Troy Bolton non funzionava come il resto dei suoi colleghi speciali. Immaginava che se ci avesse provato, ed avesse mai partecipato attivamente, e non per mero senso di colpa, ad una lezione dell’Accademia, avrebbe potuto diventarlo, ma… avrebbe dovuto averne voglia, e non ne aveva. Allenarsi?! Sembrava terribile, ed altamente sconsigliato. Era consapevole di essere una chiaroveggente, e sapeva, per intuizione e cultura popolare, cosa avrebbe dovuto significare esserlo, ma sapeva anche usare il proprio potere? Nossignore. Non la più pallida idea di come utilizzarlo, anzi, diversi dubbi sul fatto che perfino la sua passiva fosse rotta: non vedeva mai un cazzo, e si trovava sempre nel posto sbagliato, al momento sbagliato. Conosceva chiaroveggenti costretti a uscire di casa con i guanti per evitare tocchi accidentali, e con essi il fiume di ricordi dell’oggetto o persona con cui avrebbero potuto entrare in contatto. Sapeva di persone in grado di fare predizioni esatte su numeri alla lotteria, e partite di Quidditch. Chi entrava nei sogni, manipolandoli per seminare caos e dubbi illeciti. Coloro che erano in grado di guardare una persona, e vederci il suo futuro. Lei? Lei. Doveva essere stata montata sbagliata, nei Laboratori: il suo terzo occhio, era miope. Forse, anche astigmatico. Pornhub, Gennaio duemilaventiquattro, sotto una bufera di neve nel centro di Londra, ad una Troy che aveva scelto di indossare la giacca senza cappuccio perché era più bella e si ritrovava bagnata fino al midollo ed oltre: «”domani ci sarà il sole”, uh?» Lo odiava. Lo - lo odiava. Strizzò i denti fra loro, nello sfilare il pupazzo a forma di orso dalla borsa a tracolla, assottigliando lo sguardo a due fessure nocciola che esprimevano solo violenza. Legittima, viste le circostanze. «sei la solita cazz-mpf» Soffocò il resto della prevedibile sentenza sotto uno spesso strato di neve, laddove schiacciò il peluche con l'intera suola degli scarponcini. Sfregò anche il piede a terra, poggiandoci tutto il proprio peso. Poco importava che l'orso non sentisse dolore: lo faceva per se stessa. Si sentì subito meglio, quando PornHub non ebbe più una bocca con cui insultarla. Ma perché cazzo Kosmo non tornava a riprenderselo. Non era il suo giocattolo preferito? E si, la Bolton puntava (idealmente, in un mondo in cui non le fosse richiesto fare attivamente nulla per meritarlo) all'eccellenza, ma sapeva anche quando cedere il podio ed accettare umilmente una medaglia di metallo. Pornhub poteva tenersi l'oro, l'argento, ed il bronzo; strozzarcisi pure, se proprio non sapeva cosa fare. Affondò il mento nella sciarpa, il naso arricciato nel sentire il tessuto grezzo pungerle le guance. Il fatto che cambiasse colore in base a cosa indossasse, la rendeva l'accessorio perfetto, motivo per cui, malgrado sembrasse fatta da un bambino e continuasse a pizzicarle la pelle, persisteva nell'indossarla. Non poteva permettersi di essere schizzinosa, considerando che non aveva un centesimo con cui aggiornare il suo guardaroba. Ma come, Troy, vedi il futuro...? Potresti essere Il Professore della casa di carta britannica...? Ed ecco che si tornava alla solfa del potere rotto, ed assolutamente inutile in qualsivoglia campo della vita. C'era da dire che la Bolton fosse brava a vendersi, e fosse in grado di guadagnare qualche spiccio come veggente di strada: aveva un buono spirito d'osservazione, ed abbastanza creatività da costruire una storia a cui il suo interlocutore tendeva a voler credere. Era brava a raccontare favole; un po' meno a viverle, come aveva dimostrato inseguendo un sogno che si era rivelato un incubo. Il Ministero, quando si era infine decisa a denunciare la propria esistenza, le aveva offerto un alloggio a New Hovel, ma le bollette non si pagavano da sole, e non poteva, come le era stato fatto notare più volte, continuare a scroccare pasti ai suoi amici. La necessità di liquidi l’aveva spinta ad esplorare le possibilità, e visto che non solo non aveva alcun curriculum da far fruttare nel mondo magico, ma neanche la testa adatta per essere una lavoratrice subordinata in uno dei numerosi locali della zona – figurarsi le istituzioni, non le aveva neanche prese in considerazione. - si era vista costretta a fare quello che le riusciva meglio: mentire, e truffare il prossimo. Sapeva cosa dicesse Gesù, ma sapeva anche cosa dicesse Wanna Marchi, e bisognava scegliere i propri soldati con cognizione di causa. Aveva un ufficio dove accoglieva i suoi clienti. Perfino un biglietto da visita, creato su Canva una delle numerose volte in cui era passata da Kyle a (assicurarsi che fosse vivo) scroccare computer e connessione, e nella disperazione del nuovo mondo, aveva trovato l’anfratto in cui splendere. Abby aveva distrutto gli schemi della società senza realmente prendere tempo per ricostruirli, lasciando macerie in ogni angolo. Le Bolton della Terra, esistevano per quelle nicchie, porto sicuro dove anime disperate potevano ricercare speranza e respiri. Trovava fosse un mestiere di tutto rispetto, quello della veggente; che le sue bugie fossero giustificate per il bene superiore. Tutti dicevano di volere onestà, ma Troy Bolton Hawkins, nella sua assurda vita, aveva imparato quanto quella fosse la cazzata più grande di tutte: la gente non voleva verità, solo la versione più dolce e morbida della verità. Una menzogna, insomma. La sua specialità. Si guardò attorno, manifestando il calore e la non percezione del proprio corpo così da non sentire quanto tutto, di lei, fosse surgelato, cercando la strada meno ostica da percorrere per raggiungere l’Inferius – beh? Pensavate che il suo ufficio fosse in centro? Doveva pur creare una ambientazione - quando qualcuno le toccò il polso. Delicato. «ti è caduto questo», immaginò avesse detto. Il suo cervello l’avrebbe elaborato così, quando fosse stato libero di quel - odore di bruciato. Tonfi secchi e sordi, e urla, e sirene, e allarmi. Fuoco. Flash brillanti. Ossa annerite. L’orizzonte di una città a metà. Macerie come molliche di pane. - vuoto, perché non c’era un modo migliore con cui definire lo strato fra realtà e sogno. Ricordo e futuro. Si allontanò così rapidamente da scivolare sui propri piedi, il sapore sulla lingua di ozono e aria umida. Battè le palpebre, riacquistando lentamente consapevolezza di dove si trovasse, e chi fosse. Guardò le proprie mani con meraviglia, ignorando la nausea alla bocca della stomaco. Troy Bolton era esattamente come gli altri chiaroveggenti, ma voleva dimenticarlo. Viveva le sue giornate ad occhi chiusi, forzatamente cieca. Diceva non funzionasse, perché preferiva incolpare Dio o chi per esso che ammettere fosse troppo per lei - lei, che ad undici anni era scappata di casa e si era unita al circo per conquistare il mondo. Il mondo era un posto crudele, e Troy non era abbastanza cattiva per il futuro ed il passato che aveva da offrire. Impiegava tutte le proprie energie a tenere i palmi premuti sulle palpebre abbassate, ma senza rendersene conto. Abitudine. Si stupiva più quando le braccia tremavano per lo sforzo e lasciavano la presa, offrendole spiragli di vite che non conosceva, ed avrebbe preferito continuare a non conoscere. Guardò le dita offerte per aiutarla a rialzarsi. Le ignorò, arrampicando lo sguardo blu lungo il braccio e la spalla, soffermandosi sui tratti fini, ed appena visibili sotto il cappuccio nero, di un volto pallido e giovane. Le rimase in bocca un sapore sconosciuto, che masticò ingoiandolo lenta. Jane Darko attese ancora un secondo, concedendo il beneficio del dubbio, prima di tirare le labbra in un sorriso divertito. Lanciò qualcosa - orso bastardo - ai suoi piedi, portando indice e medio alla fronte in gesto di congedo. Rimase immersa nella neve ancora qualche istante, le ingiurie di Pornhub a cullarla nella sua comfort zone. Un altro paio di secondi, e di quello scambio avrebbe dimenticato tutto. Forzatamente, ma non attivamente: il suo corpo rigettava quei brandelli d’onestà, perché anche Troy preferiva le minchiate alla verità. Umana, dopotutto. Quando fu abbastanza convinta (delulu is the solulu) di aver lasciato correre troppo la propria immaginazione, si scrollò la neve di dosso e si alzò in piedi. Vide che a terra ci fosse anche un ombrello, piccole scintille a percorrerne ancora i bordi prima di scemare. Non lo prese.
Aveva pensato di inserire nel biglietto da visita qualcosa tipo un mistico indovinello per farsi raggiungere dai suoi clienti, perché le sembrava le desse un’aria più professionale, ma si era ricordata in tempo del genere di persona che le faceva visita, e si era limitata ad indicazioni banali e molto semplici. (1. Entri nel quartiere maledetto dalla strada che affaccia su Dark Street 2. Al lampione, gira a destra 3. Più a destra: devi entrare nel vicolo stretto in fondo alla strada 4. Prosegui per il parchetto abbandonato. (nota a piè di pagina: ignora le altalene: so che siano una tentazione, ma sono infestate, e rischiano di farti perdere tempo. E qualche arto) 5. Alla tua sinistra c’è un palazzo fatiscente. Entra senza bussare. 6. Fai le scale. Terzo pianerottolo. 5A. Saprò quando sei arrivato… anzi, lo vedrò) Non aveva installato delle telecamere, costavano troppo, ma aveva investito parte del proprio (inesistente) patrimonio in uno zerbino collegato direttamente alle luci da parete: quando lampeggiavano, significava che era arrivato qualcuno. Si, l’aveva scelto apposta perché facevano atmosfera, quando dei clienti erano già presenti. Il fatto che non fosse una medium, non impediva a nessuno dei suoi avventori di trovarla inquietante e carismatica allo stesso modo. L’ambiente in cui accoglieva i compratori, era studiato: aveva lasciato le ragnatele, perché (era pigra) credeva donassero fascino alle pareti in rovina, e non aveva toccato praticamente nulla di quanto già non avesse trovato al suo primo arrivo, così che (non si stancasse troppo: funzionava a risparmio energetico) inquietanti quadri vuoti dessero il benvenuto alle anime smarrite che le facevano visita. Ogni tanto spolverava, giusto perché rovinava il mood mettersi a tossire nel mezzo di una premonizione. Non voleva mica il lazzaretto. Le luci lampeggiarono. Sistemò i capelli, tirandoli all’indietro con una manciata di gel fissante. Si schiarì la voce, e sciolse i muscoli del viso forzando espressioni facciali al nulla. Ignorò le lamentele di Pornhub, nascosto sotto al tappeto come un segreto di cui si andasse particolarmente poco fieri. Andò ad aprire la porta prima che il cliente del giorno avesse modo di suonare il citofono (bene, perché non funzionava): «sapevo fossi tu» mormorò in tono basso, e solenne. Chissà chi cazzo era. «entra pure. accomodati» Indicò l’interno dell’ufficio con un ampio e drammatico movimento del braccio.
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