claw my way out through these walls

[ ty ft. bertie ]

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  1. sehnsüchtig.
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    Adalbert? Behemoth
    I just got lost.
    Every river that I tried to cross,
    every door I ever tried was locked…
    Oh, and I’m just waiting ‘til the shine wears off.

    Perché, tra tutti, Bertie avesse scelto di chiedere aiuto proprio a Taichi, rimaneva un mistero. Per Bertie, per Taichi e per tutto il resto del mondo.
    Prima di tutto, era Taichi Limore. Non era emo nel senso stretto del termine, ma tra simili, in un qualche modo, ci si riconosce. Questo, quindi, Bertie lo sapeva ormai da anni.
    Allo stesso modo, era consapevole del loro non essere propriamente amici. Non lo erano stati al castello e non lo erano ora, entrambi fuori da quelle quattro mura e teoricamente pronti a vivere da persone adulte (ah!). Non che avesse qualcosa contro il Limore, anzi, era una delle poche persone gli le andavano a genio, chissà poi come mai. Forse quell’esperienza di morte, in tutti i sensi, specie in quello letterale, che era stata Tottington aveva fatto la magia (in effetti, alle volte, chiudendo gli occhi, Bertie vedeva ancora il ragazzino allampanato trasformarsi ogni secondo di più in un fungo assassino). O forse quel limone (a cazzo duro? Chiederlo alla palla) a una delle randomissime feste di capodanno oblivion.
    E di certo non era l’unico special che conosceva. Anche se, da questo punto di vista, Bertie si sentiva un po’ come gli omofobi che dicono di avere tanti amici gay (e il tutto perché in fondo sono gay anche loro – la storia della sua vita, insomma): ne conosceva, sì, ma chi poteva davvero definire suo amico? Certo, c’era Jekyll, tanto per citarne uno, visto che viveva più o meno legalmente in casa sua da anni e, be’, lo conosceva da una vita, ma… Ma.
    Sarebbe stato troppo semplice. Troppo scontato. Troppo intelligente, soprattutto.
    Eh, no pain, no gain.
    Cosa c’entrava? Niente, ma quella parola, dolore, continuava a risuonargli nella testa, mentre si trascinava per la prima volta fuori dal letto, sotto la doccia e infine in strada dopo un numero di giorni che non voleva, e non sapeva, contare. Adesso nessuno avrebbe più potuto romperle il cazzo: si era alzata ed era uscita. L’aveva fatto.
    Magari, con un po’ di fortuna, un’auto l’avrebbe pure investita.
    Almeno il dolore sarebbe cessato, dopo essere schizzato alle stelle per qualche istante.
    Invece, a Londra, dovevano essere rimasti giusto gli stronzi come lei, a giudicare dalle strade deserte. Persino la metro lo era. Ma non era tutti poveri? Non c’era appena stata una guerra?
    Ecco, la guerra.
    Scrivere, tra tutti, proprio a Taichi, in quel modo stringato e senza nemmeno un’emoji (ma dopotutto lui non era un millennial, quindi le emoji erano totalmente bandite dal suo vocabolario), era stato voluto. Perché lui, in un qualche modo, con quella guerra non c’entrava niente. O forse c’entrava tutto, essendo ora parte della ristretta fetta di privilegiati della società. Ma nella mente di Bertie, il Limore era ancora il ragazzino innocente di qualche anno prima; era puro. Così, egoisticamente, aveva pensato che con lui sarebbe riuscito a dimenticarsi di tutto quello che era successo.
    Almeno un po’.
    «euu, c'hai una faccia»
    O forse no.
    «Come hai fatto a notarlo?», borbottò sarcastica e, con un sospiro, si lasciò cadere accanto a lui sulla panchina. Non esattamente la reazione che sperava – totale apatia –, ma in fondo neanche troppo male. Lo osservò con la coda dell’occhio, vedendolo sventolarsi con il giornale e stendere le lunghe gambe magre. «allora?» «Allora.»
    Un po’ come Sara a Pescara, dopo quello che sembrava essere, che doveva essere l’incipit di qualcosa, Bertie si zittì per parecchi secondi. Troppi, probabilmente, soprattutto nel suo caso, incapace com’era di tenere la bocca chiusa per più di qualche istante. Ma da quando era tutto finito, a partire dal mondo, non aveva più la voglia, e ancora di più la forza, di parlare.
    «Non mi alzavo dal letto da settimane. Semplicemente… non ci riuscivo.» Lo ammise così, dopo quel lungo silenzio, buttandolo lì come se fosse una cosa da niente, lo sguardo perso sull’erba bruciata dal sole a pochi passi da loro. «Dovevo parlarne con qualcuno. Qualcuno che non c’entrasse nulla con tutto questo… schifo.» Si piegò in avanti e puntellò i gomiti sulle ginocchia, sentendo i capelli oscurarle buona parte della visuale, ai lati del viso. «Mi pento di tutto, ovviamente. Fa un cazzo di caldo assurdo, voglio morire.»
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    … special
    depressed
     
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