less like slow burn && more like two idiots standing about on fire

ft. Paris

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  1. #IYKYK
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    theo kayne
    31.12.07
    london, uk
    Incredibile ma vero, Theo Kayne non era mai stato bravo a seguire la semplice e lineare logica del “rifletti, e poi agisci”. Lo so, siete tutti sconvolti, non ve lo sareste mai aspettati da lui, vero!?
    Eh già.
    Per tutta la vita aveva sentito gente (Lenny) ripetergli che sarebbe arrivato prima o poi un muro troppo spesso che Theo non sarebbe riuscito a sfondare di testa, e che quel muro avrebbe sfondato, al contrario, lo stesso grifondoro; che non tutti i problemi potevano essere risolti con la violenza e che almeno il novanta percento di essi avrebbe potuto benissimo evitarlo imparando a contare fino a cinque (dieci era chiedere un po’ troppo) e solo dopo agire.
    Theo, invece, aveva il vizio di scattare già allo zero.
    In quella situazione, non si era comportato troppo diversamente da come aveva fatto altre mille volte in precedenza: il suo “agire prima, fare domande dopo” si era rivelato un problema anche – e forse soprattutto – tra le file dei ribelli, dove più di una volta era stato rimesso al suo posto (da Nelia, da altri adulti, da Barrow in persona…) e intimato di far lavorare il neurone essiccato che soffriva di solitudine nella sua scatola cranica.
    Ovviamente Theo non aveva mai accolto i caldi suggerimenti, perché fisicamente incapace di prendersi un attimo prima di agire — fare era l’unica risposta ai problemi, e alla vita, che il grifondoro conoscesse. Non aveva lo stesso distacco emotivo dal resto del mondo che aveva Mis, o la sua stessa impassibilità, né era capace di lasciarsi scivolare addosso i problemi semplicemente con uno sguardo pigro e una scrollata di spalle. Magari un giorno avrebbe imparato, magari un giorno avrebbe riflettuto, ma il giorno non era sicuramente quello.
    Non aveva avuto mezzo pensiero coerente quando aveva stretto il viso di Paris tra le sue mani e si era ripreso con decisione quello che troppo a lungo aveva desiderato; nemmeno un minuscolo barlume di raziocinio a guidare i suoi gesti, solo la più pura e naturale urgenza di fare sue le labbra del Tipton, di rubargli un bacio e il fiato, di ritornare anche solo per qualche istante a quella notte che aveva segnato, immancabilmente, un punto di non ritorno nel loro rapporto.
    L’aveva visto, gli era piaciuto, l’aveva voluto e, come una Ariana Grande qualsiasi, se l’era preso.
    Solo a metà di quel bacio, aveva realizzato l’impetuosità del gesto e gli infiniti risvolti (non per forza positivi) che avrebbe potuto avere.
    E poi aveva sentito le mani di Paris poggiarsi sui suoi fianchi, stringere la maglia quasi come se volesse pizzicare la pelle, lasciare segni indelebili come già fatto in precedenza — a quel punto Theo si era spento, e poi riacceso, e poi spento di nuovo. Perché Paris non lo aveva allontanato, ma al contrario, aveva cercato di tirarlo ancora di più a sé, come se non avessero già occupato tutto lo spazio fisico possibile, come se la schiena del maggiore non premesse già contro gli scaffali di legno. Theo, però, era stato disposto a seguirlo e dimostrare che, più stretti di così, non avrebbero potuto essere: erano così vicini che i loro battiti irregolari e frenetici rimbombavano l’uno nella cassa toracica dell’altro, e il Kayne non avrebbe saputo distinguere il suo da quello di Paris.
    Non che avesse voglia di farlo, in effetti.
    Sarebbe potuto andare avanti così per ore, per anni, con le mani ad accarezzare la pelle delicata del viso di Paris, fino a salire piano alle ciocche scure che nascondevano sfumature più chiare — pensò distrattamente se, da lupo, l’altro avesse un manto più chiaro e simile alla versione originale, e inconsciamente quel pensiero lo portò a cercare un contatto più profondo con il Tipton, perché Dara non era l’unico con kink strani in quella scuola, tiè.
    Era così preso bene, così perso in quel bacio disperato e urgente, che il dove fossero (nella fottuta biblioteca della scuola) o il cosa stessero facendo (stravolgere ancora una volta i precari equilibri che li governavano) aveva completamente smesso di esistere nella mente di Theo. C’erano solo lui, Paris, e labbra affamate le une delle altre.
    Lo sentiva nel modo altrettanto incalzante con cui Paris ricambiava che anche per lui valesse lo stesso.
    Immaginate il disappunto di Theo, perciò, quando sentì il corvonero staccarsi da lui, interrompere quel bacio che il minore, comunque, provò a cercare ancora, inseguendo per un attimo le labbra arrossate dell’altro, testardo e con assolutamente zero sbatti di dargliela vinta, o di interrompere a metà quanto stavano facendo. Aria? Chi aveva bisogno di aria?!
    Theo, ecco chi, nel giro di pochi istanti: perché perso nei suoi scenari deliranti e avendo completamente spento il cervello, non avrebbe mai pensato che Paris potesse aprire bocca e dire qualcosa. Qualsiasi cosa, men che meno quello.
    «mi sei mancato»
    Improvvisamente Theo si rese conto di quanta poca aria avesse, in effetti, a disposizione nei polmoni e si ritrovò a dischiudere le labbra per immagazzinare giusto il necessario per non rompersi definitivamente davanti al Tipton.
    Mi sei mancato.
    Gli era fottutamente mancato.
    Lui era mancato a Paris Tipton.
    Senza rendersene conto, strinse delicatamente qualche ciocca castana nel pugno, piegando la testa fino ad incontrare la fronte dell’altro, una pallida imitazione del gesto che quel giorno, se vogliamo, aveva segnato l’inizio della fine.
    «se questo è il tuo modo di zittirmi potrei abituarmici»
    Con Paris così vicino, stretto nel suo abbraccio, e con le dita che accarezzavano distrattamente zone già esplorate dallo stesso corvonero, Theo non sentiva di poter articolare frasi di senso compiuto. Avrebbe voluto, ma era certo che dalla sua gola sarebbero risaliti solo versi animali e senza senso — perciò, andando contro ogni previsione, scelse di rimanere in silenzio e affidare la sua risposta ad un nuovo bacio, premendo sulle labbra già provate di Paris quel e allora stai zitto che non riusciva a mettere a voce. Perché stavano sprecando tempo a parlare quando potevano fare altro?
    E perché Paris continuava a sottrarsi dai suoi baci, come se avesse davvero qualcosa di più intelligente da dire o fare?! Assurdo, bloccato. Theo gli rivolse lo sguardo più 100% done che riuscì a trovare, per quanto lo sguardo in preda all’euforia e frenesia febbrile gli permetteva, certo.
    «questo non è un gioco per me. non lo è più da un po’»
    E va bene che il Kayne non era mai stato l’attrezzo più affilato non solo della scatola, ma dell’intera rimessa degli attrezzi, però… cosa?! Aveva sentito bene? Paris aveva appena… cosa, di preciso. Dato voce ad una confessione profonda? Gli aveva appena fatto intendere che quello – qualsiasi cosa ci fosse tra loro dopo anni di scazzottate, una notte di passione rubata in un’aula vuota e un’altra notte un po’ meno bella – fosse una cosa seria?
    Era lo stesso Paris Tipton che fino a sei mesi prima lo regalava a destra e a sinistra?
    Theo era troppo buggato per esistere, figuriamoci rispondere, perciò con gli occhi spalancati e fissi in quelli del maggiore lo lasciò prendere la propria mano, e lasciò che l’altro incastrasse le dita fra le sue, in maniera così semplice e naturale che sembravano quasi fatte le une per ospitare le altre. Lo seguì ancora, come sotto ipnosi, fino a toccare il petto del portiere blubronzo e sentire, sotto stoffa e pelle, il muscolo cardiaco battere ad un ritmo così frenetico che per un attimo Theo si preoccupò seriamente che l’altro potesse crepargli davanti alla faccia.
    Ipocrita pagliaccio, il suo cuore stava battendo allo stesso ritmo impazzito, perciò tutt’al più sarebbero schiattati insieme. I Romeo e Giulietto dei maghi.
    «non posso fare più finta di niente»
    Sarebbe stato meglio, vero? Fingere che quelle emozioni non fossero lì, che quell’attrazione fosse solo quello: pura attrazione fisica, e niente più.
    Sì, lo sarebbe stato.
    Ma Theo si era un po’ rotto il cazzo di struggersi per il Tipton come la protagonista di un romanzo della Austen, perciò vaffanculo a tutto: avevano ampiamente dimostrato di non riuscire a tenere le distanze l’uno dall’altro, e Paris aveva appena confessato di provare qualcosa di serio nei suoi confronti – per quanto, comunque, l’idea di “qualcosa di serio” potesse mandare in tilt il grifondoro, che aveva solo sedici anni ed era alla sua prima esperienza nel settore, insomma. Non era semplice nemmeno per lui, tutto quello, e purtroppo si conosceva abbastanza bene da sapere già che non sarebbe stato perfetto — o facile da gestire. Non poteva promettere nulla al Tipton, aveva troppi difetti e un carattere immaturo e volatile, per poter fare promesse di un certo tipo, ma quello non negava il fatto che, comunque, fosse tarato per provare tutto e sempre in maniera fin troppo intensa: sapeva già che quella situazione avrebbe preteso il massimo da lui, l’aveva saputo dall’inizio, e aveva comunque accettato di provarci perché non era stato in grado di resistere. Era sempre stato molto bravo, Theo Kayne, a distruggersi con le proprie mani — e a portare con sé, nella disfatta, chiunque fosse nei paraggi.
    Accarezzò distrattamente la guancia di Paris con il pollice, tenendo ben salda la presa tra le ciocche castane dell’altro, cercando nei lineamenti del viso pulito del Tipton risposte che erano ancora troppo lontane, e giungendo infine ad una conclusione: era troppo tardi anche per lui.
    Non sapeva come fosse finito in quella situazione, ma non poteva più fingere, tanto per citare le parole di Paris: c’era chiaramente molto di più del bisogno di avere l’altro ragazzo solo ad un livello fisico, ma non reputava di avere ancora abbastanza forza, o consapevolezza, per poter affrontare quella verità.
    In sostanza, non aveva una risposta per Paris — poteva solo provare a spiegarsi nell’unico modo che aveva, con la propria bocca.
    Quando tornò a posare le labbra su quelle dell’altro, però, lo fece con meno urgenza e più calma, quasi addirittura una dolcezza che nessuno, Theo in primis, sapeva potesse possedere: eppure era lì, nel modo in cui si posava sulla bocca di Paris ancora e ancora e ancora, scendendo di qualche centimetro ad ogni bacio, spostandosi sulla guancia, sulla mandibola, perlustrando lentamente il collo lungo fino ad arrivare all’incavo con la spalla, dove arrestò la sua lenta e snervante discesa, per mordere la pelle bianca e stringerla tra i denti, baciare la pelle fino a lasciare il segno. Era una persona possessiva, il Kayne: aveva avuto sempre poche cose nella vita, ma quello che aveva voleva fosse noto a tutto il mondo che fosse suo. Il Tipton non era da meno. Si prese il suo tempo per marchiare la pelle del corvonero, come risposta a tutte le sue troppe parole; più di quello, Theo, non sapeva cosa offrire.
    Più di quello, e della mano a premere ora sulla schiena per avvicinarlo ancora di più, quasi come volesse unire ciò che Zeus, nel mito raccontato da Platone, per gelosia aveva diviso — come se cercasse di sfidare non solo la fisica, ma la volontà divina, per ricongiungere due metà che si erano ritrovate.
    (Qualcuno qui ha sentito troppe lezioni di filosofia and it shows.)
    Aveva solo quello, Theo, e sperava che a Paris potesse bastare per il momento.
    hogwarts
    gryffindor
    halfbloodrebelgoalkeeperidiot

    I taste you on my lips
    && I can't get rid of you
    so I say damn your kiss
    && the awful things you do
    (you're worse than nicotine,
    nicoteen.)
     
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