the world turns like clockwork

ft. hayden | @aconitea, quo vadis town

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    Non si era reso conto di aver indugiato così tanto sulla porta della saletta sul retro dell’Aconitea, fino a quando non aveva sentito la voce di Valerie richiamarlo nella stanza principale del locale, e gli occhi nocciola del ragazzo non avevano incrociato i suoi. Solo allora, scosso da quel sogno ad occhi aperti privo di colori e suoni, dischiuse le labbra.
    Non disse una parola, e dunque tentò di nuovo – più simile ad un pesce fuor d’acqua che ad un sedicenne sul posto di lavoro, nel vago e vano tentativo di proferir parola.
    «io…» deglutì, senza riuscire a distogliere lo sguardo. Nonostante volesse farlo, nonostante avesse bisogno di non rimanere lì a fissare il maggiore – perché faceva più male di quanto non fosse stato in grado di mettere in conto da quel nefasto primo di giugno.
    Proprio come non era mai stato capace di mettere via i ritagli del Morsmordre nelle scorse due settimane, sebbene a quel punto sapesse recitare a memoria ogni singola riga degli articoli di giornale e descriverne minuziosamente ciascuna foto, o gli bastasse chiudere gli occhi per vedere dietro le palpebre i video che avrebbe potuto evitare di cercare sul web – ma che chiaramente aveva dovuto vedere e rivedere fino ad averne la nausea, sperando ogni volta di non riconoscere Wren in nessun fotogramma –; allo stesso modo in cui si era incaponito ad odiare Liz, e quel messaggio lasciato su una banconota che nel giro di due secondi era finita, appallottolata e stropicciata, sul fondo del cestino più vicino che avesse a disposizione – consapevole, e nemmeno troppo nel profondo, che tutto ciò che potesse serbarle fosse un broncio ed il trattamento del silenzio per al massimo un paio di giorni.
    Così, con la stessa vena autolesionista che mai aveva contraddistinto il Monrique – se non su una nave pirata all’interno della Dimensione di Addestramento, ma lì si era sentito perfettamente giustificato dall’universo a scegliere di farsi pugnalare da Thero: una giornata così di merda, che la morte per mano della sciabola di un pappagallo gli era sembrato il modo migliore per concludere in bellezza la propria, breve esistenza –, era rimasto immobile sulla soglia, osservando l’Hastings e qualsiasi cosa stesse facendo.
    Non gli importava della guerra, delle conseguenze che stava avendo su un mondo che avrebbe visto stravolgersi rispetto ai dettami con i quali era cresciuto e nei quali si sentiva, tutto sommato, al sicuro; non era interessato ai vincitori o ai vinti, né ai milioni e milioni di esseri umani che erano stati spazzati via dalla faccia della terra nel nome di Abbadon. Non gliene fregava un cazzo di essere un egoista, uno spocchioso e superficiale figlio di papà: si sentiva fortunato, Balt, nel sapere che fossero tornati a casa sani e salvi. Loro due, Gali, Kaz – tutto ciò che aveva a cuore e che sapeva essere al centro di quel conflitto; tutto il resto, era un contorno con il quale avrebbe imparato a convivere. Forse, prima o poi; magari di lì a quattro mesi, quando sarebbe diventato maggiorenne ed avrebbe iniziato a sentire sulle spalle il peso dei genitori che l’avrebbero spinto a diventare adulto prima di quanto avrebbe previsto.
    E faceva male, perché non sapeva cosa fare. Non ne aveva alcuna idea, e dirsi che non fosse compito suo – o che, grazie a Dio, non poteva assolutamente immaginare cosa stessero passando – nemmeno aiutava quanto avrebbe voluto.
    «io…» sono passato a vedere come stavi; mi chiedevo se avessi bisogno di qualcosa; stavo considerando di fare una torta, ti va di aiutarmi?; ho non troppo casualmente trovato dei documenti nell’ufficio di mio padre e penso potresti essere nostro fratello, sorpresa! Nessuna opzione gli sembrava valida per concludere quella singola sillaba lasciata nuovamente sospesa: l’unica azione che gli pareva ragionevole, era andare da Wren ed abbracciarlo – ma ci aveva già provato una volta, e si era scansato così velocemente che sul momento aveva deciso di non provarci mai più.
    «ero… solo passato a prendere questi.» si allungò su uno scaffale vicino alla porta, prendendo più menù di quanti Vals avesse effettivamente bisogno quel pomeriggio. «non… volevo disturbarti, scusa.» strinse le labbra tra loro, stirandole in un sorriso sincero e titubante, prima di uscire – e rilassare la prese dei denti sulla carne, occhi chiusi ed un sospiro profondo a scivolare dalle narici. Ancora una volta, fu la proprietaria della sala da tè a destarlo dal torpore: anche quella volta, come molte altre nel corso dell’anno, meditò di chiederle di fargli da sveglia personale. Sentiva che gli sarebbe bastato che gli dicesse un “alzati” monocorde, e sarebbe stato pronto all’avventura nel giro di cinque minuti. Guardò prima la mano sulla sua spalla, dunque il caldo sorriso sul volto gentile della donna – e non gli serviva essere particolarmente empatico, o bravo nel capire le persone, per sapere che ci fosse molto di rotto in lei nonostante lo sapesse mascherare in maniera magistrale. «è appena entrato un cliente, ci pensi tu?» una domanda che sapeva più d’obbligo e imposizione, ma il Tassorosso annuì in ogni caso: in quel mese e mezzo era passato dall’ignorare la maggior parte dei propri doveri – che, scioccato, aveva scoperto non fossero soltanto fare bella presenza ed invitare i clienti a scegliere quel posto con un paio di sorrisi fuori dalla porta – ad essere un discreto aiutante; dare un cenno che avesse capito il compito assegnatogli era comunque parte delle sue mansioni.
    Lasciò i menù con immenso dispiacere, dopo averli tenuti come un salvagente al petto da quando aveva salutato Wren imbarazzato ed impotente, e si avvicinò al tavolo indicatogli da Valerie. «buonasera, e benvenuto all’aconitea!» non dovette sforzarsi molto per dipingersi sul volto una certa esuberanza, ma non alzò lo sguardo sul nuovo arrivato fino a quando non ebbe trovato il bloc notes. «è la prima volta che viene qui, o…» corrugò le sopracciglia.
    Osservò più attentamente.
    Non vide nulla: solo un cappello a sporgere dal dépliant sollevato a mo’ di paravento.
    «sa già cosa…» si guardò intorno, senza nemmeno sapere bene il perché. Anzi, lo sapeva perfettamente: voleva l’aiuto da casa. «scusi, ha… bisogno di un po’ più di privacy…?» oh, uno chiedeva.
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    Hayden Selwyn non era un uomo con un vasto portafoglio culturale. né tantomeno politico. Aveva vissuto la guerra dal suo attico a Londra, sorseggiando un margarita con più tequila del necessario e domandandosi perché a lui con un sospiro sconsolato. Avevano interrotto il campionato per- per cosa? Un conflitto mondiale? Che due coglioni, non capiva perché dovesse essere punito per un qualcosa che non lo sfiorava affatto. Infantile, superficiale, capriccioso, ci sarebbero stati una miriade di etichette del genere da appiccicare al giocatore di Quidditch. Che avrebbe preso come complimenti, perché quello era il genere di persona che era: noncurante delle opinioni altrui. Un po’ per deformazione professionale e un po’ per la persona che era, aveva imparato ben presto a lasciarsi scivolare addosso il mondo. O almeno quella era l’immagine che amava dare di sé, gli occhi neri e il sangue sulle nocche con cui tornava a casa dopo una serata fuori movimentata raccontavano una storia ben diversa. Ma la guerra aveva deragliato persino quel suo piccolo hobby, ed era stato costretto a rinchiudersi nella sua torre d’avorio. Calcolatore, cauto, pauroso di perdere tutto quello per cui aveva lavorato, una realtà che custodiva gelosamente. Il Selwyn portava le cicatrici sulla pelle di una storia non ancora raccontata, ma che parlava di un passato ben diverso da quello che il suo conto in banca vantava. E sapete cosa? Andava bene così, non era nel suo stile supplicare per scraps di attenzione. Semmai, erano gli altri a tirare i lembi dei suoi vestiti nella speranza che volgesse il suo sguardo nella loro direzione- cosa che stava accadendo in quel preciso attimo. Era stato ingenuo da parte sua uscire senza qualcosa che mascherasse il suo volto, ma pensava che nello scenario post-apocalittico in cui vivevano nessuno fosse così coraggioso da vagare per le strade. Non in quella misura, almeno. Non era un personaggio così famoso da essere riconosciuto da chiunque, ma coloro che erano appassionati dello sport conoscevano bene il suo nome. Normalmente non gli sarebbe dispiaciuto, ma che cazzo. Voleva entrare in un (1) singolo Wizbucks e prendere il suo depression drink in pace, era chiedere tanto? Sì, lo era. Con il senno di poi, avrebbe dovuto immaginare che la tipica crowd del locale era composta da- giovani che avevano l’aria di usare troppo TikTok? Ma dov’erano finiti i suoi cinquantenni che abbandonavano i figli alla stazione di servizio. Aveva firmato quello che doveva, perché nonostante tutto viveva per quell’attenzione, ma quando aveva capito che avrebbe finito per essere sopraffatto dalla folla aveva presto abbandonato quei locali. E tanto che c’era, aveva rubato il primo cappello che aveva visto in uno di quelle trappole per turisti. Sebbene fosse familiare con la zona, non era sua abitudine frequentare i tea shops e cafés
    quanto piuttosto i pub e ovunque potesse ordinare dei cocktail sovrapprezzo. Ma bisognava fare di necessità virtù, e l’Aconitea era il primo luogo su cui posò gli occhi. E magari si sarebbe anche preso il suo fottutissimo caffè. La prossima volta avrebbe ordinato a casa, fanculo alla carbon footprint e quelle cagate che Greta Thunberg propinava. Si sedette al tavolo più distante da ogni finestra, con le spalle alla strada e un menù a coprirgli la faccia. Non sembrava per niente sospetto. O un qualcuno in procinto di rapinare il locale. «Buonasera, e benvenuto all’aconitea!» fu tentato di ignorare quella voce fin troppo esuberante, ma avrebbe significato non avere il suo caffè. Non che avesse letto il menù, ma immaginava che non fosse una richiesta irragionevole. «è la prima volta che viene qui, o…» si azzardò ad abbassare appena il menù per concedere al cameriere la sua attenzione, questione di interazioni sociali basiche and all. Fu sorpreso dal constatare che la voce che gli aveva frantumato i timpani apparteneva a un ragazzo- ragazzino, probabilmente sfruttato come un bambino asiatico qualunque. Decise di liberarlo da quel tormento, impietosito dai suoi tentativi di comunicare con un altro essere umano «sì, decisamente la prima volta. non è il tipo di….luogo che frequento» gli si leggeva in faccia che passava la maggior parte della sua giornata a sniffare proteine e alzare pesi? Probabilmente sì. «scusi, ha… bisogno di un po’ più di privacy…?» più il cameriere usava un registro formale, e più Hayden percepiva le rughe sul viso intensificarsi- ma capiva che fosse parte del lavoro. Still merdina. Alla menzione di un posto più nascosto, gli occhi smorti tornarono a brillare di vita, persino l’accenno di un sorriso si dipinse sulle labbra «davvero? non ne approfitterei se non fosse che-» doveva dirglielo? C’erano buone probabilità che non l’avrebbe mai più rivisto in fondo. «sono piuttosto famoso, e penso mi stiano cercando» abbassò il tono della voce, azzardando un’occhiata in giro per vedere se avessero gli occhi del resto dei commensali su di loro. Spoiler: no. «a meno che questo non sia un invito» quel tipo di invito «temo di dover declinare» anche perché gli ricordava una scena piuttosto familiare.
    Elisa beata al bar del lido a farsi gli affari suoi, e a studiare la fauna del luogo. Ragazzi che pensava fossero maggiorenni, ma forse no.
    Roberta, una guastafeste: Creme...Elisa.
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    «sì, decisamente la prima volta. non è il tipo di… luogo che frequento» sollevò un angolo della bocca, riservando al bloc-notes un sorriso divertito e colpevole. A Baltasar Monrique piaceva stare all'Aconitea perché adorava passare del tempo con Wren e Vals, ma non aveva effettivamente alcun bisogno di lavorare, e tantomeno avrebbe considerato quel locale come alternativa in cui trascorrere i propri pomeriggi: i passatempi preferiti dello spagnolo erano ben diversi dal sorseggiare una tazza di tè seduto beatamente ai tavolini che serviva durante i suoi turni. Si trattenne comunque dal rispondere d'istinto al nuovo cliente, dicendogli quanto lo capisse nel profondo, perché era diventato un dipendente modello (a suo dire, e non solo perché spesso posava all'ingresso del locale con pochi vestiti addosso) e desiderava che le cose lì andassero bene, che ci tornasse quanta più gente possibile.
    Le abilità di deduzione del tassorosso non erano tra le più invidiabili, ma osservando meglio il nuovo arrivato era davvero facile capire quanto fosse semplicemente capitato nel posto sbagliato al momento... migliore e più comodo; di certo non in quello sbagliato, ma giusto? Gli sembrava sempre più un pesce fuor d'acqua. Un primino che aveva sbagliato scala scappando da un bullo e si era ritrovato dentro un aula in disuso nel bel mezzo di un rituale satanico: si era salvato, ma a quale prezzo.
    Per l'appunto: «davvero? non ne approfitterei se non fosse che sono piuttosto famoso, e penso mi stiano cercando» una faccia conosciuta, in effetti, ce l'aveva: sotto il cappello, nascosto dietro il menù, non avrebbe saputo davvero dire chi fossa, ma che l'avesse già visto sì, senza dubbio. «la capisco.» sussurrò a mezza bocca, la mano libera dal blocco poggiata sul proprio petto e il busto appena piegato in avanti, quasi quello fosse un segreto che non doveva ascoltare nessun altro – come se poi, quel giorno, l'Aconitea avesse il pienone. A dire il vero, a Balt piaceva quando la gente lo cercava per il suo nome (per i suoi soldi, per la sua visibilità); gli piaceva stare al centro dell'attenzione, sulla bocca e tra le mani di tutti. Ma a volte, raramente, la voglia di essere lasciato in pace, di non essere Baltasar Monrique, superava l'istrionica necessità di essere ammirato – e grazie a quei momenti, comprendeva la voglia di nascondersi.
    «a meno che questo non sia un invito.» uh? Sollevò un sopracciglio, sentendosi offeso da simili illazioni: sembrava così poco professionale?
    (Valerie in background, braccia incrociate e occhi al cielo, che ripensa a tutte le volte che lo ha ripreso perché no, non puoi provarci con qualsiasi ragazza o ragazzo che viene a prendersi una tisana)
    «cosa? ahah no.» sbuffò una risata, gesticolando vago: era pure vecchio, e lui nemmeno aveva bisogno di un sugar daddy. Si guardò attorno per un po', individuando poi un tavolino fuori dalla portata delle finestre ed abbastanza isolato; c'era sempre l'opzione della Sala Verde, ma pur essendo un VIP era nuovo in quell'ambiente e non gli sembrava il caso di portarcelo – senza contare che lì ci fosse Wren, e non aveva intenzione di disturbarlo. «può accomodarsi lì se preferisce, io intanto le porto un... caffè?» gli sembrava più un tipo da Cold Brew che non caffè, ma di certo non da tisanina – doveva accontentarsi di ciò che offriva il convento.
    Caffè che, per inciso, non trovò: c'era qualcosa di molto simile, un intruglio che dal colore e l'odore sembrava esserlo (per quanto ne sapeva Balt, poteva essere una nuova invenzione di Val o una miscela diversa dalla solita), ed optò per quella. In ogni caso, alle persone come loro piacevano le cose stravaganti e inusuali, sentiva che qualsiasi cosa fosse avrebbe apprezzato.
    «se volesse ordinare altro, non esiti a chiederlo!» piegò ancora le labbra, dopo aver lasciato la tazza di fronte al ragazzo – uomo? Mah. «io sono balt, per qualsiasi cosa.»
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