the way you move has got me stuck

@ lilum | ft. cassie

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  1. [the blonde salad]
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    cassandra turner
    Under a spell you're hypnotized
    Darlin', how could you be so blind?
    Cassandra avrebbe trovato piacevole sedurre e provocare chiunque. Errata corrige, lei trovava effettivamente piacevole sedurre e provocare chiunque. Deformazione professionale, le piaceva dire, e forse un po’ era vero, ma la realtà era che alla Turner quel gioco piaceva a prescindere dal suo lavoro; le era sempre piaciuto, e oramai era diventato quasi un vizio. Attirare gli occhi della vittima su di sé, guidarne il loro percorso con i suoi movimenti, stordirla fino all’intontimento, e poi attaccare, e sentire i muscoli irrigidirsi sotto le sue dita mentre il proprio petto si gonfia di potere – quella era la sua cosa preferita.
    Il palco del Lilum le permetteva di provare quella sensazione ogni sera – ma solo a metà.
    Gli spettacoli erano come il canto delle sirene, e quando la musica finiva la sensazione di potere svaniva quasi subito, l’intontimento degli uomini diventava rozza e violenta lucidità, i loro occhi si accendevano di fame, e lei diventava improvvisamente un pezzo di carne pregiata – non più predatore ma preda indifesa. In quei momenti sentiva solo la necessità di doversi nascondere, e la paura che, se si fosse avvicinata un po’ troppo alla schiera di fameliche bocche agognanti davanti al palco, se solo li avesse sfiorati o guardati un istante di troppo, si sarebbe ritrovata le loro mani ovunque. Il Lilum era un locale sofisticato, ma gli uomini erano tutti uguali, e quando si scendeva del palco e ci si addentrava tra la folla, che si trattasse del locale della Piper o di uno dei peggiori bar di Caracas poco contava. Le dita viscide e grasse di uno sconosciuto a stringerle la natica tra i fischi di approvazione dei vicini di tavolo, l’uomo grosso e adulto che aveva tentato di afferrarle il collo e avvicinarla al suo viso, il giovane ubriaco che si era infilato la mano nei pantaloni al suo passaggio – erano stati tutti prontamente cacciati a calci in culo dal locale – più che trionfanti agli occhi dei compagni di bevute – ma purtroppo non si poteva fare lo stesso con i ricordi che avevano lasciato nella mente dell’ex corvonero.
    Ma la Turner era, tra le altre cose, testarda e ostinata, e non poteva accettare che dei deficienti che non avevano mai imparato come essere uomini veri credessero di essere proprietari del suo corpo, e allora dopo ogni spettacolo faceva ancora la passerella tra la folla, mostrando sempre più centimetri di carne, indossando tacchi sempre più alti, e sfoggiando un sorriso sempre più ammiccante, ma senza mai provocare o sedurre nessuno perché quella era una scelta che lei e solo lei poteva fare.
    Tra quelli c’era chi le lasciava laute mance e chi le dedicava calorosi complimenti, e scommetteva che molti di loro avrebbero venduto anche la moglie (la prima o la seconda, poco importava) per farsi lasciare una sola carezza sulla guancia, eppure quell’indice stava percorrendo i lineamenti del viso del Withpotatoes, che non lasciava mance e di certo non faceva complimenti.
    «hanno chiaramente altre priorità»
    Ecco l’unica cosa che poteva offrirle lo stratega. Ma quella risposta non l’aveva stupita, e non l’aveva neppure delusa; era esattamente quello che si aspettava dal biondo, per questo non si mosse, le labbra non si piegarono in un sorriso più provocatorio né in uno più morbido, ma strinse leggermente gli occhi per studiarlo con fare vagamente più divertito «le tue priorità invece…» fece schioccare tra loro le labbra rosate e poi soffocò una risatina quasi derisoria «puro interesse tecnico e scientifico, immagino» suonò caustica, inarcando appena un sopracciglio, mentre con la mano percorreva il profilo del suo viso e scendeva lentamente sul collo e poi sulla schiena.
    Quella era la sua scelta – provocare e sedurre Reese Withpotatoes era la scelta sbagliata che prendeva ogni sera, la sigaretta che si fuma pur dopo averne saggiata una particolarmente amarognola, il vero vizio di cui purtroppo non voleva privarsi. Perché per quanto continuasse a ripetersi che fosse solo un modo per riempire il tempo tra uno spettacolo e l’altro, un passatempo bello e buono, sapeva che la realtà fosse ben diversa: lei ricercava quei momenti, li alimentava, voleva giocare a quel gioco e voleva trionfare, e allo stesso tempo voleva perdere per riprovarci ancora e ancora.
    Provava sentimenti contrastanti: sapeva che se avesse voluto avrebbe potuto vincere senza muovere nemmeno un dito, si rendeva conto del potere che esercitava sull’ex corvonero, e lo riscopriva ogni volta che saliva sul palco e sentiva i suoi occhi sulla sua figura, ma allo stesso tempo le sembrava impossibile portare a casa quella vittoria – e forse preferiva così.
    Era quella stoicità, quella impassibilità, e quella quasi indifferenza che il biondo dimostrava di fronte a lei, quei commenti provocatori che però non sorpassavano mai la linea del buon senso, ed era il suo sguardo che guardava interessato il suo corpo, ma mai vorace o volgare; ogni volta che si incontravano era una sfida, e ogni volta che le sembrava aver sferrato il colpo deciso lui si rialzava con la stessa espressione di sfida, e non soccombeva mai.
    Certe volte avrebbe davvero voluto che lui cedesse, che la guardasse con la bava alla bocca e che le dicesse qualcosa di grottesco, che allungasse le mani verso il suo corpo e la toccasse come se non fosse nient’altro che uno straccio da usare e da buttare, così da potergli sorridere disgustata e rinfacciargli che poteva smettere di fingere di essere tanto diverso perché era esattamente uguale a tutti gli altri uomini; la maggior parte delle volte, tuttavia, era grata di poter tornare a casa con un’altra disfatta, perché se quella era la sua vittoria, allora preferiva continuare a giocare.
    «è il tuo parere da professionista?»
    Sbuffò una risata divertita, studiando solo per un attimo il profilo del biondo nella penombra del locale «non sono solo una professionista, Withpotatoes» alzò appena il mento dalla sua spalla per sfiorare il suo orecchio con le labbra «sono una specialista» soffiò infine a bassa voce come fosse un gran segreto e non l’avesse appena dimostrato sul palco – la Turner sapeva come giocare le sue carte, e anche se forse neanche quella sera non avrebbe vinto, poteva comunque togliersi qualche soddisfazione.
    «se vuoi darmi qualche consiglio, o aiutarmi a lavorarci su, sono libero»
    Questa volta non rise, ma piegò le labbra all’insù con malizia «un consiglio, eh?» ripeté divertita, e mentre una mano era ancora piazzata nella tasca posteriore dei jeans del ragazzo, avvicinò quella libera alla sua nuca e affondò le dita tra le ciocche bionde «mi sembrava di aver capito che la mia fosse solo una routine niente male» scandì bene quelle che erano state le sue parole, e con le dita scese di nuovo a percorrere i lineamenti del suo collo, della sua spalla e molto lentamente, poi, tutta la schiena «cos’è, hai finito le lamentele?» più che ricevere una risposta, quello che si aspettava da quella domanda era che rendesse chiaro che lei fosse più che consapevole di avere in mano le chiavi di quel gioco e punzecchiarlo lì dove l’orgoglio era più spesso e certe incongruenze non erano accettate.
    Con lo stesso sorriso pieno di malizia alzò di nuovo lo sguardo verso il suo profilo, per studiarne la reazione mentre con il palmo della mano si spingeva verso la sua zona lombare, per poi spostarsi verso il fianco e infine sul petto, in un’esplorazione lenta e quasi esasperante.
    «mh, azzurro dici» si finse pensierosa e attenta alla questione, solo il sorriso furbo tradiva un certo divertimento dietro quelle parole, ma era quasi certa che Reese non avrebbe notato le sue labbra piegate all’insù, troppo impegnato, invece, a seguire (almeno mentalmente) il percorso della sua mano che attraversava a rilento tutto il suo petto fino a fermarsi e indugiare a giocare con l’orlo inferiore della maglia. «eppure,» continuò con estrema naturalezza «avevo in mente qualcosa di… mh, diverso» superò l’orlo della maglia solo per sfiorare con l’unghia perfettamente arrotondata il bordo dei suoi jeans «pensavo a qualcosa di più simile a quello che indosso io ora» sfiorò di nuovo il suo orecchio, prima con la punta del naso, poi con le labbra, che andò a umettare leggermente con la lingua prima di continuare «pensavo che il color carne fosse perfetto per te» spinse la mano appena più giù, a giocare con le dita sulla fibbia della cintura «e che potessi esprimere al meglio le tue potenzialità con un body trasparente» percorse con le dita metà lunghezza della cintura, poi fermò il suo incedere e affondò le dita nella tasca anteriore dei jeans; alla fine, fece schioccare la lingua sotto il palato «ma se preferisci il celeste…» concluse con una risatina bassa e una scrollata di spalle, mentre afferrava il pacchetto di sigarette nella sua tasca e poi allontanava entrambe le mani dal suo corpo, solo per potergli poi gravitare intorno e tornare di fronte a lui.
    Non nascose il sorriso soddisfatto e appagato, ma lo sfoggiò fiera e anche un po’ beffarda; avrebbe potuto vincere, e gliel’aveva ricordato, ma anche quel giorno aveva deciso di accettare la sconfitta. Quindi raccolse una sigaretta dal pacchetto tra l’indice e il medio della mano destra, per poi alzare di nuovo lo sguardo verso quello del biondo e con aria provocatoria sollevare ancora un po’ l’angolo delle labbra.
    «io sono pronta quando lo sei tu» perché le sfide tra di loro non finivano mai, e lei era prontissima a perderne ingaggiarne un’altra. Chiuse il pacchetto di sigarette con una mano, poi la allungò per poggiarla sul suo petto e per restituirgli la gentile offerta che gli aveva fatto, senza mai distogliere gli occhi da quelli di lui.
    gif code
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