you know I get embarrassed most of the days

@ king's cross, stan ft tu? libera!

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    stanley luna
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    Stanley Luna aveva vissuto la sua adolescenza sperando di morire prima di arrivare all’età adulta. Coricato nel proprio letto, sommerso da più coperte e piumoni di quanto fosse lecito avere in qualunque stagione, aveva spesso sognato l’apocalisse. Zombie, biblica, anarchica, il genere non gli era mai importato: Stan voleva solo qualcosa che ribaltasse gli equilibri terrestri, così che potesse smetterla di preoccuparsi di cosa fare della propria vita (se il suo titolo di studio andasse bene, e se il percorso scolastico fosse obbligatorio; come fare a trovare un lavoro e tenerselo; pagare le tasse; andare a vivere da solo; chiamare il medico di base per prenotare una visita). Gli era sembrato tutto lontano, ed impegnativo.
    Aveva un quarto di secolo. Venticinque anni, tondi come gli zero del suo conto in banca, nessuno dei quali preceduto da altre cifre. Non sapeva se il suo titolo di studio andasse bene; aveva un lavoro, ma part time; non sapeva pagare le tasse, né fare l’F24 – ma che cazzo era, poi; non viveva da solo; preferiva morire che chiamare il dottore, per quanto lento e doloroso fosse lasciare la Terra in quella maniera.
    E l’apocalisse era arrivata davvero.
    Il Luna era nel suo ufficio quando il mondo era esploso. Le dita allungate per tenere ferma la tazzina di caffè tremolante sotto la macchinetta, la testa poggiata al frigorifero e lo sguardo posato assente sui palazzi oltre la finestra. Si domandava se avesse fatto il 730 - gli sembrava di sì - e se l’avesse corretto - non gli sembrava affatto - ed il bollo quando doveva pagarlo? L’assicurazione? Quando aveva fatto il tagliando l’ultima volta? Tutti pensieri accatastati gli uni sugli altri ad immergerlo in uno stato di ansia perenne e costante, mentre attendeva che la Nespresso facesse il suo dovere riempendo la porcellana dell’unica droga che potesse permettersi. Stanley era un convinto sostenitore che se la cocaina fosse stata più abbordabile, sarebbe stata la sua religione; il massimo che poteva offrirsi, erano pacchi di cialde da cento capsule a tredici euro (cemento macinato con sabbia industriale, esatto.) ed il tabacco più scrauso in circolazione con cui ossidarsi i polmoni, e già gli sembrava un sabotaggio di lusso.
    («guarda che ti fanno male»
    «anche vivere lo fa, eppure!»
    haha...ha.)
    L’apocalisse era arrivata davvero, e Stan Luna era… confuso. Non era come se l’era immaginata. Innanzitutto, esisteva la magia, ed a quanto pareva, l’aveva sempre fatto. Esistevano maghi e streghe in grado di fare incantesimi con bastoncini del sushi, ed altri individui appena usciti da xmen in grado di fare tutto il resto. Poi. A quanto pareva, quando la tua patria natia veniva conquistata e distrutta, nessuno ti pagava i danni, e nessuno ti mandava comunicazioni se fosse o meno il caso di tornare a lavoro il giorno successivo. Non c’era la cassa integrazione, e Google non aveva risposte su che fine avessero fatto i suoi sudati contributi pensionistici. Come se la sua vita non fosse già stata una beffa cosmica, la guerra si era portata via tutto ciò che aveva, tranne l’unica cosa che avrebbe voluto si prendesse.
    Sbloccò lo schermo del telefono togliendo le notifiche di whatsapp – un link di facebook da suo padre, una chiamata persa da sua madre – e sollevò smarriti occhi scuri su King’s Cross.
    Non ricordava quando fosse stata l’ultima volta che avesse chiuso occhio. Arrivare alla stazione inglese, era stato… impegnativo: non gli era permesso prendere i mezzi magici (grazie a Dio: in che senso entravano in un camino… era così che li avevano gaslightati all’esistenza di Babbo Natale?) e quelli babbani non avevano più voli low cost a cui il Luna potesse appellarsi per evitare di perdere uno stipendio. Novi Sad, in Serbia, non era esattamente conosciuta per essere una città collegata al resto del mondo, un problema che l’aveva sempre interessato relativamente considerando quanto poco amasse spostarsi.
    Un giorno intero di viaggio. Aveva preso un flixbus fino a Budapest, poi il treno fino a Monaco di Baviera, un altro da Monaco a Bruxelles, e l’ultimo per arrivare alla stazione di Londra. Non ricordava quando fosse stata l’ultima volta che avesse dormito. L’aveva già scritto detto? Ecco, dovrebbe bastarvi per comprendere il livello del suo AU. Non aveva la più pallida idea di dove fosse o di chi fosse; i suoni avevano un sapore, ed i colori si scioglievano come gelato al sole. Aveva la bocca impastata, e probabilmente la saliva incrostata sul mento. Abbassò, con quanta più finezza possibile, il naso verso la propria ascella, confermando il suo peggior timore.
    Puzzava pure.
    Respira Stan, respira.
    Strinse il borsone al petto, passando la mano libera fra i corti capelli biondi. Ora che si trovava lì, finalmente lì, iniziava ad avere dei rimpianti. E se l’avesse odiato? Se non fosse stato abbastanza? Se non l’avesse voluto? L’avevano cresciuto dicendo di non fidarsi mai delle amicizie online, ma Stanley se n’era sempre sbattuto il cazzo. Certo, non si era mai spinto così oltre da prendere tutti i propri (pochi) averi per intraprendere un’avventura con qualcuno conosciuto su internet, ma come biasimarlo? Era l’unico legame vero e reale che sentisse di avere; non c’era più nulla a tenerlo ancorato a casa propria. L’aveva invitato lxi dopotutto, quindi…? Vabbè. Vabbè. Si disse, non per la prima volta, che se quell’incontro fosse andato male, avrebbe trovato qualcos’altro da fare. Si faceva di necessità virtù, e no, non aveva le competenze per svolgere qualsivoglia lavoro o per trovarselo, ma contava che qualche mago o special necessitasse di manovalanza per, boh, pelare patate. Si sarebbe regalato facilmente come schiavo, un sogno: qualcuno che gli dicesse cosa fare, tutto il tempo, e lo privasse di una libertà del quale in ogni caso non avrebbe usufruito? subito! Sarebbe anche stato un servo eccellente, non alzava mai la voce ed era un people pleaser. Insomma, aveva un solido piano B.
    Ma preferiva l’opzione A, anche solo per il semplice fatto che avesse un (1) cuore e non avesse l’animo adatto perché glielo spezzassero. Non aveva molti amici che ...no, niente. Non aveva molti amici punto.
    Si posizionò nel punto della foto che l’altra persona gli aveva mandato, e prese il telefono per mandare un audio: li odiava, ma aveva bisogno sentisse quanto fosse disperato.
    «sono qui?» interrogativo, perché non era in nessun punto specifico del cosmo. Non quello fisico, perlomeno. «devo dormire» sara @ sara
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    CIAO, SONO SARA SR ♥ in tutti i sensi (.) e quindi. se non avete letto, stan si è spostato dalla serbia (novi sad. si, esatto) per amiki conosciuti su internet, quindi sentitevi liberi di essere quell'amico e adottarlo. davvero. non ho specificato nè il genere nè il come ci siamo conosciuti, così possiamo sceglierlo insieme, tanto non so nulla di questo cristo - e non sono certa di volerlo sapere, chissà. non affezionatevi troppo ma chi. ha un'età a caso, working on it a seconda di che gif decido di usare (eh si lo so sono cose importanti)


    Edited by etc. - 27/9/2023, 12:02
     
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    Se lo staranno chiedendo tutti in sala (o almeno, io e le mie quattro personalità lo facciamo): cosa avevano da spartire (Sara) Stan e un Joey? In che modo le loro vite così diverse, potevano essersi intrecciate? Non c'erano stati la scuola, o le case famiglie a unirli, né la magia o il quidditch. Ah, vorrei potervi spiegare meglio come fosse successo, ma alcune cose accadono e basta, senza un senso più grande alle spalle, o senza un senso e basta. Certo, potremmo dare la colpa (il merito!) a qualcuno (e perchè proprio arianna) che non ha role per attivare hamish, o a sara presa in un momento di debolezza, ma dovremmo anche lasciare a cesare quel che è di cesare.
    Stan e Joey, avevano un importantissima cosa in comune, e io shock basita nessuno l'abbia fatto notare prima: erano entrambi totalmente, irrimediabilmente,
    casi umani.
    Diversi, non c'è che dire, ma più che fra loro dal resto del mondo, e niente unisce di più del sentirsi parte di qualcosa, sentirsi finalmente meno soli.
    Chissà che effetto farfalla aveva portato tanto tempo prima Joey e Stan a commentare il medesimo articolo su wikihow ("how to be a normal person", ovviamente), chissà quale illuminazione divina aveva portato, dopo qualche chiacchiera scritta in una bacheca pubblica, a scambiarsi i numeri per poter continuare la conversazione in privato (l'articolo "how to make friends online" forse)! Galeotto fu chi scrisse quell'articolo (che, se ve lo stat chiedendo, ho letto, e no non credo aiuti a sentirsi normale; vi cito solo: "Try the Wonder Woman pose: throw your shoulders back and place your hands on your hips, place your feet shoulder-width apart, and hold your head up high"; esatto).
    In ogni caso.
    Joey non avrebbe saputo spiegare cosa l'aveva portato a offrire un tetto sopra la testa al babbano (non era neanche appassionato di quidditch): non posso neanche dire che gli servisse un coinquilino perchè era piuttosto certo Stan, almeno per il primo periodo, non sarebbe stato in grado di contribuire con le finanze.
    L'aveva proposto de botto, senza starci troppo a pensare.
    Erano amici, e Joey aiutava sempre i propri amici, anche se a modo suo: era leale, e non è che si sentisse un po' perso dall'averne perso una buona metà dei già pochi che aveva che dite ahahah ah)
    ... osservò lo schermo del cellulare illuminarsi.
    Un audio.
    "Non lo ascolto" iniziò a scrivere, per poi notare che comunque l'alto ragazzo era stato sotto i cinque secondi di audio, una regola del "how to not be a dito nel culo col tuo amico che odia gli audio", quindi apprezzava. E comunque sempre meglio di una chiamata - come aveva suggerito di fare il "how to meet a person you met online".
    «sono qui?»
    "Qui dove?" rispose per iscritto, ma senza cattiveria o ironia. Alzò il cellulare con l'intenzione di fotografare dove si trovava lui, e notò un ragazzo. Gli scattò una foto, e la inviò.
    "Sei tu?"
    E mi direte, mi direte, ma non poteva chiederglielo a voce?
    No.
    Vi immaginate arianna e sara che rischiano di parlare con qualcuno di sbagliato? io no. (invece pulce l'ha fatto al primo radunord, stan)
    Quindi si fece una foto deadpan e gliela inviò.
    "selfie col morto (io. Dentro)."
    Essere simpatico: check. Lo diceva la guida.
    Sentite la loro amicizia funzionava (punto) così, non devo stare a spiegarvi il gran piano fidatevi e basta.
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    non ho neanche riletto questo è un viaggio onirico, scusate ma poi avevo paura rispondesse qualcun altro I CALL SHOTGUN
     
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    Ciondolava sul posto, Stanley Luna, rimbalzando da un piede all'altro con la peculiare sensazione di aver passato le ultime ventiquattro ore sott'acqua. Non si era mai domandato come dovesse essere la vita di un orsetto gommoso, ma immaginava non potesse essere così diverso da come si sentisse in quel momento. Nello specifico, uno di quelli lasciati a mollo nella vodka, dimenticati, e cresciuti di tre taglie rispetto all'originale.
    E non aveva bevuto. No, non era neanche stupefacente di natura, caso mai ve lo steste chiedendo. Era solo tragicamente, inevitabilmente, stanco - dalla nascita; quand'era bambino, il suo gioco preferito era fingere di essere il proprietario di un'azienda di materassi di nome Stan & Co, e che il suo compito fosse quello di testare tutte le superfici dei lettini in circolazione per trovare quello perfetto- e per quanto la stanchezza fosse una parte integrante del suo carattere, mescolato alla reale e concreta deprivazione del sonno era una sensazione nuova. Un livello sbloccato. Il nirvana, forse. Se avesse sporto la lingua fuori dalle labbra, avrebbe potuto sentire il sapore dell'universo; tolte le cuffie, avrebbe udito la risposta a tutti i suoi problemi ("ucciditi", probabilmente; meglio l'ignoranza). Si sentiva in grado di performare la morte del cigno, ma era certo che una sola piroetta avrebbe accantonato la danza in favore del mero ciclo vitale dell'animale. Non era molto atletico normalmente, figurarsi quando a reggerlo in piedi era il non sapere dove altro poggiarsi se non sulle proprie scarpe.
    Sbloccò nervosamente il telefono, osservando la chat con insistenza. Era online! Stava scrivendo! Non stava più scrivendo. Corrugò le sopracciglia, premendo play sul proprio audio per assicurarsi di aver detto qualcosa di sensato. Provava sempre uno strano senso di irrealtà quando sentiva la propria voce; cercava di immaginarsi come dovesse essere per gli altri, che lo conoscevano con quel tono d timbro. Gli dispiaceva per loro.
    Qui dove, apparse sullo schermo.
    Stan si guardò attorno, ma le dita già si muovevano sulla tastiera per renderlo partecipe in tempo reale: "qui" e "non lo so" per concludere con un aperto ad interpretazione "ci sono tante persone" che non voleva dire nulla più di quanto detto. Gli piaceva parlare con Joey perché era facile: non doveva chiedersi quante emoji mettere per apparire innocuo, se fosse necessario aggiungere punti esclamativi, quanto tempo dovesse passare da un messaggio all'altro per essere socialmente accettabile. Poteva essere spontaneo e senza senso. Non rispondere ai messaggi prima ed iniziare un nuovo discorso. Offrire un flusso di coscienza senza contesto a cui l'altro replicava "Devo rispondere?" e Stan sapeva che se avesse detto no non l'avrebbe fatto e sarebbe andato bene così. Era un po' come parlare con il bot della Tim - non sembrava un complimento, ma per il Luna lo era.
    "Sei tu?"
    "O forse...sei tu." Rispose in automatico, sorridendo fra sé per la battuta, perché ridere da soli in pubblico non era mai un buon segno di equilibrio mentale. Poi aprì effettivamente la foto, zoomando sulla propria faccia.
    Gesù. Giuseppe e Maria. Sembrava spiritato.
    "Lo spero. Ma dicono che abbiamo sette sosia al mondo. Sta alzando la mano?" Attese la doppia spunta sul messaggio, prima di muovere timidamente un braccio verso l'alto, sventolando le dita.
    "Selfie con il morto (io. dentro)"
    Fu in quel momento. In quel preciso battito di ciglia, un istante che avrebbe ricordato come breve ed infinito, che Stan si rese conto di non aver mai chiesto a Joey quanti anni avesse, e che mai in quegli anni si fosse posto il problema. Non avevano mai affrontato tematiche strane, per carità, però? Battè le ciglia, perché... wow, non si erano neanche mai mandati una foto. Per quanto ne sapeva - e ne sapeva: succedeva di continuo - poteva essere un catfish, e lui si era appena fatto giorni di viaggio per essere fregato. Avrebbe dovuto pensarci prima di partire, ma aveva scelto di non farsi domande, perché al primo interrogativo si sarebbe arenato e perso Una Grande Avventura (capitalized so you know it's true).
    Massì. Ormai era lì. Erano amici, l'età era solo un numero, e poi Joey era vecchio dentro (o Stan giovane: misteri della vita). "Noi" Commentò.
    E poi. Quindi. Ok.
    Forte. Era preparato.
    (Non lo era.)
    Era più grande, no? Dai, sembrava più grande, quindi era giusto che si comportasse come tale prendendo l'iniziativa. Si avvicinò a Joey, labbra strizzate fra loro.
    «ehiiiiila» con tanto di mano a disegnare un arco nell'aria. Si chiese se dovesse abbracciarlo (immaginava di no), presentarsi (poteva già sentire la risposta impassibile di Joey sul fatto che già si conoscessero), ed alla fine optò per offrire il palmo così che battesse il cinque.
    Normale. Normalissimo.
    «c'era un cane sul treno» un fatto importante che meritava di essere menzionato subito, e per il quale riuscì perfino a sorridere. E poi, visto che si voleva del male: «sei una persona» Fine? Ci riflettè un attimo. «giovane. pensavo fossi vecchio » Invece era un umpa lumpa. «caffè? per favore» ne aveva bisogno per fingersi umano.

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    Edited by etc. - 27/9/2023, 12:03
     
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    "O forse...sei tu."
    Tutti quanti, e probabilmente persino i sassi, sapevano che Joey avesse qualche difficoltà a capire le battute: non sempre riusciva a cogliere le sfumature della voce, i segnali sociali, le intenzioni nascoste dietro una parola quando, in realtà, si voleva dire qualcos'altro. Peccava di empatia - quella umana e comune, non solo quella magica. Capire le emozioni altrui? Un dramma.
    Tuttavia, questi problemi li aveva meno per iscritto - quanto aveva il tempo di ponderare i messaggi, e soprattutto gli piacevano le citazioni. I tormentoni ripetuti sempre uguali, che fanno ridere senza bisogno di doversi fermare a pensare. Li capiva.
    Quindi sorrise al messaggio, sinceramente divertito, e stava pensando di rispondere con un'altra canzone di sanremo ("Ogni volta è così" o "ora e qui"? Forse Stan non avrebbe capito, ma non era importante; fra loro, non lo era mai, and it was beautiful), quando arrivò un altro messaggio: "Lo spero. Ma dicono che abbiamo sette sosia al mondo. Sta alzando la mano?"
    Uh.
    Alzò lo sguardo.
    Sì, stan\sosia aveva alzato la mano.
    Sorrise.
    Forte.
    Incrociò lo sguardo di Stanley, e spense lo schermo del cellulare, attendendo che il ragazzo gli andasse incontro. Non gli interessava l'aspetto o l'età di Stan, e non poteva dire di essere felice o meno di vederlo... così. Era stato parole e basta per (n tempo, non so quantificare), quindi tutto quello che gli interessava era come si sarebbe comportato o avrebbe parlato.
    E poi, aveva solo un borsone: bene. Occupava poco spazio. Questo gli faceva guadagnare punti stima.
    «ehiiiiila» guardò il palmo alzato. Imitò il gesto, per salutarlo, restando con la mano alzata qualche istante e poi riabbassandola, stile capitani di navi spaziali che si salutano. Joey provó un certo orgoglio nell'aver evitato la classica figura di andare per dare il pugno e ricevere un 5 o viceversa.
    «c'era un cane sul treno» Sbattè le palpebre, ascoltando in silenzio. Quando capì che non avrebbe continuato, commentò: «Di che razza?» Gli piacevano i cani. Non riconosceva tutte le razze, ma magari era una che avrebbe riconosciuto, o potevano cercarla insieme online. Sarebbe stato un buon argomento di conversazione-...
    «sei una persona» pausa «giovane. pensavo fossi vecchio»
    Doveva ammetterlo: era lusingato, come sportivo, che Stan lo credesse giovane. Era una cosa positiva, considerando che in realtà non era neanche il più giovane fra i migliori giocatori del torneo nazionale (stupido bodie che gli aveva fatto perdere anni). «Ho vent'anni» l'incipit di una domanda al termine della frase. "Vuoi dirmi la tua età?". Non gli interessava davvero saperla, a essere onesti perché l'età è solo un numero and all that, ma l'avrebbe ascoltato.
    «caffè? per favore»
    Indicò con la testa la strada. «Di qua» Prese di nuovo il cellulare, guardò velocemente lo schermo, lo ripose di nuovo in tasca. Non disse a Stan che non era mai stato in quel bar, che aveva cercato il più vicino alla stazione con Maps, per fargli fare colazione appena arrivato, o che si era studiato il percorso ma aveva paura di portarlo per sbaglio nel posto sbagliato. Aggiunse, piuttosto: «A casa ho la moka» love language «possiamo prenderlo di nuovo»
    Prima di prendere a camminare, allungò la mano. «Ti porto io il borsone, se vuoi» Ma non avrebbe insistito: lui non avrebbe lasciato qualcuno conosciuto online portarlo per lui.
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    Joseph Moonarie non era solo un conoscente, per Stanley Luna. Nella sua, del tutto peculiare, concezione di rapporto umano, erano amici, malgrado non sapesse nulla del ragazzo che era andato a recuperarlo in stazione. Non sapeva quanti anni avesse, cosa facesse per vivere, o se avessi fratelli o sorelle più grandi, ma sapeva quale musica ascoltasse, che gli piacessero i coltelli, che non avesse alcuna conoscenza di cultura popolare, e che avesse un adorabile furetto. Non era una di quelle persone che condividevano dettagli sulla propria vita gratuitamente, ma il serbo l’aveva costruito come un puzzle, prendendo i pezzi lasciati impliciti fra un messaggio e l’altro per creare quello che credeva essere un intero. E se non lo era, non aveva importanza, perché quanto aveva era bastato perché Stan si sentisse abbastanza al sicuro da prendere un borsone, e decidere di trasferirsi in Gran Bretagna.
    Wow. Detto così, non aveva molto senso. Qualcosa pungolò la sua coscienza, una fetta affilata a suggerire che avesse fatto una stronzata, che avrebbe dovuto pensarci meglio, che la sua presenza a Londra non fosse gradita, e non avesse le skills per ricominciare in un paese che non conosceva in una realtà appena conosciuta. Il battito cardiaco recuperò quei pensieri prima che potesse farlo il cervello, acquistando velocità in un impeto che quasi bastò a fargli venire le vertigini. Il sapore dei colori a sciogliersi sulla lingua, iniziava a sapere di bile, e consapevolezza che l’unica soluzione a tutti i suoi problemi fosse lasciarsi morire.
    Quindi sorrise, perché non poteva dire a Joey che stesse valutando il suicidio assistito come tattica di sopravvivenza a se stesso. Non dal vivo, perlomeno – non ancora. «sembrava quello della pubblicità delle scatolette Cesar» rispose, perché no, non conosceva le razze, a meno che non possedessero caratteristiche univoche e molto particolari. Tutti gli altri, erano semplicemente cagnetti.
    «Ho vent'anni» Ricambiò l’occhiata, ma senza vederlo realmente. Nel caotico marasma dei suoi pensieri, Stan pensava ai suoi vent’anni, quand’era ancora ebbro di entusiasmo ed il resto della vita davanti a sé per decidere come spenderla. E a venticinque anni no? Beh, no, e neanche prima che una guerra magica rivoluzionasse il mondo così come lo conosceva: dopo aver trovato lavoro, aveva sacrificato tutte le proprie ambizioni in cambio della comodità di uno stipendio fisso, senza aspettative per il futuro o per migliorare se stesso. Sognava solo la pensione che avrebbe avuto a ottant’anni, se fosse stato fortunato e gli avessero offerto qualche scivolo fiscale. Certo non sarebbe mai stato abbastanza indipendente da vivere da solo, o avere la possibilità di raccattare qualcun altro e trascinarlo sotto il suo stesso tetto.
    Era ammirato. Ed un po’ terrorizzato. Sarebbe stato anche umiliato, se non avesse adorato Joey con ogni misera fibra del suo essere: era felice fosse più funzionale rispetto a lui; qualcuno doveva pur esserlo, e non sarebbe stato Stan Luna. Lo seguì senza fare domande, sguardo basso sui propri piedi in silente contemplazione del piano fisico. «A casa ho la moka» Un guizzo delle labbra verso l’alto, ed un’occhiata rapida verso il ragazzo. «stai cercando di sedurmi?» Vorrei dire che poche cose al mondo arrivassero dirette verso il cuore del Luna, ma non sarebbe stato vero. Poteva però dire, con assoluta certezza, che la promessa del caffè – ed un caffè buono, perché non poteva pensare di essere amico di qualcuno che usava la minaccia all’umanità che rappresentava il caffè solubile – fosse uno dei modi più veloci per conquistare la sua fiducia, e la sua venerazione. Sapeva, con l’assoluta certezza possibile solo ai tossico dipendenti, che il caffè avrebbe risolto tutto. L’impaccio del primo incontro, il disordine dei propri pensieri, la presa friabile che aveva sulla realtà. «prima mi inviti a casa tua, poi mi offri il caffè» elencò, spostando la testa ad ogni numero spuntato dalla lista, come se quello non fosse esattamente e precisamente stato il comportamento che qualunque essere umano avrebbe adottato con un barbone raccattato per strada. «hai una cotta per me o qualcosa» sorrideva leggero, perché quel particolare senso dell’umorismo era uno dei suoi tanti copy mechanism al complicato processo che era vivere, e perché con Joey si sentiva abbastanza a suo agio da poterlo fare. In compenso, non appena qualcuno ci provava davvero, o non se ne rendeva conto, o disingaggiava come un pro - non che fosse mai capitato davvero, ma gli bastava un complimento per decidere che le dita a pistola fossero una risposta adatta.
    «Ti porto io il borsone, se vuoi» Strinse il suddetto borsone protettivo al petto, drizzando la schiena per dimostrare di essere un UOMO INDIPENDENTE, e di non essere affatto provato da quel peso che sembrava attirarlo verso il cuore stesso della Terra. Sarebbe morto prima di lasciare che qualcuno si facesse carico dei propri fardelli, fisici o emotivi che fossero. «nah, grazie, non mi da fastidio» gli dava molto fastidio, invece, ma persistette a sorridere come se ancora avesse una percezione del proprio braccio, e la gravità non lo stesse lentamente uccidendo. Lo seguì con la cieca fiducia di un cane con il proprio padrone, lasciando che facesse strada in un silenzio che, bisognava dirlo, era molto meno imbarazzante di quanto si sarebbe aspettato. Fremeva comunque come uno studente prima dell’interrogazione, Stan, attendendo il social cue adatto per iniziare una conversazione.
    Una qualsiasi.
    «vivi lontano da qui?» domandò, guardando l’orologio. «tra quanto passa il pullman? Possiamo andare subito, se preferisci» Una pausa, sguardo al cielo. Ma passavano i pullman? Non ricordava di aver visto tratte urbane, nel suo pellegrinaggio verso Londra. Dopotutto, i maghi non ne avevano bisogno. «o mi... Boh. Swippi via??» Come funzionava la vita. Corrugò le sopracciglia, fermandosi di fronte al bar scelto dal Moonarie. «tu prendi qualcosa?» Un’altra pausa. Frugò nelle proprie tasche cercando il portafoglio, che tenne fra le mani soppesandolo.
    «ma che. Soldi vogliono» non aveva pensato di cambiarli. «dici che accettano i dinari» ma che valuta avevano in Serbia quel posto. Strinse le labbra fra loro, infilando nuovamente il portafoglio in tasca. «in effetti. Possiamo prima andare a casa» poteva rimandare il caffè se significava non farsi troppe domande sulle cose badger da fare.
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    Spuntò un sorriso sottile di ricambio, all'immagine del cane bianco e pelosetto. Ovviamente, neanche (arianna) Joey avrebbe saputo dire che razza fosse, e se Stan l'avesse semplicemente detta sarebbe stato inutile, ma ricordava le scatolette di cibo citate dall'altro; non per le pubblicità (non aveva un televisore, mica aveva trent'anni; le cose le guardava in streaming come dio comanda), ma per le confezioni ricche viste ai supermercati. Non ne aveva mai comprate direttamente (le famiglie in cui era stato che avevano animali, di certo non compravano quelle) ma da bambino, quando andava a fare la spesa con o per i suoi tutori, si fermava sempre a osservare le confezioni più belle; baby Joey era convinto che il sovrapprezzo di certe marche di cibi per animali fosse giustificato dal fatto che quei cani e quei gatti sulle confezioni fossero modelli o attori pagati. Lo pensava ancora.
    Si incamminò, sguardo a vagare in giro per la strada con l'intenzione di non farsi investire.
    «stai cercando di sedurmi?»
    «No.» non scioccato, non secco. Una osservazione.
    «prima mi inviti a casa tua, poi mi offri il caffè. hai una cotta per me o qualcosa?» si voltò per chiedergli cosa stesse farneticando, e notò il sorriso di Stan. Cercò di immaginarsi le parole dell'altro come messaggi, la sua espressione uno sticker stupido ed esagerato. Ho già detto che per messaggio comunicare era più facile? I meme usati come reaction erano così esagerati da essere difficilmente fraintendibili, e Joey poteva prendersi il tempo necessario per rispondere senza creare silenzi per, alcuni, imbarazzanti.
    Decretò dovesse essere una battuta. Provò a rispondere a tono.
    «Sono sempre così affascinante» e aggiunse un occhiolino... Solo che non sapeva farlo, non era mica Lele sexy icon che ci fa i video mostrando quanto è smooth, quindi il risultato fu solo un po' comico, tanto più che il sorriso era sparito, sottolineando l'ironia della sua risposta. Non che ci fosse bisogno di spiegare a Stan che Joey fosse un... personaggio. Forse non sapevano molto l'uno dell'altro, ma sapevano l'essenziale (che riconoscevano di non essere particolarmente normali, o che avessero bisogno di una guida online per fare le cose più basic).
    Lo guardò stringersi al borsone come un bambino con un peluches, e continuò a camminare senza insistere.
    «Dimmi se cambi idea... Mi piace fare esercizio» si impegnò ad aggiungere la seconda informazione, perchè sapeva che Stan aveva bisogno di rassicurazioni per accettare la gente gli facesse favori. Un mood, onestamente, ma we dont have time to unpack all of that.
    «vivi lontano da qui? tra quanto passa il pullman? Possiamo andare subito, se preferisci. o mi... Boh. Swippi via??»
    «che cazzo vuol dire swappi» Aggrottò le sopracciglia fermandosi sul marciapiede, guardandolo confuso. «Non vivo in centro. I bus ci sono abbastanza spesso, ma ci vuole una vita ad arrivare a casa. Prendiamo un caffè qua» guardò l'insegna, fece per entrare- si fermò. Guardò di nuovo Stan. «Non lo vuoi?» una sorpresa, decisamente. Credeva fosse un'altra cosa che avevano in comune, avere più caffè nelle vene che sangue.
    «tu prendi qualcosa?»
    «sì» E aprì la porta, per far capire che comunque lui qualcosa lo voleva, anche solo al banco.
    La verità era che Joey avrebbe potuto farne a meno, ma di nuovo non voleva che Stan credesse che fosse un peso per Joey fare quella tappa per lui. Non lo era, ovviamente, o non l'avrebbe neanche proposto.
    «ma che. Soldi vogliono. dici che accettano i dinari. in effetti. Possiamo prima andare a casa»
    Richiuse la porta. Osservò Stan, cercando di capire cosa passasse nella sua testolina bionda.
    Kinda citando i pensieri dell'altro: Joey non sapeva se avesse fratelli, che lavoro volesse fare nella vita, o che scuola avesse frequentato, ma sapeva che si stava facendo troppe pippe mentali non necessarie, e che voleva quel caffè.
    «No. Lo prendiamo qua.» Decise per entrambi. Tornò a guardare la porta, e gliela aprì per farlo passare-... considerando poi di entrare per primo e dirigersi verso un tavolino così che l'altro non avesse un attacco di panico, ignorando lo sguardo confuso del cameriere perchè avevano aperto e richiuso la porta due volte. Aveva lavorato come commesso e cameriere per parecchio tempo, a Londra e nel 1919: sapeva che aveva visto di peggio, e che non gliene strafotteva una minchia di quello che facevano Stan e Joey, finchè non arrecavano disturbo al resto dei clienti.
    «Pago io. Quando cambierai i soldi, me li ridarai» Iniziò a togliersi lo zaino per cercare il portafoglio prendendo posto-... e poi si voltò deadpan verso di Stan.
    «O mi ripagherai in altri modi. Gnam gnam» una battuta, che però poteva suonare anche come una minaccia. Aggiunse un occhiolino anche sta volta.
    «Vuoi qualcosa da mangiare? Ho letto online che hanno cose-» cos'è che diceva sempre lui? «con una bella faccia» arricciò il naso. «L'ho usato nel modo giusto? Mi sento sporco. Ora penso al cibo con una faccia. Che cosa strana da dire, che problemi avete a Novi Sad?»
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