Snake eyes

Alexander & Delilah

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    Alexander Lestrange
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    La fine dell’estate aveva un sapore diverso per il Lestrange, ritornare tra le mura di Hogwarts gli dava un certo senso di routine e quiete. Al Maniero, cercava di passare la maggior parte del tempo fuori da quelle mura fredde e malinconiche. Le estati scozzesi erano coperte da un velo di malinconia che gli trapelava al di sotto degli strati dei vestiti e lo lasciava annichilito. Alexander trascinò con sé il baule fino all’Espresso di Hogwarts, aveva solo un pensiero per quell’anno: avere la spilla da Capitano Serpeverde, ora che il suo predecessore aveva lasciato le mura scolastiche, il Lestrange non aveva dubbi su chi vertesse la scelta. La squadra era da ricostruire, ora che la maggior parte degli studenti era andata via. Dopo l’annuale banchetto, Alexander aveva pensato solo al colloquio con il suo responsabile. Alla prova che avrebbe dovuto fare per dimostrarsi all’altezza di quel ruolo.
    Nei giorni a seguire, quella sensazione d’ansia gli aveva rovistato lo stomaco. Non gliene fregava granché, di nulla. Né delle lezioni che erano iniziate né del tempo che già sembrava scivolargli tra le dita sinuose. Alexander aveva un solo obiettivo e lo avrebbe portato a termine. Le parole di suo nonno Crouch a graffiargli le orecchie, sul rigare diritto, sul supportare il Ministero. Alexander a volte si sentiva stanco, tediato. Da quel senso di responsabilità che spingeva sul costato. Akexander è un ragazzo, all’apparenza, normale. Ha una vita sociale attiva, un rendimento discreto, una popolarità abbastanza importante. Alex deve essere un buon amico. Alex deve essere un bravo figlio. Alex deve essere un buon partito. Deve essere un buon fratello. Deve essere. Punto. Mai sentire. Mai lasciare spazio per l’ignoto. Rigido in quell’armatura il Lestrange è, senza mai sentire. Deve essere esemplare, non deve perdere la bussola. Deve essere impeccabile. Un ottimo capitano. Non c’è spazio per l’ansia, non c’è spazio per il passato né per il futuro.
    Alexander deve rimanere saldo. Non può piegarsi, Alex non può. Si guarda allo specchio, il riflesso dell’iride azzurra ricambia lo sguardo. Alex è bravo a fingere. Alex non può mentire. Alex non può essere sincero. Alex è un soldato.Alexander non è pronto per la guerra. Alex è composto. Alexander devi fare questo. Alexander– mai Alex. I soprannomi sono stupidi, glielo dice sempre suo padre. Un padre che è solo una figura sbiadita, un fantasma di una figura che non c’è mai stata. I soldi, le cose materiali sono le cose che rimangono. Sbatte le palpebre, è vivo. Alexander. È presente. È una figura sbiadita. L’ansia un tarlo che lo mangia dentro. Mastica e non sputa.
    Si osserva, i capelli composti. La voce di suo padre che spezza l’idillio nella sua mente. Si infila la divisa, percorre lo spazio che divide la scuola dal campo da Quidditch.
    La trepidazione che gli gratta il petto. Osserva, Alexander. Ogni dettaglio fondamentale, tra le mani una pergamena della formazione della squadra. Le selezioni che devono essere portate avanti. Riflette.
    «Buon pomeriggio ragazzi.» Alexander fa un passo, la luce del sole che muore gli sfiora le gote. La Thunder 3 sfiora l’erba, il manico di scopa è sospeso a mezz’aria. L’odore di erba tagliata gli allenta la tensione al centro del petto. La fronte è imperlata dal sudore volare lo fa sentire bene. Vivo. In un mondo che pare morto. Fa levitare la pergamena a mezz’aria, in quanto cercatore il suo ruolo è sì importante, ma marginale all’inizio della partita. «Vorrei provare qualche parata e lancio con i bolidi oggi, che ne pensate? Dovreste dividervi per ruoli..» Fa un cenno ai suoi compagni di squadra. «Proverei anche più difficoltà incantando i bolidi, qualche fattura magari. Che ne pensate?» La pergamena rimane a mezz’aria, Alexander sale sulla Thunder 3 poco prima libra in aria le pluffe, i bolidi, il boccino. Fa un sorrisetto, che le danze si aprano. Se queste mammolette devono entrare in squadra è meglio per tutti che sappiano battere forte.


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    Delilah Parker
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    «sicura di volerlo fare?»
    che detta così.
    Delilah osservò ictus in preda all’ansia mentre si sistemava le ginocchiere e finiva di intrecciarsi i capelli per farli rimanere fermi al loro posto durante la prova «per quanto non mai entusiasmi avere a che fare con quel tipo…» si abbassò e tirò con veemenza una stringa in modo da allacciarla per bene «ho sempre voluto fare la battitrice» disse dando qualche colpetto di tacco sul pavimento per essere sicura che le scarpe avessero aderito perfettamente «e poi così puoi tifare per me alle partite, ora che non c’è più la tua ragazza» sorrise malandrina prima di arruffargli i capelli e scappare via, non prima di aver urlato un vado, sono in ritardo!

    Il Quidditch l’aveva affascinata da sempre, ma era stato un sogno remoto che per Delilah non si sarebbe mai potuto coronare, troppo impegnata a sopravvivere per svagarsi, aveva capito che avrebbe potuto provare a fare quello che più l’aggradava solamente dopo la guerra, quando aveva visto tornare chi aveva dedicato la propria vita a ciò che più gli piaceva, senza motivo di andare più avanti, lei era fortunata, non aveva combattuto, aveva ancora la sua magia, aveva ancora i suoi amici, non c’era motivo per cui non potesse provare a fare qualcosa che avrebbe potuto renderla felice.
    Quando mise piede sul campo non si pentì affatto della scelta fatta, certo, conosceva le regole ed era discreta nel volo, ma era consapevole del fatto che fosse poco abituata al gioco vero e proprio rispetto ai propri compagni, ma non aveva paura di fare brutta figura, a differenza degli altri nessuno aveva mai avuto aspettative su di lei, era sempre stata una fra i tanti, una povera orfanella in più da sfamare, quella più problematica, malefica, poi la strega, la nemesi della buona scolaretta cattolica che avevano intenzione di creare; schioccò un paio di volte la lingua sotto il palato, afferrato il manico di scopa dopo aver pronunciato un Su! con veemenza, aveva ignorato il buon pomeriggio del capitano, un tipo spocchioso che otteneva tutto ciò che voleva, e che li guardava dall’alto non considerandoli alla loro altezza «Vorrei provare qualche parata e lancio con i bolidi oggi, che ne pensate? Dovreste dividervi per ruoli..» Delilah si avvicinò alle mazze (che detta così di nuovo) affermando un «io faccio la battitrice» con il suo solito tono di sufficienza, una mano sul fianco e sguardo quasi annoiato «dovremmo proprio incantarli, una mano?» chiese , sfilando la bacchetta dalla tasca.

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    Alexander Lestrange
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    Alexander odiava il genere umano. Quello non era semplicemente un dato di fatto, ma un’atroce verità che il Serpeverde si era ripetuto nel tempo. Considerava la metà delle persone della scuola e – della sua stessa casata – braccia tolte al lavoro artigianale. Inconsapevole di come, metà dei suoi compagni fosse approdata in quella scuola il Lestrange li osservava come animali in via d’estinzione. Lo stesso sguardo tedioso inchiodò la figura andante della Parker. Quella stupida puffola che si portava dietro tutta quella banda di sfigati, tutti eccetto Mona che nonostante tutto rimaneva una delle sue più care amiche. Eppure, i figli di Rowena dovevano essere quelli ‘’intelligenti’’ pensò tra sé e sé il Serpeverde, forse Mona era stata imperiata per girare con quella banda di scarti di psichiatria del San Mungo.
    Alexander spostò lo sguardo cristallino su i nuovi arrivati, erano troppi. Che quest’anno il Quidditch andasse di moda? L’anno precedente le maledizioni senza perdono, quest’anno prendersi a bolidate in faccia. Ma d’altronde…c’è a chi piaceva.
    A lui piaceva vincere e questo era il minimo indispensabile. Non avrebbe ammesso deboli di cuore, persone poco ambiziose o pappe molli. No, il Lestrange era cresciuto a sue spese con un’educazione fin troppo rigida e poco persuasiva.
    Quando Alexander voleva qualcosa, lui semplicemente schioccava le dita.
    Il suo migliore amico glielo ripeteva in continuazione che quella scuola era piena di imbecilli, con tutto quello che era successo nel mondo magico forse Alexander avrebbe preferito di gran lunga Durmstrang. Certo…Hogwarts vi si stava avvicinando ma pur essendo spavaldo, il Lestrange aveva sempre rigato diritto. Aveva ascoltato delle storie surreali tra i corridoi della scuola e lui stesso aveva visto quanto fossero atroci le punizioni corporali.
    Ma adesso non aveva tempo per pensare a quello, quando la Parker si avvicinò alle mazze da battitore il Lestrange trattenne un sorriso divertito. Ma dove vuole andare quel goblin di un metro e un pacchetto di gelatine al sapore vomito? Un pensiero che tenne per sé, prima di avvicinarsi alla postazione dei bolidi e pluffe. Attese che gli altri battitori e cacciatori prendessero posto, dopodiché assegnò ad ognuno di loro una postazione.

    «Paker sei sicura? Non vorrei che una ragazzina come te si spezzasse un’unghia smaltata.» Alexander le fece l’occhiolino prima di avvicinarsi alla postazione dei bolidi e farli librare in aria. Un ronzio fin troppo conosciuto riempì l’aria, lasciando che i bolidi si muovessero a destra e sinistra. Fece scivolare la bacchetta nella mano destra, lasciando che si girasse di poco e sussurrò l’incantesimo per farli schizzare in aria. Una volta presa postazione, si allontanò di poco da i battitori. «Dividetevi in due squadre, il primo battitore che lancia più bolidi al battitore rivale e lo disarciona ha il posto in squadra.» Attese che i giocatori si posizionassero e poi, prima che la Parker insellasse il suo manico di scopa, Alexander si abbassò di poco e le sussurrò; «Sei ancora in tempo per filartela in Sala comune, altrimenti…beh, auguri.» Spostò il mantello e lasciò che la partita iniziasse.



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    Alla fine di sta role o vanno al camposanto oppure a duellare, bacetti
     
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    Delilah Parker
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    Delilah Parker aveva tanti difetti e pochissima pazienza, ma forse uno dei suoi pochi pregi era la furbizia, per quello stette in silenzio mentre Alexander la prendeva palesemente per i fondelli senza nasconderlo più di tanto; un sorrisetto nervoso si dipinse sulle labbra della neo-battitrice mentre saliva a cavallo del manico di scopa, dopo aver incantato un paio di bolidi e riposto la bacchetta, e si sistemava l’attrezzatura sulle spalle e sulle mani «per tua informazione capitano» afferrò la mazza con entrambe le mani portandosela sulla spalla «le mie unghie staranno benissimo anche dopo questo allenamento, ma se ti interessa così tanto lo smalto posso prestartelo» magari uno verde, come la tua faccia avrebbe voluto dirgli, ma voleva almeno gareggiare per il posto in squadra, magari avrebbe potuto riversare la sua rabbia contro i bolidi «io non vado da nessuna parte.» aprì e chiuse un paio di volte le dita della mano sinistra facendole scrocchiare e osservando le proprie unghie smaltate di nero sposarsi perfettamente con i guanti di pelle di drago che indossava «ma se fossi in te starei attento ai bolidi» un sorriso malefico mentre lo guardava direttamente negli occhi, ignorando la differenza di altezza non indifferente tra loro «a volte impazziscono» e magari avrebbero preso finalmente la sua faccia cancellandogli quel sorrisetto impertinente che le dava sui nervi.

    cinque minuti dopo delilah aveva ribattuto talmente tanti bolidi che aveva perso il conto di quante volte la mazza avesse toccato le bocce impazzite, ribattè ancora una volta guardando il bolide sposarsi perfettamente contro la faccia del proprio avversario e sibilò «<i>scusa!!» disse mentre si affacciava leggermente per accertarsi che stesse bene, aveva visto del leggero sangue dal naso ma supponeva che il compagno godesse di buona salute e che madama chips l’avrebbe fatto tornare come nuovo.
    sì guardò intorno esclamando un «quindi il posto è mio?» probabilmente si visto che erano rimasti solamente in due sulle scope; si rigirava la mazza fra le mani, i bolidi sembravano sempre essere dalla propria parte e questo le piaceva molto, alexander invece vagava indisturbato a mezz’aria come se fosse stato un auror in cerca di tracce di crimini irrisolti, un bolide andava verso di lei e delilah impugnò la mazza rispedendolo casualmente verso il proprio capitano «ops» con tanto di alzata di spalle «Capitano attento al bolide!! » gridò con una mano accanto alla bocca, sul viso un accenno di sorriso ben nascosto che solo chi la conosceva perfettamente avrebbe saputo cogliere

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