less like slow burn && more like two idiots standing about on fire

ft. Paris

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  1. nicoteen
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    paris bentley tipton
    14.02.2007
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    Poggiò la fronte contro il legno dello scaffale, sollevato dalla sensazione fresca del materiale contro la pelle calda, una piccola grazia in mezzo all’inferno che era la biblioteca a quell’ora. Il corvonero chiuse gli occhi e torse il tessuto della maglia tra le dita, un punto fisso che serviva a mantenerlo ancorato nella realtà. Sentiva un impellente bisogno di vomitare, quel poco era certo, ma per ragioni ben diverse dalla nausea che premeva violenta dietro ai denti. L’influenza della luna si faceva sempre più insistente con ogni giorno che si avvicinava al plenilunio, e l’idea della sua seconda trasformazione era abbastanza per fargli desiderare di aprire una qualsiasi finestra del castello e lanciarsi di sotto. Alla fine, c’erano modi peggiori di andarsene. Era cambiato, Paris, dopo quella fatidica notte ad Ibiza e sebbene non imputasse nessuna colpa al Monrique, trovava ancora difficile incontrare il suo sguardo. Non aveva ancora fatto parola a nessuno di quello che era diventato, l’idea di permettersi di pronunciare quelle parole ad alta voce terrificante quanto il sapore amaro dell’Antilupo che aveva ingerito quella mattina. Non si considerava un mostro, ma trovava difficile affrontare quel cambiamento. Aveva messo su massa muscolare che fino a quel momento non aveva mai avuto, e all’improvviso i suoi sensi si erano fatti ben più acuti, anche se la parte peggiore era la resistenza all’alcol e alle droghe. Quello, non lo poteva accettare. Una maledizione per chi come il Tipton amava compromettere il proprio fegato. Forse era grazie a quei dannati sensi, che lo sentì arrivare. Una presenza ormai diventata familiare, dall’odore che suo malgrado aveva imparato a riconoscere in quei mesi e a evitare accuratamente. Era– sentite, aveva i suoi buoni motivi per ignorare l’esistenza del Kayne e avevano ben poco a che fare con gli eventi del prom. Cioè, anche. Non aveva idea di come parlargli o guardarlo, di come la loro dinamica fosse cambiata tra di loro o se fosse successo affatto. Erano complicati i sentimenti (ugh) del corvonero, avevano radici in una rivalità che durava da tempo, e che in qualche modo era sfociata in qualcosa di più. Se prima sentiva la necessità di assestare un pugno sulla sua stupida faccia, quel bisogno rimaneva, ma era accompagnato dall’irrefrenabile bisogno di zittirlo rubandogli un bacio. Non aveva senso, nulla di tutto ciò aveva senso; Paris non era il tipo da sentimenti, non lo era mai stato, e la cosa lo terrorizzava. E poi c’era la questione di Balt e della trasformazione, l’ennesimo nodo allo stomaco del Tipton che giorno dopo giorno si attorcigliava sempre di più. Era ben conscio di dove tendesse l’ago della bilancia, sapeva di essere il responsabile di quello che era accaduto, e per poco non aveva compromesso anche Theo. Era stato distratto dal ragazzo, non era stato abbastanza risoluto nel cacciarlo mentre metteva insieme l’Antilupo perché era troppo affamato per un qualsiasi contatto accidentale con il grifondoro ed aveva fallito per quello. Balt si era fidato di lui, e lui l’aveva fallito. Vedeva come il Monrique lo guardava, dell’esitazione nei suoi gesti e del rimorso cui ogni azione era corrotta, anche senza sapere l’intera versione dei fatti. In sostanza: Paris aveva delle ottime ragioni per nascondersi in biblioteca e fingere di non esistere per qualche ora. Ma il suo piano era andato in frantumi, ed era troppo tardi per un’uscita dignitosa. Le spalle si irrigidirono quando sentì i passi farsi sempre più vicini, fino a fermarsi dietro di lui, la presa sui libri che teneva in mano a rafforzarsi. Poteva lasciargliene uno in testa? No, meglio di no, non voleva rovinare quei volumi. In ogni caso, aveva dato abbastanza spettacolo qualche giorno prima alla lezione congiunta che li aveva portati alle Hawaii, peggio di così non poteva andare. Yet. Quasi sobbalzò nel sentire un tonfo, il classico rumore della copertina rigida di un libro che impatta con la pietra– un rumore che lo mandava in bestia. «ops» fu quel tono del cazzo, menefreghista e fin troppo tranquillo, a farlo voltare di scatto e a farlo saltare addosso al Kayne. Quasi saltare addosso, riuscì a fermarsi appena in tempo, a qualche passo dal grifondoro. Prese un respiro profondo per placare la sua irritazione, e si impose di contare fino a cinque prima di parlare. «cosa. vuoi.» riuscì a buttare fuori attraverso denti stretti, gli occhi castani ormai due fessure che si stringevano sul volto del ragazzo. Mantenne il contatto visivo per qualche altro momento, prima di chinarsi a raccogliere il libro e stringerlo al petto insieme alla sua precedente collezione. Si rialzò con tutta la dignità che riuscì a racimolare, nonostante i ricordi che quella posizione fece affiorare «ti sei perso?» domandò con ben più di una punta di sarcasmo, squadrando con diffidenza e qualcosa che non voleva nominare per mantenere un briciolo di dignità «o hai perso una scommessa? cos’era, vedere se riesci a farti buttare fuori da qui? di nuovo?» certo che, per una persona che era determinata ad ignorare il portiere rivale, gli stava concedendo più attenzione di quello che richiedeva la situazione.
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    after all of this time,
    I should be a pretty crier
    But now I only let me down
    When there's no one else around
    I've been thinkin' way too loud
    I wish that I could block me out
    Don't know how they see me now
     
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12 replies since 17/10/2023, 12:46   348 views
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