hello, I'm: trying my freakin' best

ft. wind

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    litacarvalho
    «bom dia!» but: was it tho.
    Stando alle occhiate truci del personale di piano del San Mungo e a quelle stanche – ma rassegnate – dei pazienti, probabilmente no.
    Credete forse che a Lita interessasse qualcosa? No, esatto, bravi — se proprio, la special era lì esattamente per quello: per (rivoluzionare, rovinare) migliorare la giornata a quei poverini tristi e doloranti, per dargli la carica giusta con cui affrontare non solo quel giorno, ma l'intera settimana. Tanto pagliaccia lo era già, perché non abbracciare quella natura e approfittarne per coinvolgere i residenti dell'ospedale magico con un po' di clown therapy, dico bene?
    La brasiliana non era certo nuova ad attività del genere — no, non quelle da pagliaccia (che pure, comunque, figuravano ampiamente nel suo CV) ma quelle di volontariato: a Recife, ancora giovanissima, aveva passato ore a prendersi cura della comunità aiutando i più bisognosi, forse (o soprattutto) perché proveniva dagli stessi ambienti ed era una cosa tra lei e Dio quanto avesse bisogno lei per prima di quei momenti di convivialità e socializzazione, quegli aiuti che forniva ma che in cambio, a insaputa degli altri, riceveva. E quando la sua vita era cambiata, quando aveva lasciato il Brasile e aveva trovato fortuna in Messico (se così poteva definirsi la sua affiliazione al cartello, ma questo è materiale per un altro post) non aveva dimenticato da dov'era partita, e aveva continuato a fare volontariato presso le strutture più bisognose di Città del Messico, spingendosi spesso fin nei quartieri più problematici e pericolosi, solo per dimostrare che potesse arrivare anche lì a fare la differenza. Che la facesse o meno, poi, non era chiaro: Lita non si pentiva di nulla, neppure di un solo secondo passato a rallegrare la giornata di quei poverini, ma con i suoi modi un po' fuori dalle righe non era proprio scontato che lo stesso valesse per chi stava dall'altra parte. Nonostante il buon cuore e le ancora più buone intenzioni, Lita aveva la tendenza a rovinare qualsiasi cosa toccasse, come una sorta di maledizioni che le impediva di raccogliere frutti maturi nati dal duro impegno.
    Questa consapevolezza non l'aveva mai fatta demordere, comunque, e anche in Inghilterra aveva portato con sé il (non troppo) metaforico naso rosso e aveva puntato subito i gruppi e le strutture da poter (infestare) illuminare con il suo carattere espansivo ed allegro. L'ottimismo – e la risolutezza – non l'avevano abbandonata, neppure dopo i laboratori e dopo una guerra vissuta da spettatrice: ci voleva ben altro per intaccare quel carattere sopravvissuto nella sua purezza a venticinque anni di stenti.
    Che poi, di anni, Lita ne aveva ormai ventisette, ma la sua mente si era bloccata a un quarto di secolo e faceva fatica a stare al passo con i compleanni che scorrevano via, inesorabilmente, verso i trenta; era già tanto che avesse finalmente scavallato i diciotto — anche se non aveva smesso di considerarsi un'adolescente, e passare le sue giornate con Juno e Atlas l'aveva riportata in fretta a quegli anni di gioventù, mai troppo spensierati ma comunque pieni, e indiscutibilmente suoi.
    Con un sorriso da mille Watts, infilò la faccia attraverso una delle porte, sfarfallando le ciglia in direzione dei degenti. «come vanno le cose, signore?» Schivò a malapena il contenitore di budino al cioccolato – vuoto! ugh! – diretto alla sua fronte, e sorrise incurante delle minacce alla vecchia Margaret. «in forma come sempre, Maggie!» le lanciò persino un bacio a mezz'aria, per niente preoccupata dall'atteggiamento aggressivo della strega, e con tutta l'intenzione di non farsi rovinare l'umore da quella megera che ci provava tutte le volte e non vinceva mai.
    La sua compagna di stanza, invece, era tutta un'altra questione: Pamela Abernathy, una strega di mezza età che, stando ai racconti dei guaritori, faceva dentro e fuori dall'ospedale da anni per i motivi più disparati, dalla frattura al braccio alla Peste di Pipistrello passando per una commozione cerebrale causata una caduta mentre praticava sport estremo: pulizia a fondo dei mobili della cucina.
    In quel periodo, invece, passava le sue giornate al San Mungo perché la guerra l'aveva lasciata senza un braccio, e con non pochi problemi nella testa. Lita si avvicinò al letto di Pammy, posando i gomiti sulla struttura in ferro ai piedi della brandina, e abbassò lo sguardo sulle carte diposte in maniera ordinata sul lenzuolo: il passatempo preferito di Pammy era fare il solitario, e poteva passare ore e ore da sola con quelle dannate carte. La special non ne aveva mai compreso la bellezza o il divertimento, ma le piaceva Pamela e la sua tranquillità, specialmente se messa a confronto con l'irrequietezza di Maggie. «ci sei quasi, Pammy» Sollevò due dita, senza farsi vedere da nessuna delle due streghe, e spostò appena un paio di carte per facilitare la risoluzione del gioco alla donna, che dal canto suo, non se ne accorse né sembrò registrare la voce di Lita. Con un ultimo saluto, ed evitando il cucchiaio di plastica lanciato da Maggie, e bloccato a mezz'aria dalla special, la Carvalho uscì dalla stanza e proseguì con il giro di ronda.
    La porta subito dopo non dava su una stanza di degenza, ma su di una per le visite veloci e gli appuntamenti con i medimago di turno. Lita bussò comunque sull'uscio aperto e, senza aspettare una risposta, scivolò nella stanza col solito sorriso ad illuminare il volto. Dal momento che non era presente alcun camice bianco, Lita lo prese come un permesso per intrattenere la bella donna mora seduta sul lettino fintanto che non fossero arrivati per visitarla.
    «bom dia, miss» chissà se almeno per lei lo era, ma a giudicare dall'espressione cupa (molto simile a quella della vecchia Maggie, bisognava ammetterlo) Lita non ci avrebbe messo la mano sul fuoco. E poi, comunque, le sfide le erano sempre piaciute. «le dispiace se mi fermo un po'? il piano è in subbuglio, penso che ce ne vorrà un po' prima che uno dei medimaghi possa essere con lei.» tentó il più possibile di mantenere un accento pulito e privo da inflessioni straniere, ma non era ancora così brava a mascherare le vocali chiuse. «possiamo parlare di quello che vuole, il mio nome è Lita! Sono una volontaria.» was she? Beh, autoproclamata e ancora nessuno l'aveva cacciata dall'ospedale a calci nel sedere, perciò l'aveva preso come un invito a continuare.
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    Non sai che fare della tua vita e vai al San Mungo per visitare persone a caso. Incontri B e ti assicuri che stia bene.
     
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    WindThunderstorm
    «non ci voglio andare» aveva detto Wind tirandosi su le coperte fino al naso come se fosse stata una bambina di 5 anni; era raro poter scorgere altri lati di wind oltre a quello arrabbiato o quello impassibile, ovvero quelli che indossava ogni giorno, più che raro era quasi impossibile scorgere altre emozioni sul suo viso, ma Yejun era quello che probabilmente aveva scorto i lati più nascosti di Wind, ed era lui che l’aveva buttata giù dal letto pretendendo andasse a fare il controllo in ospedale, il ginocchio era guarito, ma non era tornato come prima, le faceva ancora male, per quanto non lo desse a vedere e cercasse di fare come sempre la tosta, non erano rare le volte in cui si ritrovava a zoppicare, era da tempo ormai che non usava neanche più tanto frequentemente le sue amate scarpe dal tacco dodici, prediligendo sneakers o mocassini.
    Sospirò wind, portando la mano destra alla tempia, mentre raggiungeva il piano delle visite, il dottore che la seguiva le aveva detto che era uno dei pochi casi in cui l’ossofast o un incantesimo guarito o non bastavano, i babbani chiamavano quella specie di continuità riabilitazione, la turca l’avrebbe chiamata piuttosto tortura; ma perché poi erano tutti così maledettamente felici? cosa c’era di bello nel farsi infasciare, pungere o addirittura bere pozioni disgustose? Wind non lo capiva proprio, probabilmente il suo disappunto le si leggeva in volto, abbassò lo sguardo sullo schermo del cellulare digitando un sono qui nel quale si leggeva tutto il suo cattivo umore, quando come risposta ricevette solo emoji colorate e foto delle sue gatte che dormivano sulla testa decolorata di yejun un mezzo sorriso le si dipinse in volto, non poteva restare arrabbiata per molto tempo, quella piccola canaglia aveva il potere di farle tornare il sorriso con un battito di ciglia «bom dia, miss» mh? Wind sollevò lo sguardo e guardò di traverso da dietro i vetri scuri degli occhiali da sole quella figura ballerina, fin troppo sgargiante ed allegra per i suoi gusti «Buongiorno» quasi biascicato, pronunciato per educazione più che per altro, yejun le stava insegnando come essere una brava persona senza doverlo fare realmente, erano gli opposti, ma lo ammirava per avere sempre il sorriso stampato in volto e per la gentilezza che usava con tutti «le dispiace se mi fermo un po'? il piano è in subbuglio, penso che ce ne vorrà un po' prima che uno dei medimaghi possa essere con lei.» se non fosse stata in quelle circostanze wind si sarebbe pizzicata l’attaccatura del naso con indice e pollice e probabilmente avrebbe sbuffato, anzi sicuramente avrebbe sbuffato, ma ci stava davvero provando a non spaventare quell’… infermiera? oddio se ne fosse stata una di sarebbe potuta proporre per farle la visita al posto del medimago che di solito le controllava il ginocchio, di cui già non si fidava …possiamo parlare di quello che vuole, il mio nome è Lita! Sono una volontaria.» oh ecco, ma non sarebbe dovuta servire ai bambini? di sicuro con il suo fare allegro li avrebbe rallegrati alla grande, lei invece… «è sicura che non ci sia nessun altro ad aver bisogno di lei?» accavallò le gambe e sollevò gli occhiali da sole sulla fronte «la loquacità non è il mio forte… forse è troppo colorata per intrattenermi» a differenza sua che era grigia e cupa.

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    litacarvalho
    «Buongiorno»
    BEH! Almeno aveva detto buongiorno e non solo ‘giorno, era qualcosa no?!
    A Lita piaceva prendere le piccole vittorie laddove le capitavano, e offrì per questo un sorriso radioso alla donna, scivolando nella stanza non in maniera così silenziosa come avrebbe voluto e che, comunque, non sarebbe stato nel suo stile.
    Si guardò intorno, notando non ci fossero né cartelline né fogli lasciati in giro dai medimaghi, perciò dedusse che nessuno era ancora passato a prendersi cura di lei. «è qui da molto, miss?» Oh, la mora non l’aveva cacciata né le aveva impedito di entrare nella stanza, e quello era l’unico permesso che serviva alla brasiliana per mettersi comoda, prendendo una sedia di plastica non troppo distante dal lettino dov’era seduta la donna, e iniziare con le molestie soft in cui era gran maestra.
    «è sicura che non ci sia nessun altro ad aver bisogno di lei?»
    Scosse piano la testa, accompagnando il gesto con un cenno sbrigativo della mano. «sì, e no. tutti hanno bisogno di un po’ di compagnia, infondo, no?» Non le importava assolutamente che l’atteggiamento della donna fosse leggermente ostile, o chiuso, Lita negli anni era stata in grado di far parlare anche le pietre – se non altro, per farsi mandare a quel paese. «ho già fatto il mio giro, e a Marcy non dispiacerà se tardo un po’ al nostro appuntamento settimanale, tanto è solo qualche stanza più in la.»
    «la loquacità non è il mio forte… forse è troppo colorata per intrattenermi»
    «oh.» Dischiuse le labbra in una smorfia solo in parte preoccupata, la special, aggrottando le sopracciglia fra loro. «so essere meno… colorata, se vuole.» Non nell’aspetto, a quello poteva fare ben poco (il suo gilet decorato a mano e i jean rattoppati con le stoffe delle fantasie più disparate non avrebbe potuto sostituirli facilmente) ma poteva rimodulare un po’ la voce, e calibrare la gioia, anche se continuava a pensare che fosse esattamente quello che serviva ai pazienti tristi e doloranti del San Mungo.
    Drizzò la schiena, incrociando le gambe sulla sedia di plastica, e poggiando entrambi i gomiti sulle ginocchia. La bella mora non era il primo osso duro che incontrava nella sua vita. Viveva con Xander. «come mai non le piace questo posto?» e non serviva negare, lo si poteva chiaramente leggere nell’espressione poco felice della paziente, che morisse dalla voglia di stare ovunque tranne che lì. «può non dirmelo, ma ho un sacco di domande di riserva, sa?» Perché sapeva davvero, ma davvero, essere una persona fastidiosa. «e non serve la loquacità per rispondere. basta… rispondere.» facile. Non le chiese il motivo della sua visita all’ospedale, aveva scoperto col tempo che quello non fosse propriamente un argomento facile da intavolare, e che in molti non ne parlavano con facilità, perciò ebbe almeno il tatto di non indagare a riguardo.
    «uh!» l’occhio le cadde sulla confezione di caramelle posate sul bancone alle spalle della mora – di cui, per altro, non sapeva ancora il nome, si rese conto – e con un gesto della mano creò una piccola corrente d’aria per sollevare la scatolina e farla levitare nella sua direzione.
    C’era stato un tempo in cui Lita aveva dovuto nascondere il suo potere, quasi fingere di non averne mai avuto uno ed essere ancora la solita babbana di sempre, ma quel tempo era finito; da giugno, gli special come lei non avevano più bisogno di nascondersi e nonostante le persone tolleranti nei loro confronti non fossero diminuite, ma tutto il contrario, ora avevano almeno la possibilità di difendersi e ricevere un trattamento giusto agli occhi della legge.
    Era bello poter essere se stessa anche fuori, e non solo di fronte a Xav o alle bambine.
    L’idea che la donna potesse essere contro gli special, o provare ad attaccarla per via della sua natura, non la sfiorò nemmeno: se ci avesse provato, Lita si sarebbe difesa. Semplice così.
    Con due dita, sollevò in aria una manciata di caramelle e le passò in rassegna, scegliendo poi quella che la attirava di più, rimettendo al loro posto le altre. Poi, con altrettanta leggerezza, mandò il cofanetto a fluttuare nelle vicinanze della donna. «caramella?» Male non poteva fare, e al massimo l’avrebbe addolcita un po’.
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2 replies since 2/9/2023, 12:18   159 views
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