Everyday I put on my silly little outfits and do my silly little tasks

veena x who? [libera]

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    L'incontro di lavoro fantomatico era andato... come al solito. Erano volate tante parole forti - di uomini davvero strani - ma il succo era più o meno sempre lo stesso quando eri una libera professionista nel campo del recupero crediti. Ora che il Mondo Magico e quello Babbano si erano coagulati in un unico, ribollente ed eterogeneo sistema distopico, le possibilità per chi lavorava nei bassifondi dell'illegalità come lei si erano inevitabilmente moltiplicate. E per quanto Veena non fosse un'amante della routine, se c'era qualcosa che non smetteva mai di essere divertente era la violenza gratuita.

    Essendo venuti a mancarle i benedettamente versatili poteri magici, c'erano tante cose per cui toccava arrangiarsi. Non poter insonorizzare le stanze a piacimento, per esempio, era una mancanza difficile a colmarsi davvero, anche quando triangolavi la fascia oraria giusta e il casolare abbandonato giusto del quartiere abbandonato più amato dagli italiani gettonato di sempre.
    Lo sfortunato di turno, un uomo (derogatory) sulla quarantina che non ha davvero la necessità di essere descritto, aveva strepitato e pianto come un vitello a intermittenza più o meno da quando si era risvegliato dal sonnellino providenziale che lo aveva permesso di trasportarlo fino a lì - belle le droghe, belle davvero, grazie Babbani, e poi dicono che non servite a nulla e andreste deportati nei campi di lavoro. Cosa? Cosa.
    Ora, una cosa molto bella ed utile dei maghi era che, malgrado la loro possibilità di accedere a facoltà sovrannaturali estremamente poliedriche, senza bacchetta valevano meno della sedia cigolante e tarlata su cui la Special stava seduta al contrario, con le gambe divaricate e il ventre poggiato contro lo schienale.
    « Pausa, dai. » decretò infine la donna con un sorrisetto affilato, mentre le lingue di tentacolare oscurità che comprimevano la cassa toracica dell'uomo si allentavano con vaga pigrizia, aumentando lo sconforto e il terrore della povera vittima. Qualcosa di non dissimile dal segno livido che gli aveva lasciato attorno al collo doveva essersi manifestato, dopo tutto quel tempo, anche sulla pelle coperta dai vestiti a cui ora stava dando della momentanea tregua; era sempre un peccato rendersi conto di quanto la sua arte fosse di temporanea durata, soprattutto quando la mandavano a pizzicare maghi che potevano farsi sparire le ferite con due colpi di bacchetta come se non fossero mai esistite. « Shhhhh. » intimò, con l'indice davanti alle labbra, mentre un ennesimo tentacolo scuro usciva abbandonava la cavità orale, non tanto in profondità da soffocarlo ma abbastanza da farlo stare in silenzio. L'uomo, per tutta risposta, seguì comunque l'impulso atavico di uggiolare di paura non appena ne fu fisiologicamente capace.
    Poi giunse un guaito soffocato sofferente, subito dopo.
    Corvina gli aveva stampato una delle suole chiodate degli anfibi su una rotula con una veemenza tale da replicare il dolore di quando gliel'aveva spaccata la prima volta, circa un'oretta e mezza prima. Se non aveva urlato, era solo perché non aveva letteralmente più fiato.
    « Non t'ammazzo solo perché sennò non mi pagano. Mh? » era diventata improvvisamente seria. Irritata, quasi. Durò qualche istante, prima che tornasse a distendersi in uno dei suoi sorrisi melliflui. « Piangi, prega, svieni, fai quello che vuoi - basta che lo fai in silenzio. Tanto oggi non tiri le cuoia, è solo un avvertimento. » anche se, come detto, l'Inferius era un quartiere fantasma ed era oramai il cuore della notte, era un attimo con quelle urla ad essere trovati dalla persona sbagliata.
    Non che ci fossero molte persone giuste a cui fosse facile spiegare un tizio pesto, legato ad una sedia, in un casolare abbandonato e polveroso, si intende.
    sooner or later you're gonna tell me a happy story. i just know you are.

    Non fate domande, avevo una visione. Sì si ambienta lo stesso giorno dell'altra libera ma: di notte. Non fate domande davvero.
     
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    In quel momento, Hae-il si sentiva un ribelle.
    Ok, tecnicamente era sempre un ribelle, ma in quello specifico frangente, seduto sui talloni in un vicolo buio di Inferius, con un cacciavite stretto tra le labbra e altri due stretti ognuno in una mano, ad armeggiare con la sua ultima invenzione, si sentiva un po’ più ribelle. Specialmente, poi, se suddetta invenzione era stata ideata per assistere la resistenza in battaglia, e anche nella vita quotidiana, certo.
    Ma quelli erano dettagli.
    Lo erano?
    Forse, non che al Kang interessassero piccole quisquiglie come quelle, infondo: lui era sempre proiettato già al dopo, al successo, al nuovo grande progetto che attendeva solo di essere realizzato. Gli unici dettagli che davvero gli importavano erano quelli riguardanti i suoi stessi lavori, e solo perché erano sempre le piccole cose a fare differenza tra successo e fallimento. Ed era proprio per quello che, in quel momento, stava chino sul suo magi-drone a sistemare ancora una volta quel maledetto microchip che non ne voleva sapere di fare il suo dannato lavoro. Ora, Kyle poteva apparire leggermente ossessionato dal suo lavoro, da fuori, ed era esattamente così: non tollerava i margini di errore, e cercava sempre di portarli a zero, quando e come possibile.
    Quel drone di teletrasporto, non era da meno: ideato con lo scopo di scambiare in tempo reale messaggi e piccoli oggetti tra i membri della resistenza, era (almeno sulla carta) più sicuro e meno intercettabile della smaterializzazione o di qualsiasi altro incantesimo di trasferimento, perché non lasciava dietro nessuna traccia magica — sempre: almeno sulla carta. Purtroppo, i test condotti quella notte dimostrarono che ci fosse ancora del lavoro da fare riguardo il drone, perché nonostante fosse un progetto top priority (almeno per Kyle; dubitava a Boss Barrow interessasse così tanto), portava con sé ancora così tante imperfezioni e problemi che sarebbe stato difficile poterlo replicare in larga scala e metterlo a disposizone della milizia ribelle entro breve. E Kyle non era assolutamente la persona che accettava di rilasciare cose fatte a metà solo perché non c’era abbastanza tempo, duh. Affrettare le cose e rischiare di compromettere i colleghi? O peggio, che tramite la traccia (presente, seppur flebile) di energia che il drone lasciava dietro dopo la sua smaterializzazione, potessero risalire a lui? Ma perfavore: Kang Hae-il, per gli occidentali solo Kyle, era molto più intelligente di così.
    E la perfezione non andava affrettata, mai.
    Aveva tutta la notte per provare il drone; e tutte le notti dopo quella, l’insonnia cronica di cui soffriva finalmente a dare i frutti della sua discutibile utilità.
    Con il cacciavite nella mancina strinse la minuscola vite, resa visibile solo ed esclusivamente dal raggio di luce proiettato dagli occhiali che Kyle indossava — l’unica cosa, a mani bassissime, che aveva impedito al mago di diventare cieco stando dietro a componenti spesso microscopici. Li tirò sulla fronte, chiudendo lo sportello del drone ed osservandolo nel buio per accertarsi fosse tutto al proprio posto e pronto ad un nuovo salto spaziale, poi con un fischio basso richiamò l’attenzione di Hiro (il suo cane— vedete, non era un mostro! approfittava di quelle uscite anche per portare Hiro a fare una passeggiata, duh!!) e il cane, ormai addestrato dai numerosi tentativi svolti, corse alla propria postazione e iniziò a scodinzolare, in attesa.
    Suo malgrado, Kyle sorrise alla cieca fiducia e obbedienza del cane: a che servivano gli esseri umani, quando poteva avere un Hiro?! «bravo ragazzo, ora preparati…» sfilando la bacchetta da dietro l’orecchio, dove era tenuta ferma incastrata nella fascia elasticizzata degli occhiali, impostò le coordinate con un gesto fluido del polso e sussurrò l’incantesimo per attivare il meccanismo di teletrasporto. L’istante successivo, il drone (e la pallina che aveva legato ad esso) arrivavano da Hiro, che tutto felice la riportava al padrone.
    Mentre accarezzava il manto peloso del cane, e osservava lo spazio vuoto di fronte a sé con una particolare lente d’ingrandimento per accertarsi che il residuo di energia fosse (pari a zero, in un mondo perfetto) minore rispetto al test precedente, pensò che il prossimo passo in linea di priorità doveva essere quello di rendere i droni già incantati, in modo che bastasse una sola parola per far scattare la magia e il meccanismo, e fossero fruibili anche dai ribelli special.
    Ma c’era ancora troppo residuo nell’aria, e quella rimaneva la priorità assoluta.
    «ancora una volta, Hiro» ma stavolta, avrebbe provato a far arrivare il drone un pochino più lontano, anche per testare i limiti di viaggio e l’effort che andava messo nell’incantesimo affinché funzionasse anche su ampie distanze — altrimenti a che cosa sarebbe servito?!
    Forse, col senno di poi, non avrebbe dovuto sottovalutare i vicoli bui di una Inferius non così deserta come immaginava il mago.
    «no, Hiro! Vieni qui!»
    Quando realizzò le intenzioni del cane, e lo vide scattare verso l’ignoto probabilmente attirato da suoni che solo lui era ingrado di percepire, Kyle imprecò a voce bassa sapendo già di essere in ritardo, e di non poter impedire al cane di infilarsi in qualche casino; ma lo seguì comunque (non prima di aver recuperato il drone, però, perché costava una fortuna e perché ci aveva dedicato un sacco di tempo e magia; non poteva mica abbandonarlo lì alla mercé di chiunque) fino a trovarlo all’interno di un casolare in condizioni pietose, e chiaramente centro di attività illegali nelle quali Kyle non voleva immischiarsi.
    Troppo tardi.
    Impossibile non spostare lo sguardo dall’uomo legato alla sedia, alla ragazza che sembrava confondersi con le stesse ombre, nera come una notte senza stelle, e poi di nuovo all’uomo che doveva aver visto giorni migliori. Ma sapete cosa? Non erano affari di Kyle.
    «sono solo venuto a riprendermi il cane.» disse, la voce prima di alcuna inflessione e sinceramente zero preoccupazioni per vittima e carnefice. Avrebbe dovuto, certo che avrebbe dovuto, ma sapete cosa? Aveva già un sacco di problemi, e se l’uomo non era un ribelle catturato, né qualcuno che gli fosse stato espressamente ordinato di salvare, l’avrebbe lasciato al suo destino. «andiamo, bello, su.» ciao amico, problemi tuoi.
    Kyle out?
    17.03.1998
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    alla prima role libera di veena, mi sono trattenuta perché ho pensato ci fossero altri con più bisogno di role per il censimento



    ma ora acab, ho voglia di conoscere veena on game sin dalla quest e dopo aver letto la scheda ne sono ancora più affascinata, quindi EKKIME!! I REGRET NOTHING CIAO ISETTINA
    mi dispiace solo averti mandato Kyle, ma sai cosa? non così tanto, perché mentre leggevo veena ho pensato subito che, tra tutti i miei pg, quello con cui potrebbe davvero andare d'accordo è proprio lui, perché infondo si somigliano, pur essendo ai poli opposti. immagino lo scopriremo insieme se è vero o no!!! SMACK
     
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    Sfiancato dalla violenza fisica subita, dallo shock dovuto al dolore e dal più banale terrore di morire in quel casino muffoso, il povero cristo ci mise davvero poco a perdere i sensi, non prima di venire colto da un sacro principio di piantino nervoso relatable che lo aveva lasciato a uggiolare sconsolato per un paio di solidi minuti.
    E a proposito di uggiolare... un cane.
    Un cane che sbucò dalla porta irrimediabilmente accostata vista la serratura completamente non funzionante.
    Bastò il suono deciso e stridulo dei cardini a far voltare Corvina verso l'uscio con gli occhi sgranati e le labbra strette. Il fatto che fosse un semplice animale la fece distendere di poco, per quella frazione di secondo che le necessitò per accorgersi che non era uno stupido randagio pulcioso ma un animale ben tenuto che, chiaramente, doveva essere scappato a qualcuno.
    Fece infine appena in tempo ad alzarsi, scavallandosi dalla sedia, prima che il presumibile proprietario del cane facesse il suo ingresso, guardandosi ben bene la scena, decidendo che quello non era proprio il posto dove voleva trovarsi e congedandosi con un paio di parole, portandosi dietro la sua bestiola.
    A quel punto, in onestà, era oltre che esterrefatta anche un po' offesa. Qual era il processo logico lineare che portava una presumibile persona qualunque come in quel caso pareva essere Kyle a farsi una passeggiatina notturna col cane in un fottutissimo quartiere fantasma? E perché proprio quando lei aveva da lavorare?
    Tutti irriverenti questi giovani di oggi.
    Kyle aveva la sua stessa età.
    Non c'era più religione.
    Più nessun rispetto.
    Eccetera, eccetera.

    « Ma che stracazzo...? » lo so, il suo retaggio purosangue pseudo-nobiliare traspariva particolarmente dalle sue raffinate scelte lessicali. Non serviva essere nelle Sacre 28 per accedere a quel livello di classe così alta. L'accento scozzese che permeava praticamente tutta la sua parlata, poi, era proprio l'ombrellino sul Mai Tai dell'impressione generale che dava di sé.
    Ebbe quella frazione di secondo inevitabile in cui non seppe davvero quale fosse la scelta migliore da fare. Una frazione di secondo, solo.
    In fondo, dove poteva volersene andare, una volta solo, il disgraziato legato come un salame a cui aveva ridotto le rotule a bricioline sul fondo del pacchetto di wafer?
    Ecco.
    Quindi Kyle fu inseguito. Inseguito, sì. Non di corsa, non ne vedeva ancora la necessità in fondo, ma a passi lunghi e ben distesi, sicuramente.
    Avrebbe cercato di recuperarlo finché non fosse riuscita ad afferrarlo per una spalla, e in caso, per quello, si sarebbe anche disturbata a slanciarsi in una mezza corsetta se il mago l'avesse costretta.
    « Fraterno amico mio, ti pare che posso permettermi di lasciarti scappare così? » non suonava particolarmente minacciosa, neanche la presa che aveva sulla sua spalla lo sembrava, perché in effetti non aveva intenzione di minacciarlo. Ancora. Non prima di capire se potesse rappresentare un problema lasciarlo andare così per la sua strada o meno.
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    Beh, che dire: Kyle la sua fugace apparizione l'aveva fatta. Un traguardo sociale che non figurava proprio in tutti i giorni del suo (personale) calendario; eppure quella casualissima sera di chissà che mese (letteralmente: non era proprio bravissimo a tenere traccia del tempo, il Kang) aveva permesso ad un altro essere umano di posare gli occhi sulla sua figura e domandarsi se fosse un ologramma, o una persona in carne ed ossa.
    Un dubbio, lasciatemi dire, più che lecito.
    Aveva persino recuperato Hiro, infilando due dita nel cinturino viola del collare per tenerlo fermo, ed era riuscito a non far cadere il drone, né a perderlo, mentre si riappropriava del suo (infame) cagnone. Lo considerava, tutto sommato, un traguardo.
    Non vedeva alcun motivo per cui dovesse rimanere lì, all’interno di un edificio chiaramente utilizzato per affari loschi e strani giri; uno come lui, un Kyle – ma in effetti, anche un ribelle –, faceva meglio a tenersi lontano da posti del genere. Avrebbe finito per ritrovarsi con tutta la colpa addossata, anche quando chiaramente non c’entrava nulla. Estremammente facile incolpare quello asiatico, uguale a centomila altri occhi a mandorla.
    E poi sì, c’era anche il dettaglio che lo spingeva a credere di avere un’altissima possibilità di fare la stessa fine del tizio legato alla sedia, se solo avesse deciso (per sbaglio) di intrattenersi anche solo un istante di più. Per sua fortuna, Kyle sbagliava molto di rado; e inoltre, conosceva già le priorità.
    (A scanso di equivoci: erano il drone, e il tentativo di ridurre al minimo il margine di errore e di residuo magico lasciato dalla sua smaterializzazione, non le condizioni psico-fisiche dell'uomo legato. Creatura estremamente egoista, il Kang.)
    Perciò sì: senza nemmeno riservare al povero malcapitato e alla sua aguzzina uno sguardo di più, Kyle girò i tacchi con tutta la calma del mondo e strattonò appena Hiro per invitarlo a seguire il suo esempio, come se qualche istante prima avesse interrotto una conversazione tra due amici di vecchia data che prendevano un caffé da Wizbucks e non un possibile crimine con annesso altamente probabile omicidio. Che, insomma, di quei tempi erano decisamente meno rari dei primi incontri, c’era da dirlo.
    Ad Inferius, poi, erano l’ordine del giorno!
    Il Kang aveva imparato da un pezzo a non farsi domande: raramente le risposte gli (interessavano) piacevano.
    Purtroppo, non ricordava molto spesso che la sua filosofia del “vivi e lascia vivere non ti immischiare in affari non tuoi” non veniva rispettata proprio da tutti; e anche che, di base, alle persone non piaceva essere interrotti nel bel mezzo dei propri lavori. Nemmeno se per errore.
    (In realtà, in quell’ultima ottica poteva rispecchiarsi, e ritrovare perfettamente se stesso. Ma cosa avrebbe detto di lui, il fatto che riuscisse ad empatizzare con letteralmente nessuno, ma poi si ritrovava nei panni di una psicopatica?)
    Un'altra verità: il pensiero che la tipa potesse decidere di inseguirlo non era stato nemmeno tra i primi dieci nella sua mente, perché, onestamente? Credeva di aver fatto trasparire un messaggio abbastanza chiaro su quanto tutto quello che succedeva lì dentro poco gli interessasse.
    E invece, a quanto pareva, non era stato poi così chiaro.
    Prima che potesse raggiungere la porta sgangherata, si sentì afferrare per una spalla e – mannaggia, virgola. Ma perché succedeva sempre a lui?
    «Fraterno amico mio, ti pare che posso permettermi di lasciarti scappare così?»
    Con movimenti lenti e, francamente, esasperati, Kyle abbassò lo sguardo sulla mano che la sconosciuta aveva posato sulla sua spalla — gASP, senza chiedere il suo permesso! Doveva essere un vizio, quello. Non costava letteralmente nulla farlo, perché nessuno degli occidentali sembrava aver appreso quel minuscolo ma importante dettaglio essenziale che mandava avanti le regole non scritte del quieto vivere?
    Qualcosa era andato storto durante il processo evolutivo, era chiaro; l’educazione non sembrava essersi arrischiata a percorrere al senso contrario la via della seta.
    Si prese un attimo di tempo per tenere le iridi scure sulla mano sconosciuta, riservando tutto il fastidio e il disappunto che il suo viso privo di esperienza nell'esprimere emozioni potesse convogliare, e poi le portò sul viso di lei, con una calma che non avrebbe dovuto aver modo di esistere, in una situazione simile, ma trattandosi di Kyle era quantomeno… normale.
    «Le chiederei, per cortesia, di rimuovere la sua mano, signorina.» cortese, sempre e comunque. E a un paio di spanne (sopra.) lontano dagli altri, perché guai a lasciarsi andare quel tanto che bastava a far avvicinare qualcuno. «Deve avermi scambiato con qualcun altro di sua conoscenza,» succedeva davvero fin troppo spesso; e pensare che, per gli standard coreani, avesse persino dei tratti poco comuni! «non mi pare di conoscerla,» figurarsi poi essere amici fraterni. Ma chi era? Batté le palpebre due o tre volte, in attesa di essere liberato dalla presa (e, nel caso in cui ci fossero voluti più dei tre secondi che era disposto a concedere, si sarebbe scrollato via la mano — pur sempre con educazione, eh!), poi parlò ancora, piano e scandendo le parole in un accento quasi perfetto, perché erano poche le cose in cui Kyle non riuscisse alla perfezione. «Inoltre, non stavo scappando un termine vile, e vigliacco!, «stavo semplice proseguendo con la mia serata, lasciandole la possibilità di fare altrettanto.» che, tradotto, veniva più o meno così: lasciami tornare a giocare con i miei robot, e tu torna a spezzare ossa, a nessuno interessa abbastanza dell'attività dell'altro per pestarci i piedi a vicenda.
    Ma non lo disse.
    Era Kyle!
    17.03.1998
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