love story (akerrow's version)

[the wedding of the century | Avignon, FR]

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    Non stava piangendo. La percezione della lacrime a bagnare le guance avrebbe implicato un momento di inizio e uno successivo di fine, mentre Niamh sentiva di star piangendo da mesi. Dentro, quando era occupata a correre da una parte all’altra per mettere insieme quel matrimonio e assicurasi che Eugene Jackson non lo mandasse a rotoli, e fuori quando aveva visto l’abito di suo fratello. Not her finest moment, ma a sua difesa era in pre-ciclo. Alzò appena il capo, il muscolo della lingua a premere sui canini per impedirsi di versare altre lacrime traditrici. Non potevano farle quello, capito? Doveva essere contro qualche legge dell’universo, o direttamente nella Carta dei Diritti Umani. Aveva fatto del suo meglio per mantenere la dignità richiesta dal suo ruolo durante la cerimonia, ma l’alcol aveva reso tutto più difficile durante il dopo. Vedete, la Barrow non era una fan dell’amore o dei matrimoni, trovava difficile da comprendere il primo concetto e performativo at best il secondo, ma vedere William quel giorno era andato a tirare delle corde che non sapeva di avere. Almeno, e di questo si era occupata personalmente, l’open bar era pronto ad accoglierla a braccia aperte. «tu sì che mi capisci» sorrise appena, malinconica e fin troppo inebriata, le parole a trascinarsi «come farei senza di te?» passò lenta un dito sulla condensa del bicchiere, per poi perdersi per qualche attimo nel liquido scuro. Prese un (due, cinque) sorso del misterioso cocktail, assaporando il sapore della vodka sulla lingua. Borbottò qualcosa di impossibile da decifrare, e per puro caso il suo sguardo inciampò sulla figura del barman impegnato a mettere in ordine la postazione «comunque io lo faccio meglio» gli puntò l’indice contro, iniziandolo a roteare in maniera, sperava, intimidatoria. Niamh Barrow: classico uomo etero. «anzi senti vuoi vedere una foto dei miei nipoti?» I SUOI NIPOTINI BELLISSIMI!!!! PROUD ZIA!!! Non era legato da nessun filo logico al discorso precedente, ma poco importava quando ormai il caos l’aveva scelta da ore. Spinse lo schermo del telefono in faccia alla vittima, raccontando per filo e per segno il momento in cui la foto era stata scattata. Badate bene, la Barrow non era ubriaca, ma leggermente alticcia. Reggere l’alcol era nel corredo genetico dei Barrow, e Niamh era lontana dalla sua soglia. Il fatto che si aspettava un ammutinamento da un momento all’altro non aiutava la causa. Capiva il sentimento di alcuni dei suoi compagni, davvero, era qualcosa che ribolliva tra i ranghi della resistenza ormai da anni e che in altre circostanze avrebbe potuto ammaliare persino lei. In un’altra vita, dove la sua non era legata a quella di William Barrow. All’inizio non aveva capito suo fratello, e non era certa di farlo tutt’ora, ma era stata una spettatrice in prima fila alla vita che si era costruito con il Capo Cacciatori. Poteva non comprenderne il fascino, ma avrebbe versato sangue per proteggerlo. E come bonus anche quello di Jameson Hamilton, che doveva solo provare ad avvicinarsi a suo nipote. Ah, che donna impegnata! Non si poteva nemmeno più bere in pace.

    Provava molte emozioni, Sersha, così variopinte e controverse che metterle per iscritto risultava complesso. Anche lei, come suo fratello Barrow, era perplessa. Aveva optato come lui di lasciarsi scivolare quei momenti addosso, volgendo lo sguardo dal lato opposto quando tutto diventava troppo. C’erano mali peggiori al mondo, ma anche migliori. La cerimonia era stata un qualcosa che difficilmente avrebbe potuto lavare via dalla sua mente, e credeva che l’immagine di William e Akelei che si promettevano amore eterno etc etc con tanto di heart eyes e lacrime avrebbe vissuto nei suoi incubi. Il fatto che fosse stata scelta come damigella era uno strano scherzo del Fato, uno che ancora non si sapeva spiegare. O perché quei due pagliacci dei suoi nuovi fratelli fossero lì a fianco a lei. Ma chi li conosceva, literally. «bro, barry» cercò di richiamare l’attenzione del biondo seduto dall’altra parte del tavolo rotondo, e quando non rispose nei successivi attimi, provvedette a tirargli un delicato calcio «escimi qualcosa per» con un gesto pigro della mano indicò l’ambiente circostante, labbra a curvarsi appena in basso e la testa poggiata pigra sul dorso dell’altra mano «questo» aveva resistito fin troppo, gli ambienti sociali non facevano per lei. Nemmeno l’alcol faceva più il suo sacrosanto effetto. Premette la guancia sul palmo della mano, voltando appena il capo al suo fianco dove sedeva CJ «a meno che non abbiamo altri piani?» difficile ignorare l’innuendo lanciato al Knowles, o la mano a sparire per qualche attimo sotto al tavolo.
    Per scivolare sulla sua coscia.
    gEnTE di poca fede.

    ODDIOOOOOOO AAAAAA
    DHDIEOEOEK
    SAN GENNARO AIUTAMI TUUUUU
    Ecco come aveva deciso di iniziare il post Elisa alle 8 di mattina. Kieran Sargent era, chiaramente, strafatta di qualcosa. Emozioni? Zuccheri? Gli stupefacenti che Barry aveva fatto scivolare nel latte? Difficile da dirsi. La mimetica stava vibrando nel senso proprio del termine, come un bambino che aveva assunto troppe bevande energetiche e non riusciva a star fermo. Aveva passato tutta la cerimonia a piangere e tirare su con il naso, il labbro tremulo a ogni nuova emozione a investirla. Le sembrava di star guardando una delle sue commedie romantiche, ma al posto dei pop corn e un divano aveva delle scarpe scomode ai piedi e dei fiori non edibili. Non che avesse provato a mangiarli, certo. Tuttavia non poteva garantire la stessa cosa per Hold. La sua accompagnatrice totalmente platonica, che aveva invitato in uno spirito d’amicizia e perché, citazione testuale, non poteva perdersi il matrimonio del secolo. Poco aveva a che fare la terribile, imbarazzante cotta (ricambiata? le emozioni erano difficili) che aveva per la Beer. Kieran sapeva solo che un giorno era distesa sulle rotaie di una stazione qualunque, e aveva lasciato che un treno le passasse sopra senza un domani. Ma erano affari suoi!!! E comunque non si stava parlando di quello, ma del matrimonio del S-E-C-O-L-O! Un matrimonio che non aveva badato a spese in fatto di catering. «mamma mia che buono. avete provato il risotto? e la millefoglie con salmone e rucola? assurdo, voglia la ricetta. o lo chef? ma non credo di potermelo permettere» prese a gesticolare animatamente con la forchetta in mano (rischiava decisamente di colpire qualcuno) rivolgendosi a chiunque fosse disposto a prestarle un orecchio al tavolo «assaggia, hold! ti giuro che è buona da morire!!!» prima di rendersi conto di quello che stava facendo, di fermare quella maledetta posata, la forchetta trovò la strada per la bocca della Beer. Così, imboccata.
    A cazzo durissimo.
    AIUTO????
    CENTODICIOTTO??????????
    Al realizzare il suo errore, gli occhi castani della mimetica si ingrandirono quanto palle da golf.
    Guardò la forchetta, poi la bocca di Hold.
    Infine, prese una decisione drastica.
    Lasciò cadere la forchetta di getto, e si alzò di scatto dal tavolo, quasi rischiando di far cadere la sedia. «CHI VUOLE BALLARE?????» era proprio il momento di fare una bella nuotata in piscina e affogarsi.
    I loved you completely
    And you loved
    me the same
    That's all, The rest
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    NIAMH: ha piantato le tende al bar, ma è ben felice di molestare chiunque si avvicini.
    SERSHA: parla con barry e cj
    KIERAN: parla con qualcuno (vuoi essere tu?) e hold. Invita tutti a ballare.
     
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    I giorni prima del matrimonio erano stati i peggiori.
    «Francia. In fottuta Francia si doveva sposare» si sentiva borbottare da un Arci che vagava come un fantasma per la casa e per la panetteria, il quale aveva inveito contro chiunque che tutto dovesse essere perfetto, chiamando tre volte la location e giurando in francese al proprietario che gli avrebbe ucciso i figli se ci fossero stati errori, al fioraio che se la tinta della lavanda non fosse stata del giusto viola delle teste sarebbero cadute, al catering che se ci fosse stata roba meno buona che al B&B li avrebbe fatti chiudere, e via così.
    Era il suo compito? No. Non era fra le persone scelte per organizzare il matrimonio (e a ragione: non era bravo come wedding planner, avrebbe fatto sposare la sorellastra in una casa stregata decorata con denti), e se aveva i contatti vari, era solo perchè aveva accesso al quadernone di Euge (di cui si era offerto come assistente anche fuori scuola, per lo meno per il matrimonio di Ake e Will), ma era sicuramente un buon modo per distrarsi. Essere un workhaolic lo salvava dal farsi male diversamente.
    «Ci sarà mia madre» aveva mormorato una notte ad Aidan fissando il soffitto, ammettendo finalmente il problema. «Non ci ho mai... parlato. Non so come potrei reagire» con un sospiro, aveva guardato il ragazzo coricato al suo fianco. «Non voglio rovinare il giorno di Ake. Voglio avere occhi solo per lei»
    I primi momenti ad Avignone erano stati difficili.
    Non aveva visto Ophelia, ma sapere che da qualche parte ci fosse, e che non lo stesse cercando - faceva male.
    Poi era entrata Akelei, lei e William si erano visti, e tutto il resto aveva perso di importanza.
    Erano bellissimi, erano felici, ed erano oh così innamorati che Arci si scordò persino che il mondo era appena uscito da una guerra che lo aveva lasciato in ginocchio.
    C'erano stati vari momenti in cui Arci aveva odiato Akelei.
    L'aveva odiata quando lo aveva abbandonato a vivere da solo con Belladonna, smantellando la prima vera famiglia che Arci avesse mai avuto; l'aveva odiata quando i B&B gli avevano detto che era uno di loro per diritto di sangue, e aveva scoperto che Ake, Bella e Cole lo sapevano da anni; l'aveva odiata perchè aveva cercato di togliergli la sua unica eredità definendosi unica proprietaria legale del B&B quando era stato Arci, per anni, a sgobbarci dietro e a metterci la faccia nonché tutto se stesso per farlo funzionare; l'aveva odiata perchè era cresciuta con sua madre, con sua sorella, aveva ricordi felici con loro, e lui no.
    L'aveva odiata perché non lo considerava suo fratello. L'aveva odiata perchè lui l'amava ferocemente, e ogni volta che pensava il proprio affetto non fosse ricambiato, provare odio era l'unico modo in cui era in grado di gestire quelle emozioni forti.
    La guardava adesso sorridere, e si sentiva fortunato di essere parte della sua vita, e della sua famiglia, sangue o no. Fortunato che Akelei gli volesse bene, e che avesse scelto di stargli vicino come Arci, prima ancora che come B&B. Fortunato a essere lì (voluto) e a vederla così felice, con la consapevolezza che lo sarebbe stata finchè morte non vi separi al fianco di William.
    Chissà se Lydia avrebbe preso il bouquet, così Arci poteva commuoversi un altro po' al prossimo matrimonio.
    Si avvicinò alla rossa, cingendola con un braccio. Vino?, aveva chiesto. «Io sì, grazie» poco importava Lydia si fosse riferita a Dylan e non direttamente a lui, che ora porgeva il bicchiere. Ora era anche lui l' a partecipare alla conversazione!!11
    Guardò la sorella di sottecchi, assicurandosi che stesse bene: quando l'aveva ritrovata era stata chiara nel dire che era felice di considerarsi sua sorella, ma non una baudelaire, perchè non era più Annie. Come si sentiva a essere lì? Stava bene? Sicuro non l'avrebbe lasciata sola a scoprirlo.
    «come va la vita da diplomata, Kane? Ti vedo diversa» sarà mica il cambio pv ics dì «Se hai pettegolezzi interessanti sul tuo capo, li possiamo aggiungere come aneddoti al brindisi»

    (...)

    Era difficile distogliere lo sguardo da William e Akelei, radiosi nella loro bolla felice, ma dopo un po' Nicky si sentì quasi un'intrusa a fissarli con occhi così adoranti (erano così!!! clichè!!! madonna otp julie aiuto), e spostò gli occhi altrove... capitando inevitabilmente su Arci e Aidan come attratta da una calamita. Girò di scatto la testa. L'idea che fossero i suoi genitori ancora non gli andava molto a genio (aveva sempre saputo di far parte di un altro universo, ma la intendeva come galassia, alieni, non come AU. Era amica di Aidan!! Non poteva- cioè- aiuto), e aveva bisogno di più tempo per poter tornare a guardarli e chiacchierare come se niente fosse.
    Si avvicinò a Niamh, piuttosto, mettendosi al suo fianco all'open bar e chiedendo un caipiroska al barista. Preferiva sballarsi, che ubriacarsi, ma non le sembrava ancora il momento di tirare fuori la canna dell'amicizia. Magari prossimo giro post?
    «Avete fatto un lavoro splendido. È tutto bellissimo» grande dialogo, lo so, non dirmelo. «Non credo di aver mai visto Will così felice» pausa. Pausa. «Neanche con Mitch» LE GASP!!!!!
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    ARCI: si avvicina a Lydia (e quindi Dylan) e parla con loro

    NICKY: all'open bar, parla con niamh

    i vostri post: My life is the Crown and yours is politics. And I will not trade one prison for another.
    i miei post: I'm sooOOorry that I looked at Mrs. Riley and lightly grazed your left tit al right-

    (da isapete di che audio parlo, ma per i boomer come me:
    www.tiktok.com/@authorbiancawhite/video/7283342350242352414)
     
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    Ok, tanto per iniziare: sì, Nathaniel era al matrimonio evento dell'anno. No, non era neanche triste a vedere i suoi amici mangiarsi con gli occhi dopo - e cito - l'ennesima fregatura.
    Amava l'amore, gli piaceva vedere coppie (trii, poligoni) innamorati e felici, e non è che solo perchè si era un po' arreso sul campo personale, ora odiava chi aveva il proprio lieto fine. Aveva il cuore di un Ted Mosby, alla ricerca della ragazza con l'ombrello giallo, ma magari era già arrivo al finale di HIMYM, e dopo Aveline non sarebbe arrivato nessun altro - doveva per questo avercela con tutti i suoi amici più fortunati di lui? Decisamente no. Poteva piuttosto parlare con la pancia di Euge e sorridere all'amico che sarebbe stato, ancora, un padre perfetto, salutare Rea e chiederle conferma che Elijah avesse abbastanza acqua in cantina, chiedere a Jay se la festa non gli faceva venir voglia di fare anche lui il grande passo, e poteva commuoversi leggermente a Will e Akelei.
    Una giornata da ricordare, perfetta sotto ogni punto di vista.
    «Grazie di avermi accompagnata»
    Nate offrì il braccio a Mads, per andare con lei verso i tavoli finita la cerimonia.
    «Grazie a te di essere il mio più uno; non mi andava di venire da solo» era quasi arrivato ad appendere volantini in giro per ricercare un accompagnatore, ma what if nessuno avesse risposto, come nessuno mi aveva risposto in pubblica quando avevo elemosinato chiedendo chi voleva andare con nate? what if.
    «Tu stai bene?» Il professore guardò la ragazza con più attenzione, ma Mads scosse la mano in aria.
    «Sì. Sì sono solo... stanca. Mi sono svegliata presto per prepararmi. Non vedo l'ora di mangiare qualcosa»
    Mads non era solo stanca, era-
    confusa, per lo più.
    Provava troppe emozioni insieme, e alcune di queste non sapeva neanche catalogarle: c'era la paura e l'ansia che qualcuno, qualche ribelle estremista, intervenisse mandando a rotoli le nozze, non accettando che il leader ribelle si sposasse con un capo ministeriale dopo tutto quello che era successo. C'era la tristezza ripensando al suo Dimitri, morto già sei (centosei) anni prima ma mai dimenticato, e per Floyd, ritornato dai morti ma diverso da prima e più distante, finchè non se n'era andato e basta. C'era la felicità per William e- inaspettatamente, quella per Akelei, che neanche conosceva. La vedeva sorridere, li vedeva sorridere insieme, e provava una nota calda, un senso di familiarità e di casa che non ricordava di sentire da anni, da quando ancora viveva con Lev. Era un'intrusa in quel matrimonio, eppure guardava gli sposi, guardava alcuni degli invitati, e si sentiva parte di qualcosa.
    Cosa, non le era dato saperlo.

    (e qui non so in che momento della vita siamo, quindi siamo al momento festa STACCHETTO).

    Nate si accostò a Freddie, attento a non toccarlo (nonostante la tentazione di dargli una leggera spallata) perchè Euge era in agguato, e con gli ormoni a palla non voleva gli tornasse il triggered comacolla ormai scomparso.
    «Mi devi ancora un appuntamento» aveva due bicchieri in mano, e gliene porse uno. L'avevo preso per Mads in teoria, mentre lei era andata al prendere del cibo, ma ne avrebbe preso un altro. «Con qualcun altro.» Si guardò in giro «C'è qualcuno di interessante al matrimonio che puoi presentarmi? Fra l'altro, bello il completo; sono felice tu abbia optato per l'elegante, alla fine, o avrei dovuto cambiarti con le mie mani» sorseggiò il vino, facendosi poi più serio. «Hai parlato con Nelia? Penso che oggi le farebbe bene stare vicino ad un amico» Nelia e Freddie erano amici per quanto ne sapeva Nate? Sì, e soprattutto, c'era qualcos'altro di irrisolto. Non voleva spingere nessuno dei due a dirgli cosa, se non volevano farlo, ma pensava che tutti (lui) si sarebbero risparmiati un po' di dolore gratuito se fossero stati più diretti nelle loro intenzioni reciproche.
    e a proposito di Nelia.
    «Mi sembra stia andando tutto benissimo» Da qualche parte nella festa, Mads le allungò un piattino con del cibo «Cosa ne pensi?» Non le serviva dirlo, per sapere che anche gli altri ribelli alla festa erano sulle spine. Potevano davvero rilassarsi e festeggiare, magari ubriacarsi e rischiare di non avere i riflessi pronti per difendere la felicità del loro leader?
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    NATE e MADS parlano fra loro, salutano chi conoscono (ganga)
    poi post cerimonia

    NATE parla a freddie
    MADS parla a nelia
     
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    William Barrow II non avrebbe dovuto essere lì. Era una consapevolezza che sentiva nelle ossa, che non era riuscito a scrollarsi di dosso nemmeno dopo la fine della cerimonia. C’erano molteplici motivi per i quali quello non era il luogo adatto a lui, il più lampante era il fatto che non appartenesse a quel tempo, e non fosse altro che un ospite in quella piega temporale. Il secondo si poteva ricavare dalla linea rigida delle spalle e dai denti ad affondare nella carne cedevole della guancia, lo sguardo guardingo che saettava da un lato all’altro del giardino. Strinse lo stelo del flute, e portò il vetro alle labbra per svuotarne il contenuto. Non male, scendeva una meraviglia. Anche se, arrivato a quel punto della serata, William si sarebbe accontentato anche dell’acqua dei sottovasi. Qualsiasi cosa che potesse fargli dimenticare quello a cui aveva assistito nelle ultime ore, e in generale negli ultimi mesi. Non fraintendetelo, era felice per suo prozio e per la missione impossibile che era riuscito a portare a compimento, ma non era nel mood per celebrare le unioni altrui quando la sua relazione era appena (da qualche mese, ma gli sembrava ieri) terminata. Ma il francese stava bene! La vita continuava, la terra continuava a girare attorno al sole e Will aveva trovato di meglio per se stesso. Certo, se pagare un escort per venire a tenergli compagnia platonicamente a casa per suscitare una qualche reazione nel suo ex (che viveva insieme a lui) poteva essere considerato di meglio. Stesso ex che aveva deciso di portare tra le loro mura un bambino. Una collaterale della guerra fredda Barrow-Hamilton, e l’unica ragione per la quale non aveva deciso di abbandonare Jamie al suo destino. Era chiaro ad entrambi che il cronocineta non fosse in grado di prendersi cura di se stesso, figurarsi un bambino. William dubitava del buon cuore dell’Hamilton quando aveva raccontato di aver trovato l’orfano per strada, era abbastanza intimo alla sua persona per vedere attraverso le sue cazzate: un manipolatore, egoista e capriccioso, che pur di tenersi stretto il Barrow aveva deciso di mettere di mezzo una terza pedina. Eppure, Will non l’aveva mandato a fanculo. Perché Jamie Hamilton era una delle poche persone che aveva amato nella sua vita, e che continuava ad amare nonostante tutto. Allungò la mano per sfilare l’ennesimo flute dal vassoio di uno dei camerieri e posare l’altro ormai vuoto, ignaro della cifra alla quale fosse arrivato. Era ancora sobrio, quindi non abbastanza. Certo, era avvolto da quel piacevole buzz che accompagnava il calore dell’alcol nello stomaco, ma era fin troppo conscio dell’ambiente circostante per essere soddisfatto. Perché William non era stupido, sapeva che Jameson sarebbe venuto a cercarlo. E sapeva anche che era inutile evitare quel confronto. Ciò non voleva dire che non poteva prima estraniarsi da quel piano astrale. Rabbrividì quando una brezza leggera accarezzò la parte di schiena scoperta e si insuinò fino alla scollatura profonda sul davanti, una costellazione di brividi ad apparire sulla pelle. Aveva optato per togliere la camicia dopo la cerimonia, certo che l’alcol e i balli di gruppo in cui l’avrebbe trascinato sua nonna avrebbero reso il completo insopportabile. Era il suo revenge dress, e l’avrebbe indossato con la pettiness che meritava. Decise di dirigersi al tavolo, dove aveva adocchiato una bottiglia di vino rosso che avrebbe fatto il suo lavoro meglio dello champagne. Sarebbe stato difficile definire un adeguato lasso di tempo che passò da quando si sistemò al tavolo a quando un profumo intossicante, fin troppo familiare lo raggiunse. Se respirò un po’ più profondamente, cercando di imprimere quell’odore nella sua memoria e sulla punta della lingua, erano solo affari suoi. Pur vivendo nella stessa casa, William aveva smesso da tempo di riconoscere l’esistenza di Jameson. «non ho tempo per i tuoi giochi» asserì severo, rigido nella postura e nelle parole, le labbra a formare una linea sottile. Lo lasciò prendere il bicchiere perché non era così stupido da rischiare di versarselo addosso, ma si rifiutò di voltarsi e incrociarne lo sguardo. Osservò con la coda dell'occhio la mano tesa nella sua direzione, e suo malgrado colse una frazione di quello che era dipinto sul volto del cronocineta. Gli spilli incastrati nel muscolo cardiaco lacerarono un po’ di più la carne, a mordere in profondità e a stuzzicare una ferita che non si era mai chiusa. «jamie» aveva una sensazione di deja vu, il Barrow, e non gli piaceva per un cazzo. C’era rimpianto in quella manciata di sillabe, un’offerta di perdono, non il tormento che si sarebbe aspettato. Chinò il capo, William, un’ondata di nausea e vergogna ad avvolgerlo. Pensava di essere meglio di così, che non bastasse la mera presenza di Jamie per abbattere tutti i fragili muri che aveva eretto per proteggere la sua effimera dignità. Finalmente, trovò la forza di portare lo sguardo sul viso del suo ex migliore amico. Non allungò la mano, ma il fatto che non lo stesse ignorando era più di quanto meritasse. «cosa vuoi, hamilton?» allungò il braccio verso il tavolo e strinse le dita con più forza del necessario sul collo della bottiglia, portandolo poi alle labbra per far scivolare il liquido in gola. Non credeva di poter affrontare quel momento senza il suo nuovo migliore amico a tenergli la mano. «credo che tu abbia di meglio da fare che tenermi compagnia, no?» non menzionò l'abbondante scelta che aveva a sua disposizione, perché non era per niente salty. Davvero, l'aveva superata. Così fottutamente bene. «ma se hai qualcosa da dire ti concedo fino a quando non avrò finito la bottiglia» visto? Era una persona ragionevole in fondo. Portò nuovamente il vetro alle labbra e prese un abbondante sorso di vino, ignorando il modo in cui la testa stava iniziando a girare. Fuckin' finally. Dov'erano gli spritz di Carmen quando servivano?

    La prima cosa di cui si preoccupò Gaylord quando Dylan gli parlò del matrimonio, era che non conosceva il francese. Sarebbe stato tenuto in Provenza, no? Gli sembrava un requisito fondamentale masticare la lingua, seppur in maniera molto rudimentale. Voleva essere preparato, Dylan l’aveva portato come suo +1 al matrimonio del suo capo e Gay non aveva intenzione di farla sfigurare. Non aveva capito che non c’era bisogno che passasse i seguenti mesi su Duolingo ma ormai il danno era stato fatto. Così come non aveva capito che, a parte delle rapide congratulazioni, non avrebbe rivolto parola (in francese o meno) al Capo Cacciatori. Gaylord era stato invitato a diversi eventi di alto profilo, ma dubitava che raggiungessero il livello di sfarzo di cui era circondato. Più fissava le posate alla sua destra e meno si ricordava come usare una forchetta, punto. Ricordava di aver visto un tutorial qualche giorno prima, ma non era mai stato bravo a memorizzare e ritenere le informazioni- infatti faceva l’influencer, mica l’università italiana. Spostò lo sguardo al suo fianco, laddove era seduta Dylan, la quale sembrava essersi sciolta di qualche grado rispetto a prima della cerimonia. Ovviamente, era bastato che Gay si perdesse un attimo nei propri pensieri, che gli adulti (aiuto) al loro tavolo avevano attaccato bottone. Adulti che conosceva, per fortuna, e che stavano offrendo alcol come se fosse la cosa più normale del mondo. AH, TAKE THAT MOM! - Gaylord, legalmente adulto (non) funzionale di vent’anni. Subito, l’educazione impartita nel Beckham si infiammò come una miccia a contatto con il gasolio, e scattò sull'attenti «non si preoccupi, faccio io!» si offrì, per poi prendere la bottiglia di vino e versarlo a Dylan, Lydia e poi ad Archibald. Solo dopo, riempì il proprio bicchiere. Volse poi la propria attenzione alla sua ragazza, heart eyes e il battito a skippare per qualche attimo alla vista del suo volto illuminarsi: quando si trattava di pettegolezzi, Dylan era la numero uno. Era la numero uno in molte cose, ma dettagli. Gaylord era un uomo, e come tale capiva la sua posizione. Il suo compito era di stare zitto e di lasciare che l’ex tassorosso parlasse, senza cercare di inserirsi in un discorso dove nemmeno c’entrava. Sarebbe stato ben felice di aggiungere i suoi pezzi di gossip dopo, al momento opportuno.
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    Sinclair: vedovo, mollato più volte di quante potesse contare negli ultimi anni, e vittima di una recente crisi sessuale. Non c’era posto più sbagliato per lui di un matrimonio. Ma non aveva avuto il cuore di rifiutare, quando la sua famiglia era tutta lì. Che senso aveva rimanere a casa sua a marcire, quando poteva cambiare scenario e fingere che la sua vita non fosse andata a puttane mesi prima. Anzi, decenni prima. Era ironico che si trovasse al matrimonio del capo dei ribelli, quando ufficialmente non ne faceva più parte, sbattuto fuori come se non avesse dedicato gli ultimi anni della sua vita alla Causa. Il fatto che fosse stato obbligato a trovarne un’altra nella medicina non cancellava il fatto che si fosse sentito abbandonato, tradito, nonostante ne comprendesse i motivi. Era un’ombra, non apparteneva più solo a sé stesso, un buco nero che era difficile da gauge. Destinato a una fine fatta di fiamme e buio, un regno che bussava alle porte. Alle volte era difficile conciliare la razionalità con quelli che erano sentimenti confusi e feriti, ma l’Hansen aveva trovato una valvola di sfogo che l’aveva aiutato. E no, non includeva trovare ogni giorno modi differenti per fare fuori Chariton Deadman. Aveva visto come Murphy l’aveva guardato durante la cerimonia, e l’unico pensiero coerente a formarsi davanti ai suoi occhi era stato l’omicidio. E che non si meritasse il posto che occupava nel cuore di sua figlia, ma quello era palese agli occhi di tutti. Ed ecco perché, post cerimonia e nel cuore dei festeggiamenti, il guaritore si era avvicinato a sua figlia per assicurarsi che stesse bene. Aveva posato un bacio tra i suoi capelli, e le aveva assicurato che se avesse avuto bisogno, sarebbe stato lì per lei. E poi, era partito all’attacco «figlia, dimmi» inclinò il bicchiere verso le figure poco distanti di sua nipote e di Hold, le sopracciglia a sollevarsi in un’espressione complice «abbiamo lavorato bene o no?» ovviamente, erano loro le masterminds dietro alla Kold. Dopotutto, senza i pranzi domenicali a casa di Sinclair le ragazze non avrebbero avuto modo di interagire. Persino la guerra, quando Hold e Kieran sembravano essersi avvicinate, era un po’ merito suo: Abby era dentro di lui, in senso poetico ovviamente. Lasciò poi che Murphy si allontanasse per ballare con Run, conscio che nessuno poteva togliere alla Skywalker il suo momento karaoke/flashdance. Chissà da chi aveva preso, di sicuro non da lui. Ed ecco perché si limitò ad osservare la pista, un pezzo di tartina in mano e il cocktail nell’altra. La pista, capito? Nient’altro. Tutto molto bello e interessante.

    Raphael Vaughan non conosceva William Barrow così bene, ma era pur sempre stato un suo collega. Si vociferava che una manciata di mesi ad Hogwarts equivalesse ad anni di conoscenza, un po’ come i carcerati che erano costretti a condividere quattro mura e non avevano nessun altro con cui interagire. In effetti, si spiegavano determinate dinamiche che si erano sviluppate. Gli mancava Boston e la vita che si era costruito lì, ma ci teneva abbastanza alla propria faccia da non mettere più piede nelle facoltà universitarie. Per fortuna, la macchia nella sua reputazione non l’aveva seguito in Inghilterra, e nel mondo magico. Anche se, visti alcuni dei suoi colleghi aveva incominciato a dubitare che il dipartimento di HR di Hogwarts funzionasse. O che esistesse, punto. Meglio per lui. Ma non poteva importargliene di meno di pensare al lavoro, ci mancava solo che lo seguisse fuori dalle mura della scuola, non quando vi era il bene di Dio spiegato davanti a lui. Il cibo, si intende. Vedete, per qualcuno che era cresciuto come il Vaughan, quello sfarzo non rientrava nella normalità, temeva che il solo movimento sbagliato avrebbe mandato in frantumi qualcosa. Ma non era un animale, lui (ciao bro). Aveva preferito distrarsi facendo il suo round di saluti, a partire dai colleghi e dalla….gravidanza del Jackson (che era incinto ai mago? non ricordo), e poi alla coppia di sposi. Ed ora che aveva finito il suo dovere da adulto, poteva concedersi di rilassarsi come Dio comandava: abusando dell’open bar. C’era solo una cosa migliore di un buon whisky, o diversi bicchieri di whisky, ed era la fig- regia di Carlo Vanzina. Si guardò intorno, labbra poggiate sull’orlo del bicchiere e occhi a danzare sulle figure attorno a lui. Per un motivo o per l’altro, la sua attenzione fu fermata da una particolare trio. Perché giustamente dovevano esserci anche i suoi studenti a quel matrimonio, e quella che pareva essere sua sorella, o comunque una parente. Col cazzo, per quanto la sorella rientrasse nelle sue corde, il Vaughan aveva già giocato con il fuoco e aveva finito col bruciarsi ben più che le dita. Ma Raphael sapeva adattarsi, e non era schizzinoso. Incrociò lo sguardo del ragazzo da lontano, piegando le labbra e il capo in un silente invito. Punto pandi vieni a fare il lavoro sporco.
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    SINCLAIR: parla a murphy. è agli estremi della pista da ballo a mangiare: people watching!
    RAPHAEL: saluta i colleghi, beve, guarda law.
     
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    quello era un po il problema delle role evento: bastava girarsi un attimo e succedevano un miliardo di cose.
    Eugene Jackson, però, era abituato ai recuperoni strategici — non lasciava mai indietro nessuno.
    [ prima ] sollevò lo sguardo sulla figura familiare dell'uomo, quando la voce del peetzah gli giunse alle orecchie; un battito di ciglia volutamente languido, perché sotto quell'involucro ben confezionato rimaneva il solito coglione immaturo con una propensione per frivolezze e provocazioni. poi, voglio dire, non era colpa di euge se piz stava chiaramente in astinenza «smooth» le labbra corallo si distesero in un sorriso, mentre osservava il giovane dal basso verso l'alto senza accennare ad alzarsi; se proprio voleva continuare la conversazione, poteva sedersi lui «anche se non mi piace il messaggio implicito» si rabbuiò appena, un sottile ruga a solcare la fronte proprio in mezzo agli occhi chiari «stai dicendo che prima non ero una bomba sexy irresistibile?» non era affatto quello che aveva detto Morley, ma alle orecchie del Jackson arrivava - da sempre - solo quello che voleva lui.
    non tanto un meccanismo di difesa, quanto di offesa.
    «come procede?» seguì lo sguardo del minore fino al proprio ventre, una curva appena accennata sotto lo strato sottile di stoffa color lavanda. vi batté sopra il palmo della mano, come un camionista qualunque (e perché proprio Lara) dopo un buon pranzo a base di trippa e fagioli «ho smesso di vomitare a spruzzo come un idrante» ah, le gioie del primo trimestre — aveva marchiato a fuoco ogni momento passato con la faccia sul gabinetto, la fottuta tachicardia random che lo faceva svegliare quasi ogni notte, la voglia di morire (reale. tangibile) ogni volta che qualcuno accanto a lui mangiava una fetta di formaggio (meglio che diventare intolleranti al caffè, tbh): eppure sorrise comunque. così dolce, e perso, da non lasciare adito a dubbi.
    la amava già, rude.
    un fagiolo di dieci centimetri che presto si sarebbe fatto strata attraverso la sua vagina nuova di zecca facendogli provare tutte le sfumature del dolore possibili e immaginabili.
    ma era sua. quello, a piz, non poteva spiegarlo. in compenso aveva un sacco di altri fun facts «lo sai che ha già le unghie?» hhhhhh terribile, orrendo, bloccato.
    l'arrivo di jade fu provvidenziale — il prossimo step sarebbe stata la descrizione minuziosa dei cambiamenti ormonali che stavano avvenendo nel suo corpo, dimensione maggiorata dei capezzoli compresa: morley peetzah non era davvero pronto per quel discorso. «oh, bubi» alle parole che il biondo rivolse all'allenatore, eugene reagì portando entrambe le mani intrecciate sotto il mento, un principio di rossore a tingere gli zigomi alti e quegli heart eyes che riservava per Jaden Beech da quando ne aveva memoria. praticamente lo sticker di SpongeBob, but make it fashion «la tua cotta per me sta diventando palese»
    6149_ret
    non abbastanza, evidentemente, perché jade si convincesse a fare il lavoro del Signore chiedendogli di sposarla, ma su quello euge stava ancora lavorando — il piano era semplicemente passato da quinquennale a decennale «sai cosa, dovremmo trovare una ragazza a Piz» disse, mentre suo figlio spiccava il volo e veniva catturato giusto in tempo dalle braccia forti e muscolose (mlmlml) di Jade; e batté anche una mano sulla spalla altrettanto muscolosa (euuuu cosa non fanno gli ormoni della gravidanza aiuto) del peetzah «o un ragazzo. una creatura. magari un candelabro. ho sentito di gente a cui piace pulire soprammobili leccandoli» quel video della tipa che lucidava le palle con tanto di gemiti in sottofondo viveva rent-free nella mente del professore, e per un attimo mentre lo guardava si era sentito come i suoi studenti all'ultima lezione: violato «qualunque cosa, davvero» sottolineò l'offerta con un sorriso, che era tipico del Jackson anche se distendeva altre labbra — si poteva dire tutto, del trentaduenne, tranne che non fosse disposto a farsi in trentatré per un amico.
    poi non era detto che all'amico in questione piacesse il suo modo di rendersi utile (vedi: quell'ingrato di nathaniel), ma a quel punto già non era più un suo problema.
    «c'era una signora col vestito tipo troppo uguale al tuo, quindi le ho versato addosso il succo!» no ma dico, si poteva essere più orgogliosi di essere padre? forse, se quelle merdine degli oakes si fossero degnati di dirgli la verità invece di trasferirsi per sfuggire alle loro responsabilità hhhhhh «batti il cinque, bestiola di papà» in contemporanea al richiamo sconvolto di jade, perché questa era la loro relazione on a daily basis. allungò la mano, il palmo teso rivolto all'insù, e quando uran lo colpì con il proprio racchiuse le dita a pugno facendo scontrare le nocche; ci mise qualche secondo, euge, a distogliere lo sguardo quando Jaden si allontanò con il figlio in braccio.
    era uno di quei momenti catartici in cui si rendeva conto che se non fosse stato insieme a lei, non avrebbe mai avuto figli. proprio Eugene Jackson, che aveva ancora bisogno di una tata ventiquattro ore su ventiquattro, sette giorni su sette; che non era mai sfuggito dalle responsabilità semplicemente perché non conosceva il significato della parola — aveva fatto cose orribili, senza battere ciglio. basava il proprio sistema morale su delle priorità che la società moderna non avrebbe approvato, e non gliene fregava comunque un cazzo di niente. non era tagliato per fare il padre, Eugene, semmai il figlio: aveva sempre cercato una famiglia, insinuandosi di prepotenza nelle vite degli altri per ritagliarsi il suo piccolo spazio e piantare le tende.
    eppure.
    «ugh, ci risiamo. piz, sii cavaliere e trovami un fazzoletto, sento arrivare una crisi mistica
    giusto perché mancavano dieci minuti all'inizio della cerimonia.

    [dopo] «”ti amo”»
    «ti amo, william»

    ma tu guarda quelle due merdine infami.
    avrebbe voluto sporgersi verso gli invitati ancora seduti ai loro posti e interrompere quel momento così intenso con una battuta tipo "e me li sono fatti tutti e due!" (è canon, will. you can't wake up, this is not a dream), ma per qualche ragione (gli ormoni), dalle labbra non gli uscì che un suono strozzato. poco male, poteva sempre tenersela per il brindisi «bastardi» sussurrò, interpretando così al meglio il suo ruolo di testimone della sposa, la mano libera dal bouquet di fiori a tamponare inutilmente le lacrime miste a mascara colate lungo le guance — Madonna se gli avevano rovinato il trucco!!!
    maledizioni a parte, non poté comunque fare a meno di avvicinarsi ad entrambi, ormai marito e moglie, avvolgendo loro la schiena con le braccia, la fronte poggiata sulla spalla di William «sono: provato. e vi odio, è giusto che lo sappiate» che nel linguaggio universale tradotto significava amarli oltre ogni confine possibile e immaginabile. dopo tutto, avevano condiviso ben più di un muro contro il quale graffiare la pelle. al contrario degli akerrow e del loro slow burn, per Eugene Jackson era sempre una questione di love at first sight.
    solo quando partì la musica si decise a lasciarli andare, decisamente un po a malincuore «mi devi un ballo, barrow. considerato il triste cantiere nel quale mi hai abbandonato» e si, parlava di Hogwarts: senza William, euge rimaneva l'unico prof divertente :( ma mica se l'era legata al dito, figurarsi. rivolse le iridi chiare allo spiazzo che fungeva da pista da ballo, incrociando per un istante lo sguardo divertito di heidrun intenta a replicare (canon) la coreografia di flashdance; le soffiò un bacio, minaccia e promessa: non esisteva una festa, gravidanza o meno, nella quale non potevano concedersi almeno una slow dance guancia a guancia (per commentare gli outfit degli invitati)
    in mancanza della cochina bisognava trovare soluzioni alternative.



    «marcus»

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    euge:
    prima della cerimonia parla con piz e jade
    dopo va a importunare gli akerrow, invita will a ballare, soffia un bacio a run ❤

    Marcus non fa niente perché anche stavolta lo scrivo domani.
     
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    Cherry aveva molti pensieri sul cosiddetto matrimonio dell’anno. Alcuni positivi, altri decisamente meno. Charlyse Benshaw faceva parte di una delle più antiche ed importanti famiglia purosangue inglesi, era cresciuta in quell’ambiente ed era perfettamente conscia di cosa significasse quel matrimonio per l'élite inglese. Un messaggio politico, una dichiarazione cristallina a chi ormai proclamava che il tempo dei mangiamorte fosse finito. Una nuova era, una nella quale non era il sangue puro a dettare legge. Quello era ciò che il mondo avrebbe visto, o almeno, quelli del suo mondo. La realtà era ben lontana dai fatti, e Charlyse avrebbe voluto che fosse tutto così semplice. Banale, scontato, una storia che si scriveva da sola da secoli. Ma la Benshaw voleva fidarsi di William, era il capo che aveva scelto di seguire, e confidava che sapesse quello in cui si stava cacciando. Anche perché, per una volta nella sua vita, l’ex serpeverde non aveva alcun diritto di giudicare, nessun piedistallo da cui stabilire il buon esempio. Voleva qualcosa del genere, i rischi che comportava quel genere di relazione? Non poteva permettersi di essere compromessa, nessun attaccamento che potesse scostare il velo oltre cui si celava una verità scomoda, ma pur sempre reale. In un momento sovrappensiero, le iridi pallide a posarsi sulle chiome dorate di sua sorella e di Lawrence, Cherry concluse che forse avrebbe dovuto tirare fuori il suo asso nella manica. Approfittare di quell’evento di alto profilo per sfoggiare la sua (falsa) relazione, ridicolizzare il nome dei Benshaw con la sua devianza. Oh, un peccato che Claudia avesse altri impegni. «Mona mi sta fissando» attese in silenzio, conscia che stesse per arrivare, l’ombra di un ghigno a sfarfallare nello sguardo «tua sorella, non il cane» perché il suo cane non era altro che un angelo, ovvio. «e quindi? salutala, non morde» falso sia per Mona animale che umana, se doveva essere sincera. Era conscia che Law non andasse particolarmente a genio a sua sorella, eppure Cherry insisteva nel metterli nella stessa stanza, un esperimento sociale per vedere chi ne sarebbe uscito vivo. «non sono venuto qui per fare da babysitter» sbuffò divertita, la Benshaw, la punta dei canini ad incastrarsi sulle labbra pitturate mentre intrecciava il braccio a quello del ragazzo. «hai ragione, sei qui per farti perdonare» la stessa malizia di prima danzava ancora nelle pieghe delle guance, ma solo uno stolto si sarebbe lasciato ingannare dall’espressione saccarina della ministeriale «mi hai ignorato per tre mesi da un giorno all’altro, senza uno straccio di spiegazione. te e l’altro coglione di moka» si avvicinò appena così che sua sorella, o chiunque altro, non sentissero. Allungò l’altra mano per poggiarla sull’avambraccio del Matheson, la presa a stringersi appena «quello che abbiamo vissuto? non è stato facile per nessuno» nemmeno per me, implicito, una parentesi che avrebbe potuto prontamente celare alla minima crepa. Charlyse Benshaw non aveva bisogno di nessuno, ma non sopportava l’idea che potesse essere lo stesso per qualcun altro «ma ci sarei stata per te» una confessione sussurrata e persa nella brezza di fine estate, dal sapore amaro e dal profumo di lavanda. Non era il luogo o il momento adatto, ma c’era ben poco che avrebbe potuto fermare Charlyse da impartire un’importante perla di saggezza all’amico. Ritornò alla distanza originaria, la mano posta sul braccio di Lawrence a cadere al suo fianco «ma non porto rancore, lawrence, stai sereno» le ultime parole famose.
    La cerimonia iniziò e finì, e l’unico pensiero che la Benshaw riuscì ad evocare, era che fosse un peccato che l’universo avesse perso una donna come Akelei Beaumont. Che spreco, davvero. Per un uomo, poi, quando c’erano tante alternative migliori. Nulla contro il Barrow, era un problema radicato nel suo sesso. Cherry portò un pezzo di macaron alle labbra, assaporando la confettura e l’elaborato profilo di sapore del dolce, qualcosa che era stato chiaramente creato da mani esperte. E poi, perché era la migliore sorella maggiore del mondo, allungò le dita per prenderne uno anche per Mona e adagiarlo su un piattino «hai visto qualche tuo amico?» non avrebbe mai capito la co-dipendenza che sua sorella aveva con quegli altri nove ragazzini, ma era felice che avesse qualcuno. Desdemona non era la persona più facile con cui andare d’accordo, e sapeva essere spigolosa, sapeva dove e come colpire per fare male. Ora che ci pensava, aveva diverse cose in comune con lei. Cristo, di tutte le cose che poteva passare a sua sorella, aveva scelto i tratti peggiori. Se solo avesse saputo dei suoi figli. «Ora che ci penso, potrebbe esserci anche Bennett da qualche parte» osservò curiosa la reazione della sorella, giusto per vedere fin dove si spingeva la cotta che aveva per la Meisner. Certo che l’aveva notato, non era di certo cieca. Era il suo lavoro cogliere ogni dettaglio, catalogarlo e poi capire come sfruttarlo a suo vantaggio. In quanto a Lawrence: «penso che tu abbia attirato l’attenzione di qualcuno» affondò il gomito nelle sue costole per far sì che si voltasse verso di lei, un gesto d’affetto che non aveva nulla a che fare con la sua vendetta personale. Non c’era alcun pudore nel modo in cui stava passando gli occhi sulla figura di un uomo poco lontano, sebbene non fosse il suo tipo. «proprio come piace a te: decrepito» andava detto, era la verità e nulla che non avessero già affrontato. Chissà, forse il suo piano era liberarsi dei suoi accompagnatori così che lei potesse assicurarsi di non tornare a casa da sola. O che nessuno oltre a lei potesse favorire della torre di macarons.
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    Parla con Law e Mona. Sentitevi liberi di molestarla, morde ma non troppo :perv2:
     
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    Renaissance Beaumont-Barrow, anche conosciuto dai più come Zelda Calloway, aveva molte domande sulla vita. La più prominente in quel momento, quella che premeva sulla sua mente da settimane, era cosa ci facesse al matrimonio dei suoi genitori. Certo, in qualità di Generale la sua partecipazione era scontata, ma in quanto figlio? Una posizione scomoda. Specie ora che William e Akelei sapevano. Dopo sei anni, gli sembrava più che appropriato, ma non lo rendeva meno brutale. Aveva fatto del suo meglio per tenersi a debita distanza ma sempre in diretta linea visiva, una presenza costante ma che tendeva a scivolare nel retro della mente. Finché l’equilibrio non si era spezzato, e le fondamenta che sorreggevano il Barrow avevano ceduto. Fosse stato in una posizione diversa, in una linea temporale parallela, avrebbe fatto scivolare sotto la lingua la pastiglia che gli era stata offerta. Invece, aveva scelto la vita. La sofferenza, l’essere l’adulto responsabile. Sapeva di non poter contare su Joe, Sersha, Barrow o Ellis. Gli mancava Mads, l’unica che ancora sembrava normo in quella famiglia. Vedete, quel ruolo stava troppo largo al minore della famiglia, come un cappotto in cui il suo corpo non era ancora cresciuto. Era un percorso costante, quell’imparare, e negli ultimi mesi era inciampato più volte di quante aveva l'orgoglio di ammettere. Ma quello non gli aveva impedito di leggere le linee tese nel volto di suo fratello, l'irrequietezza che sfrigolava sotto la pelle- conosceva Joe da troppi anni per non sapere cosa stesse passando nella sua testa. Non era così dissimile dal tormento del Calloway. Non ne aveva avuto modo prima della cerimonia, impegnato nei suoi doveri da cavaliere, e confuso in primo luogo sul perché fosse stato scelto, ma aveva fatto in modo di trovare il minore poco dopo. «sopravvissuto?» avvolse un braccio attorno alle spalle del King, gli occhi cerulei a cercare il suo volto «sarebbe potuta andare peggio, ammettilo» lasciò la presa sulle spalle del fratello, tornando a sorseggiare dal suo flute di champagne. Almeno quello se lo poteva concedere, santo alcol. Ripensò alla cerimonia, la piega divertita delle labbra a morire e a farsi più sobria, le sopracciglia a incresparsi. Le prossime parole furono come masticare vetro, le schegge di cristallo a conficcarsi in gola e tra i denti mentre deglutiva, ma persistette perché sapeva essere la cosa giusta «sai, penso che akelei e william ci stiano provando. a loro modo, e forse un po’ troppo- voglio dire, cavalieri? ma ci stanno provando, quindi togliti del broncio e smettila di convincerti che nessuno ti voglia qui» non era nel suo stile, il Barrow non era solito a quelle conversazioni dolorosamente oneste e vulnerabili, ma lo champagne gli aveva sciolto la lingua ed era fottutamente stanco «e in ogni caso, servi a me come supporto morale» perché voleva bene a Nice, ma non era la persona adatta per quel ruolo. Stacchetto tattico, e si passa a quello che Renée aveva procrastinato fino a quel momento, ma che era arrivato il momento di affrontare. Avrebbe trattato l'interazione come una qualsiasi operazione militare, stesso sguardo determinato e testa alta a condurlo dove si trovavano le figure dei genitori. Non vi era (ancora) nessuno al loro fianco, quindi ne approfittò per scivolare accanto a loro. Deglutì, premendo i canini contro il muscolo della lingua per mantenersi centrato nel presente. Come approcciarsi a due sconosciuti? A qualcuno che non aveva memoria di averlo cresciuto? «ottima idea quella dell’open bar» prese un sorso di champagne per sottolineare il punto, scendeva in gola che era una meraviglia «ma spero ci abbiate lasciato qualche galeone per l’eredità» severo, ma giusto. Non potevano certo spenderli tutti sul matrimonio e lasciarli in debito come i napoletani. Niente, aveva finito i suoi convenevoli, quindi fu felice dell’apparizione di Eugene Jackson (donna? si era…perso qualcosa?). Se con William aveva le sue difficoltà, senz’altro dettate da issues di vite passate e di cui non era pronto ad addentrarsi, parlare con sua madre era più naturale. Non era la stessa donna con cui aveva condiviso i suoi ultimi mesi nel futuro, forse non lo sarebbe mai stata, ma Renaissance riconosceva in lei le stesse fondamenta. Come spesso facevano in passato, Renée scelse di scivolare in vecchie abitudini, rivolgendosi a lei in francese «stavo pensando…te e papà potreste venire a cena da me e joe una volta? joe è un cuoco pessimo, ma prometto di non fargli toccare niente» modestamente, Renée era il migliore tra i due, e solo perché non faceva bruciare l’acqua della pasta «non vale che sersha e barrow abbiano avuto un headstart» un po’ come Elisa, nemmeno a Renée venivano certe parole in francese. Non incrociò le braccia, colpa dello stupido flute, ma ci andò pericolosamente vicino. Stacchetto tattico numero due perché sto già scrivendo troppo. Sebbene gli desse il profilo, e fosse impegnato in ben altre attività, Renée percepiva perfettamente lo sguardo aggravato di Dominic Cavendish sulla propria figura. Immaginava avesse a che fare con la sua compagnia, una storia trita e ritrita a cui il Beaumont-Barrow aveva già fatto da testimone. E dire che gli piaceva il Cavendish, nonostante spesso e volentieri faticasse a richiamare alla mente il suo volto. Si voltò quello che bastava ad incrociare il suo sguardo, e quando finalmente ottenne la sua attenzione portò in alto il flute (il terzo?) in un muto saluto. «Renée» la sua attenzione scattò al suo fianco, laddove una ragazza bionda era apparsa: Bertie, o meglio, Bertuccia. Cristo, perché stavano diventando tutti delle donne? Il passato lo spaventava. «Volevo dire, Zelda» tra tutti i vigilanti che potevano tornare indietro, perché a Renée era toccata quella sorte? «per te è calloway. o generale, se preferisci» mantenne la sua maschera di perfetta indifferenza e cordialità, accettando il flute vuoto che Bertie gli aveva passato per posarlo sul tavolo poco lontano. «Per fortuna Akelei può contare sul suo splendore naturale, perché quel vestito è davvero…insulso» il sorriso del Barrow si fece un po’ più affilato e letale, gli occhi a socchiudersi appena- oh Bertie, doveva ringraziare che fossero in pubblico. Ma non era lui che doveva tenere, bensì la furia della ragazza accanto a lui. THE GIRLS ARE FIGHTINGGG. «O forse sei te a non avere gusto» lasciò cadere lo sguardo sul suo vestito, un gesto che non lasciava spazio a fraintendimenti «non lo so, a me il vestito pare perfetto» si strinse delle spalle, nascondendo una risata nel bordo del flute mentre finiva lo champagne.
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    Parla con Joe, gli Akerrow, Bertie e Nice. Saluta (sfotte) Dominic.
    Renée l'unico davvero social k succ


    Edited by ambitchous - 19/10/2023, 16:24
     
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    «sembri simpatico»
    ty batté lentamente le palpebre, seguendo con lo sguardo i movimenti dell'altro. l'ultima cosa che avrebbe voluto in quel momento era sentirsi addosso le mani di uno sconosciuto, ma lo shottino con dentro trenta goccine di lexotan aveva già iniziato a fare il suo effetto: non era calmo, Taichi, ma spento. proprio come piaceva a lui «lo sono» una replica che, per essere presa sul serio, avrebbe forse avuto bisogno di un sorriso accattivante ad accompagnarla.
    peccato non se ne fosse portati dietro.
    «non farmi fare brutta figura, o mi tocca ucciderti» chissà — forse un motivo per cui l'universo aveva deciso di metterli sulla stessa strada c'era «manifesting» con le braccia sollevate a mezz'aria, mani giunte in preghiera, lo special sembrava proprio uno che ci stesse sperando forte. dopotutto, quella non era esattamente il tipo di social situation al quale ty era abituato: tanto per cominciare, contava ben più di quattro persone presenti, che era già un male; alcune delle quali reminiscenze degli anni passati tra le mura di Hogwarts, il che era impossibilmente peggio. inutile dire che dei i pochi volti capaci di far rallentare il battito cardiaco del meteorologo non si vedeva nemmeno l'ombra.
    dove cristosignore stava mac quando aveva bisogno di lui?
    almeno quell'infame di suo cugino avrebbe potuto potuto fare uno sforzo
    — in nome dell'amore che lega la famiglia, ovviamente; soprattutto perché era colpa di fake se taichi si ritrovava ad un cazzo di matrimonio insieme ad un tizio mai visto prima. e non un matrimonio qualunque, attenzione: sembrava che mezza Londra si fosse radunata in quel campo della provenza, in un'alternanza di lacrime e tensione che lo special evidentemente non era in grado di reggere. chi non sentiva la pressione sociale, post guerra per giunta, mentiva «sto scherzando» aggiunse, senza scherzare affatto, dopo un istante di riflessione durante il quale Joe aveva pensato bene di schiaffeggiarlo.
    cool, cool, cool, no doubt.
    sollevò comunque un sopracciglio, perché l'unless?? era proprio lì, in agguato; lo tenne sulla punta della lingua senza esprimere il quesito ad alta voce, tanto Joe sembrava già preso da un'ansia tutta sua — bro 🤝 fu ben lieto di poter alzare una mano e sventolarla a mezz'aria, iridi scure posate sulla schiena del ragazzo che si allontanava: non uno di istante, nemmeno mezzo, taichi aveva pensato di trascorrere insieme l'intera serata.
    ringraziando Dio.
    niente di personale contro il king, a parte che invadeva un po troppo lo spazio personale degli altri — e quello dello special aveva un raggio d'azione molto ampio.
    una modalità di sopravvivenza che fake si era imposto, evidentemente, di forzare per un fantomatico bene comune; in parte suo cugino lo capiva: dava l'impressione di non essersi ripreso del tutto da certi eventi, il diciannovenne. lì dove non si intende la guerra, i morti, il potere passato in mano agli special — sarebbe stato troppo normo. quello taichi poteva gestirlo con una pasticca e qualche goccia di ansiolitico, tuffandosi a capofitto nel lavoro che (e questo fa ridere) si era scelto e trovato. ore e ore passate sui libri contabili di un bordello avevano l'incredibile effetto di riappacificarlo con il mondo.
    ma affrontare l'addio di livy e beh?
    non ci aveva nemmeno provato.
    quindi fake l'aveva fatto per lui: rispondendo all'annuncio di uno sconosciuto per fare da plus one al matrimonio dell'anno. la reazione di ty di fronte al fatto ormai compiuto era stata minima e basilare — vibrazioni da diapason e sudore freddo, lo stretto indispensabile. ma alla fine la forza per tirarsi indietro non l'aveva trovata, e in un battito di ciglia si era ritrovato a provare un completo color salmone con Dylan Kane che lo obbligava a piroettare davanti agli specchi del negozio.
    l'incubo era reale.
    «quindi insomma» insomma. sciolse, malvolentieri, la posa statica (quella di dick nel logo del BDE) nella quale era rimasto bloccato fino a quel momento, così perso nel suo personale tentativo di sparire da notare solo ora che la cerimonia era finita «bella cesta*» subito giustamente punito per aver pensato di poter fare conversazione; nemmeno si corresse, fuck it we ball. l'inglese era una lingua morta sopravvalutata, con l'arrivo dei linguini a Hogwarts la purezza della grammatica era andata a farsi benedire una volta e per sempre «non sento assolutamente il bisogno di tornare a casa» mentre spostava le iridi scure dal terreno al suo interlocutore (VUOI ESSERE TU????), ebbe la premura di distendere le labbra in un sorriso tirato, le palpebre a sbattere un po troppo rapidamente: la doppia dose di lexotan forse non sarebbe bastata.
    stay tuned.

    e se da un lato ty si avviava verso uno dei suoi mental breakdown in mezzo ad un gruppo troppo numeroso di persone che conosceva solo di vista, dall'altro Marcus howl non avrebbe potuto avere un aspetto più rilassato. dopotutto, perché no: si era preso le sue soddisfazioni, il sicario. prima del matrimonio, come aveva promesso ad akelei beaumont quando la donna gli aveva consegnato personalmente l'invito «william è molto sensibile.» si era giustificata così (canon), e Marcus aveva accettato la cosa senza ulteriori polemiche.
    o domande.
    nel dubbio, preferiva non sapere.
    non era nemmeno stato certo di partecipare, conscio che trattenere i propri istinti omicidi di fronte alla faccia di mitchell winston avrebbe richiesto più sacrifici di quanti il trentaquattrenne fosse disposto a fare.
    incredibilmente, Mitch stesso aveva risolto il problema al suo posto — «ehi». una motivazione valida per fargli del male. ad una settimana dal matrimonio, con nient'altro appresso se non un sorriso mesto, il Winston si era presentato alla sua porta; vederlo non aveva cambiato l'espressione del sicario, ma la tensione nell'aria, quella sì. se avesse avuto una pistola tra le dita, gliel'avrebbe puntata contro e premuto il grilletto senza nemmeno dargli tempo di entrare in casa.
    cosa che invece gli aveva concesso, mantenendo un aplomb invidiabile, iridi cobalto ad inchiodarsi alle sue finché non era stato Mitchell a distogliere li sguardo — sensi di colpa, imbarazzo, presa di coscienza: all'Howl non sarebbe potuto fregare un cazzo di meno.
    non dava seconde opportunità, Marcus.
    Mitchell non era intenzionato a chiederne.
    forse era quello, che alla fine gli aveva fatto perdere il controllo: l'idea stessa che il cugino lo conoscesse cosí bene; abbastanza a fondo da limitare le parole a zero, e i movimenti ad una simbolica offerta. non di pace, ma di resa. e tra quelle braccia aperte il sicario ci era scivolato senza fare rumore, un passo dopo l'altro ad annullare le distanze — dejavu. finché il profumo della pelle di Mitch non gli aveva riempito le narici, bruciando la gola con un terribile senso di familiarità, e solo allora aveva affondato la lama del coltello.
    sapeva benissimo come uccidere un uomo, Marcus howl.
    purtroppo, sapeva anche come non farlo.
    «adesso possiamo far finta di essere pari» si era limitato ad un sussurro, ignorando il formicolio delle dita strette attorno all'impugnatura del coltello a chiedere con urgenza di affondare ancora. e ancora e ancora, tra le costole e nel petto, facendogli scoppiare il cuore. così forse avrebbe capito — quanta fatica avesse fatto Marcus a concedersi uno spiraglio di normalità, e quale mazzata sui denti fosse stata rendersi conto di aver commesso un errore. l'ennesimo: suo padre aveva scelto l'odio; sua madre una nuova famiglia. mitchell una cazzo di causa. arrivati allo stesso bivio, nessuno sceglieva la strada di Marcus, ed era un motivo sufficiente per cancellare quella strada e tutto ciò che aveva fatto per costruirla.
    con un martello pneumatico, se necessario.
    «una volta Nicole mi disse che li avevano beccati a pomiciare nel bagno dei prefetti» era scivolato al fianco di Maeve Winston con un bicchiere di champagne in mano che non esitò a porgerle; senza distogliere lo sguardo dalla coppia di sposini, che era un modo come un altro per non posarlo sulla figura di mitchell «a voler credere nel destino si potrebbe dire che era inevitabile» e Marcus non ci credeva. qualunque cosa avesse infine unito William e Akelei, il sicario era convinto fosse stato il frutto della loro volontà; di sacrifici e sofferenza, di dolore e abbandono. trovarsi e ritrovarsi. il destino era una piaga alla quale le persone si aggrappavano per giustificare l'incapacità di raggiungere una cosa desiderata e prendersela — ah, markino nella sua Edgar Allan Poe era: dead is all around us, l'amore è una trappola, la vita una prigione.
    scusa Amos, te lo becchi così.
    (parentesi aperta. parentesi chiusa)
    ripetere quattro o cinque volte.


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    ty: parla con Joe, approccia qualcuno (TU???) e mette alla prova le sue social skills (which are none)

    Marcus: monologo interiore di rancore verso l'ex, poi va a parlare con maeve ❤
     
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    Piz accetto il silenzioso invito di Euge a sedersi accanto a lui, attento a lasciare un posto libero per la dolce metà del professore, contento di aver trovato una sedia dove posizionarsi e che non avrebbe abbandonato più fino alla fine della cerimonia.
    «smooth, anche se non mi piace il messaggio implicito»
    Si accigliò, il Peetzah, confuso. C’era un messaggio implicito nelle sue parole? L’aveva fatto di proposito?
    (No.)
    «stai dicendo che prima non ero una bomba sexy irresistibile?» Ah. Ah, ecco.
    Lasciò che una risata divertita sfuggisse dalle labbra carnose, accomodandosi meglio con la schiena abbandonata contro la sedia rivestita di bianco e lilla. «sei sempre una bomba sexy irresistibile, jackson.» lo osservò per un attimo, portando poi le iridi azzurre sul resto della sala. «deve essere per forza questo il motivo che ha spinto jaden a sceglierti, non può essere stata di certo la tua personalità.» bacino in aria per euge, ti si vuole bene.
    Gli chiese come procedeva la gravidanza, aspettandosi decisamente il tipo di risposte che ricevette.
    «ho smesso di vomitare a spruzzo come un idrante»
    «che bella immagine» commentò, asciutto, cercando di non immaginarsi eugene jackson riverso sul water che “vomitava a spruzzo come un idrante”, e fallendo miseramente. «lo sai che ha già le unghie?» — cosa? Cosa? «di già?» ma.. a che mese era? Come funzionavano le gravidanze? Piz non era così esperto: quando sua mamma era rimasta incinta di Joni, lui aveva avuto tredici anni ed era rimasto quasi tutto il tempo ad Hogwarts, vivendo ben poco di quegli irripetibili momenti; Penn, poi, aveva deciso di affrontare la sua senza dirgli nulla e nascondendosi in Thailandia, perciò anche lì Morley era rimasto fuori dal giro. «e… fa male? ti graffia?» no, davvero, come funzionava?
    «Spero tu non stia flirtando, Peetzah»
    Trasalì alla voce (poco familiare, con quel timbro più basso e marcato) di Jade, ma fu veloce a sorridere anche alla special. «forse…» «la gravidanza ti dona, e anche quel vestito? Puoi fare di meglio, riprova» Ah. Okay. Se lo diceva lei. O lui, insomma. «va be–»
    E Jade si era allontanata per parlare col piccolo Uran. Oddio, troppi discorsi di famiglie, bambini e/o bambini in giro, quel giorno: Piz non era pronto ad affrontare tutto quello.
    «sai cosa, dovremmo trovare una ragazza a Piz» Si trattenne dal tirare un coppino al Jackson, solo perché picchiare una donna l’avrebbe fatto cancellare immediatamente da ogni tipo di social e contesto sociale, ma assottigliò comunque lo sguardo sul mago, rivolgendolo poi alla sua compagna. Al suo compagno? Aiuto. «o un ragazzo. una creatura. magari un candelabro. ho sentito di gente a cui piace pulire soprammobili leccandoli»
    «niente candelabri,» si affrettò a correggerlo, prima che potesse formulare e partorire strane idee, «o creature.» ma per chi l’aveva preso? «oh guarda, sta per iniziare la cerimonia.»
    «ugh, ci risiamo. piz, sii cavaliere e trovami un fazzoletto, sento arrivare una crisi mistica»
    E il Peetzah offrì al prof il suo fazzoletto con tanto di iniziali ricamate, e poi si concentrò sull’ingresso in scena degli sposi.

    Alla fine della cerimonia, Piz era miracolosamente vivo, accanto ad un Euge che di fazzoletti ne aveva raccolti molti di più di quello rubato al coach. Dal canto suo, Piz era stato bravo a rimanere presente a quella scena solo con una parte della propria mente, l’altra persa in qualsiasi altro scenario che non fosse quello. Per carità, tutto bellissimo ed emozionante, era contento per i suoi amici anche se era ancora convinto che Ake meritasse decisamente meglio di William (bacini Willino) — era tutto il resto a dargli problemi. Nello specifico: la sua situazione personale. Perché era un egocentrico del cazzo, Morley Peetzah, e non riusciva proprio a non pensare a se stesso. O al fatto che, legalmente, anche lui fosse sposato sebbene delle sue presunte nozze avesse solo pochi e confusi ricordi; l’idea, poi, che quel minchione di Yale non volesse concedergli il divorzio – chissà per quale ragione, poi (perché era divertente così, ecco perché) – lo mandava su tutte le furie. Per lo meno, erano riusciti ad arrivare al comune accordo di tenerlo segreto perché non rendeva gloria e onore a nessuno dei due, quell’unione.
    «Jackson» Ancora al fianco degli eubeech, Piz alzò la testa insieme al prof, ritrovandosi di fronte un uomo che forse conosceva o forse no (non lo so zia, si conoscono?) e che salutò comunque con un cenno educato del capo.
    «ti dona questo colore» ECCO, JADE, VEDI! Guardò subito la Beech, alzando entrambe le sopracciglia: te l’avevo detto.
    E poi non lo so, «beviamo?»

    Nel frattempo, Nelia, aveva cercato di non soccombere ai singhiozzi emozionati perché era pericolosamente vicina ad Akelei e sentiva lo sguardo di tutti i presenti, per forza di cose, anche su di sé. Avrebbe voluto farsi piccola, o muovere almeno dieci passi indietro e nascondersi all’ultimo posto della fila, ma non poteva. Col mento alto e lo sguardo solo leggermente velato dalle lacrime (di felicità, per i suoi amici più cari che coronavano finalmente il loro sogno — e solo in parte di malinconia e tristezza), aveva resistito allo scambio delle promesse come aveva fatto per tutta la vita: con resilienza. Li aveva applauditi, insieme al resto della sala, e si era congratulata con loro subito dopo la fine della funzione.
    Poi si era allontanata, volendo lasciar loro lo spazio di salutare altri amici e parenti e avendo bisogno lei stessa di prendere un boccata d’aria.
    In disparte, al limitare della sala dove si stavano raccogliendo gli invitati per il buffet e le danze, Nelia osservava tutti, registrando qualsiasi cosa le sembrasse fuori posto e rendendosi conto di stare esagerando: stava decisamente proiettando le sue ansie sull’esito della festa, o come avrebbero detto i giovani: se la stava tirando. Doveva smetterla di avere pensieri negativi e concentrarsi sul resto.
    Spostò lo sguardo quando ne sentì uno posarsi sulla sua figura, e credendo di trovare quello di un compagno ribello in cerca di un segnale, o di supporto, rimase per un attimo interdetta quando invece le sue iridi scure si posarono in quelle più chiare di Frederik Faustus. Nulla avrebbe potuto mai raggiungere i livelli di imbarazzo di quel fatidico San Valentino, ma quello ci andava pericolosamente vicino.
    Ricambiò il cenno con la testa, alzando appena il calice stretto fra le dita in un silenzioso brindisi.
    «Mi sembra stia andando tutto benissimo»
    Non aveva sentito la special avvicinarsi, ma non trasalì nel sentire la voce di Mads così vicina: era abituata a nascondere le proprie emozioni, la fu Meisner.
    «Cosa ne pensi?»
    Afferrò una delle tartine offerte da Mads, e annuì leggermente. «sembrerebbe di sì,» magari un altro calice di bollicine avrebbe affogato quel peso all’altezza della bocca dello stomaco che suggeriva tutto il contrario — ma non cedette, tenendosi ben stretta l’unico bicchiere che era disposta a concedersi quella sera, per non rischiare assolutamente nulla.
    Rivolse un sorriso di rassicurazione alla special: l’ultima cosa che voleva era rovinare la festa a qualcun altro con il suo allarmismo. «ma conoscendomi, rimarrò sul chi va la fino al taglio della torta» scherzò su, o forse no. «tu ti stai divertendo? è stata una bellissima funzione, non trovi?» occhi a cuoricino per i suoi besties, erano davvero la coppia dell’anno (del secolo) ed era stramaledettamente felice per loro.
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    PIZ: parla con gli eubeech prima e dopo la cerimonia, poi saluta freddie quando si avvicina, invita tutti a bere
    NELIA: saluta freddie da lontano, parla con mads (se ho dimenticato di interagire con qualcuno scusate)
     
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    «hai ragione, sei qui per farti perdonare»
    Non diede modo al senso di colpa che lo colpì in pieno di rendersi visibile sui lineamenti morbidi, né lasciò che trapelasse alcun sentimento nel sorriso tirato che rivolse alla Benshaw quando la informò che «no, non sono qui nemmeno per quello.»
    Bugia.
    Era lì esattamente per quello, e lo sapevano entrambi; ciò che Cherry non sapeva era il motivo che avesse spinto Lawrence ad allontanarsi dalla pavor in quei tre mesi, spingendolo a comportarsi – e cito testualmente – “da coglione”, e non avrebbe mai dovuto scoprirlo. Lance non era pronto ad affrontare quella conversazione, e dubitava che lo sarebbe stato mai. Meglio continuare a fingere che fosse tutto un cazzo di scherzo giocato a suo sfavore da Wyatt Holland, e andare avanti.
    «sono stato impegnato, lo sai.» Era un uomo d’affari, ora, il Matheson: in quei tre mesi non aveva solo scavato la sua fottuta fossa cercando conforto tra le braccia di un uomo che, era chiaro, non avrebbe mai avuto né potuto avere, aveva anche finalmente tirato su la sua impresa ed era stato un lavoro che aveva richiesto un sacco di tempo, di soldi e di mal di testa burocratici. «se ben ricordi, ti ho anche invitata all’inaugurazione» anche se c’aveva dovuto pensare su a lungo prima di decidersi ad imbucare quella dannata lettera, il primo (abbastanza fallimentare) tentativo di contattare la Benshaw da quella fatidica alba allo Stonehenge.
    Cercò di nascondere così, con le parole vuole e un tono di voce leggero e consono alla giovialità della festa, il groppo in gola che quel «ma ci sarei stata per te» gli aveva suscitato.
    Ci sarebbe stata, davvero? Pur sapendo… pur sapendo tutto, lo avrebbe guardato con gli stessi occhi? No, ovvio che no. Chi volevano prendere in giro? E l’idea di perdere Cherry come amica era stata l’unica cosa che aveva spinto Lawrence a tirare la testa fuori dal culo e cercare di riallacciare i rapporti, occultando le prove e negando persino a se stesso di aver mai posato gli occhi su quella dannatissima foto.
    «ma non porto rancore, lawrence, stai sereno»
    «sei una cazzo di falsa» e la strinse appena a sé, felice di lasciar cadere così il discorso, e cercando due posti da dove osservare (oppure no) il dispiegarsi degli eventi e – ugh – lo scambio delle fedi.
    «tre posti.»
    «i cani siedono sull’erba.»

    Lance aveva passato tutta la cerimonia con gli occhi incollati all’app di incontri, a swipare a destra e sinistra su profili di uomini il doppio della sua età: del matrimonio #akerrow non gli interessava nulla, era lì solo per presenziare a nome della sua famiglia (ugh) e perché l’aveva promesso a Cherry prima che tutto andasse a puttane, come le aveva ricordato la bionda prima della funzione.
    Lui, all’amore, nemmeno ci credeva.
    E, ancora di più, non credeva alla monogamia.
    L’idea di incatenarsi per sempre a qualcuno? Terribile, bloccata. Poi ci si domandava perché si finisse sempre con lo scegliere il tradimento, eh già, chissà perché. L’essere umano non era fatto per quel genere di paletti ed imposizioni, parola di Lawrence Matheson.
    Ogni tanto, sentendosi oggetto di attenzioni non desiderate, aveva alzato lo sguardo per incontrare quello turchese della corvonero seduta dall’altra parte della pavor, che con un cipiglio disgustato lo stava chiaramente giudicando e lui, dall’alto della sua maturità, le aveva rivolto le smorfie più dolci, fingendosi assolutamente innocente. Fa che finisca presto e si passi alla parte divertente della storia, aveva pensato l’ex serpeverde, agognando già cibo e alcolici come un invitato medio qualunque, in sostanza.
    Poi, come a voler rispondere alle sue preghiere, qualcuno dall’alto (lo staff della venue) decise che era davvero il momento per abbandonare le parole e passare ai fatti, finalmente.
    Lance seguì, buono buono, la Benshaw maggiore farsi largo tra gli invitati e raggiungere la sala dove si sarebbe tenuto il rinfresco, cellulare ancora in mano e i primi segnali di vita da coloro che stavano finalmente rispondendo ai suoi match. Si avvicinò all’amica e le chiese, «secondo te a che ora finisce?» in modo da potersi organizzare il post serata — tanto aveva già capito l’andazzo di quel matrimonio: c’erano solo uomini sposati o peggio, con figli poppanti al seguito, oppure gente che Lawrence preferiva evitare (ughhh hhhhh HHH!!) e — «penso che tu abbia attirato l’attenzione di qualcuno»
    Furono più le parole di Cherry, che non la gomitata nel costato, a far vagare lo sguardo castano dell’ex serpeverde per la sala, solo in parte cullato dall’idea stupida e infantile e chiaramente fuori luogo di incontrare così quelle altrettanto scure di un uomo che conosceva abbastanza bene. Ma non fu lo sguardo di Sinclair, che Law incontrò.
    Purtroppo? Per fortuna?
    Eh.
    Non si perse comunque d’animo, svelto a ricambiare il sorriso offerto dall’uomo dall’altra parte del buffet.
    «proprio come piace a te: decrepito»
    «stai zitta, stronza» soffiato appena attraverso il sorriso al miele che stava rivolgendo all’altro, e che nemmeno per un attimo perse il calore e la morbidezza che Lawrence, negli anni, era diventato un maestro nello sfoggiare. Lo abbassò solo per un attimo verso Cherry, sfarfallando le lunghe ciglia scure come un angioletto. «te l’avevo detto che la giacca avrebbe fatto colpo»
    («è così bella che non si può guardare»)
    «non ti dispiace se ti lascio con la bestia, vero?» Certo che no, sapevano entrambi che non c’era assolutamente alcun finale a quella storia che li avrebbe visti lasciare il matrimonio insieme, come i peggiori perdenti di sempre. «ti voglio bene, non fare nulla che non farei anche io» e, con un bacio poggiato delicatamente sull’acconciatura bionda di Cherry, Law si staccò dalle sorelle Benshaw per raggiungere l’uomo sconosciuto.
    Sulla strada prese due bicchieri, porgendone uno all’altro una volta avvicinato.
    «non credo di aver avuto ancora il piacere,» gli sorrise, sfoggiando le sue fossette più dolci e lo sguardo più morbido di cui fosse capace, presentadosi nella sua veste migliore «sono Lawrence. lato dello sposo, o della sposa?» Oh, in qualche modo doveva rompere il ghiaccio, e poi non aveva mai detto che le chiacchiere fossero il suo punto forte: di solito, lasciava il segno per altro. Wink wink?
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    SPOILER (click to view)
    parla con cherry, avvicina raph (scusate, vi ignora tutti ma ha delle priorità)
     
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    Nel vedere tutti piangere, durante la funzione, Hold non poté non domandarsi perché l’avevano presa tutti così male. Non… erano felici per gli sposi? No? Cosa succede.
    Confusa,la special aveva allungato il collo e osservato fin troppi nasi rossi e occhi velati dalle lacrime; persino Murphy era tutta un piantarello.
    Ma le attenzioni della Beer erano state, quasi tutto il tempo, solo per la mimetica in piedi accanto alla sposa, anche lei visibilmente emozionata; non per la prima volta, Hold aveva desiderato poterle stringere la mano e tentare di consolarla, nel suo modo impacciato, ma non aveva potuto — qualche fiore, qua e là, era inevitabilmente appassito sotto la pressione involontaria del potere di Hold, che aveva poi cercato di distrarsi abbastanza da non perdere del tutto il controllo; l’ultima cosa che voleva era avvelenare tutta la sala.
    In qualche modo, alla fine, la cerimonia era passata; tra un pianto e l’altro, con delle promesse sicuramente bellissime che Hold aveva un po’ ignorato, troppo preoccupata a maledire i mocassini nuovi che le stavano uccidendo i piedi; era finalmente il tempo di mangiare (e bere, ma tanto a lei l’alcol non faceva una sega perciò gne).
    La parte più della della fine della funzione? Tornare al fianco di Kieran, un posto dove la Beer ormai scivolava con facilità e quasi senza nemmeno accorgersene: le veniva naturale cercare, e trovare la mimetica, anche tra centinaia di persone come in quel posto. Peccato che tutto quel discorso di come le cose tra loro fossero cambiate in meglio, dopo la conversazione post quest, fosse tutto nella sua testa. Hold nella sua delulu era, perché Kieran continuava ad andare in giro a dire a tutti che fossero solo amiche. BUMMER.
    Si sentì comunque in dovere di salutare sua suocera e il suo nonnino acquisito, la Beer, quando passò accanto a Sin e Murphy per raggiungere la Sargent: oh, poteva comunque cercare di fare bella figura e guadagnare punti con la fam, non si poteva mai sapere se (quando…???) Kier avrebbe cambiato idea e deciso di voler essere più che amiche, ecco.
    Una volta preso posto al tavolo, insieme alla suddetta mimetica – e a qualcun altro (volete essere voi? dai) –, Hold lasciò che fosse proprio Kieran (e il resto della tavolata) a condurre la conversazione, ben conscia di avere letteralmente zero social skills da poter sfruttare a proprio vantaggio per quel genere di situazioni.
    Forse non avrebbe dovuto, per la sanità mentale della provera Kieran, ancora chiaramente su di giri.
    «mamma mia che buono. avete provato il risotto? e la millefoglie con salmone e rucola? assurdo, voglia la ricetta. o lo chef? ma non credo di potermelo permettere»
    Hold, come pandi la prima volta che aveva letto questo commento: in cbe senso vuoi lo chef
    A differenza della player, però, la special non aveva capito, poi, che intendesse nel senso di 'voglio uno chef personale in casa' ed era un confusa su più livelli. E anche un po' gelosa.
    «mh, non è cos–»
    «assaggia, hold! ti giuro che è buona da morire!!!»
    Oh. OH.
    Kieran… la stava imboccando? Okay. OKAY.
    Non c’è bisogno di agitarsi, RESTATE TUTTI CALMI.
    (Intanto Hold, internamente: *gif di community con la stanza che va a fuoco*)
    «CHI VUOLE BALLARE?????»
    Cos.
    La testolina dell’acidocineta ci mise un attimo più del necessario a processare quanto successo. Lo sguardo bosco cadde sul tavolo, laddove la forchetta letteralmente gettata da Kieran giaceva in un cimitero di salmone e foglie verdi (immaginava.. fosse la rucola? dettaglio non importante), forchetta per di più lanciata via proprio mentre Hold si era avvicinata per assaggiare come le era stato chiesto. Cosa che, ovviamente, la portò a rimane col muso sporto in avanti e gli occhi socchiusi qualche istante, senza capire. C’era lei, col collo allungato come una giraffa e la bocca dischiusa.
    E c’era Kieran, balzata in piedi così velocemente che il chiedersi se qualcosa avesse punto le chiappe o meno era un dubbio lecito; e di nuovo, Hold a strabuzzare gli occhi confusa — aveva forse fatto qualcosa di sbagliato? Qualcosa di troppo?
    AIUTO.
    Senza pensarci su – perché era Hold e pensare non rientrava tra le sue qualità –, seguì la mimetica sulla pista da ballo e — si fermò, in piedi come una scema, perché non sapeva cosa fare. Voleva ballare con Kieran, lo voleva disperatamente, ma era chiaro che per la Sargent non valesse lo stesso? AIUTO PARTE 2.
    E fu allora che lo vide, come un faro nella notte che indica il cammino: nonno Sin.
    (Mi dispiace, va così. Ma puoi giocarti le tue carte bene, elisa, e sfruttarlo a vantaggio delle kold, PENSACI)
    Prima di formulare un pensiero razionale (che, vi dirò: sarebbe stato il primo della sua vita perciò insomma.), Hold allungò una mano e tirò il dottore per la manica della giacca, avvicinandolo a sé. «ormai mi sono alzata, non posso rimanere ferma come una stupida statua. balla con me.»
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    (continuo ad importunare solo pg di elisa, scusatemi) parla con kier e invita sin a ballare (VISTO COSì PUOI SCEGLIERE TU TIè)
     
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    Jaden era diventata un mostro. Il peggio del peggio che la natura maschile potesse offrire. Non capiva se fosse vittima di una gravidanza isterica, così come lo era stato Eugene ai tempi di Uran, o se semplicemente possedere dei testicoli avesse in automaticamente fatto fluire tutto il sangue verso il basso, lasciando la testa vuota e leggera. Battè le palpebre perplessa verso il biondo, arricciando le labbra alle briciole sputacchiate tra una parola e l’altra.
    Ew?
    «Anche io. Tipo la ricetta di questa... cos’è, secondo te? Una mini pie?? Non capisco cosa ci sia dentro, ma è…»
    «disgustoso» concluse per lui, lanciandogli un fazzoletto perché si togliesse la mini pie dalla parte inferiore della faccia. Che figura le faceva fare? Era sempre stata un po’ bestia, ma perlomeno istruita su come comportarsi nell’alta società, e più incline a prendere il cibo e lanciarlo sugli altri che a sputarselo addosso.
    «Le creature sono dai miei, a Kensington» I suoi cosa. E quante ne aveva. Inumidì le labbra con il vino, ruotando gli occhi cioccolato al proprio fianco. Cercò di studiarne la postura per comprendere se avesse esagerato con le bevande, ora che era Eugene a doversi mantenere astemio, ma le sembrava – seppur rozzo – abbastanza sobrio. «Avevo detto a Tyler che secondo me almeno Minnie poteva venire, ma si è messo a dire che si sarebbe annoiata, che non è giusto costringere gli estranei a sopportare i figli altrui, che…E invece guarda!! Ci sono un sacco di bambini!! Avrebbe potuto fare amicizia!!!» Lo osservò. Lo studiò. Strinse gli occhi riducendoli ad una fessura, squadrando il biondo da sopra il bordo del calice. Tyler? Minnie? Non credeva di essersi persa così tanto della vita di sua sorella, da non riconoscere nomi in un contesto familiare, quindi dedusse che quello non fosse Jade. Rea Hamilton, ch’era sempre stata una donna di classe, a quella consapevolezza non battè ciglio, ammorbidendo però il sorriso rivolto al ragazzo. Pensava si conoscessero? Si conoscevano? Non le sembrava familiare, ma d’altronde, le appariva del tutto mediocre, e poco memorabile. Fece scivolare lo sguardo ai vestiti, di ottima fattura, e ad eventuali segni che potessero darle un qualche indizio su chi fosse.
    Niente. Ma non sarebbe stata lei a interrompere l’incantesimo.
    «le sarebbe piaciuto molto» convenne educata, spostando la propria attenzione al lontano recinto delle bestie. Chi non avrebbe amato essere rinchiuso insieme ad altre creature demoniache in attesa della fine? Ci avevano anche scritto un libro in merito (gli Hunger Games). «ma è piacevole che abbiate una giornata solo per voi, no?» quello della Hamilton fu un sorriso dolce, a persuadere melliflua che dovesse cercare il suo Tyler, e lasciarle quell’angolo di isolamento dal resto della società senza che dovesse essere lei quella ad alzarsi – ma era anche sincera, a suo modo. Per quanto le fosse possibile esserlo, più avvezza agli inganni che all’onestà.

    Se fosse stato una persona migliore, se ne sarebbe andato. L’espressione di Will era trasparente come plastica, decifrabile come una filastrocca scritta in piccolo ma imparata a memoria da bambini. Jamie si prese comunque il proprio tempo per leggerla tutta, incassando la mancanza di tutto quello che avrebbe dovuto esserci con un sorriso se possibile ancor più brillante.
    Jamie Hamilton praticava boxe da metà della sua vita: incassare non era un problema; potevano farlo tutta la sera.
    E l’avrebbero fatto, perchè Jameson non era una persona migliore, non rispettava gli spazi altrui, e non concedeva tempo per riflettere, conscio di non potersi permettere nessuna delle due cose. Temeva, e con giusta causa, che se non avesse ricordato a Gugi quello che erano stati, avrebbe finito per dimenticarlo ed andare avanti davvero. Che il cerotto, sarebbe diventato cicatrice. Sapeva di amare Will; sapeva anche di essere troppo egoista per rinunciare – malgrado tutto, e malgrado se stesso.
    Non aveva nessun altro al mondo.
    Non voleva nessun altro al mondo.
    Ed avevano tutta una vita insieme, alle spalle. In qualunque forma si fosse voluta cercarla, c’era, ed il cronocineta non riusciva a pensare ad una vita senza il Barrow. Un concetto che da chiunque altro sarebbe parso molto romantico, ma che l’Hamilton riusciva a strappare da quella sfera per renderlo mortalmente reale, e per quello ancora più letale: non poteva e basta. C’era in ogni ricordo, e voleva ci fosse in ogni futuro.
    Allora perché.
    Troppo tardi per domandarlo.
    «cosa vuoi, hamilton?» La passeggiata sul viale dei ricordi, era evidentemente esclusa. Jamie studiò il profilo del mago in silenzio, avvicinando il bicchiere alle labbra per umettarle appena con lo champagne. Uno sguardo intenso, e poco appropriato ad un contesto pubblico, perché intimo e crudo. Non volgare, non era quello il punto, ma trovava il quesito un po’ troppo… superfluo. Lasciò che un angolo delle labbra si sollevasse lento verso l’alto come un filo di miele rimasto aggrappato al cucchiaio. Lo sai, cosa voglio.
    Se fosse stato più maturo, avrebbe detto solo parlare.
    «te. vale?» Battè le ciglia, consapevole che fosse un approccio scadente e dozzinale; conscio anche che il proprio sorriso colmasse le lacune del linguaggio verbale, insieme ad un’occhiata allusiva, ma non abbastanza pressante da risultare inopportuna, alla sua bocca. Avevano già fatto quella danza. Se per arrivare al cuore del suo migliore amico doveva passare dalle tentazioni della carne, e sedurre per conquistare, l’avrebbe fatto.
    Di nuovo.
    Più impegnativo della monogamia.
    Seguì il precario percorso della bottiglia verso le labbra del Barrow, e non fece una piega. Tipico dell’altro, cercare conforto nell’alcool – cercare giustificazioni, e colpe. Poteva fingere non fosse così, e che necessitasse di coraggio liquido per l’enorme sforzo di rivolgergli la parola, ma sapevano entrambi fosse la scusa di cui aveva bisogno per concedersi di sentirne la mancanza.
    Lungi da Jamie fermarlo. Voleva gli mancasse, e voleva lo cercasse. Non era offeso dal fatto che avesse bisogno di perdere la lucidità per ammetterlo: l’aveva sempre fatto, cosciente che l’Hamilton gli avrebbe detto sì. Che un posto l’avrebbe trovato. Che il giorno dopo, avrebbero finto non fosse successo nulla.
    Di nuovo.
    Un loop che sembravano incapaci di spezzare.
    «credo che tu abbia di meglio da fare che tenermi compagnia, no?»
    Oh, Guglielmo. Non alzò gli occhi al cielo, anche se avrebbe voluto, ma allargò il sorriso, perché anche se non avrebbe dovuto, trovava quella gelosia adorabile. Non colse l’amo, e non perse un battito. Jamie Hamilton era un soldato in missione.
    «mi manchi» semplice, diretto. Sincero. Gli mancava svegliarsi al mattino senza averlo al proprio fianco, e gli mancava addormentarsi con il sapore della sua pelle sulla lingua. Gli mancava ridere con lui, e di lui, e gli mancava averlo semplicemente vicino come un cazzo di arto fantasma. Gli hai spezzato il cuore, Jamie.
    Ma poteva rimetterlo insieme.
    Non te lo meriti.
    E cosa c’era da ribattere, se non vero?
    «ma se hai qualcosa da dire ti concedo fino a quando non avrò finito la bottiglia»
    «william» non usava mai il suo nome completo. Gugi, Guglielmo, Will se la situazione era tragica, ma William? Permise al nome di rotolare in bocca, scivolare dalle labbra dischiuse in un sospiro caldo. Non distolse lo sguardo neanche quando divenne un po’ troppo, e l’avrebbe preferito. Deglutì, respirando piano. «un ballo?»
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    REA: parla con adam
    JAMIE: parla con gugi e basta mind yall business.
     
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    (disclaimer: non so a che punto della festa siamo, non so con chi sono i miei pg, non so in che ordine cronologico si svolgono gli eventi, vado a sentimento e invento, xdono)

    «beviamo?» quella sì che era una buona idea, visto il gruppetto in cui si era andato a ficcare il prof di Trasfigurazione, quindi ringraziò l’ex giocatore di Quidditch – impossibile non conoscerlo, i suoi muscoli erano arrivati fino alle copertine delle riviste tedesche – e lo seguì nella traversata verso l’open bar, perché ne aveva bisogno.
    «Mi devi ancora un appuntamento» ecco, ora aveva disperatamente bisogno di alcool. Nonostante la precisazione del collega, evitò di rispondergli e lo lasciò parlare, concentrandosi piuttosto nel mandare giù a grandi sorsi quello che rimaneva del suo whiskey on the rock.
    La prima scomoda verità era che Freddie poteva lamentarsene quanto voleva, poteva sentire un profondo mal di testa martellargli le tempie ogni volta che li vedeva, e i suoi occhi potevano sentire immediatamente la necessità di andare all’insù a ogni loro parola, ma Euge e Nate erano a tutti gli effetti suoi amici – e non ci soffermeremo, per il momento, sulla tristezza di questa realizzazione. Questo non significava, comunque, che avessero un rapporto sano e funzionale, tutt’altro. Invece di sentirsi arricchito dalla loro presenza, il Faustus si sentiva quasi sempre avvilito, e invece di sentire la felicità sprizzare da ogni poro ogni volta che passava del tempo insieme a loro, la maggior parte delle volte era spaventato – nulla di personale eh, forse era un po’ esagerato, ma sentiva di essere anche abbastanza giustificato a provare quei sentimenti nei confronti dei colleghi visti i loro trascorsi.
    Euge e Nate erano come quegli amici fastidiosi che minacci sempre di lasciare a casa ma che alla fine non puoi fare a meno di chiamare quando esci il sabato sera perché ormai fanno parte del tuo gruppo; in poche parole una disgrazia, esatto, o come aveva detto un grande saggio: “un po’ come i carcerati che erano costretti a condividere quattro mura e non avevano nessun altro con cui interagire”, e il tedesco non poteva essere più d’accordo. Salutò, a proposito, Raphael – un cenno del capo gli sembrò più che sufficiente – e tornò a rifugiarsi nel suo mutismo, mentre l’Henderson continuava a parlargli. «Fra l'altro, bello il completo; sono felice tu abbia optato per l'elegante, alla fine, o avrei dovuto cambiarti con le mie mani» perché Nathaniel, solo perché. Socchiuse gli occhi e prese un profondo respiro, poi prese il bicchiere dalle mani del professore di controllo poteri e lo buttò tutto giù in un sorso.
    La seconda scomoda verità era che Freddie non sapeva come essere un buon amico, forse non lo aveva mai nemmeno imparato. In Germania non aveva davvero avuto amici nel significato più stretto del termine; aveva avuto piuttosto conoscenze, frequentazioni, persone con cui aveva condiviso un lasso di tempo e che aveva accettato, ma non aveva mai avuto persone con cui aveva deciso di passare del tempo in modo disinteressato – e non romanticizzato.
    Si rendeva conto che avrebbe potuto essere meno distante con gli altri, che avrebbe potuto esporsi di più, che avrebbe potuto essere più accogliente con Raph, giudicare meno Eugene, ed essere in generale meno piccato con Nate, ma non sapeva come, non sapeva cosa avrebbe dovuto dire o fare, cosa si aspettassero da lui. In pratica, non sapeva essere un buon amico nemmeno in quel disfunzionale rapporto che aveva instaurato con i colleghi, figurarsi se aveva idea di come esserlo per Nelia; quella era una situazione ancora più strana, e se qualcuno avesse avuto un libretto delle istruzioni su come comportarsi, il Faustus l’avrebbe comprato pure per tutti i suoi risparmi. Accettò il brindisi silenzioso con la damigella d’onore, rivolgendole un sorriso morbido, e poi con un sospiro tornò alla sua banda improvvisata. Posò una mano sulla spalla dell’Henderson per poi voltarsi verso l’allenatore di quidditch (sei ancora lì vicino, Piz? Chissà, spero di sì) «Nathaniel, Morley – Morley, Nathaniel» presentò i suoi due (momentanei) accompagnatori con un largo sorriso, quasi soddisfatto come se quell’incontro fosse il frutto del suo duro impegno nel trovare un appuntamento al ministeriale «sono convinto che avrete moltissime cose in comune» in effetti pensateci, davvero molte cose in comune: padri, single, entrambi ghostati, pensateci davvero – side eyes. «non ringraziatemi» chiuse così, con un’occhiata prima verso l’uno e poi verso l’altro, e concedendo una pacca sulla spalla a entrambi, prima di scivolare via da quel duetto per tornare a voltarsi verso l’open bar, pur non allontanandosi troppo dalla nuova coppia; davvero un’ideona, grazie mille Barrow, ma non lo disse all’ex professore, lo tenne solo come appunto mentale.

    Dominic, d'altra parte aveva ringraziato già ampiamente il Barrow per l'invito, per la splendida cerimonia, e per la perfetta scelta della palette – lo sapeva, lui, che quella era una delle tappe fondamentali nell'organizzazione di un matrimonio –, ma non aveva pensato di farlo anche per l'open bar. In un primo momento l'idea gli era sembrata geniale, rincuorante addirittura; era convinto che avrebbe passato tutta la cerimonia al bancone, a tracannare calici su calici, a provare alcolici su alcolici, a sperare che nessuno lo avvicinasse e che quell'evento finisse il più in fretta possibile (e che Chelsey davvero non facesse saltare nulla in aria), ma evidentemente così non era stato.
    Gli era bastato qualche sorso del prosecco di benvenuto per sentire il suo stomaco ribellarsi e minacciare di rigettare tutto il suo contenuto in quel preciso istante. Aveva continuato eh, aveva preso altri flute di prosecco, aveva provato altri alcolici, aveva assaggiato il vino al tavolo, e aveva anche provato a ordinare un martini al bancone, ma tutti quei tentativi si erano sempre fermati al secondo sorso e nulla di più. E col cibo non era andata tanto meglio; i piatti avevano un aspetto magnifico, e il Cavendish poteva dirlo e sottoscriverlo, e avrebbe potuto descriverli nei minimi dettagli, perché tutto quello che aveva fatto era stato guardarli — non aveva nemmeno avuto il coraggio di smuoverli con la forchetta, li aveva scomodati giusto il tempo per fare una foto da mandare sulla chat di famiglia e poi aveva lasciato che fosse Chelsey a ruzzolare le sue porzioni.
    Non aveva un'intossicazione alimentare, né tanto meno un problema con l'alcool; il problema di Dominic sedeva a pochi tavoli di distanza, indossava un bellissimo vestito verde cucito a mano, e si faceva mantenere la borsetta da uno con la faccia da pesce lesso con le occhiaie che gli arrivavano fino allo scroto — un certo Zelda, gli avevano detto. Ma ti puoi chiamare con il nome di una principessa? Ma dico io.
    Di per sé, Nice non era un problema (forse poteva esserlo per qualcun altro, la stilista sapeva sempre come diventare un problema per le altre persone), ma la loro non-situazione lo era – e Dominic sapeva perfettamente che era una sua creazione, che era solo la conseguenza delle sue azioni, che meritava che le cose fossero andate in quel modo, che c’era un motivo per cui non aveva nemmeno lontanamente provato a parlare con l’ex fidanzata, e che aveva sbagliato fin troppo nei suoi confronti per potersi permettere di provare a sistemare le cose.
    Lo sapeva. Molto bene.
    Per la prima volta in vita sua sentiva di sapere un sacco di cose, peccato che in quel sacco ci fossero tutti i suoi irrimediabili errori.
    Ma la consapevolezza non gli impediva, purtroppo, di sentire una morsa stringergli il petto ogni volta che guardava l’ex serpeverde, o lo stomaco chiudersi a riccio, e non gli aveva nemmeno impedito di abbassare lentamente le palpebre quando per un attimo quando lei gli era passata di spalle e l’aveva investito con il suo profumo, lasciando a fantasticare su come sarebbe potuto essere quel giorno insieme a lei, o, peggio, come sarebbe potuto essere il loro matrimonio.
    Erano cambiate tante cose in quei lunghi mesi, lui prima di tutto (lo sperava, almeno, altrimenti il grande sforzo di continuare le sedute di terapia con Stiles non era valso a niente), ma i sentimenti del guaritore per la Hillcox non erano di certo tra quelle – ed erano proprio quelli, onnipresenti, a creargli un’enorme confusione in testa, a tenerlo ancorato a quella sedia, ben lontano dal ricevimento, e costringerlo a guardare malinconico e pensieroso, un po’ tormentato, verso l’interno.
    Quando la cenere arrivò a bruciargli le dita schiacciò il filtro della sigaretta nel posacenere, e solo allora, con un sospiro, si alzò sapendo esattamente cosa fare.
    Si fece largo tra la folla di invitati a suon di «permesso, scusate, permesso», e afferrò per le spalle l’ex tassorosso «cigei, lo faccio?», e quello, dall’alto della sua saggezza:
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    quindi il Cavendish gli lasciò un bacio sulla pelata e cinquanta galeoni per (andare a comprarsi la droga il gelato) il disturbo, prima di sgusciare via in mezzo agli altri invitati. Questa volta sentiva di avere disperatamente bisogno di alcool, quindi intercettò uno dei tanti camerieri che si aggirava fra i tavoli con lo champagne in mano, e mandò giù il contenuto del calice in un solo sorso. Chissà perché era parsa un’idea geniale, coraggio liquido, dicevano, eh ma nel momento in cui arrivò a destinazione non gli parve poi così tanto una buona idea, perché sentì improvvisamente il bisogno di rovesciare tutto – e non poteva assolutamente farlo, perché vomitare sulle scarpe di Berenice Hillcox non era decisamente il modo migliore per riconquistarla.
    Ecco, partiamo da questo: non aveva un modo, non aveva un piano; pensava di averlo, pensava di sapere cosa avrebbe detto alla vigilante, pensava di avere in mente un gran bel discorso ma che non le avrebbe dato nemmeno il tempo di elaborarlo perché l’avrebbe presa tra le sue braccia e l’avrebbe baciata, e avrebbero vissuto felici e contenti – era così che riconquistavano sempre le ragazze nelle romcom degli anni ’90, ed era esattamente così che non fece il Cavendish. In effetti, non fece proprio un bel niente: una volta arrivato alle spalle della ragazza il respiro gli si bloccò, la mente si svuotò, e rimase immobile, con lo sguardo posato sulla schiena di lei.
    sei bellissima
    sono un coglione
    scusa
    mi manchi tantissimo
    ti amo da morire
    C’erano tante cose che avrebbe voluto e che era pronto a dirle, invece restò zitto, con le labbra dischiuse a cercare aria e il petto ad alzarsi e abbassarsi più velocemente del normale.
    Aveva paura – che lei lo rifiutasse, che lui potesse sbagliare ancora e che potesse ferirla di nuovo, che avesse trovato qualcuno di migliore, di meno complicato, di più idoneo, o, peggio, che semplicemente non fossero fatti per stare insieme. Tutti quei pensieri si accumularono sul suo petto, pesanti e difficili da ignorare, ma quando partì la musica lanciò solo uno sguardo veloce alla sala, e tornò a respirare.
    Si chiuse la giacca del completo con un movimento lento, poi fece ancora mezzo passo in avanti e si schiarì la voce con un leggero colpo di tosse per segnalare la sua presenza. «lo so che è uno sbaglio, lo so che sono uno sbaglio» parlò piano e con calma, con voce bassa ma con insolita sicurezza. Non si soffermò su quel punto, ma allontanò quel discorso scuotendo leggermente la testa, per poi allungare solo un po’ la mano verso di lei, in attesa e nella speranza che lei la afferrasse «ma vuoi ballare con me?» posò lo sguardo sulle iridi chiare di lei, poi si lasciò scappare un mezzo sorriso morbido «sono tre anni che mi esercito aspettando questo momento» e non era nemmeno un’iperbole, l’ex corvonero attendeva il momento giusto dalla fatidica notte del prom in cui Nice aveva gli aveva rifiutato quella identica richiesta. Un azzardo provarci di nuovo, ma al guaritore non restava ormai che sperare che la risposta della ragazza questa volta fosse diversa.
    «sbaglia con me» Nice Hillcox non sbagliava mai, mirava sempre alla perfezione, e Dominic questo lo sapeva bene, ma lui era tutt’altro che perfetto, e per quanto potesse provare a esserlo per lei non lo sarebbe mai stato.
    Aveva sbagliato così tante volte che ormai credeva di essere diventato un errore vivente. Lo sapeva che quello – avvicinare Nice, riaprire ferite che, seppur non chiuse, erano state almeno disinfettate – era un errore, ma forse il trucco era fregarsene; forse non dovevano essere per forza perfetti, forse potevano sbagliare insieme e provare ad essere felici.
    But tell me you love me,
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    when3 september 2023
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    freddie: parla con piz e nate, fa il cupido per loro
    dom: sfrega la pelata di cigei e poi si avvicina a nice


    si scusate nulla di utile, ma 1) ho letteralmente dimenticato come si scrive 2) avevo bisogno del mio momentoTM, quindi sì in sostanza niente di utile, mi dispiace
     
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    "what are you, twelve?"
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    Non era avvezzo al second hand embarrassment, Nathaniel, ma in quel momento, in quel preciso momento, si sentì profondamente mortificato per il Faustus.
    Sapeva che non era colpa sua (non tutta, almeno - come napoleone, bonaparte), ma Cristo Gesù.
    A che (non) dialogo aveva appena assistito?
    Allora, tanto per iniziare, Freddie l'aveva fatto parlare da solo senza rispondergli ma fissandolo apatico, cosa per cui lo perdonava parzialmente (ma almeno un "grazie" per i complimenti? Bro in germania non ti hanno insegnato a essere educato?), ma poi
    alla sua battuta leggere sull'appuntamento (perchè il comacollageddon era finito) (era finito, giusto? Potevano tornare amici senza troppo disagio?), a cui l'altro avrebbe potuto, boh, rispondere piccato o divertito
    Lui
    gli mise una mano sulla spalla
    e
    «Nathaniel, Morley – Morley, Nathaniel»
    Cosa.
    «sì» sorrise un po' imbarazzato, chinando il capo verso Piz. Insomma, non pretendeva che Freddie ricordasse l'età esatta di tutti ma
    Ma. Non è mica quando non ricordi in che liceo è andato il tuo amico; c'erano tipo tre scuole in tutto il mondo magico.
    «sono convinto che avrete moltissime cose in comune»
    ridacchiò «credo anche io» tipo l'anno di diploma. La casata di hogwarts. Gli anni in America. L'essere-
    «non ringraziatemi»
    Oddio non stava scherzando. Freddie si voltò per riempirsi altro da bere.
    Nate roteò gli occhi.
    Sembrava che più Nathaniel facesse sforzi per metterlo a suo agio, per tranquillizzarlo che non voleva portarselo a letto, poteva essere triste e patetico da solo, più Freddie si imbarazzasse e fallisse. Piz? PIZ?? Minchia gli mancavano proprio le basi. L'allenatore di quidditch era pure già impegnato!!!!
    Con Elwyn!
    Guardò piz con un'espressione di scuse. Si trattenne fortissimo dall'aggiungere che il Faustus non aveva preso le sue medicine, perché nel suo bingo matrimonio akerrow non c'era "fare battute da boomer che ledono la sensibilità di chi ha davvero problemi mentali".
    ma fu molto difficile.
    «È tedesco» che, per lo meno, era vero. Alzò un bicchiere «Ma se ti annoi, sai dove trovarmi» ammiccò, perchè poteva, e portando il bicchiere alle labbra guardò la gente alla festa.
    Alexa play Gimme! Gimme! Gimme! degli Abba.
    ....Ripensandoci.
    Si voltò verso l'amico incinta. Lo puntò col bicchiere. «Non pensarci.» Certe cose andavano stroncate sul nascere «Veto sugli amici» E a tal proposito, guardò incuriosito di nuovo Morley.
    «Tu come conosci Freddie?» Non così bene da SAPERE IN CHE ANNI SIAMO STATI A SCUOLA ma ok.
    All I wanted
    was some good food,
    better conversation
    Fell in love too soon,
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    NATE: con euge, piz e freddie (che poi è freddie che ha deciso fossero insieme . per me era andato solo da freddie è colpa tua se euge aveva sentito !!!)
    parla poco a tutti a tre (?)

    ma sì, flash post, chi se ne frega del senso logico. mads un'altra volta scusa nelia, non so perchè avessi fatto il codice insieme sapendo fosse più facile postarli separati .
     
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