but now I'm insecure, and I care what people think

comocomo-dino + margarita-444

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    C’è una nuova attività in città, qualcuno ha appeso dei volantini in giro con su una locandina, si tratta di una gara di uno sport del tutto nuovo da praticare la notte di halloween: leccare lapidi.
    proprio così, e ci sarà un premio misterioso in palio! riuscirai a leccare più lapidi di tutti? si dice che sarà proprio Liz Monrique, ceo di questo gioco, a consegnare il premio finale, sarà vero? è tutto da scoprire, intanto allenati con la lingua, wink.
    comocomo-dino
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    misjacksson
    Mis Jacksson, le persone, non le capiva.
    Non una novità, e non qualcosa di cui dopo quindici anni e mezzo avrebbe dovuto stupirsi, ma c’erano momenti in cui la sua distanza da qualunque cosa riguardasse la società umana lo colpiva più di altre, e tendenzialmente capitava in prossimità delle feste. Ad esempio, trovava difficile arrovellare la propria mente all’idea che gli esseri umani si fossero uniti sotto una stessa bandiera di pensiero decidendo che il 31 Ottobre dovessero tutti travestirsi da creature dell’orrore: chi era stato il primo? Come si era diffuso? Chi aveva deciso fosse una buona idea? Non una lamentela – lungi da lui interessarsi a qualcosa di così mondano abbastanza da lamentarsene, e poi ognuno faceva quel che cazzo gli pareva – ma curiosità, quella sì. Una curiosità che normalmente avrebbe lasciato morire, non interessato a trovare una risposta. Qualunque replica, non l’avrebbe soddisfatto.
    Eppure, non potè fare a meno di «perchè» di fronte alla locandina appesa all’entrata in Sala Grande che pubblicizzava un evento sul leccare le lapidi. Tutta una.. attività, con un premio in palio, che implicava posare la propria lingua su una tomba.
    Perchè?
    Perfino lui, da sempre più animale che persona, lo trovava… stranamente specifico, abbastanza da averlo trattenuto nella lettura per più tempo di quanto normalmente dedicasse a quel genere di manifesto. Neanche quando l’anno prima Mort Rainey aveva scritto il suo pamphlet, si era fermato così a lungo di fronte alla bacheca. E sì, contrariamente all’opinione pubblica che lo vedeva un bruto analfabeta, sapeva leggere.
    Avrebbe preferito di no. In generale, come regola di vita.
    Riconobbe il sospiro, malgrado fosse solito sentirlo con orecchie diverse. Lunghi pomeriggi passati in silenzio nel cuore della Foresta Proibita, con il muso da cane affondato nella carta delle patatine al formaggio, ed il sospiro del Prefetto Serpeverde a rimbalzare da un tronco all’altro. Avevano trovato un… tacito accordo di non belligeranza, una quieta convivenza che raramente usciva dalla radura dov’erano soliti incrociarsi. Avrebbe dovuto essere meno lusinghiero che avesse venduto la propria lealtà per qualche snack, ma onestamente, pensava che il resto delle persone offrisse la propria anima a Satana per molto meno che un pacchetto di fonzies. Ne seguì una quiete così lunga, che Mis dette per scontato che quello fosse quanto Mood Bigh avesse da dire in merito.
    L’avrebbe capito.
    Ma sapeva di esitazione, quel silenzio lì. Una differenza che Mis Jacksson avrebbe preferito non conoscere, ma che sentiva premere alla base della nuca con quel senso di preservazione che gli suggeriva sempre di rimanere lontano. Da tutti.
    «ho sentito che sia una tradizione norrena»
    Ah, se solo Mis avesse saputo quanto difficile fosse esistere come Mood, a conservare reputazioni che si intestardivano, con tutto il loro essere, a peggiorare malgrado i suoi tentativi di tenerle a galla. Se fosse stato a conoscenza del fatto che Lissette Monrique fosse l’esperimento sociale dell’anno del Bigh, per una serie di motivi che saranno oggetto di esame in un altro post, l’avrebbe ignorato. Non gli veniva difficile isolare le voci delle persone, rendendole rumore bianco non meglio identificato. Ma non lo sapeva, perché l’agire nel favore delle tenebre di Mood era opposto rispetto a quello di Mis, che quel genere di machiavellismo non lo recepiva. Non vedeva motivo per cui avrebbe dovuto mentire riguardo una questione simile, e riteneva alquanto probabile che potesse essere vero, considerando che la sua cultura in merito era pari a zero.
    Era diffidente sulle intenzioni delle persone, sempre, ma riteneva quella situazione di così poca rilevanza che non si preoccupò di credere potesse essere una stronzata.
    «mh?»
    «mh. Eredità di un antico rito di rispetto verso i defunti, pare. I fluidi sono da sempre ritenuti sacri in molte religioni; la saliva è solo l’alternativa meno inquietante del sangue»
    «mh.» Concesse, perché immaginava che potesse avere senso, e che potessero esistere persone che trovassero… del tutto normale prendere tradizioni antiche e renderle blasfeme e sacrileghe. Ad ognuno il suo. Ma leccare delle lapidi…
    «c’è sempre l’alternativa orgiastica, ma non credo sia concesso in fascia protetta. After party?» Si spostò lateralmente per farlo passare, sopracciglia corrugate sopra un paio d’occhi verde muschio. «non metterebbero dei volantini a scuola» perché qualcuno doveva sottolineare l’ovvio, e Mis era felice di prenderne una per la squadra. Mood gli rivolse una divertita di sottecchi, le labbra tese in quello che sembrava sforzarsi non essere un sorriso. Inspirò seccato puntellando la lingua sui denti, sentendoli più appuntiti. Un altro respiro profondo, perché Lenny gli aveva concesso di mordere le persone solo una volta al mese, ed aveva già dato il giorno prima; non ne valeva la pena. «certo che no. A hogwarts, poi? impensabile» Aveva la sensazione di essersi perso una battuta, da qualche parte, ma non era la prima – né sarebbe stata l’ultima. - volta che il Jacksson si perdeva qualcosa per strada; sarebbe sopravvissuto anche senza saperlo, così come era sopravvissuto per cinque anni senza avere la più pallida idea di chi condividesse il suo stesso dormitorio.
    C’erano cose che era meglio non sapere. La beata ignoranza prendeva la sua definizione da quando tuo zio mostrava filmini privati e personali dei colleghi ad un intero studentato.
    «ci vai?»
    A… leccare delle lapidi per uno strano rito satanico norreno in cui l’assistente di strategia faceva da giudice? Battè le palpebre, lentamente, un paio di volte, già pronto a girare sui tacchi e tornarsene da dove era arrivato (un’aula qualsiasi, a dormire, perché aveva preso tutto da boss) quando l’altro staccò il volantino dalla bacheca, e glielo porse indicandogli l’unica parola al mondo che poteva cambiare le sorti delle sue giornate.
    Forse in un altro momento si sarebbe reso conto di quanto strano fosse che uno sconosciuto sapesse così bene quali fossero i tasti da toccare per farlo funzionare, ma sapete cosa? Probabilmente no. Anzi, quasi sicuramente no; fine, manipulate me, look if i care.
    «c’è il buffet»
    (ed anche tutto mamma, evidentemente.)

    Quindi, Mis Jacksson era al parco divertimenti di Hogsmeade, le braccia incrociate sul petto ed un espressione funerea che ben si abbinava alle piccole lapidi offerte come esercitazione prima della vera e propria sfida.
    Non aveva rimpianti. Domande? Un po’. Era rimasto a fissare uno dei pretendenti al trono così a lungo, che quello si era sentito in dovere di staccarsi dalla sua mini tomba per dirgli «sono impegnato» come se Mis non se ne fosse reso conto.
    (Mis: i connected the dots
    Sara: baby… ok)
    «lo...vedo» impassibile, le ciglia a battere sugli occhi chiari.
    Guardò un’altra volta il cartello all’entrata che intimava gli animali non potessero entrare, e ringhiò fra sé il proprio disappunto. Sarebbe stato tutto più facile se avesse potuto introdursi come cane, anziché essere costretto a fingersi una persona. Terribile, e sconsigliato.
    Avrebbe dovuto portarsi Theo.
    (Non è vero, li avrebbero cacciati prima ancora che il buffet fosse disponibile, e Mis Jacksson perdonava tante cose, ma mai perdere l’occasione di mangiare gratis)
    Reclinò il capo. Facevano anche…. Lapidi personalizzate da tenere come…. Souvenir?
    Curvò le labbra verso il basso. Si sentiva miserabile esattamente come sembrava. Dov’erano le sue fontane di formaggio e cioccolato? I sandwich al cetriolino? I biscotti che il direttore del Cnos comprava sempre quando avevano ospiti in quel di Serravalle?
    Indicò le lapidi con un cenno del capo, approcciando il primo essere umano a sua disposizione.
    «ma sono commestibili?»
    In tempo di carestia……..

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    Sinéad aveva visto molte cose nei suoi brevi ma intensi quindici anni di vita. Aveva vissuto esperienze che una normale adolescente non si sarebbe mai sognata, e ne era uscita vincitrice. Viva. Senza essere menomata mentalmente. Ancora ricordava quando il San Valentino prima era stata sequestrata e abbandonata in una cripta con persone. Punto. Con persone, punto. Il custode della scuola e tre suoi concasati, capite? Il pensiero che fossero delle figure che apparivano nella sua vita quotidiana e conosciute era terribile, avrebbe preferito degli sconosciuti al loro posto. Era più facile manovrare la situazione quando poteva iniziare da una tela ancora vergine, ma soprattutto anche il non essere percepita eccessivamente. Almeno, magra consolazione, poteva dire di aver trovato un’anima affine in mezzo a quel puttanaio. Ed era stato anche il primo di cui aveva incrociato lo sguardo quando, qualche giorno prima, aveva trovato un poster affisso in Sala Grande. Una locandina dal testo fin troppo familiare, evocativo di un fever dream che sperava essere successo solo nella sua testa. Un gioco a premi su chi riusciva a leccare più lapidi, qualcosa di assurdo che era sicura avrebbe attirato solo persone profondamente disagiate. E chi non aveva nessun modo migliore di spendere il suo tempo. Non erano servite parole tra lei e il prefetto serpeverde, la loro connessione mentale andava oltre un primitivo modo di comunicare come quello, e avevano espresso tutto ciò che c’era da dire sull’argomento. Non capiva perché qualcuno avrebbe dovuto farne un gioco, o dove fosse il divertimento a prendersi il colera. Era quasi curiosa di presentarsi solo per godersi lo spettacolo- dopotutto la Monrique aveva dato ben più che spettacolo. Magari avrebbe portato Theo, tanto le bestie tendevano a leccare di tutto senza porsi particolari domande. Si domandava se anche i suoi (s)fortunati compagni di prigionia avessero avuto modo di vedere la locandina, e se avrebbe trovato qualcuno di loro all’evento. Sperava di vederli leccare le lapidi, un sogno e un’emozione. La sua decisione si consolidò quando sentì voce dell’esistenza di un buffet -sperava non si stessero riferendo alle tombe- e come ogni giovane povero che si rispettasse fu immediatamente convinta. Sì, aveva del cibo a “casa” ma lei voleva andare al buffet che due palle sempre lo stesso cibo.
    Lo faccio?
    Lo fece.

    Non c’era nessun buffet.
    Nemmeno l’ombra.
    Si guardò intorno in cerca di questo fantomatico cibo, mani posate sui fianchi nella perfetta imitazione del rinomato meme. Si sentiva esattamente come Elisa quando aveva pagato 10 euro per aperitivo + drink per poi dirle che il cibo non c’era. Esigeva un risarcimento morale per quella truffa, sia per il tempo perso che per il trauma che stava rivivendo con ogni lingua poggiata alla superficie di una lapide. «ma sono commestibili?» ovviamente tra tutte le persone che poteva incontrare a quel particolare evento, doveva essere il fratello di Theo. Vedete, la Mikhailova tendeva a starsene sulle sue, non iniziava le conversazioni e preferiva osservare il quadro generale della situazione. Era quindi comprensibile che non avesse scambiato più di una manciata di parole in quei pochi mesi da quando era arrivata ad Hogwarts. Avevano in comune un Theo e una passione per gli animali, e tanto bastava. Si strinse tra le spalle, i denti a chiudersi sulla pellicina del pollice prima di rispondere «voglio credere di sì» per chi partecipava alla gara, e perché non si potevano permettere una seconda ondata di COVID «anche se in giro si dice che dovresti leccare una lapide vera. possibilmente in una cripta» solo i real ones sapevano, ma di certo non lei. «ma non doveva esserci un buffet?» casual, nel modo di porsi, come se non fosse a un passo dall’addentare una lapide per provare la teoria del Jacksson. Tirò fuori un lecca lecca dalla tasca della giacca, l’unghia a infilarsi sotto alla plastica e a iniziare a grattare via l’involucro «sei qui per partecipare?» non lo disse, ma lo pensò nel kuore: auguri.
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    Edited by ambitchous - 6/10/2023, 02:38
     
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    misjacksson
    «voglio credere di sì»
    Thinkin. Non era il banchetto che si era aspettato, ma in effetti, non era specificato di quale buffet si parlasse. Mis spostò la propria attenzione dalla ragazza alle lapidi in mostra, labbra curvate verso il basso. Con un denso processo mentale, tornò a guardare quella che sapeva essere una sua compagna, un evento più unico che raro. Forse uno dei cinque esseri umani di cui conosceva l’esistenza in quel di Hogwarts, merito del fatto che si fosse accollata, volontariamente, suo fratello. Per scelta, capito. Non poteva che ammirarne il coraggio, nonché il conseguente toglierlo dalla sua orbita lasciandolo finalmente un pianeta in solitaria. Era abbastanza certo che insieme, lui e la russa, avessero anche passato dei bei momenti, e con bei momenti si intendeva rimanere seduti nello stesso ecosistema senza rivolgersi la parola. I suoi preferiti, insomma. «anche se in giro si dice che dovresti leccare una lapide vera. possibilmente in una cripta» Aveva l’aria di una che certe cose Le Sapeva E Basta, quindi il Jacksson non contestò. Un minimo cenno con il capo per mostrare che avesse capito, e nessuna intenzione di continuare quella conversazione perché non aveva nulla da dire in merito. Si chiese solo, pigramente, chi fosse stato il primo a pensare di andare in una cripta, leccare una lapide, e renderlo un’attività di gruppo, ma aveva imparato a tenersi certe domande per sé.
    Non voleva la risposta. Beata ignoranza, eccetera eccetera.
    «ma non doveva esserci un buffet?» Battè le palpebre, Mis Jacksson, osservando la creatura al proprio fianco con sincera curiosità. Ah, I see you’re a man of culture as well. Le labbra del faunocineta parvero perfino innalzarsi verso la specie di sorriso che ogni tanto tentava, ed in cui falliva miseramente – non era certo una grande prerogativa degli animali, e Mis passava molto tempo in forma canina, abbastanza da mimare più le bestie degli esseri umani. - prima di tornare al loro status quo imbronciato. «eh» Fine, senza elaborare, perché non lo sapeva, e la propria delusione era già palpabile senza che aggiungesse altro. Mordicchiò invece l’interno della guancia, facendo sgusciare gli occhi verde muschio su ogni angolo della stanza. «magari è… dopo la gara» Una pausa, il capo reclinato all’indietro e verso il cielo. Poteva aspettare che la competizione finisse, per avere il suo tramezzino al cetriolo? Ma soprattutto, voleva rischiare «sempre che non sia solo per i vincitori» che la possibilità di addentarne uno, neanche ci fosse? «o per chi partecipa in generale» Credeva che il tifo dovesse valere, ma dubitava che qualcuno sarebbe stato della stessa opinione. Magari era un cibo progettato apposta per ripulire l’organismo dai germi ed i batteri delle tombe appena profanate. Che minchia ne sapeva, Mis. Seguì i suoi movimenti, puntando lo sguardo sul lecca – lecca. Era strano trovare il Jacksson senza nulla di commestibile in tasca, ma non aveva pensato di averne bisogno per andare ad un buffet. Un verso di gola, molto simile ad un basso ringhio, sgusciò inavvertitamente dalle labbra dischiuse del ragazzo, prima che posasse l’espressione corrucciata sul resto delle persone.
    Li odiava tutti. «sei qui per partecipare?» Inspirò dalle narici, soffiando piano l’aria dalla bocca. Non aveva neanche una caramella, capite? E neanche una pasticchina, o una bottiglia di birra con cui riempirsi lo stomaco in attesa del pacchetto di patatine successivo – doveva ringraziare di avere un ottimo metabolismo, e di bruciare un sacco di calorie in forma animale. Se pensava fosse lì per prendere parte a quel rito satanico, «passi troppo tempo con mio fratello» perché era una cosa che Theo avrebbe fatto, con la giusta spinta. Erano entrambi competitivi, ma dove Mis tracciava limiti, Theo vedeva orizzonti. Ancora, sollevò infinitesimale un angolo delle labbra, scoccandole un’occhiata perplessa. Contenta tu, diceva. «tu sì?» e le due sentenze, attenzione, erano collegate: Sinèad era amica del Kayne, e non l’avrebbe trovato affatto strano se si fosse lanciata in pista pronta a sbavare sulle tombe di perfetti sconosciuti.
    Anzi. Le avrebbe solo che ricordato il sangue del suo sangue.
    «volevo il cibo gratis» chiarì, malgrado non dovesse giustificarsi con nessuno. Se voleva crederlo un people watcher, così fosse: l’avevano chiamato in maniere peggiori, e dopotutto, ciascuno aveva i propri headcanon su Mis Jacksson. Compreso il Gramo, che comunque… Non troppo lontano dalla realtà: era pur sempre un omen.
    Sentì i passetti. Piccoli, delicati, ma li sentì in quella parte che poco aveva a che fare con l’udito, e tutto con il restante percepire. Abbassò lo sguardo verso l’angolo più ad est di quel teatrino, notando una minuscola figura in movimento.
    Battè le palpebre al roditore.
    Piegò il capo sulla spalla, riflessivo.
    «ti va un picnic?» Non specificò che intendesse rubare il cibo, sempre se presente, e non catturare e mangiare il topo: il silenzio ai sentimenti.
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    Infami bastardi, ecco cos’erano gli inglesi. Si sentiva sedotta e abbandonata, gaslightata da degli organizzatori senza volto e alcuna vergogna, e ora era costretta a cibarsi di un misero lecca-lecca come un pezzente qualunque. Le labbra si contorse in una smorfia al primo assaggio della caramella, il sapore aspro a risvegliare pupille gustative che nemmeno sapeva di avere; erano i suoi preferiti, i lecca-lecca al gusto di morte e perdizione. Si raccontava che fossero nati ai tempi dell’Unione Sovietica per sopperire alla mancanza di materie prime quali lo zucchero, ma Sinéad non aveva mai avuto la curiosità necessaria per indagare: aveva cose più importanti da fare, tipo spaccarsi le ossa sul ghiaccio. Letteralmente. «magari è… dopo la gara» e quello, signore e signori, non poteva accettarlo. Non solo doveva rivivere le emozioni intense della cripta, ma doveva farlo a stomaco vuoto. E poi, chissà quanto ci avrebbero messo a leccare tutte le lapidi. Era tutta una questione di abilità affinata negli anni, di predisposizione naturale, non tutti potevano raggiungere l’eccellenza della Monrique. Grazie all’Altissimo, per carità, ma in quel caso giocava a suo sfavore. «sempre che non sia solo per i vincitori o per chi partecipa in generale» gli angoli delle labbra si piegarono all’ingiù, il naso arricciato alla sola idea di quell’affronto. Era da cafoni, da mostri il cui unico intento era predare sui più deboli– in poche parole: geniale. «in effetti, potrebbe essere così» ne sarebbe stata quasi affascinata, se non ne fosse caduta vittima. Non le sfuggì il modo in cui lo sguardo del Jacksson seguivano i suoi movimenti, nella fattispecie il lecca-lecca che aveva tirato fuori. Nemmeno si scompose, quando udì il basso ringhio che emise, ormai fin troppo abituata a quelli del fratello. Erano davvero una famiglia di animali. E sapete cosa? La Mikhailova non era una persona generosa, fin troppo abituata a tenere quello che si guadagnava stretto al petto, ma in quel momento lei e Mis stavano condividendo un momento di miseria insieme. Poteva fare un’eccezione. Chissà, magari gli avrebbe dato una caramella corretta con qualche pozione per shit and giggles, dipendeva cosa pensava dalla tasca. «nel frattempo, premio di consolazione» si strinse nelle spalle, casuale nel lanciargli una caramella così che la prendesse al volo «me ne avanzava una» non era certo scema, ad andare in giro senza caramelle. Aveva una dipendenza? Sì, probabile, ma meglio una dipendenza da caramelle che da eroina. Anche se Elisa in questo momento non la rifiuterebbe, pensateci amici. «passi troppo tempo con mio fratello» affermazione derogatory, senza dubbio, ma che non poteva negare visto il tempo poco sano passato con il Kayne. Se non lei, chi si sarebbe sorbita le sue lamentele su— nemmeno voleva pensarci, aveva già i brividi. Scosse la chioma bionda, riservando un sorriso beffardo al Jacksson «pensa, se non mi sacrificassi io dovresti farlo te» dio mi ha dato il dono della parola ecc perché più le cinque si avvicinano e meno capisco il significato delle lettere, ma useremo la scusa che di base Sinéad è russa. «quindi il mio è tutto un servizio alla comunità» riprese a divorare il suo lecca-lecca, ascoltando a suo malgrado le terribili ipotesi che Mis stava avanzando. «tu sì?» certe volte le sembrava di non essere mai uscita da quella cripta, un incubo in loop che si ripeteva con diversi personaggi. E in effetti, era molto fitting che fossero circondati da lapidi. «non passo così tanto tempo con theo» il tono di voce si fece più alto, quasi strozzato, nella sua indignazione. Gli rivolse uno sguardo poco impressed dal suo metro e cinquanta, ma persino gli gnomi da giardino incutevano timore nelle giuste situazioni (al buio. gli angeli piangenti dei poveri) «e preferirei non prendermi qualche malattia. ci sono modi migliori per morire, tipo in ipotermia dentro a un ghiacciaio sull’everest» SENTITE aveva le sue hyperfixations e di certo non perché il professor Jackson gli ricordava uno degli attori di uno dei film di quel genere.
    «volevo il cibo gratis. ti va un picnic?»
    Ora, non era sicura di quanto appetito riuscisse a manifestare dopo aver immaginato Eugene Jackson in decomposizione, ma poteva sempre provarci.
    Si guardò intorno con movimenti cauti e misurati, per poi annuire cospiratoria al ragazzo «così imparano a fare i pezzenti» non era il suo primo rodeo, per motivi poco allegri che non staremo qui a spiegare (dicono di me -cit), quindi aveva una vaga idea di quale sarebbe stato il loro piano di azione. Ma prima: «sai già dove andare?» sospettava che i sensi canini del Jacksson funzionassero un po’ come quelli bestiali di suo fratello, che sapeva fiutare un cheeseburger da fin troppi metri di distanza per essere normale. Inserire una dettagliata e fantastica descrizione di dove stiamo andando, io non lo farò perché ho spento il cervello ma voi potete se vi aggrada. «ODDIO! cous cous ricco mi ci ficco» esclamò appena si ritrovò davanti a quello che era un buffet degno di…ok, una scadente mensa universitaria, ma non era abituata a tanto meglio ad Hogwarts. «lo sapevi che se ci aggiungi della salsa di soia, il cous cous è più buono? me l’ha detto un tipo strano su lol» o così diceva la leggenda. Avanzò tra i tavoli di cibo, chinandosi ogni tot di passi per studiare il cibo conservato sotto incantesimi. Ecco, quelli le sarebbero stati utili nella vita, non qualsiasi cosa le insegnassero a Storia della Magia. «hai qualcosa dove mettere la roba o facciamo a cazzo duro?» e con cazzo duro intendeva cercare di levitare (ma è italuano?) il maggior numero di piatti possibili fuori da lì. «mi sento molto come in una campagna di dnd»
    così
    senza contesto
    ma in effetti era una cosa molto da hellfire club.
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    Era un ragazzo piuttosto basico, Mis Jacksson. Primitivo, avrebbe detto qualcuno, e non (necessariamente.) nel senso goliardico con cui lo dicevano di Theo: i suoi bisogni, necessità, ed effettivo responso in merito agli stimoli esterni, erano identici a quelli di un animale. Logico dedurre potesse facilmente essere addestrato, perché era proprio così. Difficile avere la sua fiducia, per carità, era pur sempre dotato di raziocinio umano, ma la sua lealtà era merce scontata e scambiata per patatine e biscotti. O caramelle, come in quel caso. Aprì il palmo all’ultimo secondo, afferrando il dolcetto prima che potesse colpirlo, assottigliando poi le palpebre verso la Serpeverde. Guardingo come un gatto cui fosse stato sottoposto un cibo nuovo, portò la carta alle narici, cercando di sentirne il profumo attraverso la pellicola. «me ne avanzava una» Quando fu abbastanza certo non nascondesse inganno, emise un mezzo grugnito felice, scartandola in fretta e lanciandola soddisfatto in bocca. Sorrise, perfino; sempre una smorfia poco familiare sulle labbra, ma non meno genuina. Come in un qualsiasi otome game, ogni offerta di cibo rappresentava un punto in più nella barra dell’amicizia fra sé ed i suoi interlocutori, esattamente come esserne privato faceva scendere i punti in negativo (infatti Theo era sempre a quota zero, e solo perché il sangue condiviso lo obbligava moralmente a tenerlo in considerazione comunque).
    «pensa, se non mi sacrificassi io dovresti farlo te» La sola idea bastò a fargli corrugare le sopracciglia, lo sguardo perso su un punto imprecisato del pavimento. Mis amava suo fratello, e voleva rimanesse così; sapeva non sarebbe successo, se non avesse potuto condividere quel fardello con qualcun altro. Theo Kayne era troppo per una sola persona, e lo diceva uno che con lui smezzava il corredo genetico. «quindi il mio è tutto un servizio alla comunità» Perchè mentire? Annuì una sola volta, secco, senza avere nulla da aggiungere: la sacrosanta verità. Al suo domandarle se fosse lì per partecipare alla competizione, ricevette un piccato ed onesto «non passo così tanto tempo con theo» auto esplicativo. Rotolò la caramella da una guancia all’altra, sbuffando un verso divertito fra i denti. «non si sa mai» biascicò, con una scrollata di spalle, tornando a guardare il resto delle persone all’interno della fiera. Con una certa esitazione, occhi schivi e più spesso alle mura che sui profili della gente. Le ciglia a battere lente, infastidito dai rumori ed i suoni prodotti da troppi esseri umani stipati in una stessa stanza. Quel tipo di tortura poteva tollerarla solo con la promessa di una ricompensa, e l’idea che non potesse mettere sotto i denti neanche un voulevant al formaggio, rendeva la sua presenza in quel posto alquanto inutile. «e preferirei non prendermi qualche malattia. ci sono modi migliori per morire, tipo in ipotermia dentro a un ghiacciaio sull’everest» Roteò gli occhi verdi sulla Mikhailova, osservandola riflessivo. «specifico» mormorò, scandendo piano ogni lettera. «ed anche una lenta agonia» a quel punto l’occhiata si fece perplessa, una domanda implicita nello sguardo: perchè mai dovresti voler morire in 3-4 ore lavorative. «preferirei rapido, se non indolore» di nuovo le spalle a scuotersi, e la caramella ormai quasi completamente sciolta spinta sotto la lingua. «punto sul giustiziato» ed il mezzo sorriso lampeggiato in direzione della ragazza, conteneva centinaia di universi di cui non poteva – né voleva, per inciso – renderla partecipe, ma che non necessitavano di essere contestualizzati per essere compresi. Dopotutto, passava quasi tanto tempo quanto suo fratello in Sala delle Torture. Il fatto che non potesse andare in giro sventolando la bandiera ribelle, non lo escludeva dall’esserlo in tutto quanto fosse civilmente concesso.
    Oramai erano lì, e visto che li avevano scomodati, il minimo che potevano fare era offrire loro la merenda. Il fatto che ne sarebbero rimasti ignari, non era un problema di Mis – o di Mini, a quanto pareva. «sai già dove andare?» il Jacksson si chinò, le dita a tamburellare ritmate sul pavimento. Non gli ci volle molto per allargare il proprio potere, trovare la presenza del piccolo roditore, e richiamarlo a sé. Docile, il topo, nel salirgli nel palmo. «vuoi salutare?» domandò alla bionda, del tutto serio. Gli animali erano una questione formale sulla quale Mis raramente scherzava. Bastarono pochi secondi di occhiate ed impulsi dal faunocineta al topino, per capire dove fosse tenuto in custodia il cibo, e solo un mormorio impercettibile per far sì che il topo, una volta sceso dalla sua mano, sgattaiolasse fra le gambe dei partecipanti scatenando il caos necessario perché lui e Mini potessero svignarsela indisturbati verso le finte cucine.
    Molto finte.
    E chiamarle cucine, gli sembrava davvero eccessivo.
    «ODDIO! cous cous ricco mi ci ficco» Tale padre, tale figlia. Non giudicò l’entusiasmo della ragazza, anzi, con interesse si chinò sulle teglie annusando l’aria. «secondo te è vegetariano?» afferrò una forchetta, sgranando l’interno della pirofila alla ricerca di carne. «lo sapevi che se ci aggiungi della salsa di soia, il cous cous è più buono? me l’ha detto un tipo strano su lol» Aveva già sentito quella storia, e sbuffò un altro suono divertito ed ironico dalle labbra socchiuse. «ma chi, ithuriel? Mangiava lucertole aperte da ragazzino i cracker con il succo di frutta, non so quanto sia attendibile» osservò, allungandosi verso un piatto di ratatouille. Almeno con quella, poteva andare sul sicuro. «provare non costa niente» concesse comunque; era pur sempre un lavandino, scofanava davvero di tutto.
    «hai qualcosa dove mettere la roba o facciamo a cazzo duro?»
    E sì che mangiava sempre, ma non era che andasse in giro con piatti e pentole in tasca. Le offrì l’occhiata di scherno che meritava, schioccando rumoroso le labbra fra loro. «cazzo duro sia» that’s what she said? Chissà se avevano la stessa concezione di cazzo duro, Mis e Mini. Nel dubbio, il Tibiavorio afferrò una teglia di cous cous, un piatto di verdure condite, ed una pirofila di quelli che sembravano dolcetti misti – adocchiava marzapane e biscotti. - con un equilibrio degno di un maitre in un ristorante di lusso. Infilò anche sotto braccio uno scadente cartoncino di vino, perché chi era lui per rifiutare alcool gratis, perfino della più bassa lega.
    «sai correre, o solo pattinare?» e senza attendere una reale risposta, si fiondò verso la porta e scattò verso l’esterno. Rapido, anche se non quanto avrebbe potuto esserlo in forma animale (aveva valutato di acquisire almeno il marsupio come i canguri per essere più comodo, ma non trovava fosse molto… igienico).
    E diamo tutti per scontato che i nostri eroi fossero riusciti a scappare, in qualche modo.
    Si fossero ritrovati senza fiato in uno spiazzo desolato dove uno dei due – o perché no, entrambi – poteva scegliere di commettere un omicidio e non essere mai scoperto. Magari le avrebbe pure sorriso, Mis, quando si fossero spiaggiati per consumare il loro bottino.
    In silenzio. Religioso. Apprezzato.
    Rotto da un curioso «come hai conosciuto theo?» fra una forchettata e l’altra di polpettone vegetale. Trovava la quiete confortante, Mis, ma non gli dispiaceva disturbarla per Sinèad Mikhailova. Soprattutto per svelare un così grande arcano.
    15 y.o.ivorbonefaunakinesiswoof woof

    Everywhere I go, I know that I don't wanna be
    Part of something I won't ever need
    gif credit: yeahthatsinteresting.tumblr.com/
    ms. atelophobia panics at a lot of places beside the disco
     
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