less like slow burn && more like two idiots standing about on fire

ft. Paris

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  1. #IYKYK
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    theo kayne
    31.12.07
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    Per quanto odiasse ammetterlo, Theo vestiva le proprie emozioni troppo apertamente e non era mai difficile distinguerle una dall'altra sul suo volto giovane e costellano da lentiggini. Lo odiava, preferiva di gran lunga essere (più misterioso) meno palese, e mantenere un briciolo di dignità, ma non gli era fisicamente possibile con certe persone.
    Paris Tipton, purtroppo, era una di quelle persone.
    Poteva continuare a negarlo (in primis a se stesso) quanto voleva, ma la verità era un'altra e il suo linguaggio del corpo, il suo volto, parlava per lui.
    Quando Paris distolse lo sguardo, incapace di sostenere ancora il suo, Theo capì di aver fatto centro. E la stretta al cuore, improvvisa, fu terribile perché fino a quel momento non aveva realizzato quanto aveva sperato di sbagliarsi.
    «te l’ho detto: un morso da nulla. un graffio»
    Non si lasciò spaventare dal tono stizzito di Paris, stupido pagliaccio: e poi, se davvero credeva che Theo avrebbe lasciato stare solo perché gli rispondeva male, allora non lo consoceva affatto. Indurì lo sguardo, il grifondoro, dimostrando all'altro che non fosse in vena di cazzate.
    «e sì, ok, magari era un po’ più profondo di quello che pensavo ma–»
    Nel vederlo muoversi, convinto che stesse per fuggire o per iniziare una delle loro solite risse, Theo drizzò la schiena e si preparò a ingaggiare si rimando, pronto a letteralmente qualsiasi scenario tranne a quel «non ti ho mentito, credevo non fosse nulla».
    Troppo vicini, erano troppo vicini, e Theo ancora una volta non riuscì a impedire che la preoccupazione diventasse altro, che diventasse spavento, e piegasse i suoi lineamenti in una maschera di smarrimento, confusione, sconcerto. Forse tutte, e tutte insieme.
    Ma in che senso.
    Credevo non fosse nulla.
    Dischiuse le labbra suo malgrado, il Kayne, alla ricerca di qualcosa da dire, ma senza sorpresa trovò che non aveva parole: non ne aveva mai, neppure quando servivano davvero. Forse specialmente in quei momenti.
    Non gli balenò nemmeno per un istante, in testa, l'idea che Paris potesse fraintendere il suo turbamento per paura nei suoi confronti; non era quello, non era affatto quello, ma la mente di Theo poteva processare una cosa alla volta e il resto della questione aveva la priorità, ora.
    «ma forse era qualcosa, e ora sono fottuto a vita. contento?»
    Lo riconosceva nel tono basso ma rovente del Tipton che c'era qualcosa pronto a scattare nell'altro portiere, e Theo non era mai stato bravo a disinnescare le situazioni, o a calmare gli altri, tutto il contrario: spesso usava la loro rabbia per fuellare la sua, e anche quella volta sembrava non voler essere da meno.
    «contento?» troppo preoccupato da tutto il resto, aveva dimenticato di controllare il proprio tono e quell'unica domanda retorica era uscita più alta del dovuto. Si guardò intorno sperando di non aver attirato l'attenzione di nessuno, ci mancava solo che li interrompessero ora che erano arrivati a qualcosa.
    Si avvicinò di più al Tipton, abbassando la voce e stringendo la mano in un pugno, stretto al proprio fianco, per evitare di stringere invece la presa sulla spalla dell'altro. «perché dovrei essere contento» bisbigliò quell'ultima parola come se contenesse veleno — era davvero quello che Paris pensava di lui? Che gioisse per i suoi problemi? Era uno stupido; anzi, erano. Entrambi, per non aver mai capito letteralmente un cazzo l'uno dell'altro, e ancora meno della loro situazione.
    «paris–» «ma va bene così, me lo merito. è colpa mia se balt ha perso il controllo»
    Si morse la lingua, Theo, desideroso di continuare (con gli insulti) ma conscio che l'unica cosa da dire era un'altra: non è colpa tua. Perché, se proprio, la colpa era sua.
    Se Theo nin avesse insistito a rompere il cazzo a Paris, quella notte, se si fosse fatto gli affari suoi e avesse dato retta al maggiore, andandosene quando era stato invitato a farlo, se non lo avesse distratto dalla preparazione della pozione, nulla di quello sarebbe successo.
    Quell'improvvisa consapevolezza lo colpì più duramente del previsto, togliendogli l'aria per qualche istante, perché aveva sempre saputo di essere uno che mandava le cose a puttane e rovinava sempre tutto, glielo dicevano da sempre, ma dal saperlo e comportarsi comunque da cazzone a rovinare effettivamente la vita di un compagno ce ne passava. Anzi, due compagni: era certo che anche Balt vivesse ormai con i sensi di colpa per quello che aveva fatto, e non era nemmeno colpa sua.
    La colpa era di Theo.
    Una persona matura l'avrebbe ammesso.
    Una persona mature avrebbe offerto il suo aiuto, pur sapendo che non c'era nulla che potesse fare per porre rimedio a quanto fatto.
    Aveva condannato il Tipton a vita; era normale, quindi, molto più che giustificato, che lui non volesse più guardarlo in faccia.
    Ora Theo poteva spiegare tante cose.
    Avrebbe potuto vivere tranquillamente da ignorante senza mai avere la certezza di quanto sospettato, cullarsi nella sua bolla di menefreghismo e fingere che nulla fosse mai successo, e invece era andato ancora una volta avanti come un'ariete senza pensare alle conseguenze, aveva insistito, e aveva avuto le sue risposte.
    Ora doveva convivere con quel peso a gravare sul petto.
    Una persona matura avrebbe guardato Paris negli occhi e chiesto scusa.
    Ma Theo maturo non lo era, non lo era mai stato e probabilmente avrebbe tardato ancora a diventarlo, perciò si limitò a distogliere lo sguardo, con vergogna, e portarlo sui libri che Paris stringeva al petto, una barriera tra loro. Come dargli torto.
    Una parte di Theo avrebbe voluto allontanarsi, prima di fare altri danni, ma l'altra lo stava supplicando di non farlo, ricordandogli tutte le volte che aveva lui stesso desiderato che Lenny o Mis lo lasciassero in pace, perché da troppo vicino avrebbero certamente visto che razza di screwed up bestia fosse, e invece loro erano rimasti, sfidandolo per ciò che era; Theo gli aveva quasi letteralmente ringhiato contro, ma poi aveva accettato la loro presenza e ne era stato grato. Erano stati l'unico conforto in tutti i momenti in cui si era sentito più solo, e a pensarci a distanza di tempo era contento fossero rimasti.
    Voleva rimanere anche lui, per Paris, sospettando che non fossero poi così diversi l'uno dall'altro e il Tipton si fosse rifugiato in se stesso anziché affrontare il problema. Da quando sapeva leggere il maggiore così bene?
    «non posso nemmeno più dirti che sei una bestia, visto che non sono così scemo da insultarmi da solo»
    Appunto.
    Anche lui con il dry humor per mascherare quello che sentiva in realtà. Stupido Paris.
    Costrinse il proprio corpo a rimanere fermo, a non muovere né un passo indietro per la vergogna, né uno in avanti per il bisogno impellente (e stupido sdgshshsj) di accarezzare il viso dell'altro portiere. Non rispose alla battuta, se non con un vago cenno del capo che diceva chiaramente “quanto sei idiota”, ma chiese invece: «chi altro lo sa?» a parte Balt, e ora lui, Theo sospettava che la risposta fosse: nessuno.
    Alla faccia del non voler mentire, o tenere segreti.
    Non sei una bestia.
    Non riuscì a dirlo, si sentiva così tanto in colpa da avere fisicamente un blocco alla gola che gli impediva di parlare e dire altro, scusarsi, come una parte di lui diceva che avrebbe dovuto fare; non riusciva nemmeno ad alzare lo sguardo sull'altro.
    Come potevano andare avanti, da quello? Come potevano correggere uno sbaglio così grande?
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    I taste you on my lips
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    so I say damn your kiss
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