bells era senza dubbio la sua cosa preferita – sempre, ma in quel momento storico delle loro esistenze un po’ di più –, ma reggeva poco la scusa che dovesse aiutare la francese ventiquattro ore al giorno con cose varie, dal momento che era stata cieca per più di metà della sua vita e non aveva bisogno del supporto suo o di nessun altro (al massimo era il contrario), e non poteva di certo attaccarsi al culo dei suoi migliori amici o di Run vita natural durante. Poteva cercarsi un lavoro, o pensare di riprendere in mano il locale che aveva rimesso a punto con Erin e Chouko: era vero che la vita da disoccupato non facesse per lui, ma al contempo non sapeva come muoversi, cosa fare, come esistere in quanto mera pedina in un mondo sempre più stretto e caotico. Avrebbe voluto rimettere a posto molti pezzi del mosaico lasciati cadere a terra due anni prima, mescolati durante la sua assenza e lasciati a prendere la polvere da quando era tornato a casa, incapace di dedicarsi a tutto ciò che aveva lasciato in sospeso, o che aveva perso sparendo di punto in bianco – ma se cercare un’occupazione gli sembrava impegnativo, quello lo superava di gran lunga. Doveva parlare con Stiles, ma dopo tutto quel tempo non avrebbe nemmeno saputo da dove iniziare – se iniziare, o continuare, o qualsiasi cosa fossero stati e diventati.
    L’alternativa era starsene sul divano, insomma.
    Sempre meglio di andare fino a Dallas, nel fottutissimo Texas, con Hayes John Carter.
    Arcuò le sopracciglia, all’esternazione del sentimento di voler cambiare un po’ in risposta ad una domanda che non gli era mai stata posta davvero, e che aveva estrapolato da un più generale, ma ben specifico, “perché siamo qui?”. Al geocineta non fregava un cazzo dell’hockey sul ghiaccio, e tantomeno gli interessava sapere perché l’allenatore di Hogwarts – ironico, quasi esilarante, che dopo il suo rapimento fosse stato scelto proprio lui per ricoprire quel ruolo – avesse deciso di guardare una partita di quello sport.
    «troppo quidditch stanca dopo un po’» soffocò la risata in un ghigno sarcastico, denti scoperti a mordere la cannuccia. Pareva quasi ci credesse davvero: chissà quante volte doveva averla provata allo specchio, per non farsi prendere un embolo al cervello nel dirla ad alta voce e con molti testimoni. «se lo dici tu…» su una cosa, senza dubbio, erano simili: il Quidditch non era mai abbastanza, per Jeremy. Aveva deciso di non giocare professionalmente, ma non significava che lo avesse seguito di meno, ed aveva dato anima e corpo nell’allenare le stelle nascenti della nuova generazione.
    Con gli occhi chiari ed una madre defunta, terminava tutto ciò che poteva accomunarli.
    « vedi la squadra verde? noi tifiamo per loro. i blu sono degli infami, e il loro allenatore ancora di più» bevve ancora un sorso, anche solo per tenersi impegnato e sveglio. «wow, grazie per l’informazione,» e se il tono di voce non aveva alcuna inflessione, non vedeva come potesse essere un problema suo. «ora posso davvero fingermi interessato!» sorrise appena al fratello, mostrandogli tutta la sua bravura nel simulare.
    Lasciò passare qualche istante, forse qualche minuto, durante i quali registrò passivamente gli eventi a susseguirsi sul campo di ghiaccio senza proferir parola. «sul serio hayes,» tornò a giocherellare con la cannuccia, senza guardare né lei né il maggiore. «perché siamo qui? se ti serve qualcosa, caschi male.» dubitava uno come lui avesse bisogno di soldi, ma chi poteva dirlo di quei tempi – facile fosse finito in qualche giro malavitosi sotto steroidi. E di certo, cascava male anche se quel qualcosa che gli serviva da lui era recuperare il tempo perduto o dirgli che gli dispiacesse o cazzate del genere: aveva perso il treno diversi anni prima.
    We're living different lives
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    If we'll make it back with all
    our fingers and our toes
    syldd
     
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