cintura nera de come se schiva la vita.

ft. daveth

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.     +4    
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Death Eater
    Posts
    191
    Spolliciometro
    +371

    Status
    Offline
    romolo linguini
    come sempre mando tutto a monte,
    c'è una piazza di spaccio sul ponte,
    le bugie c'hanno le gambe corte,
    e noi siamo arrivati alle cosce


    1999 ✧ gryffindor ✧ romano e romanista
    so già come è che andrà a finire,
    me l'ha detto quel chiaroveggente
    (ivan la scimmia)
    Se fai finta di niente,
    faccio finta di niente,
    sto pensando a una scusa attinente
    che possa calmare la gente,
    calmare un agente mercenario
    Romolo Antonio Linguini aveva vissuto giorni migliori.
    Aveva vissuto anche giorni peggiori, ma nessuno voleva mai pensare ai giorni peggiori – di certo non lui, e poco ma sicuro non voleva ripensare agli ultimi mesi (non) vissuti, rintanato a Canosa insieme a tutti i cugini, il più lontano possibile dagli scontri e dal fronte.
    Oh, perlomeno quell’au distopico in cui per tutto maggio si era combattuta una guerra tra maghi, special e babbani, aveva avuto il suo risvolto positivo: Romolo Linguini non aveva mai vissuto la finale di Budapest, nessun cuore spezzato dopo 150 minuti di partita con l’arbitraggio più scandaloso dai tempi di Byron Moreno, niente lacrime e niente minacce di morte da parte del romanista ai danni di un inglese pezzente che meritava solo di essere radiato (e non promosso, capito federazione infame? mortacci vostri). Siviglia-Roma, nel mondo oblivion, non era mai successa: tutti i campionati erano stati sospesi nel momento stesso in cui un folle megalomane aveva dichiarato guerra al mondo babbano e aveva abolito per sempre lo statuto di segretezza, e persino Lollo Linguini, cieco ad un’unica fede, non aveva osato proferire parola in luce di quanto successo.
    Addirittura, aveva voluto partecipare agli scontri; fare qualcosa (perché di stare in disparte con le mani in mano non ne voleva sapere) e l’aveva visto negli occhi di Ginevra che la cugina aveva pensato la stessa identica cosa.
    E invece no.
    Nonno Lino aveva richiamato tutti a Canosa; e quando dico tutti, intendo tutti – genitori compresi, figliastri, cugini, animali domestici (infatti Romolo si era portato dietro anche Remo, per causa di forze maggiori): chiunque rientrasse nel grande clan Linguini era stato richiamato in patria.
    Era stata la Quaresima più lunga e sofferente della sua vita, rinchiuso nella villa del nonno insieme a fin troppa gente, a sentire la radio o a guardare telegiornali che trasmettevano sempre le stesse, terribili, notizie; aveva letto degli scontri dentro al Colosseo e un po’ aveva sorriso alla poeticità della cosa – e poi aveva sofferto, quando aveva visto in che condizioni avevano ridotto le città. La sua città. Non si era salvato nulla, nemmeno uno spicchio di mondo dimenticato da Dio Ago Di Barto, in quel cazzo di conflitto. Nulla.
    Raccogliere pomodori era diventato impensabile, e svaccare a bordo piscina o sulle spiagge di Margherita non era così allettante quando, dall’altra parte del mondo, amici e conoscenti si facevano la guerra a vicenda – e loro erano confinati in Puglia. Maledizione. Non aveva la certezza che partecipando avrebbe risolto le cose, figuriamoci, ma non aveva nemmeno quella che non facendolo avrebbe risolto qualcosa. Quei quaranta giorni (di DAD, tra l’altro, ma mannaggia Formello e tutti gli sbiaditi) erano stati tremendi, invivibili, peggio di Roma a luglio con 42.6° e un’umidità del 56%. O peggio di perdere la Coppa Italia contro suddetti sbiaditi.
    (No, okay, c’erano poche cose peggiori di quel nefasto 26 maggio di dieci anni prima, ma insomma – forse la giornata che stava vivendo Lollo ci andava molto vicino.)
    Perché alla fine, dopo un esito che - lo sentiva - avrebbe portato solo altri casini, la guerra era finita. Male, ma era finita.
    E la vita di sempre aveva ricominciato a scorrere.
    A Romolo Linguini non poteva fregare una mezza sega di come erano shiftati i tasselli che andavano a comporre la politica mondiale (era sempre stato un po’ distaccato dalla questione, troppo impegnativo stare dietro alla politica) ma si rendeva conto che qualcosa di enorme era successo, e nessuno avrebbe potuto riavvolgere il nastro e riportare le cose a com’erano state.
    Volevano farlo? Ne valeva la pena? Ma chi se ne frega, siamo onesti: di certo non Lollo. Aveva un sacco di problemi più grandi, tipo: «non hanno mica voluto toglie’ ‘sti cazzo d’esami, Lucré, ma ce pensi. ‘st’infami» un commento de’ core, affidato ad una nota audio mandata alla cugina desaparecida (che in realtà stava al Pepito e alle Hawaii tutte le domeniche, come confermavano le storie su Instagram – gli stabilimenti del lungomare nord di Pescara erano ripartiti a bomba, dopo la guerra, perché nessuno ferma gli abruzzesi) «e quindi me tocca famme promove» o almeno provarci, perché nessuna di quelle merde dei cugini ne voleva sapere di farsi bocciare (di nuovo): “se Giacomino si diploma, ci diplomiamo tutti”. E quindi se Giacomino si buttava a bomba dentro al Tevere, andavano tutti a buttarsi nel Tevere con lui? (Sì.) «e quindi niente, tocca pure a te, bionna.» affectionate, un po’ gli mancava quella stronza ludopatica di Lucrezia, «torna, nun te poi fa boccià proprio tu, sennò poi me ‘ncazz-»
    Non aveva fatto finire la frase, perché qualcosa lo aveva colpito alle spalle e l’aveva spedito dritto a terra: con le mani impegnate a tenere il cellulare, in una, e una busta di rifornimenti per Gin, l’altra, Lollo cadde di faccia, privo di sensi.


    Quando Romolo riaprì gli occhi, ci mise un po’ a mettere a fuoco i dintorni o a capire cosa fosse successo.
    O dove si trovasse.
    Ricordava di aver lasciato Hogwarts dirigendosi verso il Bar dello Sport per il turno di lavoro, e… di aver scritto a Crez? Era quasi certo di sì. Istintivamente, allungò una mano verso i pantaloni per recuperare il telefono e controllare se avesse davvero scritto alla piccola delfina mangia-rustelle, e trovò le braccia bloccate.
    Dietro la schiena.
    Polsi legati.
    «ma che cazzo»
    Aveva fatto la fine di Ginevra e Giacomino? San Crispino, sperava di no; mica se lo meritava, lui.
    Batté un paio di volte le palpebre, posando lo sguardo su quanti più dettagli possibili nel minor tempo, ma la stanza era troppo buia per vedere qualcosa, o per provare a capire dove fosse. «apprezzo lo sforzo, nemmeno a me andava di dare gli esami,» iniziò, occhi scuri a saettare da una parte all’altra per cercare qualcuno, chiunque, «ma così me pare ‘n’attimino esagerato» ma poi: chi è che aveva motivo per rapirlo? (Un sacco di gente, ma shh) Che male aveva fatto, nella vita sua? Aveva gonfiato de’ botte qualche laziale fascista, ogni tanto, e aveva creato “disordini” e minacciato la quiete pubblica e vandalizzato qualche autobus dell’ATAC già ridotto in pessime condizioni, ma non erano motivazioni sufficienti a tramortirlo e prelevarlo mentre si dirigeva a lavo– oh no. Oh no. «oddio, famo ‘n patto? qualsiasi sia il motivo pe' cui me trovo qua, nun me lascià annà, te prego» perché il pensiero di dover affrontare Ginevra Linguini dopo aver dato buca ad un turno di lavoro lo terrorizzava più di qualsiasi altra cosa. «se me mette le mani addosso, me rimescola pure il DNA» il lei, as in Ginevra Linguini, era implicito, e se il suo assalitore non sapeva di chi stesse parlando, peggio per lui: l’avrebbe scoperto presto.
    Come già detto: Lollo aveva vissuto giornate migliori.
    I give it all my oxygen,
    so let the flames begin ©
     
    .
  2.     +1    
     
    .
    Avatar

    Junior Member

    Group
    Special Born
    Posts
    57
    Spolliciometro
    +78

    Status
    Offline
    daveth gallagher
    I'm fairly local, I've been around
    I've seen the streets you're walking down


    28 ✧ shadowkinetic ✧ hitman
    I'm evil to the core
    What I shouldn't do I will
    They say I'm emotional
    What I want to save I'll kill
    Is that who I truly am?
    I truly don't have a chance
    Daveth Gallagher non era il tipo di persona incline a pentirsi delle proprie azioni. Lo riteneva un dispendio di energie completamente inutile, nonché uno stupido spreco del suo prezioso tempo – in quello che avrebbe potuto passare a rimuginare su ciò che aveva fatto, si impegnava a portare a termine un altro obiettivo senza guardarsi indietro nemmeno per un secondo.
    Il fatto che anche gli errori fossero millesimati, ed il più delle volte calcolati e presi in considerazione ben prima di pensare di agire, aiutava molto. Non era un incosciente, né tantomeno uno sprovveduto: sapeva di poter sbagliare, di averlo fatto fin troppe volte in tutta la sua vita – perché, purtroppo, altro non era che un banale essere umano che aveva dovuto ricucire tagli fin troppi profondi nella carne, e leccarsi da solo tutte le ferite, imparando da esse giorno dopo giorno dopo giorno –; al contempo, aveva capito come contenere i danni, come prevederli, si era ingegnato per studiare strategie che potessero ridurre al minimo i ripensamenti e a zero le lacrime sul latte versato. I passi falsi potevano essere all’ordine del giorno, complice un fato che sempre l’aveva preso per il culo senza farsi troppi problemi, ma avere bene in mente come rialzarsi in fretta o dove appoggiarsi per non cadere affatto faceva sì che, a fine giornata, tutto quello da fare fosse riflettere soltanto sulle minuzie.
    Senza contare che il sicario avesse una morale discutibile, e che raramente gliene fregasse un cazzo delle conseguenze che un sorriso tagliente o una pallottola nel cranio potessero avere, tanto nella propria vita quanto in quella del prossimo. Succedeva sempre qualcosa di spiacevole da qualche parte del globo, eppure questo continuava a girare: che menefreghista infame di un pianeta, uh? Non gli serviva a nulla il groppo alla gola o il dolore allo stomaco che una scelta potenzialmente sbagliata portava a chi, stupidamente, sosteneva di condurre un’esistenza votata alla rettitudine; d’altronde, la consapevolezza che le sue azioni potessero essere giuste e corrette unicamente dal proprio punto di vista non l’aveva mai scalfito. Ad ogni azione corrispondeva una reazione, e al contempo l’indolenza ripagava con una cascata di rimpianti e maledizioni che il pigro poteva rivolgere solo e soltanto a sé stesso.
    I rammarichi più grandi che avesse, riguardavano tutte le volte che non aveva potuto fare niente.
    Non si pentiva di ogni vita che prendeva sotto lauto pagamento, di tutto il sangue che versava per motivi che non gli interessavano minimamente; non si pentiva del male o della delusione che poteva causare, del fatto di essere una persona riprovevole agli occhi dei più né dell’immagine che dava di sé. Qualcuno avrebbe comunque fatto il lavoro al posto suo, ed avrebbe ferito il prossimo con parole e azioni che sarebbero risultate scomode e dolorose – e lui, l’anima dannata ce l’aveva dal momento in cui aveva messo piede su quella terra ventotto anni addietro: tanto valeva approfittarne, e trarne il meglio possibile dormendo comunque sonni tranquilli e spensierati.
    Non si pentiva di non aver partecipato alla guerra, di essere rimasto in disparte a guardare mentre tutto il loro universo si annullava e ricostruiva in un loop apparentemente infinito: ne era estremamente felice. Lo riguardava, lo interessava, perché inevitabilmente faceva cadere pesi diversi sui piatti della bilancia sulla quale Thane basava la propria lealtà – oltre al fatto che fosse un soldato, e per quanto ci provasse la guerra avrebbe sempre abitato nel suo corpo e nella sua mente, dilaniandoli senza alcun riserbo –, ma qualsiasi fosse stato il risultato del conflitto avrebbe trovato il modo di ricavarne un profitto personale. Aveva aspettato, come il proverbiale cinese sulla riva del fiume che attendeva di veder passare il cadavere del proprio nemico, e ne aveva tratto conclusioni e considerazioni. Spunti. Di certo in quel nuovo mondo ci avrebbe sguazzato, lui che con la magia di un tiranno onnipotente ci era addirittura nato: aveva vinto senza nemmeno scomodarsi, e a quel punto aveva solo da che decidere cosa fare con il montepremi accaparrato.
    Se darlo in beneficenza, o costruirci un impero.
    Considerazioni che aveva messo in un cassetto e chiuso a chiave, e che in quel momento dello spazio-tempo erano lungi dal passargli per il cervello.
    Perché, quel momento, era una di quelle rare volte in cui Daveth Thanatos Gallagher si pentiva delle proprie azioni.
    Invero, si pentiva proprio di tutto – abbastanza da compensare le brutalità di cui non gli interessava assolutamente nulla.
    Si pentiva di aver un debito con uno stupido francese di merda.
    Si pentiva di aver pensato fosse una bella idea accogliere una fuggiasca accusata di omicidio, perlopiù affetta dalla licantropia (perché non aveva abbastanza lupi nella propria vita, doveva fare la collezione), e farla passare per propria sorella agli occhi del mondo.
    Si pentiva di non averla abbandonata da qualche parte, lontano dagli occhi e lontano dal cuore, e di averci passato fin troppo tempo assieme da – ugh, affezionarsi.
    Si pentiva di averle detto che si sarebbe occupato lui di quel deficiente italiano che aveva scoperto chi fosse Pervence, cosa fosse, e andava in giro a minacciarla di spifferare un segreto che lei già faticava a tenere di suo, e che il biondo doveva salvaguardare per amor proprio.
    Si pentiva di averlo pedinato e studiato con la dovuta attenzione che un’operazione del genere richiedeva – perché nessuno al mondo, nessuno, avrebbe mai dovuto seguire un simile idiota: ne era quasi andato della sua sanità mentale.
    E si pentiva, Dio se si pentiva, di averlo infine rapito; avrebbe potuto direttamente ucciderlo, e di sicuro il mondo intero gliene sarebbe stato infinitamente grato. Altro che Abbadon, avrebbero innalzato lui a nuova divinità universale – certamente, se lo meritava.
    Senza pensarci troppo, sollevò la pistola e sparò un proiettile alla gamba del Grifondoro, attento a non colpire alcun punto che potesse risultare di vitale importanza ma che si limitasse a fargli abbastanza male. Parlava un po’ troppo per uno che aveva appena ripreso i sensi dopo una botta in testa, e di suo il Gallagher tollerava ben poco quando gli esseri umani davano fiato ai propri stupidi pensieri. Si sentiva già infinitamente meglio, doveva ammetterlo, e lo dimostrò sorridendogli melenso con la canna della pistola ancora puntata verso il suo corpo inerme.
    «hai la lingua decisamente troppo lunga, per i miei gusti.» un dato di fatto che lasciò scivolare piatto dalle labbra. «e non credo tu sia nella posizione di chiedere favori.» per quanto assurdi questi potevano essere, ma aveva deciso di non farsi domande.
    «volevo soltanto fare una chiacchierata, in privato.» era vero: le sue intenzioni erano le più pure. I metodi un po’ meno, ma faceva parte del fascino dell’ombrocineta. «su qualcosa che potresti aver visto lo scorso autunno. che ne pensi? poi potrai tranquillamente tornare da tua cugina, non preoccuparti.» magari in un sacco della spazzatura, o magari avrebbe dato a Ginevra Linguini – donna che Dave stimava – il materiale per sbarazzarsi del corpo di Romolo.
    I give it all my oxygen,
    so let the flames begin ©
     
    .
  3.     +1    
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Death Eater
    Posts
    191
    Spolliciometro
    +371

    Status
    Offline
    romolo linguini
    come sempre mando tutto a monte,
    c'è una piazza di spaccio sul ponte,
    le bugie c'hanno le gambe corte,
    e noi siamo arrivati alle cosce


    1999 ✧ gryffindor ✧ romano e romanista
    so già come è che andrà a finire,
    me l'ha detto quel chiaroveggente
    (ivan la scimmia)
    Se fai finta di niente,
    faccio finta di niente,
    sto pensando a una scusa attinente
    che possa calmare la gente,
    calmare un agente mercenario
    Come già detto: Romolo Linguini aveva vissuto giornate migliori.
    Mannaggia a—
    «zio,» quasi. Soffiato tra i denti, un riflesso incondizionato, la reazione involontaria e necessaria quando vieni fottutamente colpito con un proiettile alla gamba. Per citare anche un grande filosofo moderno: «mortacci tua e de tu madre quella pelata bastarda infame figlio della merda laziale schifoso» senza riprendere fiato, tutto in una botta, in italiano. Versi incoerenti, probabilmente, ma già rovesciarli contro il suo assalitore lo faceva stare meglio — per quanto “meglio” potesse stare, con i jeans ad inzupparsi del sangue che fuoriusciva dalla ferita, e il dolore del colpo a mescolarsi a quello subito, chissà quanto tempo prima, alla testa.
    Davvero, Lollo era stato in condizioni migliori di quella.
    Ma anche in condizioni peggiori, ricordò a se stesso, scuotendo la testa e scacciando la nebbia densa che ne aveva occupato gran parte dello spazio, impedendogli di vedere con chiarezza chi avesse di fronte.
    Quando alzò lo sguardo, quando riuscì a mettere a fuoco l’altro uomo, Lollo digrignò i denti e un verso rauco riverberò in gola, un suono che non aveva nulla a che fare con i versi animali a cui era costretto a concedere terreno e spazio una volta al mese; c’era qualcosa di animalesco, nel verso che offrì all’altro, più pericoloso nella sua umanità. Ad essere incazzato era Romolo, non il lupo.
    «e non credo tu sia nella posizione di chiedere favori.»
    «È facile parlare quando il nemico è legato e disarmato, eh» ma che razza di stronzo, ma chi era? Cosa voleva da lui? «Liberami, e risolviamo la cosa da uomini. O forse non pensi di esserne in grado, altrimenti non mi avresti colpito alle spalle, messo al tappeto, legato e sparato. Hai paura, eh?» aveva quasi ventiquattro anni, il romano e romanista, ma non aveva ancora imparato quando bisognava tenere la bocca chiusa; dubitava l'avrebbe mai fatto. Fomentare un pazzo con una pistola (carica!) in mano, quando era chiaramente lui nella posizione svantaggiata, non era la più furba delle idee; ma, d’altra parte, Romolo Linguini non era il più furbo degli esseri umani. «Dai, viecce, che cazzo vuoi eh? EH?»
    «volevo soltanto fare una chiacchierata, in privato.»
    «Ah, ‘na chiacchierata eh, TE PARE ‘NA CAZZO DE CHIACCHIERATA QUESTA» Il concetto di ostaggio e sequestratore non era proprio chiarissimo per lui; o, se lo era, fingeva di ignorarlo perché doveva ancora nascere la persona che intimidiva Romolo Antonio Linguini: aveva sfidato D.A.SPO e diffide in tutta Europa, aveva pernottato nelle stazioni di fermo di mezzo continente, era stato torturato così tante volte da aver sviluppato una sorta di morboso attaccamento alla sala torture di Hogwarts da sentirne quasi la mancanza se non ci finiva almeno una volta alla settimana, aveva frequentato le peggiori personalità di TBM già a otto anni; figuriamoci se gli faceva paura un tizio con una pistola (sempre carica, ricordiamolo).
    Lo guardò malissimo, desiderato ardentemente di poterlo prendere a calci fino a farlo rimpiangere di essere nato. «cosa dovrei aver visto lo scorso autunno, dimme ‘n po’?» L’inglese imperfetto di Lollo sporcava ogni parola, ogni accusata sputata contro il suo aguzzino, senza la minima intenzione di controllare i toni o frenarsi dal comportarsi come un coglione. «devi essere un po' più preciso, ho visto un sacco di cose, pure quanto è puttana tua madre.» non Rea, non mi permetterei mai, giuro.
    Se fosse stato un po' più sveglio, un po’ meno Lollo, avrebbe forse notato quel “tua cugina” lasciato cadere distrattamente nella conversazione, come a voler sottolineare che l'altro sapesse ben più di quanto fosse lecito, perché Lollo non aveva mai fatto il nome di Ginevra, né detto chi o cosa fosse per lui, quale genere di parentela li accomunasse; l’idea che il biondo potesse averlo seguito, non lo sfiorò nemmeno.
    Non per il momento, almeno.
    Ma era Lollo, e non era sveglio, e per di più la testa gli rimbombava come un fottuto tamburo (sulle note di ‘Ancora e ancora’ di Bruco, strano forte ma non così tanto in effetti) e ora il dolore alla gamba era tutto ciò au cui riuscisse a concentrarsi, denti stretti e sguardo che prometteva così tante di quelle botte per il tipo che, se fosse riuscito a mettergli le mani addosso, Romolo l'avrebbe conciato così male che nemmeno la sopracitata mamma, di rispettabilissima professione, l'avrebbe riconosciuto.
    «Davvero, ma de che cazzo stai a parla, ma chi sei, stamattina te sei svejato un po' troppo Romanzo Criminale?» Non ci stava più capendo nulla, ed era onestamente molto stufo di quella situazione. «Nun me fa venì la, dai, che se te pijo te faccio la plastica facciale, ‘a stronzo.»
    Cristo se odiava gli inglesi.
    Tanto quanto i francesi, quasi.
    I give it all my oxygen,
    so let the flames begin ©
     
    .
2 replies since 16/7/2023, 20:14   140 views
  Share  
.
Top