morbus amoris

post prom '23 | 02.07.23 | with eri

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  1. the goblin.
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    Benedictus Deogratias
    Erisha Byrne
    In all of creation, all things great and small,
    you are the one that surpasses them all,
    more precious than any diamond or pearl.
    They broke the mold, when you came in this world...
    Benedictus non si riteneva intelligente, non lo era, un po’ perché farlo avrebbe significato peccare di immodestia e sovrastimarsi, un po’ perché realmente convinto della propria incapacità. Tuttavia, non poteva negare che, almeno in certi campi, non fosse del tutto digiuno di cervello. Anche perché, come gli diceva sempre Ficus, con tutti i libri che leggeva non poteva essere poi davvero così stupido (cosa che invece sosteneva Mona, anche se, naturalmente, in modo del tutto affettuoso, lui lo sapeva)!
    Eppure nessun libro lo aveva preparato a quello che stava per succedere. Ironico, visto che, da Cime tempestose in poi, lui ed Erisha avevano mostrato una predilezione forse un tantino sospetta per romanzi che parlavano di sentimenti e, nello specifico, d’amore. Paris l’aveva sfottuto in più e più occasioni, beccandolo con il naso immerso in quelle pagine, ma superati i primi istanti di imbarazzo Ictus si era stretto nelle spalle e aveva continuato a leggere. Gli piaceva farlo e gli piacevano quei libri. E, sebbene non volesse portare alla luce del sole quella consapevolezza, affrontarli in compagnia di Erisha aveva tutto un altro sapore.
    Anche lui, come lei, non capiva. O meglio, con tutta probabilità non voleva capire. Perché quel commento che gli era sfuggito dalle labbra, quella constatazione sul fatto che sì, era uno dei dormitori femminili di corvonero, ma quel solo e unico letto non poteva che essere quello di Eri, sottintendeva, che gli piacesse o meno, un’altra consapevolezza, una che non era abbastanza stupido da non cogliere. Insieme alla Byrne aveva letto abbastanza romance, nei mesi precedenti, da non cogliere quel trope così diffuso e, per quanto scontato, capace ogni volta di imbarazzarlo piacevolmente.
    «… stanza delle necessità?» Annuì quasi all’istante, senza rifletterci su, perché non poteva essere altrimenti. Gli ci vollero quindi parecchi secondi perché, però, quel nuovo elemento si sedimentasse in lui, unendosi al resto dei pezzi. Compreso il forte imbarazzo di Erisha, così forte che lei fu costretta a voltarsi verso il letto, il suo letto, per non doverlo più guardare.
    Perché era colpa sua.
    Era lui che, trovandosi senza realizzarlo davvero (ma forse sapendolo, nel profondo della sua mente traditrice) davanti alla Stanza delle Necessità, aveva desiderato che questa prendesse la forma che ora aveva messo Eri tanto a disagio.
    Era lui il pervertito. Lui, il cui sangue ribolliva ogni volta che la pensava, figuriamoci quindi quando era così vicina anche fisicamente. Lui, che ogni volta che chiudeva gli occhi, ma in realtà anche quando li aveva ben aperti sul mondo, non poteva fare a meno di raffigurarsela, e non sempre limitandosi ai suoi occhi e al suo sorriso. Lui, che ormai da mesi aveva scoperto che il suo corpo non era brutto e deforme e sbagliato solo fuori, ma anche dentro, perché reagiva in modi a cui non voleva neanche pensare, figuriamoci vedere, e che erano così dolorosamente piacevoli da rendergli la vita quasi impossibile, perché sapeva che solo accanto a una persona, solo con Erisha, sarebbero al contempo peggiorati e migliorati vertiginosamente.
    Il senso di colpa, per Ictus, era sempre stato una seconda pelle, tanto una corazza quanto uno strumento di tortura che si imponeva per proteggersi e per punirsi. Ma questo, di senso di colpa, era del tutto anomalo. Non si limitava a stringergli la gola e a fargli attorcigliare lo stomaco, a scatenargli quel sudore freddo che si spandeva fin nella punta delle dita; era fuoco bruciante nelle vene, veleno capace di diffondersi in ogni singola parte del suo corpo, risvegliandola.
    Per quanto debole, per quanto sbagliato, tutto ciò che desiderava era vederla sorridere di nuovo. A differenza sua, Erisha si mostrava sempre forte e fiera, bastava anche solo vedere come aveva affrontato quella nuova natura che le era piovuta addosso, per non parlare del fatto che fosse letteralmente andata a combattere in guerra; tuttavia, non c’era nulla di male nel permettersi di essere fragili, di tanto in tanto. E poi, se ora lei era tanto agitata, e imbarazzata, era solo colpa sua, ancora una volta. Cercare di farle capire, seppure in modo confuso e quasi sicuramente sbagliato, era il minimo che potesse fare per lei. Anche se farlo avrebbe quasi sicuramente significato rovinare tutto, e per sempre. Ma non era forse questo, l’implicito ma più vero regalo che poteva farle? Liberarla dalla sua presenza, dalla sua amicizia, da quel tumulto di emozioni e sensazioni che gli si agitavano dentro, e fin troppo spesso persino fuori, ogni volta che Erisha era in paraggi anche solo della sua mente.
    Da vero codardo le parlò mentre lei era ancora mezza girata, anche se non gli sfuggirono il tremore delle sue spalle e il profondo respiro che tirò. Ecco, era arrivato il momento. Quello in cui Erisha Byrne avrebbe finalmente capito che nulla, nulla nella loro amicizia aveva senso, quello in cui si sarebbe finalmente resa conto che una come lei non aveva nulla da spartire con uno come lui.
    Tuttavia, per un istante, si sentì più leggero, sapendo di aver confessato almeno una minimissima parte di ciò che sentiva. Aveva solo scalfito la superficie, certo, ma l’aveva comunque fatto. Per lui era già tantissimo, abituato com’era a essere sì cristallino e sincero, ma a reprimere tutto ciò che riteneva sbagliato e, ancora di più, immorale. Ma il sollievo durò solo un momento, perché nel frattempo Erisha si era girata e, in un battito di ciglia, e del cuore, gli era balzata vicino, con uno scatto che ricordava in tutto e per tutto quello che era stato l’animale incarnazione della sua anima e del suo potere. Senza rendersene conto trattenne il fiato e, incredibilmente, invece di sfuggire al suo sguardo la fissò, dall’alto al basso, così vicina, troppo vicina.
    «vuoi sapere come mi sento io, invece quando sono con te?»
    Impietosita? Impaurita? Annoiata?
    Disgustata?
    Probabilmente tutte queste cose, e anche molte di più, e molto peggiori. Tentò invano di respirare, gli incollati a quelli di lei. No, non solo ai suoi occhi… alla morbidezza delle sue guance, al naso piccolo e perfetto, quasi fosse stato scolpito da uno scalpello divino. E quelle labbra…
    L’aria finalmente passò per la sua gola, ma dovette pagare un pegno per quel transito. Gli sfuggì un gemito strozzato, proprio mentre Erisha lo toccava, a parole e ancora di più a gesti. Doveva aver sentito male. Lei non poteva avere detto quello che lui credeva di aver sentito. Eri avrebbe dovuto provare disgusto, appunto, per non dire schifo, nei suoi confronti. L’esatto opposto, dunque, del desiderio di stargli così vicina, in tutti i sensi.
    «mi sento maledettamente in colpa perché so che tu non pensi a me in quel modo ma starti vicino è… ubriacante, ed io sono astemia»
    C’erano così tante cose che avrebbe voluto, e, ancora di più, dovuto dire, e fare. Per farle capire che si stava sbagliando, prima di tutto. Si sbagliava a provare quelle cose, per lui, lui!. Si sbagliava a volerlo così vicino, a volerlo… com’è che aveva detto? Toccare?
    Dio.
    Tremò forte, incapace di fare altro.
    Ma soprattutto, Erisha si sbagliava credendo che lui non pensasse a lei in quel modo.
    Un altro brivido, e stavolta dalla gola gli risalì la più strozzata, la più stupida, la più assurda delle risate. Una sola, ma che bastava a fargli desiderare di essere inghiottito in quell’istante dal pavimento, per essere poi rinchiuso per sempre nella Sala Torture, buttando via la chiave.
    Non rideva di lei, ma di sé stesso. Dell’assurdità di quella situazione. Del suo maledetto, schifoso corpo, che invece di parlare, invece di aiutarla ad aprire gli occhi e a salvarsi, tremava e si scaldava e diventava molle e duro nei posti dove non avrebbe dovuto.
    Era lui quello ubriaco.
    Così ubriaco che quella sbronza non gli sarebbe mai passata nel tutto. Se lo sentiva nelle ossa, nel sangue.
    Se lo sentiva nel cuore.
    Ma tutto l’amore di carta e inchiostro di cui aveva letto, di cui avevano letto, insieme, non poteva prepararlo a quell’istante.
    Dapprima gli si offuscò la vista, forse per l’agitazione, forse per i capelli scuri come la notte di lei all’improvviso così vicini, intenti a sprigionare quell’intenso profumo che gli faceva girare la testa, che lo faceva, appunto, sentire ubriaco. Percepiva le mani di Erisha sulla camicia, ma mentre questa gli risultava quasi come un corpo estraneo, le dita di lei sembravano essere esattamente nel posto giusto.
    Non era sicuro a chi appartenesse quel respiro caldo, se a sé stesso o a lei, o forse a entrambi, a loro. Era tutto così sbagliato, eppure così giusto.
    Le sue labbra.
    Le.
    Sue.
    Labbra.
    Erisha Byrne lo stava



    baciando.

    Forse era morto e quello era il Paradiso. O forse, e più probabilmente, l’Inferno. Perché mai, mai, mai qualcosa del genere avrebbe potuto essere giusto. Non poteva esserlo. Non c’era nulla di giusto, di casto, nel desiderio bruciante che lo spingeva verso di lei, in quella fiamma che raggiunse le stelle nel momento in cui le loro labbra si toccarono.
    Ma allora perché si sentiva così bene?
    Stava così male da sentirsi bene.
    Ed era nel panico, perché non sapeva cosa fare, né tantomeno come farlo.
    Come si baciava qualcuno?
    Come si baciava Erisha Byrne?
    Sarebbe stato ipocrita, ipocrita e bugiardo, dire che non l’aveva mai immaginato. Anzi, vi aveva fantasticato su così tante volte, e con reazioni sempre peggiori, che alla fine era stato costretto a rinchiudere quel tumulto di immagini e sensazioni e sentimenti in un angolo della mente, un angolo così rovente da bruciarlo ogni volta che, masochista, non poteva fare a meno di sfiorare.
    Ma Ictus non aveva mai baciato nessuno, e non aveva mai avuto neanche intenzione di farlo. quel genere di cose non erano state fatte per lui. O meglio, lui non era fatto per quel genere di cose.
    Eppure non c’era nulla che desiderasse di più di sentire ancora e ancora le labbra di Erisha sulle proprie.
    Il panico si mescolò al fuoco dentro al suo corpo, all’emozione, alla felicità, all’eccitazione. Sarebbe stato immobile, se non fosse stato per gli infiniti brividi che, come piccole scariche elettriche, lo attraversavano.
    Si sforzò con tutto sé stesso di fare qualcosa, qualsiasi cosa, ma non sapeva neanche da dove cominciare, preso com’era dall’agitazione e dallo sconvolgimento. Premette le labbra contro quelle di lei, al contempo non desiderando altro ma sentendo il bisogno di molto di più, infinitamente di più. Un po’ meccanicamente, ma al contempo in modo istintivo, le sue mani cercarono, e trovarono, i fianchi di lei, stringendoli con delicatezza, attirandola più vicino.
    Pessima mossa, visto quello che stava succedendo al suo corpo.
    Quando alla fine capì di essere sul punto di svenire, senza più aria nei polmoni per la paura e l’emozione e quella tempesta che gli imperversava dentro, rendendo ogni centimetro del suo corpo bollente, a cominciare dalle guance solitamente pallide e ora del tutto in fiamme, si costrinse a scostarsi a malincuore dalla sua bocca, scoprendosi ancora capace di respirare, seppure affannosamente. «Scusami», le fece eco con un filo di voce, mettendo lentamente a fuoco il suo viso. Se possibile, era ancora più bella adesso, il volto arrossato e labbra gonfie, i capelli elegantemente fuori posto e gli occhi così brillanti da competere con le stelle. «Scusami», tornò a ripetere, sentendo le lacrime pizzicargli lo sguardo.
    Non riusciva ad articolarlo, ma avrebbe voluto scusarsi…
    «… per tutto. Lo s-so che non lo… volevi. Q-questo. Io. E… non sono… non sono capace. Non l’ho… non l’avevo…! … Mai fatto…» Come faceva a dirle che era stato il momento più bello della sua vita, ma che avrebbe capito se lei avesse voluto cancellarlo seduta stante? «Non devi preoccuparti… lo capisco, lo so che… ma giustamente non ti senti bene e sei triste e sconvolta e… qui… ci sono solo…» Di nuovo quella risatina strozzata, di nuovo un’altra fiammata a rendere il suo viso ancora più caldo e rosso. «… io. Ma va tutto… va tutto bene.»
    Non andava bene niente.
    E le sue mani erano ancora sui fianchi di lei.
    Li strinse appena, inavvertitamente, quando si rese conto di non star più fissando il suo viso, ma le sue labbra. Quelle labbra di cui sentiva ancora il sapore, quelle labbra che erano completamente diverse da ciò che aveva immaginato ancora e ancora, ma infinitamente meglio, infinitamente… vere.
    Non aveva minimamente idea di quello che stava facendo, o forse, di idee, ne aveva fin troppe. Non sapeva nulla, se non che quello che sentiva l’avrebbe prima ridotto in cenere, e poi spedito direttamente all’Inferno.
    Ma si incurvò, sempre di più, finché i loro respiri non tornarono a mescolarsi.
    Ignaro di tutto, a partire da sé stesso, posò di nuovo le labbra su quelle di lei.
    altair
    V year
    Ben10
    (God Must Have Spent)
    A Little More Time on You
    NSYNC
     
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