the way you move has got me stuck

@ lilum | ft. cassie

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    (my black heart's to blame)
    La fottuta terza guerra mondiale.
    Ecco cosa era servito alla sua famiglia per smettere di ossessionarsi con la sua vita, piantarla di farne una questione di stato, e andare finalmente avanti.
    Erano stati mesi strazianti, quelli di ritorno dalla (non) Siberia; mesi di domande, e di sedute con la strizzacervelli di fiducia, di notti insonni e giornate passate in un blur confuso, molto spesso indiscernibili le une dalle altre, durante le quali Reese si era ritrovato spesso ad osservare la parete bianca del suo ufficio, richiamato all’attenzione di soprassalto da qualcuno che bussava alla porta o da un messaggio via gufo che piombava nella stanza all’improvviso. Non ricordava mai a cosa stava pensando, solo che c’era qualcosa in tutto quello che non gli tornava, che non quadrava, nei buchi neri nella sua memoria che non avevano nulla a che vedere con l’amnesia con la quale ormai conviveva da quasi sei anni.
    Non aveva idea di cosa fosse successo di preciso; sapeva di aver in qualche modo lasciato la Siberia, di averlo fatto senza Fray, e senza gli altri pazienti di Novosibirsk, e di aver approfittato di un momento di distrazione delle guardie per tentare il tutto per tutto in un gesto disperato, scappando durante il trasporto in chissà quale altra struttura. Come ci fosse riuscito, non era chiaro nemmeno a Reese; il dove, il perché, il quando: rimanevano anche quelle tutte risposte che, a mesi di distanza, il Withpotatoes non poteva ancora raccogliere. Stacey aveva suggerito che potesse essere dovuto al trauma, ma la Buckley non conosceva tutta la storia, solo le parti che il suo paziente reticente aveva voluto condividere con lei; le parti che, prima o poi, avrebbero fatto sì che la doc rilasciasse un attestato in cui ufficializzava la sua ritrovata sanità mentale. Reese era sempre stato perfettamente normale, grazie tante, checché ne dicessero alcuni dei suoi fratelli; ed era molto più che idoneo a fare il proprio lavoro. Grazie fottutamente tante.
    Ma nemmeno lui poteva negare che qualcosa, in quei vuoti, non aveva fottutamente senso. Era come se la sua mente fosse ormai programmata per rimuovere in totale autonomia i ricordi traumatici; terribile, allo stratega non piaceva sentirsi non in controllo di se stesso, che fossero degli spasmi involontari dei muscoli stanchi, o qualcosa di più serio come dei dannati buchi in una memoria già messa a dura prova. Non poteva tollerarlo; e poi c’era quella dannata foto che Isaac gli aveva mostrato, e sulla quale Resse aveva rimuginato anche troppo, senza riuscire a dargli una spiegazione plausibile, o possibile.
    Almeno per un po’, per quanto terribile e sfiancante anche dal suo lato della barricata, la guerra gli aveva offerto una scusa per scollarsi un po’ i fratelli e respirare. Ad Isaac, in guerra, aveva pensato il minimo indispensabile; di Darden non era nemmeno certo di aver saputo che fosse partita per il fronte nemico; di tutti gli altri, a Reese E.P. Withpotatoes non fregava un beneamato nulla. Si era gettato a capofitto nel lavoro, ancora più del solito, offrendo il suo supporto ovunque servisse: aveva coordinato strategie insieme al resto del suo ufficio, aveva raccolto informazioni dai campi di battaglia, aveva coordinato parzialmente le mosse dei ministeri esteri e affiliati. Aveva gestito una pressione che non ricordava di aver mai avuto addosso, negli anni di servizio al Secondo Livello del ministero inglese. Era stato l’ombra di Alister Black, e ne aveva fatto le veci momentanee quando quest’ultimo era stato richiamato in situazioni che richiedevano la massima urgenza e la presenza del Capo Stratega. Aveva fatto notare perché fosse stupido tentare di conquistare uno stato su cui avevano già controllo, e aveva approvato attacchi mirati a posti decisamente fuori dalla sua giurisdizione, ma ugualmente importanti; in una situazione come quella che stavano vivendo, tutti si facevano andare bene tutto, anche le sue scelte.
    Certo, non era mai stato il fan numero uno di Seth, né avrebbe pensato di avere uno special come sovrano, nel futuro, ma una parte di sé aveva quasi ruggito all’idea — e Reese l’aveva percepito come un sentimento positivo, per qualche ragione, e non sapeva assolutamente spiegare perché: non aveva particolare riserbo per gli special, e anzi era convinto ci fosse uno di loro dietro la sua amnesia, ma non aveva mai potuto dimostrarlo concretamente, ed era rimasto qualcosa di irrisolto e non detto tra Reese e un’intera razza.
    La stessa che ora, dopo quaranta giorni di battaglie e un numero altimissimo di vite perse, da ambo i lati, era destinata a diventare ben più di quanto i maghi l’avessero mai considerata. Vero, non ci voleva poi molto, consideranto come l’avessero considerata fino a quel momento storico, ma eh. Rimaneva una cosa su cui Reese sentiva di provare emozioni contrastanti: da una parte era felice perché (gli special avevano vinto) il Ministero inglese aveva fatto un’ottima figura spalleggiando Abbadon e offrendo tutto il suo supporto militare; l’altra era profondamente delusa per l’esito di quel conflitto.
    Ma di quei tempi, erano molte le cose che Reese non riusciva a spiegarsi, e aveva smesso di cercare risposte nei soliti posti; aveva accettato il fatto che non le avrebbe mai trovate. Poteva quasi convincersi che non gli interessava nemmeno farlo.
    Quasi.
    Altre cose, invece, erano ancora semplici e familiari.
    Come il corpo che osservava in lontananza, mentre felino si aggirava tra i clienti del Lilum e riscuoteva sorrisi, complimenti e qualche mancia extra; un corpo che fino a poco prima aveva visto muoversi sinuosamente sul palco, e che l’aveva ammaliato e stregato. Ogni volta era come la fotttua prima volta. Cassandra Turner, era impossibile starle lontano, nonostante era chiaro che lei non desiderasse altro — e anche Reese. Ma era proprio quell’idea a spingerlo, ancora e ancora, in direzione della ballerina.
    Quello, e l’aria gelida di lei, e lo sguardo impassibile, e il modo in cui sosteneva quello dello stratega; poteva negarlo quanto voleva, ma lo sapevano bene entrambi che la storia da raccontare era tutta un’altra.
    Mandò giù ciò che rimaneva del liquido ambrato contenuto nel bicchiere, e abbandonò il suo posto, avvicinando la ballerina ormai libera dai corteggiatori, alcuni occasionali, altri fedelissimi del posto. L’accenno di sorriso che piegò gli angoli delle labbra verso l’alto non aveva assolutamente nulla di divertito o cordiale, ma Reese immaginava che Cassie questo già lo sapeva. «e quindi l’hai fatto,» lo lasciò scivolare dalle labbra al posto di un saluto, incrociando le braccia al petto e poggiando una spalla alla parete, senza bloccare la strada di Cassandra o senza entrare troppo nel suo spazio personale; aveva bevuto più del necessario, ma era perfettamente in grado di regolare i propri gesti, e le parole. Almeno in quel senso, sapeva sempre come rimanere in controllo di se stesso, «hai finalmente cambiato la tua routine Per un cliente abituale come lui, iniziava a diventare abbastanza ripetitiva la vecchia; e lui non era nulla se non un attentissimo osservatore. «cos’è, hai ricevuto qualche lamentela per caso?» oltre la sua, ovviamente, mossa personalmente e direttamente alla Turner.
    Allargò il sorriso, senza distogliere lo sguardo da quello chiaro di lei, ma abbassandolo solo per un secondo sulle labbra truccate della ragazza. «non era affatto male,» disse, l’esperto di balli sensuali, «ma puoi ancora fare di meglio.» un po’ ci sperava nello schiaffo – fisico o verbale, whatever – della Turner: avrebbe dato un senso nuovo alla serata.
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