less like slow burn && more like two idiots standing about on fire

ft. Paris

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  1. #IYKYK
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    theo kayne
    31.12.07
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    Un giorno Theo avrebbe imparato a riflettere prima di agire.
    O forse no.
    Ok, era molto più probabile che non imparasse mai — ma comunque, a prescindere da tutto, il giorno non era quello; per il momento il Kayne si doveva accontentare di rimanere costretto in quella stupidità intrinseca nell’età e nella sua indole (colpevole molto più la seconda, in realtà), e accettare di doversi subire le conseguenze delle sue scelte del tutto discutibili.
    E negli ultimi mesi ne aveva fatte parecchie, tutte riguardanti lo stesso soggetto per giunta.
    “Ha quindici anni”, aveva detto un saggio in chat, “si sbaglia, da giovani”.
    Sapete cos’altro aveva aggiunto quella stessa persona molto saggia? Che mica aveva mai detto di non voler più sbagliare, Theo. Era ancora molto giovane, dopotutto; di sbagli nel sacco doveva ancora metterne tanti, per poter dire di avere imparato.
    E se gli eventi dell’ultima settimana erano un indicatore, di strada da fare il grifondoro ne aveva ancora tanta.
    «cosa. vuoi.»
    Si poteva dire molto dei suoi modi – che fossero immaturi, discutibili, esagerati… – ma almeno erano efficaci; aveva catturato l’attenzione del Tipton, no? Poi, magari, si sarebbe anche domandato perché fosse così necessario per lui farlo, avere finalmente Paris voltato nella sua direzione, che gli rivolgesse la parola; in quel momento non voleva pensarci.
    Non quando diverse serie di immagini si accavallavano una sull’altra, alcune più vivide di altre, rendendo l’aria della biblioteca improvvisamente bollente e irrespirabile. Si trattenne dall’allargare il nodo della cravatta, già disfatto e disordinato, e rimase con le braccia conserte e il ghigno sghembo rivolto verso il portiere avversario.
    «non l’ho fatto apposta»
    A mentire, Theo, non era mai stato bravo; c’era un motivo se il bugiardo della famiglia era Mis, e lui fosse invece il ladro. Era sempre stato più bravo con i gesti, il Kayne, piuttosto che con le parole.
    E di parole, infatti, non ne aveva avute per mesi. Non ne aveva avute nemmeno dopo la gita alle Hawaii.
    Allargò le braccia in direzione di un pubblico invisibile, la voce bassa — più bassa del solito, persino per lui. «perché pensi che voglia qualcosa.»
    Perché era esattamente così, ma dettagli.
    La verità era anche che Theo stesso non sapesse cosa volesse da Paris — dargli fastidio? Quello sì, sempre. Dimostrare qualcosa– al corvonero? A se stesso? A tutto il mondo? Non lo sapeva. Quando le cose riguardavano Paris Tipton, il grifondoro non aveva molte certezze, solo grande confusione.
    Cercò di non ripensare a quella stessa confusione che l’aveva pervaso quando, al ritorno dall’isola americana, proprio il Tipton si era offerto di accompagnarlo in infermeria — cosa alla quale ovviamente Theo si era opposto (la visita di controllo, stava bene aveva solo preso un po’ di freddo.) (ma anche la compagnia del corvonero) senza successo.
    Per uno che l’aveva ignorato tutta l’estate (questo era ancora canon) il Tipton aveva uno strano modo di dimostrare indifferenza.
    Mantenne anche lui il contatto visivo con il maggiore, in attesa di una sua mossa, e cercò non non muoversi quando lo vide inchinarsi di fronte a sé per raccogliere il libro, dimostrando un autocontrollo che lo stesso Theo non sapeva di possedere, giuro. Aveva pur sempre quindici anni, e solo di recente era sceso a patti con le proprie preferenze; momenti di debolezza gli erano più che concessi.
    Sperava solo che si ritirasse su in fretta, perché i ricordi che stavano riaffiorando erano per molti luoghi ma decisamente non adatti alla biblioteca, e Theo non sapeva quanto ancora sarebbe riuscito a trattenersi dal prendere il Tipton e sbatterlo contro gli scaffali della biblioteca — in a decisamente kinky way.
    Era fin troppo cosciente della poca distanza tra loro, e del fatto che, contrariamente all’ultima volta che si erano visti, non c’erano compagni o capre nei paraggi, erano soli.
    Si, ok, con un altro paio di dozzine di studenti che giravano liberamente per tavoli e scaffali, ma in quel momento erano soli.
    «ti sei perso? o hai perso una scommessa? cos’era, vedere se riesci a farti buttare fuori da qui? di nuovo?»
    Seguì ogni movimento del Tipton fino a ritrovarselo alla stessa altezza, osservando ancora per una volta, tra sé e sé, come quella piccola (ma sostanziale!!!) differenza d’altezza di pochi mesi prima sembrava essere sparita. Maledetto. Almeno una cosa positiva rimaneva: nove volte su dieci, continuava a trovarlo insopportabile.
    Ok, otto.
    Va bene, sette.
    Tutte quelle parole gonfie da parte di Paris, comunque, e poi era lui il primo ad istigare il Kayne. «vogliamo riprovare?» Theo la ricordava la volta che era stato buttato fuori dalla biblioteca — e c’era stato anche Paris. Assurdo che avessero concesso al corvonero di poter varcare nuovamente quella porta prima che a lui, ma d’altra parte a Theo non era mai fregato nulla di avere o meno accesso alla biblioteca. «però non metterti a piangere poi se decidono di bannarti da questo posto fino ai mago.»
    Rimase ancora un attimo con lo sguardo incollato in quello dell’altro, poi scosse piano la testa in una cascata di riccioli spettinati, e si poggiò con nonchalance contro gli scaffali resistenti (quanto resistenti, di preciso?) (ma perché diamine stava pensando a cose del genere) (cioè, lo sapeva perché, ma non gli pareva il momento adatto), bloccando di fatto la strada al Tipton. «stavo cercando un libro.» Said Theo, never. «e invece ho trovato te, palloso uguale.» E allora perché era ancora lì a rompergli il cazzo? Eh, beh: aveva quindici fottuti anni e tante scelte sbagliate ancora da compiere.
    «non sono affatto sorpreso eh» era difficile vedere Paris in giro, in quel periodo, se ne stava sempre chiuso in aula o in biblioteca — non che Theo tenesse traccia degli spostamenti del Tipton eh!!! Figuriamoci. Diceva per sentito dire. «dovresti uscire di più, sei palliduccio.» E aveva delle brutte occhiaie, e l’aria stanca, e l’espressione cupa e preoccupata — non che Theo ci stesse facendo caso eh. «un po’ di sole non ha mai ucciso nessuno,» Era stupido da parte sua preoccuparsi, non era la badante del Tipton, e soprattutto non aveva la sua stessa indole da crocerossina. E allora perché lo stava facendo? Abbassò solo per un attimo lo sguardo, osservando le proprie unghie rovinate, «beh, a meno che tu non sia un vampiro.» O l'esatto opposto. Quando lo rialzò, lo puntò nuovamente in quello castano dell’altro. «No?» È solo un graffio — e allora perché l’aveva beccato nudo ed esausto, sulle rive del lago nero, un mese prima?
    Theo era stupido, ma non così stupido: c’era qualcosa che Paris non gli stava dicendo, e voleva sapere cosa.
    E poi, fanculo, sì, voleva anche una scusa per rimanere lì a rompergli le palle, fategli causa.
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