Sing, "Hit me baby, one more time"

@ londra, stan ft irma

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  1. awanasnais
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    irma buckley
    13.03.1994
    danzica, pl
    L’idrocineta non stava vivendo il miglior pomeriggio della sua vita.
    MA!! Non stava vivendo nemmeno il peggior pomeriggio della sua vita, quindi, per citare un saggio, daje? Le cose non andavano così male, a parte qualche escoriazione, il giacchetto di pelle da buttare (l’unica vera nota triste di tutta quella vicenda, rip amigo) e una o due costole incrinate – stando al dolore che aveva sentito dopo essersi voltata un po’ troppo bruscamente per controllare se ci fossero creature fatte uscire clandestinamente dallo zoo –; era ancora viva, no? Perciò doveva reputarsi fortunata.
    Tipo letteralmente, perché non aveva mai fatto nulla, nella vita, che fosse prudente e non avrebbe di certo iniziato in quel frangente; perciò, poter dire di esserci arrivata a vivere quel giorno era un successo di cui tenere conto, nel grande insieme delle cose.
    Poi, oh, mica aveva sbattuto la testa o cose simili, cadendo! Era stata abbastanza sveglia (disse lei, mai nella vita) da attutire il colpo con le braccia e non finire con il cranio sull’asfalto, perciò, di nuovo, daje. Perché l’altro si preoccupasse così tanto, proprio non lo riusciva a capire.
    «perché non vuoi andare in ospedale?»
    «perché mia mamma lavora lì e non voglio si preoccupi!»
    Facile, la bugia a scivolare sulla lingua; una di moltissime, e di certo non l’ultima che avrebbe rifilato al ragazzo. O, in generale, nella vita.
    «preferisci un ambulatorio veterinario?» Portò la mano al petto, a quel suggerimento, spalancando la bocca con aria esterrefatta. «mi stai dando della» cagna «bestia?» Del tono serio del biondo, Irma non sapeva che farsene; non lei, che amava tendere al ridicolo e al (tragi)comico qualsiasi circostanza. «scherzo, non sono offesa.» Pausa. «o forse….» altra lunga pausa. «no, non è vero. ti sto prendendo in giro.» Il tutto, nello spazio di pochi minuti — ma quelli, ne era più che certa, sufficienti a confondere ancora di più il povero cristo.
    Se non avesse il precedente di averla tirata sotto le ruote della sua carretta, probabilmente Irma si sarebbe sentita quasi dispiaciuta per lui.
    «non ho l'assicurazione»
    «quindi se muoio è un gran bel casino, per te, amico?» A occhio e croce avrebbe detto di sì. Lo sarebbe stato anche per lei, in effetti, ma lungi da Irma Buckley arrivare a pensare a tanto. O riuscire ad unire i puntini. «sei fortunato che stia bene sottolineò allora, per l’ennesima volta, perché non sarebbe morta in quella carcassetta di lamiere e sedili di pelle rovinata.
    E, vecchia e rovinata per vecchia e rovinata, Irma alzò una gamba e posò lo stivaletto sul cruscotto dell’auto, con la nonchalance di davvero nessuno che si fosse ritrovato nella sua stessa situazione. Si mise ad armeggiare con la stoffa strappata dei jeans, accendendo poi anche la luce di cortesia per osservare meglio la ferita sul ginocchio, tamponando il sangue che scendeva (fortunatamente in maniera modesta) e provando a fare la conta di quanti minuscoli granelli di asfalto si fossero conficcati sotto la sua pelle.
    Il tutto, , sotto lo sguardo del povero biondo. C’erano priorità, e priorità; lo sconosciuto non rientrava in nessuna delle due categorie, per Irma.
    Si lasciò sfuggire un «do cholery» nella sua lingua natale, stringendo poi le labbra tra i denti, quando un’ispezione un po’ più invasiva del previsto fece scattare un interruttore invisibile e una scarica da millemila volta partì dal ginocchio, arrivando fino al cervello. Minchia se faceva male. Nulla a cui non potesse sopravvivere, certo, però «porcaputtanaladra
    E intanto, quello parlava e parlava.
    Ma quanto parlava?
    E se lo diceva lei, poi!!
    «e non ti ha insegnato a guardare prima di attraversare?!»
    «e a te nessuno ha insegnato a guidare?! hai un fanalino rotto, genio!!» o forse lo aveva rotto lei, sbattendoci contro, difficile dirlo – non aveva i ricordi così chiari riguardo quanto successo. Era accaduto troppo in fretta perché Irma ne registrasse anche i dettagli. «come minimo, ci scappa la multa e anche qualche punto sottratto alla patente.» tiè!!!
    Rimise giù la gamba, decidendo che stuzzicare la ferita non fosse la più saggia delle idee, e sperando che Connie non avrebbe fatto troppe domande quando sarebbe tornata a casa, sanguinante e zoppicante, per l’ennesima volta.
    In qualche modo, poi, si rese effettivamente conto che la conversazione avesse virato su tutt’altro argomento, e si fermò ad osservare il profilo del ragazzo con le sopracciglia a aggrottate.
    «si. ed anche a come morirò. funerale e colonna sonora compreso»
    Rimase in silenzio a lungo, occhi sbarrati rivolti al’altro, che nel voltarsi brevemente verso di lei la trovò esattamente così: esterrefatta, confusa e, ugh terribile, odiava ammetterlo, un pochino eccitata. «tu no?» Assurdo???
    Era davvero troppo strano.
    Lui, intendo. Non la situazione che stavano vivendo.
    Scosse piano la testa, senza perdere l’espressione beota disegnata sul viso. «sai com’è, tendo a preferire il contrario. godermi la vita! lo so, lo so, assurdo» e minchia sì, lo stava sfottendo. E anche alla grande. Stesso tono di voce e tutto il resto!!!
    «e dimmi.» per sua sfortuna, però, zitta proprio non sapeva rimanerci. «com’è che te lo immagini? pieno di gente? e che canzone suonano? hallelujah di leonard cohen
    Se le avesse risposto “no, la versione di Jeff Buckley” si sarebbe yeetata dall’auto in corsa.
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