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ft. murphy

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    Bash avrebbe dovuto farsi gli affari suoi.
    Era sempre stato bravissimo, in quello; aveva campato – non necessariamente “bene”, ma di quei tempi era un lusso che pochi potevano permettersi; e di sicuro non sarebbe arrivato ai proverbiali cento anni, né desiderava farlo – fino a quel momento preoccupandosi solo di se stesso, perché scegliere proprio ora di smettere? Nessuno lo avrebbe ripagato, né a parole e men che meno monetariamente, per il suo coinvolgimento.
    E quello lo sapeva.
    Così come sapeva che non era stato unicamente il pensiero della riconoscenza, a muoverlo.
    Mandò giù in un solo sorso un altro shot di whisky e poggiò il bicchierino a testa in giù, in attesa del successivo: era stato abbastanza chiaro con il barista, quando gli aveva suggerito di provvedere a tenerlo sempre pieno fino a che Bash non fosse stato abbastanza lercio da non reggersi più in piedi. Non si era fatto scrupoli ad avvicinare il ragazzo e a sussurrare al suo orecchio quell'innocuo comando, di certo non si era preoccupato della possibilità che quello perdesse il lavoro per aver versato gratuitamente, ad un cliente, quasi un'intera bottiglia di Jack Daniel's — trovava che i suoi problemi, al momento, valessero eccome quel momento di debolezza che l’aveva spinto ad abusare del suo dono, e non c’era posto per i sensi di colpa o l’umanità.
    D'altronde, non era mai stato da Bash farsi scrupoli per ottenere ciò che voleva, e nonostante non fosse un grande fan dell'utilizzare il proprio potere per influenzare la volontà altrui – aveva altri modi per farlo, modi che gli procuravano meno mal di testa –, trovava ci fossero momenti in cui era semplicemente necessario.
    Come quello.
    Proprio come da programma, il ragazzo oltre il bancone si avvicinò per riempire il tumbler vuoto, mosso da un istinto che non si rendeva conto nemmeno di avere, ma il Baker non lo degnò di uno sguardo, più preoccupato invece a rivivere gli avvenimenti delle ultime ore, come se non avessero lasciato già un segno permanente su di lui: le abrasioni – laddove la pelle delicata si era scorticata, quando lo special era stato schiantato contro il muro diroccato – si sarebbero risanate nel giro di qualche giorno (non erano nulla di nuovo, per il ballerino) ma quanto vissuto sarebbe rimasto impresso nella mente a lungo.
    Si era trattato semplicemente di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato – storia della sua vita – in un giorno che sembrava partito come tanti altri (e quindi: male) in cui il fu Hilton non aveva immaginato, o messo in programma, di rimanere invischiato nel bel mezzo di uno scontro tra ribelli e Mangiamorte. Non era mai stato nei suoi interessi, né nella sua Bingo Card del 2023.
    E invece.
    Aveva ancora impresso sulla pelle, e dietro le palpebre se si concedeva di strizzarle un po’ più serratamente, gli attimi di scompiglio generati dall'apparizione improvvisa di un gruppo di pavor che avevano preso d'assalto uno stabile che affacciava sulla piazza di Hogsmeade; “un covo di ribelli”, aveva esclamato qualcuno, riportando quanto sentito nel trambusto generale. Ricordava le (lente, troppo lente) reazioni dei presenti, la sua compresa, e il modo in cui tutto era successo fin troppo in fretta.
    Non c'era stato nemmeno il tempo di mettere in sicurezza la zona, che una manciata di ribelli – a quanto pare nascosti davvero all’interno del palazzo – avevano risposto all’attacco delle forze dell’ordine, coinvolgendo loro malgrado anche i civili presenti nell'area, Bash compreso. In un secondo sulla piazza avevano iniziato a piovere detriti e incantesimi, ed era stato il caos: ognuno aveva cercato di salvare la propria pelle, qualcuno aveva tentato di portare in salvo bambini e anziani, i negozianti si erano rinchiusi nelle loro attività.
    Bash non era stato da meno, ma un’improvvisa esplosione nel terreno, troppo vicina alla sua posizione lo aveva mandato a sbattere contro un muro non lontano da lì, costringendolo a fermare la propria fuga ma, se non altro, spingendolo via dal centro della fottuta rappresaglia. Quando aveva trovato nuovamente l’equilibrio, svariati minuti dopo, aveva notato come tutto fosse ancora nel vivo ma non ci aveva messo molto a capire che la sorte non era affatto a favore di quelli con la maschera.
    Mandando giù l’ennesimo drink, Bash pensò che avrebbe dovuto davvero farsi gli affari suoi.
    Non era stato di certo quello che aveva inteso per “trovati uno scopo” quando, settimane prima, aveva letto la lettera scritta da se stesso; figuriamoci, era una creatura egoista e solitaria, lui. Non gli poteva importare di meno delle condizioni e del benessere altrui.
    Eppure.
    Eppure.
    In un momento di confusione – gli piaceva definirla così, per via della botta presa – aveva agito prima ancora di rendersene conto. Gli era bastato notare la figura di un ribelle, pochi metri più in là, accerchiato da tre pavor e chiaramente con le spalle al muro e senza via di fuga, per reagire; nascosto dietro il muro contro il quale era stato sbalzato, aveva preso di mira una vetrina non distante dal gruppetto e l’aveva fatta esplodere, utilizzando il proprio potere. Non un attacco, ma un diversivo — abbastanza da permettere al ribelle di sfruttare quel momento di confusione nella confusione e allontanarsi dai pavor.
    Stavolta fu lui a richiamare il giovane barista, e a chiedere un altro giro. «doppio.» Poi, prima che l’altro potesse andarsene, ci ripensò e lo fermò con una mano. «lascia la bottiglia.» tanto ormai; l’aveva già fottuto per bene nella testa, tanto valeva approfittarne fino alla fine.
    Avrebbe dovuto farsi i cazzi suoi, perché quella guerra non era nulla che potesse interessare un Baker qualunque. Non gli avrebbe portato nulla, se non tante rogne.
    E invece si era immischiato, convinto di poter fare affidamento sulla sua capacità di confondersi con l’ambiente; non era così. Perché sentiva uno sguardo su di sé da troppo, e non quel genere di sguardi che promettevano risvolti interessanti per la serata. No, erano le attenzioni che di solito non portavano nulla di buono. E sapeva perfettamente da dove provenissero; ne teneva traccia dal tardo pomeriggio.
    Afferrò la bottiglia, e si allungò per prendere un secondo bicchiere tra quelli disposti sul bancone, ignorando le proteste del barista – non programmato, ahimé, per ignorare del tutto il Baker; col senno di poi, avrebbe dovuto pensarci – e si mosse pigramente per raggiungere la fonte di quel fastidio.
    Quando arrivò davanti alla brunetta, piazzò la bottiglia sul tavolo e il bicchiere pulito di fronte a lei. «offre la casa.» e, senza attendere una reazione o un invito, prese posto sulla sedia libera, gambe divaricate e braccia incrociate al petto. «perché non mi dici come mai mi stai seguendo da ore?»
    Forse non era stato così bravo a coprire le proprie tracce come credeva, e aveva la necessità di capire fino a che punto si estendesse l'entità del danno per capire come porvi rimedio. Il Testa di Porco era il posto perfetto per quel genere di discorsi, il luogo dove nessuno badava a nessun altro.
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    «offre la casa.»
    fortunatamente, murphy viveva ormai da tempo circondata di bambini: i suoi figli, kieran in fase 'ho una crush assurda ma non so come dirlo', gli studentelli in piena crisi ormonale, sin — a gestire i loro sbalzi d'umore e le reazioni isteriche era diventata una vera pro. quello che stava ancora imparando, come una rob qualsiasi, era mantenere la necessaria calma di fronte alla pretesa dei suddetti bambini di voler essere considerati adulti prima del tempo.
    non ne era del tutto certa, ma bash emanava un po quelle vibes lì: chissà se le toccava l'ennesimo preadolescente randagio ferale con i dentini scoperti e il segreto bisogno di un abbraccio.
    «perché non mi dici come mai mi stai seguendo da ore?» la skywalker, che aveva passato gli ultimi sessanta minuti della sua vita a fissare il ragazzo seduto davanti al bancone aspettando questi si rendesse conto di essere seguito e si staccasse dalla bottiglia, prese lentamente il telefono in mano; le iridi scure passarono dal volto di bash al salvaschermo, un sopracciglio sollevato nel notare l'ora «caspita, come passa il tempo quando ci si diverte» sapeva essere più simpatica di così, murphy skywalker.
    evidentemente quello non era né il caso, né il momento.
    il tentativo di reclutare il ragazzino seduto ora di fronte a lei c'entrava poco con i lineamenti induriti del volto a cuore, con l'assenza di un sorriso che a volte sembrava esserle stato cucito addosso. avrebbe potuto essere più accomodante nell'approcciare un possibile candidato (kamikaze), e di solito lo era: vedere con i propri occhi volti familiari scomparire dietro un cappuccio, le maschere che li proteggevano gettate a terra con sprezzo, non aveva giovato al suo umore. perché erano già morte, quelle persone, e lo sapevano loro come lo sapeva murphy.
    altri pezzi di un puzzle sempre incompleto, persi in uno schiocco di dita.
    e, al contrario del baker, lei si era limitata a guardare e inghiottire la stessa acida bile di sempre — con un po di cinismo in più, e l'identico vuoto ad aprirsi nel petto. devi scegliere le tue battaglie, aveva detto william; quando ancora il cuore di murphy macinava rimorsi e bisogno di fare ammenda — le sceglieva tutte, e le perdeva. come negli anni aveva perso le persone a cui teneva di più, vite scivolate tra le sue dita nonostante i tentativi disperati di tenersele strette.
    scegli le tue battaglie, una alla fottuta volta, e non poteva fare altro che ripeterselo come un mantra, ancora e ancora; lasciando quelle parole a risuonare nella cassa toracica, quando arrivando sul luogo di uno scontro capiva che era già finito. vivevano per una causa che non ammetteva scelte sbagliate, solo sacrifici che di giusto non avevano assolutamente nulla — erano solo necessari. una lezione che bash avrebbe imparato molto presto sulla sua pelle, se fosse riuscita a convincerlo. il bello di essere una rebel scout: trascinare a fondo i ragazzini e convincerli che valesse sempre la pena morire per un ideale.
    uno a cui murphy credeva ciecamente, anche se a volte dormire la notte non era poi così facile.
    «per rispondere alla tua domanda—» prese la bottiglia, senza nemmeno controllare l'etichetta, versando due dita del contenuto nel bicchiere. non aveva alcuna intenzione di berlo, qualunque cosa fosse, perché per esperienza personale sapeva quanto fosse necessario rimanere lucidi in determinate situazioni. ma faceva comunque scena, e lo sollevò in direzione di bash «curiosità. voglio dire, come ti ho visto io poteva vederti chiunque altro. eppure sei intervenuto comunque» non aveva capito, la skywalker, finché la vetrina non era esplosa in mille pezzi. ma il potere del baker era servito ad attirare la sua attenzione solo marginalmente — lo aveva osservato, e visto passare sul giovane volto un'ombra che conosceva anche troppo bene. o, forse, la si poteva considerare una luce. a volte distinguere le due cose era dannatamente difficile.
    «potevi scappare, e non l'hai fatto. di questi tempi è più facile che la gente si faccia gli affari propri, piuttosto che rischiare» quindi sì, curiosità. si strinse nelle spalle, la venti.. settenne? (aiuto), giocherellando con il bicchiere e il liquido ambrato al suo interno, iridi scure a scivolare dal volto di bash al barista alle sue spalle: evidentemente confuso, ma a murphy venne spontaneo chiedersi per quanto ancora — c'era sempre da imparare qualcosa, riguardo i poteri altrui. tipo, chessò, quanto durava l'effetto sulla mente di una persona e se da li a qualche minuto avrebbe dovuto affrontare un ulteriore problema.
    meh, una cosa alla volta.
    «volevo chiederti cosa ti avesse spinto, ma forse non lo sai nemmeno tu» questa volta un sorriso glielo concesse: stanco, ma sincero. portò il bicchiere alle labbra, bagnandole solamente; la schiena tornò a poggiarsi contro la sedia di legno. mancava giusto che qualcuno si decidesse a mettere una canzone (il mio headcanon prevede un juboxe magico, non elaborerò), poi l'atmosfera da serata karaoke tra amiki sarebbe stata completa.
    e, forse, avrebbe preferito quella conclusione all'alternativa — chiedergli di rinunciare a tutto, e tenerlo per mano nel frattempo.

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    «caspita, come passa il tempo quando ci si diverte»
    Il tono sarcastico della stalker scivolò addosso al Baker che, seduto in maniera scomposta sulla sedia libera di fronte a lei, la osservava con lo sguardo più vuoto possibile, valutando dentro di sé quanto fosse furbo da parte sua trovare un modo per sbarazzarsi anche di quel problema che si era verificato.
    La risposta era: poco.
    E tutto perché non si era fatto i cazzi suoi quando avrebbe dovuto; ma cosa gli era saltato in mente?! Perchè mai aveva pensato che agire fosse la soluzione? Anche vero che in quel momento tutto aveva fatto tranne che pensare — ma non era comunque una motivazione sufficientemente valida per giustificare il suo coinvolgimento in quella storia. Non portava mai nulla di buono.
    Non disse nulla in risposta alla sconosciuta, ma si limitò a sciogliere le braccia per versarsi un altro generoso goccio di whiskey, mandandolo giù alla velocità della luce.
    «per rispondere alla tua domanda— curiosità.» Aveva un concetto molto strano di “curiosità”, quella lì. «voglio dire, come ti ho visto io poteva vederti chiunque altro. eppure sei intervenuto comunque»
    Già: eppure era intervenuto comunque.
    Aveva come la sensazione che quello sbaglio l’avrebbe definito per il resto dei suoi giorni — che, comunque, contando le sue tendenze autodistruttive, non erano molti; poteva considerarlo il lato positivo?
    Ancora una volta, non rispose: cos’aveva da dire? Qualsiasi cosa detta avrebbe confermato le parole dell’altra, e condannato definitivamente Bash. Probabilmente la soluzione più furba era gaslightare l’altra e convincerla non fosse stato lui, quello sulla scena del crimine.
    Alle brutte, avrebbe fatto ricordo al suo potere che, per quanto generalmente ignorato dal Baker, tornava innegabilmente utili in situazioni come quella.
    Per ora, comunque, non lo avrebbe fatto: voleva vedere fin dove si sarebbe spinta la ragazza, e valutare i danni limitandosi alla sua versione dei fatti.
    «potevi scappare, e non l'hai fatto. di questi tempi è più facile che la gente si faccia gli affari propri, piuttosto che rischiare»
    «mi domando come mai.» nelle sue parole sarcastiche, non c’era alcun accenno di colore o emozione. Era vero quello che lei diceva, che la società era diventata incredibilmente più egoista negli ultimi decenni – forse lo era sempre stata –, e non aveva senso contraddirla.
    Né spiegare il perché del suo intervento, e del suo coinvolgimento. Francamente, non erano affari suoi.
    E Bash sapeva a malapena dare una risposta a sé stesso, figuriamoci fornire scuse e spiegazioni ad una perfetta sconosciuta che, per quanto ne sapeva lui, poteva lavorare con il ministero ed essere lì per arrestarlo o interrogarlo in maniera non ufficiale.
    «volevo chiederti cosa ti avesse spinto, ma forse non lo sai nemmeno tu»
    A quel punto, le iridi giada divennero due schegge appena visibili oltre le palpebre serrate, lame taglienti rivolte a quella persona che presupponeva di sapere tutto di lui, quando in realtà non sapeva prorpio un cazzo.
    (Eppure ci aveva preso su tutta la linea.)
    Si mise più dritto, i gomiti puntati sulle ginocchia e il mento poggiato sul dorso delle mani unite. «temo tu mi abbia scambiato per qualcun altro.» disse lentamente, offrendole la possibilità di rimangiarsi quanto detto e togliersi dai coglioni: non aveva davvero tempo per gestire anche lei. «se questo è il modo in cui il ministero da la caccia ai sovversivi,» aggiunse, indicandola appena con un cenno del viso impassibile, «mandando persone ad accusare innocenti civili, non mi sorprende che le cose vadano a rotoli.» Avrebbe dovuto fare più attenzione, parlare con meno irriverenza e stando più attento alle parole usate, alle provocazioni fatte, perché il ministero dava davvero la caccia agli innocenti, marchiandoli come colpevoli, pur di girare l’opinione pubblica a suo favore: moltissime persone erano state falsamente accusate e torturate, senza un vero – e giusto – processo per definire i capi d’accusa; altri erano semplicemente spariti nel nulla di punto in bianco.
    Era il modus operandi del ministero della magia; come poteva essere sicuro che non lo avrebbero fatto anche con lui?
    (Non poteva, e quello rendeva tutto più interessante.)
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    al contrario di molti adolescenti, ciascuno a modo proprio, Murphy non aveva mai vissuto la fase della ribellione. a dirla tutta, di quel magico periodo si era persa quasi tutto — nascere e crescere all'interno di un laboratorio, allevata da un'intera comunità di gente che passava il tempo a torturare e fare esperimenti sugli esseri umani, non aveva aiutato.
    eppure, il tono di chi si metteva sulla difensiva aggredendo, lo conosceva bene; i sintomi, dalla tensione dei muscoli all'uso piccato del sarcasmo per ogni parola che abbandonava le labbra, pure. guardava bash negli occhi e, per certi versi, le sembrava di vedere barry «temo tu mi abbia scambiato per qualcun altro.» interessante scelta di parole: nemmeno le avesse letto nel pensiero! ha-ha (yeah)
    limitò i propri movimenti al nulla assoluto, la geocineta, permettendo al ragazzo di continuare con la sua arringa difensiva; molto breve a dire il vero «se questo è il modo in cui il ministero da la caccia ai sovversivi, mandando persone ad accusare innocenti civili, non mi sorprende che le cose vadano a rotoli.» amore. santo. si costrinse ad uscire dalla propria ampasse, una volta certa che l'altro non avesse qualcosa da aggiungere. le sembrava abbastanza ovvio si fosse incartato da solo, ma anche quello era tipico dei giovani — partivano in quarta nel momento stesso in cui qualcuno li pungeva sul vivo, dove faceva più male, ricordando solo all'ultimo di non aver ancora imparato a fermarsi senza inchiodare.
    «oh, bubi» necessario. era una madre, Murphy Skywalker, e per quanto a volte si sforzarsi non riusciva a ad evitare di vedere i propri figli nei volti delle persone che approcciava; se fossero stati in difficoltà, avrebbe voluto che qualcuno li aiutasse. bastava tendere la mano, resistere all'impulso di ritirarla se dall'altra parte non veniva inizialmente accettata. insistere, perché era quello che i figli si aspettavano: toccava all'adulto superare il test della fiducia, non il contrario. la mano non gliela tese davvero, ma si sporse comunque in avanti, appoggiando entrambi i gomiti sul tavolo, la bottiglia fatta da parte affinché tra loro non ci fosse altro se non la superficie del legno «se fossi stata una ministeriale questa conversazione non la staremmo tenendo qui.» evidentemente non conosceva il modus operandi dei cacciatori, good for him.
    se tutto fosse andato secondo i piani di Murphy, purtroppo per lui, lo avrebbe scoperto presto.
    «sai come funziona un interrogatorio? non assumono i torturatori per imbiancare i muri del Ministero una volta l'anno» o magari si: un giorno avrebbe potuto chiederlo a fake — bonding time. con un sospiro prese il bicchiere che bash le aveva offerto, questa volta senza limitarsi a bagnare le labbra; tutto considerato, poteva anche permettere a se stessa di allentare un po la corda. mandò giù un dito di liquido ambrato, rabbrividendo da capo a piedi, la punta della lingua a sporgere dalla bocca in una smorfia che la diceva lunga sul rapporto tra lei e i superalcolici. preferiva di gran lunga i cocktails dal retrogusto dolce e fruttato, o un buon bicchiere di vino «hai ragione, forse ho sbagliato persona. ma se avessi di fronte quel ragazzo del veicolo, gli direi che a volte è normale non riuscire a trovare un senso in quello che si fa» mise nuovamente il bicchiere sul tavolo, spingendo indietro la sedia «gli direi che a spingerlo ad agire è stato l'istinto. la convinzione, sepolta nel profondo, che fosse giusto»
    si alzò, rovistando con la mancina nella tasca della giacca pesante, un portamonete a forma di sfera Poké ad apparire stretto tra le dita «è terribile, una palla al piede. uno vorrebbe ignorarla, ma non si può. a quel ragazzo direi che lo capisco, che so cosa ha provato e probabilmente anche cosa prova ora» gli stava proponendo una condanna a vita, perché era quello che aspettava bash se avesse deciso di dare retta a quell'istinto primordiale: posso sistemare le cose, un mantra che si ripeteva ancora e ancora, insinuandosi nel cervello come un tarlo.
    non si sistemava niente.
    e il mantra continuava più forte.
    «vado a pagare la bottiglia che ti sei gentilmente fatto regalare. puoi andartene, o aspettarmi. non ti seguirò più, promesso» tanto per sottolineare la parola di scout, murphy sollevò due dita posando un bacio sui polpastrelli, la mano sollevata a mezz'aria. una parte della geocineta, quella che batteva furiosa tra le costole senza lasciarsi intravedere in superficie, sperava che bash scegliesse la prima opzione; immaginava di voltarsi, le iridi scure a cercare la sua figura al tavolo senza più trovarla. ma aveva un lavoro da fare, murphy — parte di un meccanismo più grande e complesso che non guardava in faccia nessuno.
    diede le spalle al Baker
    raggiunse il bancone.
    gli diede qualche minuto di tempo.
    per alzarsi o per pensare, a quel punto poteva deciderlo solo lui.

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    Non c’era nulla, nella postura o nell’atteggiamento di Bash, che indicasse quanto quella conversazione potesse interessargli: non era avvezzo alle chiacchiere (punto.) inutili, e se aveva permesso alla brunetta di ciarlare ancora e ancora e ancora pur senza venire al sodo, era solo perché fosse estremamente annoiato e sulla buona strada per essere idiotamente ubriaco.
    Dire che le parole della sconosciuta gli scivolassero addosso, era un eufemismo; eppure suonavano quasi come una promessa alla quale Bash avrebbe potuto credere, se si fosse sforzato un pochino di più.
    «se fossi stata una ministeriale questa conversazione non la staremmo tenendo qui.»
    Oh no, ma che peccato, cosa potrà mai fare un giovane come lui.
    Evabbé.
    Non gli rispose che avrebbero dovuto (assumere i torturatori per imbiancare i muri del Ministero una volta l'anno) perché non interessava a lei, e di certo non interessava a lui; al contrario di quanto le sue azioni dimostrassero, non era uno stupido — magari voleva solo fingersi tale. Era bravo a fingersi qualcuno che non era, a inventare una persona diversa che potesse indossare la sua pelle livida e graffiata, e piacere a chi si trovava di fronte. Solo che, di solito, era per scopi diversi.
    Di piacere a quella lì, Bash non aveva alcun interesse; non gli sarebbe entrato in tasca nulla.
    Unless?
    Quelli che facevano il suo lavoro, infondo, non staccavano mai.
    La osservò mandare giù il whiskey gentilmente offerto, e con lo stesso sguardo impassibile prese nota della reazione — quella di qualcuno che, era chiaro, non era abituata al sapore amaro e al fuoco incandescente che quel genere di alcolici lasciavano nella gola. Non era come lui, dunque, che avrebbe ingoiato pezzi di vetro pur di provare qualcosa, e di provare tutto.
    Per giusta o sbagliata che fosse, Bash Baker non conosceva altra via.
    «gli direi che a spingerlo ad agire è stato l'istinto. la convinzione, sepolta nel profondo, che fosse giusto»
    Schioccò la lingua contro il palato, assimilando forse le prime parole dell’intero discorso, ma dimostrando esattamente meno di nulla alla sua interlocutrice; per quanto se sapevano entrambi, stavano ancora facendo un discorso ipotetico e mirato a nessuno in particolare, di certo non a lui.
    «a quel ragazzo direi che lo capisco, che so cosa ha provato e probabilmente anche cosa prova ora»
    La risposta a quelle affermazioni rimase incastrata in gola, tenuta a bada, mentre perdeva importanza man mano che l’altra si muoveva e andava avanti. Se fosse stato un cronocineta, Bash avrebbe approfittato di quel momento per fermare lo scorrere inesorabile del tempo e permettersi di tirare un pugno alla parete per sfogare a gesti quello che non poteva dire a parole.
    Poteva ancora farlo — almeno l’ultima parte.
    Ma non si mosse, a malapena si permise di respirare o di indurire le labbra nel vederla andare via per pagare la bottiglia, serrando le labbra in una smorfia incazzata; col mondo, con se stesso. Difficile dire chi fosse al primo posto, in quel preciso istante.
    (Lui; c’era sempre Sebastian Baker al primo posto, perché non c’era anima viva (o morta) con cui Bash fosse più incazzato.)
    Non una novità, insomma.
    Non era quella, comunque, la novità.
    Per quanto fastidioso fosse ammetterlo, quella consapevolezza a pizzicare alla base del collo e muoversi sulla pelle come un formicolio impossibile da frenare, sapeva che non si sarebbe mosso — non perché in lui ci fosse quella parte sepolta che gli suggerisse che fosse stato giusto fare ciò che aveva fatto… o forse sì?
    No, era solo noia.
    Il fastidio di essere stato beccato, e la necessità di capire quanto l’altra sapesse e come fare per rimediare a quell’errore che, se non l’avesse corretto subito, lo avrebbe perseguitato per il resto della sua (breve) vita.
    Non si mosse, dunque, rimanendo in attesa del ritorno della sconosciuta e combattendo contro l’istinto che gli diceva di voltarsi per cercarla nella folla, assicurandosi non stesse tramando nulla alle sue spalle, e già sfiancato dai due lupi che si scontravano in lui: chi ricordandogli perché fosse una terribile idea rimanere lì, chi invece curioso di sapere cosa avesse da proporre la brunetta.
    Avrebbe voluto lasciare che il primo lupo vincesse, e sbranasse il secondo, perché la curiosità non aveva mai portato a nulla di buono.
    Ma nemmeno l’ignoranza, no? E solo Dio sapeva quanto avesse compromesso se stesso — non che Bash credesse in alcun Dio, ovviamente. E voleva sapere anche lui la portata del danno commesso.
    Era l’unico motivo per cui, quando tornò al tavolo, l’altra lo trovò ancora lì, gambe divaricate e labbra strette contro il collo della bottiglia; tanto lei non lo beveva, no?
    Asciugò le gocce di whiskey con il dorso della mano, prima che potessero scivolare sul mento, e mise giù la bottiglia. «ti do dieci minuti.»
    E poi?
    Poi avrebbe deciso cosa fare.
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