morbus amoris

post prom '23 | 02.07.23 | with eri

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. the goblin.
        +2    
     
    .
    Avatar

    Junior Member

    Group
    Ivorbone
    Posts
    51
    Spolliciometro
    +79

    Status
    Offline
    Benedictus Deogratias
    Erisha Byrne
    In all of creation, all things great and small,
    you are the one that surpasses them all,
    more precious than any diamond or pearl.
    They broke the mold, when you came in this world...
    «Non devi sforzarti, se non stai bene devi dirmelo»
    E invece quelle parole lo portarono a sforzarsi ancora di più. Di non piangere, in primo luogo, non solo per il suo essere un pg di Sara, ma soprattutto perché ne aveva davvero, davvero voglia. Proprio perché Erisha gli aveva posto quell’implicita domanda, una domanda che avrebbe dovuto essere normale, ma che per lui non lo era per niente.
    Stava bene?
    «Sì, sì, tranquilla, va tutto bene, davvero.» Sorrise, un po’ nervoso, ma la voce che gli uscì dalle labbra, così come il suo sguardo, era totalmente sincera. La cosa più assurda, di quella domanda, è che non era per nulla abituato a sentirla. O almeno, non davvero. A Bodie la cortesia era all’ordine del giorno, ma nessuno si scomodava a fare domande, specie poi se erano semplici convenevoli, allo strano ragazzino cresciuto grazie alla carità del sacerdote locale. A Hogwarts era un modo per parlare del più e del meno, tanto che, ormai, la gente non si sforzava neanche più di pronunciarla e, se lo faceva, era solo per educazione, vera o finta che fosse. Ma Erisha… Erisha era sincera nel porgliela. Era questo a sconvolgerlo. Questo e il fatto che lo chiedesse proprio a lui.
    Si inumidì le labbra, rendendosi all’improvviso conto di quanto fossero secche, al pari della sua gola, e cercò di mettere in ordine i pensieri. Odiava far preoccupare gli altri, a maggior ragione con altri si intendevano i suoi amici e, ancora di più, la geocineta. Anche perché… lui stava effettivamente bene. Anzi, a dirla tutta, non era mai stato meglio. Si sentiva accolto, capito, amato. Dai Ben10 e, anche se quasi non osava nemmeno pensarlo, persino da Erisha, almeno un po’. Eppure tutto questo lo faceva sentire anche in colpa, perché sapeva che avrebbe dovuto sentirsi amato da sempre. Qualcuno lo amava da lassù, proprio come amava tutto il resto dell’umanità e del creato. Lo sapeva, lo sapeva da sempre, e l’aveva anche sentito in più e più occasioni… ma non aveva mai provato quello che sentiva adesso.
    «È solo che...» «quel posto era diventato soffocante» Sgranò appena gli occhi, fissandola per un istante sorpreso, quindi annuì deciso. Soffocante era una definizione calzante per la folla rumorosa, quasi un mare, di studenti raccolti per il prom. Le voci, la musica, le luci, gli odori… Sentì la gola tornare a serrarsi quasi del tutto, mentre lo stomaco riprendeva a contrarsi con forza. Eppure, gli bastò guardare ancora Erisha perché quelle strette, per quanto dolorose e deliranti, assumessero una sfumatura piacevole. Mai avrebbe paragonato il modo in cui alle volte si sentiva in mezzo alla confusione, e soprattutto a tante, troppe persone, a ciò che provava costantemente quando passava del tempo con l’ex corvonero (e in effetti anche solo quando la pensava, cioè in quasi ogni istante della sua giornata, e spesso, se non sempre, persino durante la notte), ma, ora che rifletteva, avendo davanti agli occhi entrambe, non poté non vedere il parallelismo. Solo che da una parte il dolore era fine a sé stesso, mentre dall’altra faceva tutto il giro e diventava un calore che dal petto si irradiava per tutto il corpo, facendolo sudare e tremare al tempo stesso, impedendogli di respirare a dovere ma che gli faceva venire voglia di mettersi a urlare, o forse a cantare. «Tutte quelle persone… il rumore… sembrava essere finita l’aria, come se l’avessero respirata tutta e non ce ne fosse più per me e…»
    «io lo capisco se non ti allieta la mia compagnia»
    Rimase a labbra socchiuse, dimenticando quello che voleva dire, scordando il goffo tentativo che stava facendo di spiegarle come si era sentito nei cortili poco prima, perché convinto di aver sentito male. Cercò una conferma, o meglio, una smentita nello sguardo di lei, aggrottando inavvertitamente le sopracciglia. Gli occhi scuri di Erisha, però, sfuggirono ai suoi, lasciandolo a osservare le ciglia così folte e lunghe che adesso quasi le sfioravano le guance, tanto era concentrata a evitare il suo sguardo. «Perdonami, ma non credo di aver capito bene… Anzi, non ho capito proprio», cercò di esplicitare, sulla lingua un sapore amaro, il gusto della paura.
    Non voleva dire ad alta voce quello che credeva di aver sentito, perché era troppo orribile e, soprattutto, lo terrorizzava. La presenza che, da sempre, non allietava nessuno era la sua. Era impossibile che Erisha stesse rivolgendo a sé stessa quell’accusa. Forse, anzi, sicuramente era un modo gentile e delicato di fargli capire che era vero il contrario: era lei a non volere più passare del tempo con lui. O forse non l’aveva mai voluto, ma era troppo educata e generosa per scacciarlo. Persino adesso, quindi, non lo stava facendo davvero, con tutta probabilità per paura di ferirlo.
    Ma lì l’unica persona orribile era lui, perché invece di confortarla fu attirato dal movimento delle dita di lei, su cui si fissò. Non gli sembrava vero di averle strette fino a poco prima. Magari era stata proprio quella la goccia che aveva fatto traboccare il vaso: Erisha non poteva più sopportare il tocco viscido e gelido della sua pelle. Non con quelle dita piccole e affusolate, che ora giocherellevano con il nastrino appuntato sulla maglietta leggera, che copriva ma non nascondeva affatto la morbidezza al di sotto e…
    «ti ho trascinato qui senza che magari tu lo volessi, ho pensato solo ai miei interessi, quindi se vuoi tornare dai tuoi amici vai pure »
    «I miei…? Qui…?» Si sentiva, anzi, era, era così stupido! Perché non riusciva nemmeno a parlare? Non che fosse la sua dote migliore, anzi, ma da lettore accanito quale era doveva avere un vocabolario decente, se non altro. Però non era in grado di sfruttarlo. Così come non era in grado di confortare Erisha, né di dirle che era la cosa più bella che gli fosse mai capitata.
    E adesso era ancora più confuso, perché, intorno a loro, il blu e il bronzo facevano da padroni, delineando una stanza elegante e accogliente, curata nei minimi dettagli. Guardò Erisha in cerca di rassicurazioni, sebbene avrebbe dovuto essere lui a rassicurare lei, ma la vide e la sentì altrettanto confusa. «Non ne ho idea…? E come abbiamo fatto a entrare, visto che…» Si interruppe, arrossendo, a un passo dal baratro. Anche se con grande forza e ancora più coraggio Erisha aveva non solo accettato, ma abbracciato la sua nuova natura di geocineta, Ictus sapeva benissimo quanto il pensiero della vita che aveva sempre conosciuto, ma che ora le era stata strappata via.
    «Però c’è solo un letto», constatò, rendendosi conto di star fissando quella parte del mobilio. Quel posto sembrava in tutto e per tutto il dormitorio corvonero, ma, invece dei soliti cinque giacigli tipici di ogni stanza per studenti, qui c’era un unico baldacchino, sul cui copriletto blu finemente ricamato vi era poggiato un pupazzo a forma di pantera.
    Un pupazzo a forma di pantera identico a quello che aveva regalato a Erisha per il suo compleanno.
    Non era un letto solo e solo un letto. Era il letto di Erisha Byrne.
    Serrò gli occhi e cercò di prendere un bel respiro, sebbene l’aria faticasse ancora a passare, augurandosi che la pelle del suo viso non fosse così visibilmente rossa come il calore che vi bruciava sotto lasciava presagire.
    No.
    Anche se il suo corpo era un traditore che si stava agitando sempre di più (ma d’altronde cos’altro aspettarsi dalla carne?), Erisha doveva sapere. Non tutto, perché non aveva il coraggio, da fallibile uomo quale era. Ma doveva almeno provare a farla sentire serena.
    Espirò e riaprì gli occhi, cercando i suoi con la speranza che stavolta non gli sfuggissero. «Eri… non mi ha trascinato qui senza che io lo volessi. Mi hai… salvato. Là dentro stavo… stavo soffocando. Non so bene come spiegarlo, ma delle volte… quando ci sono tante persone… quando c’è tutta quella confusione… mi sento proprio male fisicamente, capisci?» Sapeva di stare mettendo per sempre un punto alla loro amicizia con quella confessione, ma se questo l’avrebbe fatta sentire meglio ne sarebbe valsa la pena. «Mentre quando ci sei tu… mi sento così bene da stare male.»
    altair
    V year
    Ben10
    (God Must Have Spent)
    A Little More Time on You
    NSYNC
     
    .
4 replies since 3/11/2023, 22:55   169 views
  Share  
.
Top