russian roulette is not the same without a gun

@ karaoke | ft. lux

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    Alla fine, il mondo aveva scelto per lei, e Idys si era ritrovata suo malgrado catapultata di nuovo nel mondo magico che per tanti anni aveva volontariamente evitato, spingendosi addirittura a rimedi estremi come far perdere le sue tracce nel nulla, e domandandosi se fosse necessario inscenare anche la propria morte giusto per dare un tocco di credibilità alla sua storia — aveva deciso di no, alla fine, ma doveva ammettere che sarebbe stato molto divertente e *stelline* drammatico *stelline* procedere con quella parte della farsa.
    E niente. Insomma. Ugh.
    Non era nei suoi programmi tornare a farsi coinvolgere dalla società magica, e dai loro Infiniti drammi, ma quale era l'alternativa? Quei bastardi avevano appena conquistato il mondo, e spazzato via ogni barriera che delimitava dove finiva il mondo babbano e dove iniziava quello magico; non era più una possibilità, per lei, fingersi una cittadina del primo. Non se ci teneva alla sua pelle, comunque.
    Che fregatura.
    Che gran casino!
    L'emporio era rimasto miracolosamente illeso, una delle poche attività (magiche e non) che era rimasta in piedi durante – e soprattutto dopo – la guerra; Idys ne era molto orgogliosa, ma quello comportava una mole di lavoro sempre più importante (cosa di cui non si lamentava, i soldi non le dispiacevano) e allo stesso tempo un sacco di stress perché gestire i mondi che collidevano e si schiacciavano uno sugli altri era... beh, come dire, impegnativo. C'era poi il rovescio della medaglia, certo, quello che era rimasto una costante sin dal giorno dell'apertura dell'Hekate Emporium: i babbani che le davano addosso perché strega, i maghi che la criticavano perché troppo babbana. Minchia, alla gente non stava proprio mai bene nulla!
    Fatto sta che la guerra aveva scelto per lei, e ora Idys si ritrovava costretta a stravolgere nuovamente tutta la sua vita per farla incastrare con il nuovo ordine, spingendo i contorni e le abitudini nelle quali si era pian piano accomodata, per farli stare in quelli definiti ma in certo, ed inevitabile, cambiamento che la loro nuova realtà portava con sé. Quindi insomma: un gran bel problema, al quale, onestamente, la strega non voleva pensare. Ci sarebbe stato tempo per farlo! Per tirare le somme su quanto fosse davvero fregata, e su quali bugie potesse ancora fare affidamento senza che il castello di carte e menzogne che aveva eretto nel corso degli ultimi anni venisse giù come le casette precarie dei tre porcellini.
    E quale miglior metodo se non buttarsi nel primo bar-karaoke di Londra, bicchiere di Gin tonic in una mano, e la Neo alla ciliegia nell'altra. «mah si» non c'erano problemi, non lì, non seduta al bancone con le gambe accavallate e la cannuccia stretta tra i denti, mentre le unghie smaltate tenevano il tempo di quella canzone strillata, più che cantata, picchiettando contro il vetro del bicchiere. Quando l'esibizione finì, Idys si unì all'applauso poco convinto che si levò nel locale. «grazie al cielo» dubitava di avere ancora dei timpani funzionanti dopo quello strazio. Aspirò dalla cannuccia e tossì via il fumo, rendendosi conto di aver invece aspirato dalla sigaretta elettronica. «mh» chissà a quanti gin tonic era arrivata. Si voltò verso i camerieri indaffarati alle sue spalle, inarcando un po' la schiena e agitando un braccio pieno zeppo di bracciali rumorosi, per farsi vedere meglio. «me ne fai un altro?» il tutto mentre il tizio sul palco presentava un nuovo partecipante — ugh, stan Danielino al Loft che non faceva esibire nessuno sul palco, ma faceva invece girare il microfono tra i tavoli. Slay, gli italiani erano proprio dieci passi avanti.
    Doveva ammettere, però, che la biondina appena salita sul palco era, quantomeno, eccentrica abbastanza da catturare l'attenzione — Idys sperava cantasse anche bene.
    O affatto, arrivata a quel punto; perché i minuti continuavano a scorrere, e la musica andava avanti, ma l'esibizione della bionda non accennava a partire. Qualcuno fischiò, altri la esortarono a fare qualcosa (qualsiasi cosa, alcune molto maleducate — Idys avrebbe affatturato quelle persone, più tardi) ma l'unica che prese l'iniziativa fu proprio la rossa seduta al bancone. «tienimeli da parte,» disse al cameriere, mentre questi posava il nuovo gin accanto a quello ancora a metà che Idys lasciò sul bancone, «tornerò a prenderli» promessa e minaccia.
    Poi, senza curarsi delle occhiate altrui e senza pensarci sue volte, salì sul palco, alzando la gonna lunga e scoprendo le caviglie (tutti: ooooOooOohhhhh) e affiancando la bionda, dopo aver rubato un microfono libero. «prova? un due tre prova» a parte il fastidioso feedback che stordì mezza sala, tutto bene: funzionava. «capo, la fai ripartire?» ma a chi? Boh, a chiunque stesse gestendo la musica da qualche parte nel locale.
    Alla bionda lanciò un'occhiata di intesa e un cenno del capo. «dai, è facile. non ci pensare» ma forse Lux era solo ubriaca lercia, tanto da non accorgersi che la musica fosse iniziata, chi lo sa — di certo non Idys. «muh muh muh mah [ripetuto] i wanna hold'em like they do in texas please, fold'em, let'em hit me , raise it, baby stay with me» un cenno a Lux: c'era? stava sul pezzo? dai zia, viecce. «love game intuition, play the cards with spades to stars, and after he's been hooked I'll play the one that's on his heart — pronta????» tutti insieme dai, «Ohhhhhhh oh oh oh ohhhhh oh-oh-oh-ohhhhhh I'll GET HIM HOT, SHOW HIM WHAT I GOT» e poi il resto della canzone la conosciamo tutti.
    idys
    gaffney

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    CITAZIONE
    17- PG1 è sul palco per esibirsi ma l'emozione gli fa dimenticare le parole; PG2 accorre in suo aiuto e iniziano a duettare. (Bonus se, presi bene, concedono il bis.)
     
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    «Ma ’n che senso dobbiamo tornare a Hogwarts? A fare i M.A.G.O.?» Lux, qualche giorno prima, in quel di Canosa.
    Sì, c’era appena stata una guerra, migliaia di persone erano morte, il mondo non era più lo stesso.
    (E c’era Maddy nuda in camera sua. Cosa? Cosa.)
    (Che poi lei manco doveva farli i M.A.G.O., non sul serio, non essendo pg vero, ma shhh.)
    «Ma che davero?» Lux, il giorno prima, ancora con tutte le valigie da fare e channeling il suo Lollo interiore. «Pure l’ultima lezione dell’anno?» Lei c’era, nel 2012, quando tutta l’Emilia era stata scossa da quei terribili terremoti! (O forse no, probabilmente era a Beibastoni, ma chi ha voglia di fare i calcoli…) Nessuno era più tornato a scuola, dopo quel funesto 27 maggio. A parte gli stronzi come Sara che dovevano fare la maturità con 3201237203702173 gradi e la consapevolezza che probabilmente sarebbe crollato loro il soffitto in testa.
    « Boia d’un mand lader.» Lux qualche ora prima, appena rimesso piede al castello in compagnia dei cugini (tranne quell’infame di Lapo, chiaramente, visto che aveva osato diplomarsi l’anno prima). Si era attaccata a una delle scorte di nocino di zia Orietta portato da casa, ma non era bastato. Aveva bisogno di cambiare aria: rimettere piede a Hogwarts dopo un mese di (vacanza anticipata a) Canosa era già duro di per sé. Figuriamoci quindi con la prospettiva di dover sostenere lezioni ed esami. Tuttavia, non poteva presentarsi al bar Sport così presto. Non solo perché Gin l’avrebbe incastrata con un turno extra, ma perché, prima di tutto, la cugina l’avrebbe cazziata sul fatto che avrebbe dovuto impegnarsi (quel tanto che bastava per raggiungere la sufficienza), studiare, fare la persona adulta… il tutto, appunto, sgobbando per lei.
    Insomma, Lux amava Ginevra, era la sua cugina preferita (Giacomino a parte, s’intende)!, ma non aveva voglia di beccarsi il cazziatone. E di lavorare.
    Così, dopo essersi scolata una bottiglia di nocino, si tirò su un po’ traballante da uno dei divanetti della sala comune dei grifondoro e uscì. Tutte le strade, nel suo caso, non portavano a Roma, bensì a qualsiasi bar nel raggio di molti, molti chilometri. Soprattutto se, rimanendo a Hogsmeade et similia, rischiava di incrociare qualche faccia conosciuta. O peggio, uno dei suoi cugini. Di conseguenza, senza farci domande sul come, Lucrezia Linguini si ritrovò magicamente per le vie di Londra, dove, senza pensarci due volte, si buttò nel primo pub che le capitò sotto tiro.
    Non avrebbe dovuto andare giù, lo sapeva bene, ma sapeva altrettanto bene che non le importava davvero. Specie se, ovunque, lì dentro, veniva reclamizzata una delle sue rosse preferite, la Kilkenny. Una pinta dopo l’altra, Lux scivolò sempre di più nell’oblio, tanto che, a un tratto, si ritrovò su un palco. Sorridente ma confusa, si guardò intorno in cerca di Ciruzzo e del resto della band. «Ma dove cazzo vi siete nascosti?», biascicò nel rendersi conto che, lì sopra, non c’era nessuno. Si guardò le mani, non capendo dove fosse finito il suo basso, anche perché la musica si sentiva. E si sentivano anche esclamazioni, o meglio, insulti più o meno coloriti arrivare dal buio.
    Indispettita, prese a rispondervi (rigorosamente in dialetto), accompagnando la voce a gesti che rendevano ancora più inequivocabile la sua provenienza. Era pronta a fare a botte, davvero, anche se ancora non capiva dove fossero suo cugino e i loro amici e perché non ricordasse nulla di quel concerto. Ecco, forse prima avrebbe picchiato loro. A cominciare da quella presenza che vide entrare nel suo campo visivo con la coda dell’occhio. Fece un ultimo gestaccio rivolto al pubblico e si preparò a buttarsi addosso a quello che, ne era quasi certa, doveva essere Ciruzzo, ma quando si voltò nella direzione dei passi, e ora anche della voce, ebbe una bella sorpresa. Non che il Nott fosse da buttare, anzi, ma non era vagina-munito. E, per quanto bellissimi, i suoi capelli non erano rossi. «Socmel…!»
    Rimase lì, a fissarla, tra il confuso e il compiaciuto, mentre dava istruzioni che, lì per lì, non riuscì a capire. Forse qualcuno della band non stava bene e avevano trovato un rimpiazzo per la serata? Ma nessuno le aveva detto nulla… «dai, è facile. non ci pensare» «Non preoccuparti, io non penso mai», la rassicurò, con un occhiolino. Non aveva il basso, d’accordo, ma la musica c’era davvero e la rossa stava… cantando? Sbatté gli occhi, affascinata, e si lasciò cullare dalle note.
    Poi uno dei suoi stivali prese a battere sul palco a ritmo.
    La sua testa oscillò seguendo la musica.
    E Lux capì, con un’improvvisa epifania.
    «Oh, whoa, oh, oh!! Oh, oh-oh, I’ll get him hot, show him what I got…»
    Doveva… CANTARE!!!
    (Lo stava già facendo, in realtà, ma il suo cervello ci arrivò con parecchi secondi di ritardo.)
    Di colpo presente si raddrizzò con un salto e guardò la ragazza con un cenno d’intesa. Ora sì che aveva capito! «CAN’T READ MY, CAN’T READ MY… NO, HE CAN’T READ MY POKER FACE!!!»
    Il tutto con coretti e coreografia, sia chiaro.
    lucrezia
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    Ma s’io avessi previsto tutto questo,
    dati causa e pretesto, forse farei lo stesso.
    Mi piace far canzoni e bere vino.
    Mi piace far casino, poi sono nata fessa.
    2003 | BOLOGNA, IT | NEUTRAL
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    Dapprima, un piede a battere contro il pavimento del palco; poi i capelli biondi ad ondeggiare, mentre la testa teneva il ritmo di quel pezzo che conoscevano anche i sassi; poi, finalmente, anche la voce.
    «Oh, whoa, oh, oh!! Oh, oh-oh, I’ll get him hot, show him what I got…»
    Allora il suo intervento era servito; brava Idys, ancora una volta aveva risolto la situazione.
    Il sorriso felino sulle labbra truccate si allargò, mentre annuiva in direzione dell’altra, tenendo anche lei il ritmo di Poker Face, il microfono stretto in entrambe le mani e la voce bassa per fare il controcanto ai versi della bionda; non era la più intonata delle cantanti, la Gaffney, ma le piaceva intrattenere, e in quello rientrava anche l’esibirsi del tutto a caso in un karaoke, senza invito e senza arte né parte, solo per il gusto di farlo.
    «CAN’T READ MY, CAN’T READ MY… NO, HE CAN’T READ MY POKER FACE!!!»
    «YEAAH» almeno quello, ebbe l’accortezza di non urlarlo nel microfono per non rovinare il momento della sconosciuta; doveva ammettere, però, che si stava prendendo molto bene. C’erano poche cose che Lady Gaga non potesse curare, dopotutto.
    «she’s got me like nobody!»
    Ah, se solo non fosse stata sua zia.
    Ma Idys non lo sapeva, no?
    Si che poi c’era anche “la questione Niamh” — che non era una questione, quanto più una persona, ma ugh?? okay?? VA BENE. Avrebbe tenuto certi pensieri per sé. «po-po-po-poker face, po-po-poker face» perché affidare al microfono, e all’intera folla, quel fu-fu-fuck her face avrebbe minato – e disintegrato – tutti i suoi nuovissimi e brillantissimi propositi. «I WANNA ROLL WITH HIM, A HARD PAIR WE WILL BE» mah, dubitava: a meno che di duro non ci fossero altre cose, in quel caso avrebbe potuto comprendere, identificarcisi e sottoscrivere; che c’è (era figlia di Lapo), i piaceri carnali non erano di certo un tabù per lei, e non era così pudica.
    Trascinata dal ritmo, dalle parole e dagli spettatori che ora applaudivano a tempo e cantavano insieme a loro, Idys si avvicinò alla bionda e iniziò a cantare nel suo microfono, abbastanza vicina da rischiare una testata se l’altra avesse continuato ad agitarsi come una forsennata. Ma alla ex grifondoro piaceva il rischio. «and baby when it’s love, if it’s not rough it isn’t fun» Sua Maestà Stefani Joanne Angelina Germanotta diceva sempre e solo la verità, slay.
    Andarono avanti così ancora per un paio di strofe, alternandosi senza bisogno di cedersi la scena a vicenda, avendo trovato inaspettatamente il loro ritmo subito dopo l’inizio un po’ tentennante — ed ora è canon che a Maxie, nel futuro, non piacevano così tanto gli altri Linguini ma le piaceva zia Lux; non era raro vederle esibirsi, se fosse stato anche solo per loro stesse, nelle più assurde delle performances.
    Quando la musica sfumò, sul finire della canzone, Idys era: sudata, entusiasta, ancora più ubriaca di prima e pronta a concedere bis, tris, e quatris. Ma il tizio del karaoke era già sul palco con loro, pronto a reclamare i due microfoni e i riflettori, per presentare i prossimi cantanti.
    Mentre (venivano accompagnate giù dal palco senza cortesie) scendevano di loro spontanea volontà dal palco, Idys bisbigliò all’orecchio dell’altra: «abbiamo già vinto, nessuno può competere, ma ci hai viste?» erano bellissime, spavalde e avevano messo su uno spettacolo meraviglioso: il premio di quella gara era già loro.
    (In che senso non era una gara e il premio non era un conto aperto in quel bar da lì a per sempre, assurdo. Avrebbe dovuto esserlo.)
    Con un cenno della testa, la rossa indicò il bancone. «vieni? c’è un gin tonic con il tuo nome che ti aspetta» tanto lei ne aveva ancora uno suo da finire, tsk, «per l’essere stata FAN-TA-STI-CA» e le schiaffò una mano sul sedere, molesta come una pandi che palpa chiunque ai raduni. «dobbiamo brindare! piacere, sono idys!» e le allungò la mano, nel solito tintinnare di braccialetti che riempivano entrambi i polsi, lasciati appena scoperti dalle maniche a sbuffo del kimono semitrasparente che indossava sopra il vestito viola scuro.
    Nessuna delle due aveva davvero bisogno di rinforzare la dose già massiccia di alcol che avevano in corpo, ma nessuna delle due era abbastanza lucida da rendersene conto: Idys amava definire quel caso come “l’ubriaco di Schrödinger”. «magari prima della fine ci chiederanno anche di esibirci di nuovo, li abbiamo stregati!»
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    Senza un basso in mano, Lux si sentiva nuda. Sì, proprio lei, quella che fin dal giorno uno a Hogwarts aveva mostrato all’intera popolazione del castello tutte le sue grazie, ma proprio tutte. A partire da quella canora, ovviamente, di cui stava dando sfoggio anche in quel preciso istante. Era difficile esibirsi senza il suo adorato strumento da titillare e accarezzare con cura e passione per farvi sgorgare i suoi caratteristici suoni di piacere, ma Lucrezia Linguini era pur sempre una performer e, soprattutto, un’artista. Non solo amava stare su un palcoscenico, vero e improvvisato che fosse, ma trovarsi lì, a fare ciò che amava, la faceva sentire viva.
    E non c’era nulla che adorasse di più della musica e di avere una bella ragazza accanto.
    A differenza del suo basso, il microfono era corto e tozzo e stringerci le dita intorno le faceva quasi strano, ma Lux lo strinse comunque con decisione, sorridendo alla rossa al suo fianco. Ancora non capiva da dove venisse la musica, visto che intorno non c’erano strumenti, e dove fossero suo cugino e il resto della band, però non si sentiva particolarmente preoccupata. La sconosciuta ci sapeva fare e lei non era certo un’ingrata. Specie, poi, se il destino o chi per lui avevano finalmente deciso di sorprenderla con una compagnia tanto gradita.
    Nota dopo nota, la grifondoro si fece prendere sempre più dalla musica, dall’esibizione e dalla ragazza. Le sue (poche) preoccupazioni sparirono, inghiottite dal ritmo e dal suono delle loro voci che si mescolavano. Niente guerra, niente maturità, niente mondo degli adulti. C’erano solo la musica e loro due, la bionda e la rossa.
    Lux sarebbe andata avanti per sempre.
    Ma delle orribili mani maschili le toccarono senza troppi complimenti la schiena nuda e sudata, facendola quasi ruzzolare giù dal palco. «Deg un taj!!», si lamentò, scrollandoselo di dosso. No, non si sarebbe fatta rovinare il momento da un uomo [derogatory]. Un po’ per caso, un po’ per necessità, per non cadere giù dall’ultimo gradino del palco sgangherato si appoggiò al braccio della rossa e ascoltò con un sorriso sempre più ampio il suo commento sulla loro esibizione. «AT AL DEGGH!!», concordò allegra, ritrovando in un attimo il buonumore. «Siamo state bravissime e fighissime!!! Gli avremmo fatto solo un favore, esibendoci per il resto della serata!!»
    Era davvero triste di non poter cantare (e magari anche suonare, stavolta), ancora, ma all’invito della ragazza a seguirla al bancone non se lo fece ripetere due volte. Anche perché aveva detto le parole magiche: gin tonic. Con Lux, in realtà, erano parecchi gli incantesimi ad avere lo stesso effetto: vino, birra, vodka, rum, whiskey, nocino, amaretto, ratafia, limoncello, mirto……………….. e *organo genitale femminile*, ovviamente. «GRAZIE!!!»
    E quel complimento?
    E quella palpata?
    «SOCC’MEL!!» Le buttò le braccia al collo, stringendola con forza a sé tra le risate. «Ma dove sei stata finora?? STRADORA!!!» Amava Swag, ma quella ragazza??? Lei sì che era la sua anima gemella!
    Si scostò tutta sorridente, per poi prenderle con entusiasmo la mano che le porgeva. «Ciao Idys! Io sono Lux!!» Era veramente euforica, e non era merito dell’alcol: la musica le aveva appena fatto incontrare una nuova amica, a cui sentiva di volere già un gran bene. Con ancora la mano di lei stretta nella propria la osservò, sorridendo a labbra schiuse. «Di sicuro lo sai già, ma stai benissimo», commentò sincera, contenta di poter ammirare da vicino una visione del genere. Poi fece scioccare la lingua e dopo che si furono accomodate sugli sgabelli del bancone le porse un bicchiere. «Alla nostra!! Lady Gaga sarebbe fiera di noi!!» Fece tintinnare il bicchiere contro quello di Idys, poi lo batté sul tavolo e, dopo un mezzo giro in senso orario, lo buttò giù alla goccia.
    «magari prima della fine ci chiederanno anche di esibirci di nuovo, li abbiamo stregati!»
    «Dovrebbero, ma mi sembrano dei cioca piàt che non capiscono un tubo… ma dopotutto sono uomini, è chiaro che non capiscono un cazzo di niente.» Fece una smorfia e, con un gesto della mano, ordinò un altro giro al barista. «Ti sembrerò un uomo anche io, però…» Tornò a focalizzare tutta la sua attenzione su Idys. «… l’hai sentito anche tu, là sopra? Era quasi come se ci conoscessimo!!»
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    Idys si era sempre reputata brava a leggere le persone – un po’ meno capirle, ma non serviva l’empatia per rimanere vivi, bastava avere l’occhio allenato a riconoscere i dettagli e la mente pronta a ideare bugie convincenti per salvarsi la pelle, e la falsa identità – perché ne era sempre andato della sua vita, letteralmente; da quando aveva chiuso con Daphne, con i Blake, e con la vita prima di “Idys”, guardarsi le spalle e diffidare dagli altri era stato il suo mantra, e come poteva pensare di sopravvivere se non imparando a leggere gli altri, le loro intenzioni o la loro indole, se non studiandoli?
    Perfetti sconosciuti e clienti erano state le sue (inconsapevoli) cavie molto a lungo, quando i pomeriggi dietro il bancone dell’Hekate si facevano lunghi e noiosi, e l’unico svago della titolare-slash-commessa era quello di guardarsi intorno e, per ogni persona che incontrava il suo sguardo, o che passava fuori dalla vetrina del negozio, studiare dettagli, atteggiamenti, postura, tono di voce, gesti. Aveva scoperto di essere brava, di poter carpire molto di più di quanto gli altri avessero intenzione di condividere, e la necessità era poi diventata un gioco, un passatempo e un’abitudine tutto insieme.
    Aveva fatto lo stesso anche con la bionda, sul palco, tra una strofa e l’altra — oh, Idys era multitasking! Quello che aveva scoperto – o che presupponeva di aver scoperto –, le piaceva: era una giovane donna (immaginava di qualche anno più giovane di Idys, ma non troppo lontana dalla vera età di Daphne) spigliata e divertente, che sapeva come intrattenere e che non aveva paura di buttarsi in attività nuove e improvvisate; lo sapeva, quello, perché avrebbe potuto intimarle di scendere dal palco o andarsene lei stessa quando Idys le aveva fatto l’agguato per aiutarla a spiantarsi, eppure era rimasta. E aveva cantato — bene, persino!!
    Dall’accento aveva anche dedotto non fosse inglese, e quello l’aveva poi confermato il «deg un taj!!» rivoltò all’uomo che le aveva “accompagnate” giù dal palco toccacciandole con le sue manone da uomo (derogatory). Idys aveva alzato un indice di ammonimento come rafforzativo alle lamentele della bionda, e aveva guardato male l’uomo finché questi, capendo la solfa, non aveva abbassato le mani e le aveva lasciate andare. Il tocco della bionda, invece, non lo allontanò, mica era come Yoann che era sordo e non ci vedeva.
    «AT AL DEGGH!!»
    Mh, tedesca forse? Anche quando tornò a rivolgersi ad Idys in inglese, le sue parole avevano un forte accento straniero che però non le ricordava molto quello della Germana, chissà. «Siamo state bravissime e fighissime!!! Gli avremmo fatto solo un favore, esibendoci per il resto della serata!!»
    Non poteva che essere d’accordo, e glielo dimostrò annuendo e unendo le mani in preghiera. «AMEN!» Dove le avrebbero trovate altre due stelle emergenti come loro?! Buh!!! Non sapevano apprezzare il vero talento!!!
    Quando la bionda le gettò le braccia al collo e l’avvinghiò stringendola in un abbraccio stritolante, Idys capì: era italiana, probabilmente del sud o con tanti parenti, per questo estremamente espansiva e portata alle effusioni in pubblico.
    hhhh.
    Le fece comunque un patpat sulla schiena un po’ stitico, la Gaffney, preferendo di gran lunga le palpate improvvise agli abbracci – ugh troppa confidenza. – e trovandosi per la prima volta a disagio con l’altra. Un disagio, comunque, che non aveva le solite sfumature di fastidio e imbarazzo, quel disagio che la faceva sentire fuori posto; era diverso, con un vago retrogusto di tristezza e nostalgia.
    Le stringeva un po’ il cuore e Idys non sapeva spiegarsi perché.
    «Ma dove sei stata finora?? STRADORA!!!»
    «sapessi, in giro qua e là» L’aveva capito che fosse un commento retorico, quello dell’altra, ma non dire nulla le sembrava la soluzione sbagliata, non il giusto modo per rompere quello strano momento.
    Perché anche lei, stretta tra le braccia di Lux, aveva avuto la stessa sensazione: dove sei stata finora. Tornata a casa avrebbe dovuto fare una veloce lettura delle carte e consultare le sue pietre, per dare una spiegazione a tutte quelle stranezze.
    «Di sicuro lo sai già, ma stai benissimo»
    Ecco, ecco!! Un terreno già più facile da calpestare, quello dei complimenti, che Idys non si lasciò sfuggire. «oh no, ma prego, continua» ammiccò, sistemandosi i lunghi capelli rossi dietro le orecchie e osservando Lux mentre– si scolava un intero bicchiere di gin tonic alla goccia? «ah, però. sete?» lei poteva solo chinarsi al cospetto di quella dea e prendere lezione.
    Anche se: «no, Lady G non sarebbe fiera di noi,» la corresse, indice sventolato a mezz’aria e bicchiere di gin alle labbra; dopo un paio di sorsi, aggiunse: «ci chiamerebbe in tourné con lei» andava detto ed è stato detto. «dimmi un po’, sei una musicista?» Aveva imparato anche quello, osservando le movenze di Lux sul palco e il modo in cui sembrasse sempre correre a cercare uno strumento da stringere e pizzicare tra le dita, forse una chitarra? Magari un basso.
    «ma dopotutto sono uomini, è chiaro che non capiscono un cazzo di niente.»
    Rise, di gusto e con libertà, al commento di Lux: come darle torto? «già, cosa vuoi che ne capiscano gli uomini, sono solo… uomini» buoni per una o due cose, e poi inutili.
    La ringraziò per il giro ordinato, poggiando entrambi i gomiti sul bancone di legno e sostenendo il mento con i dorsi delle mani incrociate, osservando Lux. «Ti sembrerò un uomo anche io, però…» «impossibile» non con quelle forme, «… l’hai sentito anche tu, là sopra? Era quasi come se ci conoscessimo!!» Oh, quindi non era solo una sua sensazione? Interessante.
    Drizzò la schiena, giocando con il ghiaccio e quel che rimaneva del gin nel bicchiere, riflettendo.
    Un conto era una sensazione sua – era abituata, le succedeva spesso – un conto era condividere quella sensazione con qualcun altro e avere la conferma che fosse così anche per loro. Annuì, alla fine, rialzando le iridi nocciola in direzione della piacevole compagnia per quella sera. «sai, devo ammettere di sì.» Era sicura al novanta percento di non averla mai vista a scuola, quindi non si preoccupava che Lux potesse riconoscere in lei la fu Daphne (bastava già Niamh per quello.), ma non riusciva a collocarla in nessun altro ambiente. «ho un negozio, a londra, l’Hekate Emporium, magari ci siamo viste lì?» anche se non aveva mai sentito un improvviso e inspiegabile legame con altri clienti (beh, Stiles e Niamh esclusi, ma quello era un altro paio di maniche), perciò non era certa che si trattasse solo di quello.
    Qualunque cosa fosse, comunque, aveva lasciato una strana sensazione sulla pelle, e nel cuore, della Gaffney, che non riusciva a staccare gli occhi dalla bionda, e stavolta non per via di pensieri impuri. E se c’era qualcosa che le legasse, sotto sotto? Al giorno d’oggi si sentivano storie di tutti i tipi, migliori amiche che dopo trent’anni scoprivano di essere sorelle e via dicendo, magari poteva essere anche il loro caso, o qualcosa di simile? Infondo Idys, Daphne, non sapeva un bel niente della sua famiglia biologica.
    «dimmi Lux,» modalità Detective Mode: On, «vivi a Londra? hai un accento particolare, italiano forse?» minchia, stalker much???? <i>«cosa fai nella vita?» - oltre a suonare, diamo per buono che abbia già risposto a questo - «grazie per il secondo giro di gin!» le serviva, per continuare ad indagare sulla questione.
    E serviva anche a Lux per lasciarsi andare e raccontare quante più cose possibili, anche se non le dava comunque l'impressione di essere una riservata o restia a condividere informazioni personali.
    idys
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    Non è che Lux non lo capisse, quando esagerava. Anzi, lo capiva benissimo, lo sapeva ancora prima di fare le cose… eppure le faceva lo stesso. Sua madre, da regina del giudizio quale era, le faceva notare da, be’, sempre, che non era molto rispettoso nei confronti degli altri quell’atteggiamento, ma per essere fini, la bionda se ne sbatteva allegramente le ovaie. Non essere rispettosi non voleva dire quello! Lei era semplicemente espansiva; perché mai avrebbe dovuto castrarsi? Certo, poteva esserci quell’attimo di imbarazzo, ma poi tutto passava e l’altra persona capiva chi aveva davanti e si rilassava. Capiva, insomma, di essere tra amici.
    Tuttavia, questo non voleva dire che non le dispiacesse, quando si creavano quei momenti. Una piccola, piccolissima parte di lei temeva sempre che l’altra persona non recepisse, che, invece di comprendere di stare facendo la conoscenza di un’amica meravigliosa e simpatica e bellissima come lei, decidesse invece di metterle una croce sopra (e non come quelle pacchiane che le piaceva portare al collo e alle orecchie e forse anche in altre parti del corpo che non diremo) e di fuggire. Specie poi se la persona in questione sembrava interessante, e affascinante, come Idys. I suoi poveri occhi avevano bisogno di un po’ di bellezza femminile, visto che passava la maggior parte delle sue giornate circondata dai suoi cugini. E sì, c’era Gin, ma non era al castello con loro ventiquattr’ore su ventiquattro. Le sarebbe andata bene persino Crez, ma ultimamente si era chiusa con non sapeva bene quale sito d’azzardo, per cui raramente metteva il naso fuori dal dormitorio serpeverde. O forse l’aveva rapita la mafia cinese, chissà.
    Per fortuna, però, la voce di rimprovero di sua madre che le faceva notare che non a tutti piaceva essere toccati, specie poi se dagli sconosciuti, fu sostituita da quella melodiosa della rossa, palesemente compiaciuta per i suoi (sinceri) complimenti. Le sorrise, annuendo appena come per sottolineare quello che aveva appena detto. «Adoro i tuoi capelli, sono stupendi!! Avrei voluto nascere rossa, ma mi è andata male.» Sospirò con fare plateale, poi le si avvicinò cospiratoria. «Lo so che potrei benissimo tingermeli, ma…» Si guardò intorno, circospetta, come per controllare che non ci fossero orecchie di Linguini nei paraggi – dopotutto, aveva pur sempre una reputazione da mantenere. «… L’idea di tingermeli mi terrorizza.» Ebbene sì, Lucrezia Linguini, che dopo il settimo piercing aveva perso il conto e con un numero in continua crescita di tatuaggi sparsi per tutto il corpo, aveva paura di tingersi i capelli. «Soprattutto perché… rischiare di diventare pelata?» Simulò un conato di vomito, in preda a un brivido di schifo. «Piuttosto mi ammazzo.»
    Il gin tonic la aiutò a far sparire dalla mente l’immagine di sé stessa pelata e, ancora peggio, di un uomo qualsiasi pelato, la cosa che più al mondo le faceva senso e paura. E anche il commento di Idys, quando posò il bicchiere vuoto sul bancone. Stringendosi nelle spalle, si leccò le labbra. «E non hai ancora visto niente, stradora!», spiegò calandosi nel ruolo della vecchia saggia, facendole però al contempo l’occhiolino.
    «no, Lady G non sarebbe fiera di noi… ci chiamerebbe in tourné con lei»
    CON-QUI-STA-TA.
    Si portò una mano sul cuore, sfiorandosi la pelle calda e (ovviamente) nuda, e chiuse per un istante gli occhi. «Slay queen», dichiarò solenne, per poi tornare a guardarla. «Speriamo che qualcuno ci abbia riprese e metta il videro su TikTok…» I loro sogni di gloria, però, non sarebbero mai decollati, vista l’età media in sala (e il modo in cui le avevano trascinate giù dal palco). Ma ovviamente per Lux quello era solo un inutile dettaglio. Soprattutto perché, un istante dopo, era già tutta presa dalla domanda di Idys, per la quale si illuminò ancora di più.
    «SÌ!!!», tuonò entusiasta, sorridendo da orecchio a orecchio. Era estremamente convinta che il suo essere musicista le sprizzasse da tutti i pori, ma sentirselo chiedere era comunque una conquista, per lei. L’ennesima riprova del suo esserlo. «Sono una bassista, più precisamente!! E canto anche, come sai», ghignò, ringraziando con un bacio soffiato il barista che portò loro il giro successivo di drink. «Anche se mio cugino è molto più bravo. Abbiamo una band!! È lui che canta, appunto. Poi sì, compongo… cioè, ci provo. È sempre un lavoro collettivo, e mi piace, però prima o poi mi piacerebbe riuscire a tirare fuori qualcosa anche totalmente da sola. Non per una carriera da solita, ovvio, ma proprio per… soddisfazione personale??»
    Si fermò giusto il tempo per trangugiare un gran sorso, imponendosi, stavolta, di non seccare un altro bicchiere alla goccia. E fu in quel momento che capì. «già, cosa vuoi che ne capiscano gli uomini, sono solo… uomini» Anche grazie al commento della rossa. Soprattutto grazie al commento della rossa. «Omen», borbottò con una smorfia. «Scusa, non volevo monopolizzare la conversazione… e fare mansplaining.» Rabbrividì, ancora più schifata, tornando a sentire in un angolo della mente la voce di sua madre che la metteva in guardia sull’essere troppo, in tutti i sensi.
    Se non altro, secondo Idys era impossibile scambiarla per un uomo. Gesticolò, grata, e le sorrise ancora di più quando la sentì confermare le sue impressioni sul conoscersi già. Fu tentata di chiederle se per caso non si fossero divertite insieme, ma, per una volta, persino a lei sembrò poco elegante. Non solo era una donna quasi impegnata, adesso, ma non ricordare una delle sue conquiste? Ew, non era mica un uomo. Poteva essere stata ubriaca quanto voleva, ma difficilmente avrebbe dimenticato di aver messo le mani, e la bocca, su qualcuna. Specie poi se aveva le fattezze della rossa. «ho un negozio, a londra, l’Hekate Emporium, magari ci siamo viste lì?» Tamburellò pensosa le dita sul bancone, inconsciamente al ritmo della canzone che in quel momento qualcuno stava stuprando sul palco. «Forse», concesse, riflettendo. Ecco, quelle erano cose che, invece, tendeva a dimenticare. Un po’ per l’alcol, soprattutto perché non le importava abbastanza. «Però non credo. Non mi sembri una tipa facile da dimenticare.» Glielo disse guardandola negli occhi, con una serietà che faceva a pugni con buona parte del suo essere. Non ci stava provando, non solo. Era… seria, appunto. Non conosceva Idys, ma sentiva di farlo. E quell’affermazione era totalmente sincera.
    Sembrava una persona speciale. Di famiglia, quasi.
    «dimmi Lux»
    «Non è che hai…»
    «vivi a Londra? hai un accento particolare, italiano forse?»
    «… origini italiane?»
    Si zittì per un istante, rendendosi conto solo in quel momento di aver intrecciato le parole con le sue (o, come avrebbe detto sua madre, di averla interrotta), e la fissò. Poi scoppiò a ridere, il capo gettato all’indietro e i lunghi capelli biondi che le ricadevano scomposti giù per la schiena.
    «Si sente così tanto?», riuscì a chiederle tra una risata e l’altra. Anche quando pian piano si ricompose non smise di ghignare, riavvicinandosi il bicchiere per giocherellarci. «Sono italiana, sì. E tu? Dicevo, appunto… non è che hai origini italiane? La mia famiglia è un’erba infestante… siamo dappertutto! Quindi, magari…» La guardò significativamente, puntandole nel mentre il bicchiere contro per enfatizzare il concetto. Sapeva di starsi bruciando ogni possibilità di infrattarsi da qualche parte con lei, ma la sensazione che le scatenava era così simile a quella che provava stando con i suoi cugini che… sarebbe stato strano. Molto strano.
    Seccò anche il secondo bicchiere di gin tonic, battendolo con ben poca grazia sul tavolo. Si stiracchiò, quindi accavallò le gambe e scosse appena il capo per farle capire che non c’era bisogno di ringraziarla. «E ti offrirei qualcosa di più italiano, anzi, magari persino bolognese… ma non credo che in questo pustàz ce l’abbiano. Di cosa ci facciamo portare una bottiglia?»
    lucrezia
    linguini

    Ma s’io avessi previsto tutto questo,
    dati causa e pretesto, forse farei lo stesso.
    Mi piace far canzoni e bere vino.
    Mi piace far casino, poi sono nata fessa.
    2003 | BOLOGNA, IT | NEUTRAL
    GRYFFINDOR | BASSIST
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    Come spesso succedeva nella sua vita, Idys si stava lasciando trasportare dagli eventi e dalla conversazione senza fare programmi, tenendo a mente l’unico paletto fisso della sua intera (nuova) esistenza, e stando quindi attenta ai dettagli che avrebbero potuto farle intendere che Lux fosse troppo vicina a capire chi fosse veramente — fino a quel momento, però, la bionda sembrava beatamente ignorante riguardo quella spinosa questione, e quello contribuì ulteriormente a far rilassare una Idys già fin troppo a suo agio, intorno a quella che avrebbe dovuto, di fatto, essere una sconosciuta, ma che per qualche strano motivo non lo sembrava.
    «Adoro i tuoi capelli, sono stupendi!! Avrei voluto nascere rossa, ma mi è andata male.»
    Aggrottò le sopracciglia, senza capire perché quello dovesse essere un problema; lei non lo aveva mai fatto perché aveva sempre amato il suo colore naturale, ma sapeva anche che non avrebbe avuto problemi a farlo, se fosse stato necessario alla propria sopravvivenza.
    «Lo so che potrei benissimo tingermeli, ma…»
    Ecco, stava giusto per dire che la cosa poteva risolversi facilmente, che conosceva un sacco di prodotti e pozioni perfette per non rovinare il capello, e che sarebbe stata disposta persino ad aiutare (perché, tra le tante cose, era anche un'abile parrucchiera duhhh) quando: «… L’idea di tingermeli mi terrorizza.»
    Un po' il cuoricino di Idys si strinse.
    Oh povera bubi, anima speciale, cuore dolce. Paura?! Di cosa, precisamente?! Non riusciva a capire, né spiegarselo, perché per lei il concetto stesso di paura non era mai esistito (grifondoro…… derogatory………) nemmeno quando avrebbe dovuto averne.
    «Soprattutto perché… rischiare di diventare pelata?»
    Uh?!? Nel 2024???? Alzò una mano e la posò con fin troppa familiarità sulla spalla di Lux, sorridendole (ma in un modo anche un po' derogatory perché era pur sempre in parte francese, Idys, anche non sapendolo), e tentò di rassicurarla.«queste credenze popolari sono sbagliate, mia giovane amica. Esistono molti prodotti poco aggressivi o lozioni che proteggono sia il capello che il cuoio capelluto, nessuno diventa più pelato a causa delle tinte. Lasciamo che quello sia solo un problema solo genetico, che dici?! E non mi sembra assolutamente il tuo caso.» le fece patpat e aggiunse «poi, alle brutte, scommetto che staresti benissimo anche con un taglio militare o un caschetto. Hai un viso bellissimo, puoi permetterti di sfoggiare ogni look, stammi a sentire.» un po' di solidarietà tra donne non poteva mai mancare, e alla fine Idys non aveva detto nulla a cui non credesse con tutta se stessa.
    Poi, in un sussurro, prima di finire il gin tonic, disse: «ma non ti ammazzare, ok? Ci siamo appena conosciute» wink wink heart emoji moon moon moon eccetera eccetera.
    «Speriamo che qualcuno ci abbia riprese e metta il videro su TikTok…»
    Quasi Idys si strozzò con il nuovo gin tonic.
    Come scusa?!?
    Lanciò un'occhiata di sbieco alla bionda, preoccupata che quella possibilità fosse reale e concreta: e se qualcuno l'avesse riconosciuta?! Ok, lei era la prima a fare dirette su Instagram quando aveva nuovi prodotti da pubblicizzare o guide wiccan da spacciare ai babbani, ma in quelle circostanze era pronta, e soprattutto, partiva già con l'idea di mascherare parte di sé stessa per evitare di essere associata anche solo parzialmente a Daphne Blake, che fosse anche semplicemente l’accento o il modo in cui pronunciava qualche parole, o le movenze.
    Sul palco, invece, era stata se stessa. Senza filtri, senza maschera, senza finzione.
    Terribile!! Un errore da principiante, come aveva potuto?!
    Lasciò che una risatina isterica occupasse lo spazio tra loro, mentre tornava ad affogarsi nel gin e rifletteva se poteva permettersi un tecnomante in grado di hackerare tiktok (e l'intero Internet) per eliminare ogni traccia della loro esibizione. «Già!! Bellissimo, adoro!! Davvero, avrebbero dovuto…» oh mio dio tutto terribile.
    Per fortuna, però, Lux era già partita per la tangente parlando di musica e non sembrava essersi accorta del tono (sarcastico) morto nella voce di Idys. E la strega, dal canto suo, era più interessata (ed intenzionata) a rimanere su argomenti poco spinosi e leggeri come la carriera musicale della nuova amica, piuttosto che lasciar intendere che fosse leggermente preoccupata per i possibili esiti di quell’esibizione improvvisa.
    «Sono una bassista, più precisamente!! E canto anche, come sai»
    Proprio come aveva immaginato: ancora una volta le sue deduzioni erano state precise e infallibili, era proprio una Nancy Drew, con più stile e capelli più belli, ovvio.
    Sorrise leggera a Lux (che, oh mio dio) parlava davvero tanto.
    La adorava.
    Perfetta per riempire i tanti (troppi) silenzi che Idys ogni tanto lasciava — un po' per creare suspance e rendere i momenti più drammatici, e un po' perché, contrariamente a quanto sembrasse, non aveva così tanto da dire. Né la voglia necessaria per farlo. Si limitava quindi ad annuire ogni tanto, quando reputava fosse giusto farlo, e a lasciar cadere uno o due "oh, capisco" nelle (poche; quasi inesistenti) pause della bionda, felice di non dover contribuire alla conversazione ma anche abbastanza interessata da non volersene andare.
    Che, di per sé, era già una novità per Idys Gaffney, non propriamente famosa per il suo saper rimanere.
    «è molto che suonate insieme? Vi esibite da qualche parte? Potrei fare un salto, una volta o l'altra.» wink anche stavolta? Ovviamente, ma con moderazione perché c'era qualcosa in Lux che sì, la attirava, ma non in quel senso. Era un'attrazione diversa, qualcosa che non sapeva spiegarsi perché nonostante il bene che aveva voluto ai Blake e il senso di patriottismo che aveva condiviso con gli altri grifondoro, Idys non era mai appartenuta a nessun posto preciso e concreto, nello spazio e nel tempo, e di certo mai a nessuna famiglia.
    Con Lux, invece, aveva la sensazione di essere esattamente dove avrebbe dovuto (e voluto) essere.
    «Scusa, non volevo monopolizzare la conversazione… e fare mansplaining.»
    Con un gesto della mano, le fece capire che non c'era alcun problema. «Due delle mie attività preferite,» scherzò su, senza scherzare troppo. Specialmente sulla parte del mansplaining, che di solito rivolgeva agli uomini come la uno reverse card che meritavano.
    «Non mi sembri una tipa facile da dimenticare.»
    Era sempre stata un pelino narcisista e megalomane, Idys, e sentire qualcuno fare affermazioni del genere non poteva che boostare il suo ego già smisurato. Allargò il sorriso radioso e drizzò le spalle, carica di una nuova energia che solo complimenti del genere, fatti da donne del genere, poteva regalarle. «Oh, ti ringrazio.» in effetti, lo era; eppure l'aveva fatto — far dimenticare che fosse mai esistita, pullando lo scherzone più grande mai fatto a chiunque la conoscesse, e sparendo nell'etere. MA!! Le piaceva l'idea di essere qualcuno difficile da dimenticare.
    «Non è che hai… origini italiane?»
    Si distrasse un attimo ad osservare la risata di gusto dell'italiana, i capelli a ricadere oltre le spalle in maniera quasi ipnotica.
    (Il suo bisexual ass era davvero debole, ohi ohi)
    «Si sente così tanto?»
    Non rispose, perché dirle “minchia sì.” sarebbe stato poco elegante, ma si limitò ad annuire con il sorriso complice ancora sulle labbra, sorseggiando il gin tonic, e lasciando che pensieri intrusivi prendessero lentamente forma nella sua mente, all'idea di poter essere italiana anche lei — dopotutto, se non sapevi nulla della tua famiglia biologica potevi convincerti di essere letteralmente qualsiasi cosa volessi, no? Era il lato positivo (uno di molti, o di molto pochi, a seconda di a chi lo si chiedeva) della faccenda.
    «non so… non credo? Mi piace pensare di essere un po' cittadina del mondo intero,» le confessò, picchiettando con distrazione le unghie sul legno del bancone, «è un gioco che ho sempre fatto, sin da piccola» non aggiunse anche “da quando ho scoperto di esser stata adottata” perché avrebbe detto un po' troppo di leo e di Daphne, e anche se dubitava che Lux sarebbe stata in grado di collegare i puntini, avendo ben poche informazioni a riguardo, decise che fosse più saggio glissare su uno o due dettagli; infondo, non erano necessari per portare avanti la conversazione. «ma ci sono stata, in Italia! Ben tre volte» esclamò, con ancora i ricordi di quei viaggi (uno con i Blake, due in solitaria) incollati sulla pelle. «vado pazza per la cucina!» ovviamente. Era una persona semplice, Idys Gaffney, quando voleva.
    Sollevò entrambe le sopracciglia quando Lux si offrì nuovamente di offrire da bere (Idys non avrebbe mai detto di no; era povera e le piaceva farai un bicchiere in più di tanto in tanto, e se poteva non dare fondo ai suoi risparmi per farlo, era molto più che felice), ascoltandola ramblare riguardo roba bolognese che, immaginò la strega, l'avrebbe fatta sentire più vicina a casa. Aw.
    «Di cosa ci facciamo portare una bottiglia?»
    Ecco le vere domande, quelle importanti.
    «lo so che abbiamo appena bevuto due gin, ma ho davvero tanta voglia di vino rosso» suggerì con aria quasi sognante, mente posato sul dorso della mano e occhi castani a cercare idee tra le bottiglie messe in mostra alle spalle dei baristi, «mh, altrimenti una bottiglia di Jack? Johnnie Walker?» piegò appena il viso verso Lux, senza staccarlo dalla mano, e la osservò per qualche istante, in attesa di conferma o di qualche altra proposta. Idys, personalmente, avrebbe bevuto letteralmente qualsiasi cosa.
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