allora.
avrete senz'altro molte domande.
come si erano conosciuti clay e diàz? quante volte il ragazzino aveva già chiamato l'altro papà? cosa accidenti ci facevano i due al lilum? tutti questi sicuramente interessanti, ai quali cercheremo di dare risposte per niente soddisfacenti e assolutamente incomplete — non tutti gli headcanon si possono davvero elaborare.
tanto per cominciare, ci sono già dei dubbi sul come, perché non ho ancora ben capito se baby Hector bazzica per il quartier generale o meno; nel dubbio, non sorprenderà nessuno sapere che il morales aveva attaccato bottone per primo. vuoi un'affinità intrinseca dovuta alla loro comune nazionalità, vuoi il fatto stesso che il faunocineta fosse stato in guerra — un fascino terribile, ma irresistibile, soprattutto per chi come il diciassettenne non ne aveva preso attivamente parte. e forse, il loro conoscersi e trovarsi era dovuto a quella che clay non avrebbe mai ammesso essere la continua ricerca di una figura paterna.
certo, ora sapeva chi era sui padre.
conosceva il nome dell'uomo, dove lavorava, persino come si muoveva.
ma Edward Moonarie non poteva essere il papà dell'anno, e mai lo sarebbe diventato: aveva visto decisamente troppe cose, il cinetico, il naso premuto sulla vetrina del BDE mentre l'uomo in questione sputava nelle vaschette del gelato. si era detto che poteva comprenderlo, avvicinarsi abbastanza da condividere una vita, ma la verità nuda e cruda era che Eddie gli faceva paura. non aveva paura di niente, non esisteva nulla al mondo capace di scalfire la superficie — come poteva già solo questo (senza contare il fatto che provenisse direttamente dall'inferno) non terrorizzare a morte chiunque?
questo ci porta rapidi come criceti su una ruota alla seconda domanda: tante è la risposta. la prima volta che aveva chiamato diàz papà, si era limitato a negare l'evidenza («If anything I see you as a "bother" figure cause you're always bothering me.»), gonfiando il petto nell'espressione più tipica dell'orgoglio adolescenziale. alla seconda si era scusato. la terza aveva scatenato in entrambi una crisi di ridarella incontenibile e apparentemente infinita.
da quel momento in poi, ogni volta che la parola magica si sostituiva al più ufficiale signor diàz senza che clay potesse fare assolutamente nulla per evitarlo, i due avevano deciso di tenere ciascuno per sé qualunque tipo di commento, un patto che non aveva avuto bisogno di essere stretto a voce alta.
e veniamo dunque alla terza domanda, quella da un milione di galeoni: cosa mai poteva aver spinto i due special ribelli a recarsi in quel del locale notturno. un uomo pacato, timido, un pathetic wet little meow meow; un diciassettenne con gli ormoni a palla ma tenero e soffice quanto una cheesecake giapponese — l'universo li aveva fatti trovare per poi spedirli senza troppi complimenti tra le cubiste e i divanetti in pelle dei privè. il fatto che avessero iniziato quella serata convinti entrambi di recarsi ad assistere ad un balletto classico, la diceva lunga sulla quantità di neuroni in libera circolazione tra i cervelli di entrambi [affectionate]
«kaz, pick me up, I'm scared» spalmato contro una parete, quasi perfettamente mimetizzato con una pianta di plastica grande quanto lui, clay non riusciva a fare altro se non guardarsi intorno convulsamente. alla ricerca di un'uscita, si, ma soprattutto del signor diàz (papà): un attimo di distrazione (e di distrazioni sotto quelle luci soffuse ce n'erano anche troppe), e se l'era perso. PERSO, capite? cosa avrebbe detto a William, se fosse riuscito a districarsi tra quel groviglio di persone e ballerini poco vestiti, tornando a casa senza Héctor con sé???? nemmeno gli passò per la testa l'idea che il maggior lo avesse abbandonato, perché era chiaro e palese che le dita di papà si fossero allontanate dal suo braccio per puro caso.
la stretta era stata, fino a pochi minuti prima, talmente convulsa che solo andare a sbattere contro un cameriere aveva ottenuto di scioglierla.
con un sospiro, e una bestemmia lieve nel cuore, il diciassettenne si fece forza abbandonando il muro, una mano a tuffarsi fra i riccioli color cioccolato —in mezzo a tutti quei corpi che si muovevano, vibrando a diverse intensità, clay riuscì ad individuare l'unica persona apparentemente poco incline a rendersi partecipe di quel brusio da api affaccendate. «ehilà! buonasera!» dovette alzare la voce per farsi sentire sopra al chiacchiericcio e alla musica, comunque senza successo; non gli piaceva particolarmente, ma aggiunse comunque alle parole anche un tocco lieve delle dita sulla spalla nuda ora al suo fianco. non voleva spaventare heloise o metterla a disagio, anche se probabile era tardi per evitare entrambe le cose.
oh, mommy «dcusi, sto cercando mio pad-» hmmmm la paura che scherzi può fare. ricominciamo «un mio amico. si. è tipo alto cosi» e fece segno con il fianco della mano tesa a toccare la propria fronte «capelli scuri, sguardo da Labrador.. sembra un bambino ma con la barba» reale «per caso l'ha visto? non lo trovo più» e mi ha smollato qui da solo, in questo luogo di perdizione che mette a dura prova i miei sensi, ma questo era meglio non dirlo.