less like slow burn && more like two idiots standing about on fire

ft. Paris

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  1. #IYKYK
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    TW: se state ancora leggendo sapete cosa vi aspetta, quindi...


    theo kayne
    31.12.07
    london, uk
    «sei capace a tenere la bocca chiusa?»
    La voce roca di Paris non avrebbe dovuto provocargli la pelle d’oca, eppure lo fece. Tutto, di quel bacio, di quella situazione, lo faceva tremare.
    Suo malgrado, Theo si lasciò spostare da Paris, la pelle delicata del corvonero ancora stretta tra i denti, non così forte da spillare strappare ma abbastanza da vedere già le prime sfumature violacee prendere forma sulla tela altrimenti immacolata.
    Lo seguì fino a posare lo sguardo in quello dell'altro, con la mente lontana anni luce e fissa sul lavoro che era stato interrotto, e ci mise un attimo in più del dovuto a recepire le parole di Paris. Capirle, poi, era fuori discussione: non stava nemmeno parlando, perché ammonirlo di tenere la bocca chiusa?! Era davvero un vizio, quello del maggiore! Avrebbe protestato verbalmente (e rumorosamente) se solo lo sguardo annebbiato dall'eccitazione di Paris, non si fosse riflesso in quello altrettanto scuro del Kayne.
    Ma c'era anche altro nelle iridi nocciola di Paris, un permesso che Theo non era in grado di decodificare, una debolezza che non avrebbe saputo sfruttare, o un permesso che non si rendeva conto fosse destinato a pochi; non era mai stato troppo sveglio, Theo, ma per fortuna di Paris non era mai stato neppure crudele — non si sarebbe mai approfittato di qualsiasi concessione avesse voluto concedergli, ammesso che ne avesse preso coscienza.
    Si limitò invece ad accettare le sopracciglia, specchiandosi in quella vulnerabilità inaspettata e straniera, qualcosa che a mente lucida lo avrebbe preoccupato — ma non era lucido, Theo, affatto. Era su un pianeta tutto suo, uno in cui il resto del mondo non c’era e poteva passare intere giornate a marchiare la pelle del Tipton con i propri denti, anziché con le proprie nocche. Non un cambiamento radicale, certo, ma sostanziale; fisico, Theo Kayne, lo sarebbe rimasto sempre e comunque, che fossero carezze o pugni quelle riservate all’altro ragazzo.
    In quel momento, in aggiunta, c'era una sfumatura rossa ad annebbiare la vista del Kayne, un piacere che sentiva crescere e che, lo sapeva, sarebbe stato difficilissimo da mettere a tacere già così; così come sapeva che, prima o poi, il Tipton avrebbe imposto dei paletti a quell'incontro perché di certo non avrebbe permesso a Theo Kayne di violare un posto sacro come la biblioteca con i suoi atti osceni.
    Nella migliore delle ipotesi, negli scenari che stavano passando in quel momento dietro i riccioli scuri, Paris lo invitava a spostarsi altrove per riprendere da dove si erano interrotti; nella peggiore, andava via e lasciava il Kayne al suo triste destino.
    Non aveva messo in conto, però, potesse esserci una terza opzione, troppo impossibile persino per essere contemplata — figuriamoci realizzata.
    Tant'è che in un primo momento, vedendo Paris scivolare lungo lo scaffale, Theo immaginò stesse cercando di divincolarsi dalla presa, o di raccogliere qualche libro finito a terra durante la pomiciata (che razza di nerd); quando poi lo vide fermarsi, in ginocchio come una donna prostrata ai piedi del suo adorato Dio, l'espressione si fece appena più confusa, ma sostenne lo sguardo nocciola perché come avrebbe potuto guardare qualsiasi altra cosa, in quel momento?
    La realizzazione di quello che Paris stava per fare, del permesso che stava aspettando, gli giunse solo quando vide il maggiore avvicinarsi al rigonfiamento dei pantaloni, e posare un bacio sulla sua innegabile erezione. Una realizzazione che lo colpì così forte da fargli quasi cedere le ginocchia.
    Stava per–.
    Annuì con frenesia, senza nemmeno pensarci, mente completamente priva di alcun pensiero che non coinvolgesse Paris Tipton in ginocchio davanti a lui tra i fottuti scaffali della biblioteca.
    Cristo santo, aveva tutto il potenziale per essere una scena ridicola, della quale Theo avrebbe riso, se solo avesse avuto un briciolo di razionalità in più, in quel momento: Paris, prostrato e intento a venerarlo in uno dei luoghi, in tutto il castello, che il portiere blubronzo considerava più sacro.
    Che razza di kink idioti aveva, scemo pagliaccio.
    (Come se proprio Theo potesse parlare.)
    Non poteva negare, però, che lo trovasse stimolante persino lui: aveva meno a che fare con le migliaia di libri sistemati sulle mensole, e più con il fatto che chiunque sarebbe potuto passare di lì e scoprirli da un momento all'altro — ma il risultato era lo stesso, e Paris vi si ritrovava giusto faccia a faccia in quel momento, tutto il sangue del grifondoro ad affluire al centro delle gambe e svuotare la mente di qualsiasi altro pensiero (già, di per sé, rari in situazioni normali).
    Il rumore della zip che veniva abbassata sembrò risuonare come un boato nella corsia vuota, dove non volava più neppure una mosca: sembrava stessero persino trattenendo i respiri, pur di non farsi scoprire, ma Theo non era certo di ricordare come si facesse a respirare, e in tutta onestà non reputava di averne bisogno, in quel momento — sarebbe morto comunque prima di immagazzinare abbastanza aria nei polmoni per evitare il soffocamento.
    E ora — ora le parole di Paris finalmente avevano senso.
    «no» con tutta probabilità non sarebbe stato capace di tenere la bocca chiusa, o di non fare rumore — non poteva affatto prometterlo.
    Non quandoParis aveva a malapena sfiorato la sua pelle nuda con la lingua, in un piccolo assaggio di quello che avrebbe potuto ricevere, e Theo già voleva urlargli quanto lo odiasse, che fosse un cretino, e che facesse meglio a fare di più e sbrigarsi prima che la situazione potesse precipitare.
    (E con precipitare intendo: la mano di Theo a fare il lavoro che avrebbero dovuto fare le labbra del Tipton, perché il grifondoro non era mai stato un ragazzo paziente e in quel momento voleva una cosa e una cosa sola, e se non l'avesse ricevuto da Paris, avrebbe fatto da solo.)
    Le sue imprecazioni, però, vennero messe a tacere ancora prima di iniziare, dalle dita di Paris che finalmente, finalmente!, andavano a iniziare il lavoro. Theo si lasciò sfuggire un sospiro pesante che divenne subito un gemito, e tentò di nasconderlo nell'incavo del gomito per almeno provare a fare silenzio; dubitava sarebbe finita bene per loro, se lo avessero beccati in quella posizione compromettente.
    (Ne sarebbe andato del suo orgoglio; l'espulsione non lo preoccupava.)
    E poi, proprio quando Theo credeva di aver fatto suo almeno un po' di contegno, ecco che il maggiore aveva l'ardore di gemergli addosso, con le labbra ancora chiuse intorno alla sua erezione. C'era un limite all’autocontrollo del grifondoro, e quello lo superava di un sacco.
    «cccazzo–»
    Espirò, picchiando la fronte contro il bordo dello scaffale, e stringendolo con una mano fino a far diventare bianche le nocche. Era ancora tutto così nuovo per lui che faceva fatica a prendere nota di ogni sensazione, e di ogni esperienza, ma sapeva che sarebbero rimaste tutte impresse nella sua mente, e sulla sua pelle, per sempre. Era l'elettricità che pizzicava la pelle, come scariche a basso voltaggio che servivano a farlo sentire più vivo; o il martellate del cuore che, giurava!, era salito fin sulla gola e gli mozzava il fiato; era il calore di pelle contro pelle, di un movimento ritmato e controllato che minacciava la sua (poca) sanità mentale; ed era il proprio sapore sulle labbra di Paris quando, ancora in preda ai tremori dell’orgasmo, avrebbe preteso altri baci — dieci, cento, infiniti.
    Era il modo in cui Paris chiedeva, senza prendere, o pretendere, perché sapeva che dietro il pilota automatico di un corpo che si stava pian piano riscoprendo e cedeva con troppa facilità ai bisogno primordiali, c'era la paura di farlo nel modo sbagliato.
    Poche cose al mondo spaventavano Theo Kayne, ma quello lo terrorizzava.
    «dove vuoi venire, theo?»
    Riaprì gli occhi – che non si era reso conto di aver chiuso; così come non si era reso conto della mano scivolata sui capelli di Paris, che stringeva ciocche castane e implorava di fare di più – e riuscì a blaterare appena un «sì» che non rispondeva assolutamente a nessuna domanda, ma era già tanto che fosse uscito dalle sue labbra in un verso che sembrasse effettivamente appartenere alla lingua umana; tra un gemito e un rantolo roco, persino lui dubitava di saper ancora come mettere insieme due semplici parole, l'una dietro l'altra.
    In quel momento non era tanto una questione di dove venire, ma quanto più di quando e la risposta a quella domanda era: molto presto.
    Oppure sarebbe esploso.
    Serrò la presa sulla nuca di Paris, in un gesto involontario, come per invitarlo a ricominciare quanto interrotto, e a farlo con una certa urgenza, e — Uh, da quella posizione vedeva perfettamente il biondo miele cercare di farsi strada dalla radice, e quel pensiero bastò a mandarlo in overdrive e fargli stringere la presa sulle ciocche bugiarde, come a voler costringere a realizzarsi, con la sola forza della propria volontà, una realtà che lo avrebbe destabilizzato e allo stesso tempo fatto sentire più sereno; voleva ogni lato del Tipton (does this answer the question, elisa?) ma più di tutti voleva quelli che Paris nascondeva, persino a se stesso.
    Soffocò un «tipton–» contro la stoffa della manica, il pensiero di quello che avrebbero potuto fare se si fossero trovati in un qualsiasi altro posto ad amplificare l'urgenza che sembrava già abbastanza palese, la sua fantasia (non troppo spiccata, in effetti) a suggerire uno o due modi in cui quella situazione avrebbe potuto evolversi — se solo non fosse stata la fottuta biblioteca.
    Eppure, l'idea di quello che avrebbero potuto fare proprio lì, lo portò a spingere in avanti i fianchi e cercare un ulteriore contatto, di più, ancora e ancora e ancora — più forte, più veloce.
    Non era una vera risposta, ma era quello che Theo aveva da offrire il quel momento, insieme ad un «paris–» strozzato, denti a mordere la carne morbida delle labbra, mentre lasciava che Paris Tipton lo distruggesse ad un ritmo tutto suo, che lo stravolgesse, che lo annientasse e lo ricostruisse da zero.
    Glielo avrebbe permesso.
    hogwarts
    gryffindor
    halfbloodrebelgoalkeeperidiot

    I taste you on my lips
    && I can't get rid of you
    so I say damn your kiss
    && the awful things you do
    (you're worse than nicotine,
    nicoteen.)
     
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