[PROM '23] I'll sleep when I'm dead [prompose]

fino al 30.06

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    darae sunwoo
    he called me delusional
    i think he meant delicious idk
    Si stropicciò gli occhi stancamente, odiando al solito se stesso e i suoi amici per le ore piccole fatte la sera prima pur sapendo che avrebbe passato quel giorno dopo a studiare per le ultime prove scolastiche (GUFO, anyone? d'accordo che c'era stata una guerra, che i prof sarebbero stati probabilmente più clementi, ma i Sunwoo, figlio compreso, no, quindi doveva prendere dei bei voti finali), ma anche sapendo che l'avrebbe rifatto, quella sera, il giorno dopo, o quello dopo ancora, perchè non c'era niente che preferisse al passare il tempo con i Ben, e il mal di testa e la morte interiore che provava poi quando si metteva sui libri erano passeggeri, i ricordi delle serate insieme sarebbero stati per sempre...
    o qualche cazzata simile, insomma. Ora come ora voleva solo morire, stanco come arianna le merde, non vedendo l'ora di finire il prima possibile il capitolo per-
    «uhm… ciao?»
    Ci mise un attimo, a capire che stava parlando con lui. Alzò lo sguardo con calma, gomito sul tavolo e mano sulla tempia per schiacciare e provare a uccidere (se stesso, oppure) il mal di testa.
    Non rispose alla ragazza, attendendo che si spiegasse
    «so che non ci conosciamo… o meglio non mi conosci ma…. ecco…»
    Lanciò velocemente un'occhiata all'orologio abbandonato sul tavolo per vedere che ore erano, e quanti minuti di pausa avrebbe perso più tardi (ugh, odiava quando gli sballavano i piani) tornando subito sugli occhi scuri di lei.
    No, non la conosceva.
    La sua faccia non gli diceva assolutamente niente, se doveva essere sincero, e non era neanche certo di averla mai vista a lezione. Si sentì giustificato per il fatto che (fare amicizia con gente nuova senza un motivo fosse fucking difficile) fosse grifondoro, e lui non bazzicasse spesso i loro spazi, non avendo amici lì.
    «dimmi» non propriamente scocciato, ma neanche gentile. Più annoiato che altro, come quando sai che stanno per chiederti di accendere la sigaretta, e per gentilezza accetti. Era pronto al pippone su gesù, e si stava già chiedendo come tagliarla educatamente. Non poteva neanche dirle che non aveva i polsi come sara... poteva dire che era sordo?
    No cavolo forse lei era pronta all'evenienza, perchè stava incantando un foglietto, e su questo c'era una scritta che-
    Un attimo.
    "Vuoi
    Venire
    Al Ballo
    Con me?
    "
    Guardò l'origami.
    Sollevò leggermente le sopracciglia.
    Guardò nuovamente la fanciulla.
    «non devi per forza dire sì… volevo solo chiedertelo»
    Ok.
    Ok!
    Ok??
    Ok.
    Un po' di pensieri in testa, tutti molto confusi.
    Tanto per iniziare: cosa.
    Ma chi era? Ma perchè invitarlo? Era uno scherzo? Era pietà? Minchia, l'aveva invitato perchè-... no, dai, figuriamoci. Giusto? Oddio, era stato Mood a mandarla? Oddio, lei era Mood, pronto a gaslightarlo quando avrebbe detto a tutti che una ragazza carinissima che nessuno aveva mai visto l'aveva invitato a ballo???
    ......... no ok forse il Bight aveva di meglio da fare che cose simili (aveva pure invitato la sorella di balt al prom), e i Ben non lavoravano col favore delle tenebre (tranne Gali che scappa).
    Tornando a cose plausibili: sta grifa random sapeva almeno la minima cosa su Dara o era, boh, una fan del kpop - di quelle le cui mamme fermano persone asiatiche a caso per strada dicendo "posso farti una foto? mia figlia ama i Bitiesse!" (sì, gli era successo)?
    Fece un sorriso leggero, senza che questo raggiungesse gli occhi: «Venire con te senza neanche prima corteggiarmi - o dirmi il tuo nome? Oh, i giovani d'oggi»
    Che poi, lei sapeva il suo nome?
    Fu tentato di chiederglielo: "ma almeno sai come mi chiamo?" o "abbiamo argomenti di cui parlare?" ma alla fine un pensiero lo colpì.
    Tanto non è che avesse alternative per il prom.
    Per colpa anche propria, lo sapeva, ma rimaneva il fatto che non avesse chiesto a nessuno di andare con lui, e se fosse rimasto da solo e il prom avesse seguito le regole degli scorsi anni, sarebbe stato comunque accoppiato a qualcuno a caso. Almeno questa ragazza era carina, con occhi grandi nascosti dietro occhiali spessi, e capelli puliti e ordinati, e c'era una vaga possibilità lui le piacesse. Forse non il vero Dara Sunwoo, ma in tutta onestà aveva problemi a farselo piacere anche lui, era così un male se a lei interessava la facciata che voleva far vedere? No, era una vittoria per tutti.
    Bene che andava, potevano ricreare il clichè nerd vs bad boy e lui si sarebbe fatto la figura dell'infame gira che ti rigira, aumentando la propria (ambita) anti-popolarità.
    Male che andava, era una psicopatica stalker e lo avrebbe chiuso in uno scantinato chiamandolo Jimin. Poteva andare peggio (poteva essere una fan di anime e aver pure sbagliato nazionalità).
    Era quello che voleva Dara, no? Piacere perchè era carino e aveva un'aria un po' misteriosa e da stronzo. Poteva stare nella parte.
    Se era uno scherzo, tanto di cappello a chi l'aveva pensato.
    «Ok» scrollò le spalle, e abbandonò la guancia sulla mano, testa un po' inclinata nel guardarla. Non si alzò. Non le chiese di sedersi. «passi tu a prendere me» lui e lo squadrone di Ben, ma se lei sapeva la minima cosa su Dara, doveva essere che lui fosse raramente completamente da solo - se non quando studiava. «e non ti prometto di passare la serata insieme»
    Alzò la mano libera. Due dita, e il sorriso di nuovo sulle labbra. «Ma puoi reclamarmi per due canzoni quando vorrai. Falle valere» La scrutò dalla testa ai piedi, studiandola.
    Mh.
    ripensandoci.
    «La cosa delle canzoni funziona anche al contrario»
    Cioè oddio magari era pazza come una campana (se non era uno scherzo o era nuova e nessuno aveva avuto tempo di invitarla, o era psicopatica), ma Dara aveva gli occhi, ok? Lo capiva ancora quando una ragazza fuori dalla sua portata gli chiedeva di uscire; meglio non farsela sfuggire finchè gli dava corda e non la faceva scappare.
    «Se ti chiamo, sei mia, qualsiasi cosa tu stia facendo» E suonava un po' possessivo da young adult smut tw (inserire qui tag vari), ma a dir la verità stava pensando "se mi serve qualcuno mi vada a prendere da mangiare perchè io non voglio abbandonare il fortino e rischiare di perdere il posto, mando te".
    gif code
    @ nahla
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    Il senso di colpa, nella sua vita, era sempre stato una costante. Per non essere abbastanza. Per i pensieri sbagliati. Per gli errori.
    Per l’essere sé stesso.
    Eppure, ora lo sapeva, c’era chi sosteneva che il senso di colpa fosse stato inventato proprio da quella religione che, per così tanto tempo, aveva rappresentato non solo il centro e il fulcro, ma tutta la sua vita.
    Ma adesso non era più così. Non del tutto, almeno.
    E per questo si sentiva in colpa.
    Così come si sentiva in colpa per aver pensato di continuo a lei, mentre infuriava una guerra mondiale, totale. L’aveva pensata in ogni istante, rileggendo ancora e ancora quella lettera, aprendola e chiudendola così tante volte che, alla fine, pieno di vergogna era dovuto andare da Ben per farsela riparare con un incantesimo, visto che si era consumata. E dire che non aveva davvero bisogno di leggerla: aveva imparato a memoria ogni parola già alla terza volta in cui, con mani tremanti, l’aveva aperta.
    Aveva pensato a lei, a quello che gli aveva scritto, alla paura che, da quei campi di battaglia, non tornasse mai, invece di pensare a tutti quelli che, da una parte e dall’altra, avevano deciso di combattere. A lei e a Gali, ugualmente in pericolo, ugualmente ossessionato e, soprattutto, terrorizzato, dall’idea di non rivederle più.
    Ma la guerra era finita e Bengali era tornata.
    Ed Erisha era tornata.
    Si sentiva in colpa perché, mentre lei faticava a riconoscersi, lui non poteva fare a meno di pensare che, in un qualche modo assurdo, ma giusto, adesso fosse ancora più sé stessa di quanto non lo fosse mai stata. Si sentiva in colpa perché il suo non poteva essere che un sentimento egoista, dettato dal fatto che, ora, lei fosse, in modo ancora più assurdo, simile a lui.

    Seduto alla piccola scrivania, la schiena perfettamente dritta, leggeva l’ultimo romanzo che con Erisha avevano deciso di affrontare insieme: Lolita. Si sentiva decisamente turbato e, naturalmente, in colpa. Perché gli stava piacendo. Accorgendosi di essersi un po’ accasciato tornò a raddrizzarsi, inconsciamente memore degli insegnamenti ricevuti fin da bambino: mai leggere stravaccati su un divano, o, ancora peggio, sul letto; anche nella lettura, come in tutte le cose, ci voleva rigore.
    Fu a quel punto che sentì, in successione, un rumore alle spalle, dove c’era la porta, un fischio e uno scappellotto. «Ehi!!», si lamentò, vedendo con la coda dell’occhio Paris entrare nel suo campo visivo. «Non sto studiando nemmeno io, non vedo perché debba farlo tu.» «Non lo sto facendo, infatti… stavo leggendo…» «Lolita???» Gli occhi sgranati e la risata dell’amico lo fecero avvampare e distrarre, motivo per cui non riuscì a non farsi fregare da sotto il naso libro. «N-no Paris, ridammelo… dai… è della biblioteca…!», protestò preoccupato, mentre il corvonero gironzolava per la stanza leggendo stralci tra una risata e l’altra. Ictus si fece ancora più rosso e si alzò, deciso a riprendersi il romanzo. Un passo dopo l’altro, si ritrovò nei pressi della finestra.
    PROM?, campeggiava sotto ai suoi occhi, in una distesa di allegri girasoli. Si perse a guardarli per parecchi istanti, sorridendo intenerito all’idea che qualcuno si fosse preso la briga di fare qualcosa di tanto dolce. Chissà chi era la fortunata o il fortunato a cui erano rivolti… «Guarda che se non ti muovi a rispondere devo dare ragione a Mona…» «In che senso…?»
    Fu allora che la vide.
    La fissò, le labbra schiuse per la sorpresa, gli occhi brillanti per l’emozione, il viso in fiamme per l’imbarazzo. Era bellissima.
    «allora? ci vieni con me?»
    Lui.
    Al prom.
    Con Erisha Byrne.
    Lui.
    «No amo, non sei ancora morto», gli sussurrò all’orecchio l’anima che, se lo diceva da sempre, più che essere bloccata lì, nel limbo, avrebbe dovuto prendere un direttissimo per l’Inferno. Evidentemente, però, era così sfigata da dover usare Trenitalia, quindi, invece della dannazione eterna, era una dannazione per lui. «Soprattutto a giudicare da quello che ti sta succedendo nelle mutande……………»
    Classic Sara.
    La odiava.
    E si sentiva in colpa.
    Non era del tutto sicuro di chi, tra Sara e Paris, gli stesse dando del coglione perché non aveva ancora risposto, ma non riusciva a smettere di fissare Erisha imbambolato. Sarebbe davvero potuto morire in quel momento ed essere felice così. Se non fosse che lei meritava una risposta, una vera risposta. E non quell’annuire come un deficiente a cui a breve si sarebbe staccata la testa, vista la foga con cui lo stava facendo.
    «S-sì!» No, così non bastava. Non con quella voce tutta tremolante e mezza balbettata per l’agitazione. Divenne ancora più rosso, anche se, comunque, non riusciva a smettere di sorriderle. Si sporse dalla finestra, rischiando di cadere di sotto. Ma cosa importava? Erisha Byrne l’aveva invitato al prom!! «CERTO CHE VENGO AL PROM CON TE!!!»

    Scusate il codice arriverà.

    (o forse no, conoscendomi. Slay)


    Edited by the goblin. - 30/6/2023, 22:38
     
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    Ma in che senso sono già quasi le undici. E tra un’ora scade tutto.
    HHHHHHH.
    Scusa Sana, ti meritavi molto di più.
    Il pensiero di Sara, ma soprattutto di Thor, quando fu svegliata da un rumore acutissimo in grado di perforare i timpani. Non che fosse strano che Dylan strillasse, anzi, ma quelle frequenze le raggiungeva solo quando era molto agitata. O felice. Potevano benissimo essere entrambe, ma, ora come ora, a Thor importava fino a un certo punto, visto che aveva appena interrotto il suo pisolino pomeridiano su uno dei divanetti della sala comune tassorosso. Ringhiò, non a bassa voce, ma non aprì gli occhi. Magari se fingeva di stare ancora dormendo sarebbe ripiombata la calma e Dylan sarebbe andata a urlare nelle orecchie a un’altra furia.
    Purtroppo, però, invece del silenzio sentì dei passi avvicinarsi sempre di più a dove era stravaccata, cosa che le fece emettere un altro basso e gutturale suono, come un animale infastidito. Come, poi. Thor era infastidita. Molto. Non era una dormigliona, ma di recente aveva scoperto quanto dormire fosse utile nell’evitare le proprie responsabilità, e i propri pensieri.
    La fine della scuola.
    La guerra.
    Gli esami.
    La guerra.
    Sana.
    Sana. E… ciambelline alla fragola?
    Sì, perché adesso, invece del suono dei passi, aveva sentito prima un fruscio, poi un profumo. O meglio, due. Quello della Park e quello dei dolcetti con cui amava soprannominarla sua sorella Wendy. Aggrottò la fronte, ancora a occhi chiusi, un po’ confusa. Forse stava sognando? Ma perché mescolare gli ultrasuoni di Dylan, sua sorella e la furia del suo cuore?
    Ecco, a proposito di cuore.
    Era un sogno, ma se lo sentì comunque balzare nel petto.
    I due profumi la pervasero ancora di più, portandola a inumidirsi appena le labbra, inconsapevolmente. Con un piccolo sospiro aprì un occhio. Ai piedi del divano, Dylan la fissava con un sorriso da orecchio a orecchio. Se fosse stata chiunque altro le avrebbe tirato un calcio, ma era una delle sue furie, quindi si limitò a ringhiare nella sua direzione. «Guarda che sei tu quella che russi», borbottò, sulla difensiva, sapendo che quella era una mezza verità. La Kane russava, è vero, ma anche Thor lo faceva.
    D’accordo, era sveglia. Non stava sognando.
    Ma il profumo delle ciambelline di Sana era ancora lì.
    Ancora stravaccata, Thor voltò appena il capo sul cuscino, smettendo di guardare Dylan. C’erano delle ciambelline alla fragola. C’era una scritta.
    E c’era Sana.
    Ruzzolò giù dal divano, dopo aver fatto uno scatto da gatto spaventato da un cetriolo. «Cazzocazzocazzo!!!» Colpevole guardò Sana dal basso, sentendosi andare sempre più a fuoco. «Tutto ok!! Tranquilla!! Non mi sono fatta niente!!!», si affrettò a rassicurarla, anche se, in realtà, aveva sbattuto letteralmente tutto per terra. Non si faceva male giocando a quidditch ma cadendo dal divano della sala comune…………….. «Scusami!! Sono…» Gemette, poi sbuffò. «Ok, sì. Sono un disagio», ammise con una smorfia, riuscendo finalmente a tirarsi su. Cercò gli occhi della Park, con il viso in fiamme, e solo lentamente scese a dare un’altra occhiata a quello che teneva tra le mani. Adesso il profumo era ancora più intenso e invitante.
    Sorrise, impacciata, e prese una delle ciambelline, addentandola con gusto fino a ottenere una parentesi. A quel punto se la mise davanti alle labbra, a simulare un sorriso, e tornò a cercare lo sguardo di Sana. «Non ti dirò mai di no…»
     
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    giacomino linguini
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    oddìo interiez. – Pronuncia e grafia unita, molto frequente, della esclamazione 'oh Dio', usata, con intonazioni diverse per esprimere sentimenti di varia natura:
    1) perplessità, incertezza

    es. «o., è quello che penso?» una domanda che il Vega rivolse più a se stesso che allo studente con cui stava chiacchierando in quel momento. Non perché dubitava che il ragazzo avesse sentito le note che si stavano diffondendo nel cortile del castello – sarebbe stato impossibile non farlo, con un volume così alto – ma perché era piuttosto sicuro che in pochi avrebbero potuto riconoscere quella canzone; persino al Linguini non capitava di ascoltarla tanto spesso quanto avrebbe voluto. Si guardò attorno, per cercare di capire chi avesse scelto di riprodurla, e si ritrovò a posare gli occhi su Gigio, prima, su Ciruzzo, poi, e infine su quel corpo estraneo. E ingombrante. E tutt'altro che discreto.
    es. «o., la senti anche tu?» non fece neanche in tempo a voltarsi in direzione di Erisha che la neo-special abbandonò gli appunti su cui erano impegnati quel pomeriggio e si affrettò a trascinarlo fuori dal dormitorio, senza fornirgli alcuna spiegazione. Non che ne avesse bisogno, il Vega, dal momento che 1) non aveva voglia di studiare e 2) si era convinto che l'amica fosse curiosa quanto lui di scoprire da dove provenisse quella canzone. Era certo di conoscerla; ok, non aveva idea del nome del brano o dell'autore, ma più la melodia proseguiva, più nella sua mente si delineava la scena cui quel pezzo aveva fatto da sfondo.
    es. «o., è un nostro ritratto?» ipotizzò, mentre le iridi nocciola si spostavano dagli omini in lacrime, raffigurati sul foglio che aveva tra le mani, al resto della pagina, alla ricerca di una frase, un indizio o qualunque altra indicazione potesse aiutarlo ad interpretare correttamente quel messaggio. Non era bravo a leggere i sottotesti – a volte neppure il testo principale –, quindi si fece guidare dall'istinto. E avrebbe anche potuto indicare l'esatto momento immortalato dall'amico – quando avevano dovuto fare amicizia con Jenny, conoscere l'orribile destino che le era toccato e dire addio per sempre al suo fantasma e parte della loro spensieratezza – se non fosse stato anticipato da un «è un buono» che lo portò a incrociare lo sguardo dello special in attesa di ulteriori spiegazioni. «sai, per una spalla su cui piangere nel caso l'occasione lo richiedesse»
    2) sorpresa, incredulità
    es. «O. È LA NUOVA FERRARI?» quella tanto appagante esteticamente quanto deludente nelle prestazioni? Un tempo sarebbe stato un orgoglio affermare di essere fan del Cavallino Rampante; di recente, invece, era diventata soltanto una condanna ad una lenta e perpetua sofferenza. Tuttavia, il Vega non poteva non tifare per la scuderia italiana. Era un dovere farlo. Era una tradizione. Era un momento di condivisione e una croce che potevano portare soltanto assieme. A differenza del calcio: in quel caso, non poteva essere milanista, come Gigio, perché avrebbe scontentato Lollo e Remo; non poteva essere romanista senza sentire le lamentele di Lapo; non poteva essere juventino senza rischiare di perdere il saluto di Gin; non poteva essere interista perché– beh, nessuno avrebbe mai scelto di esserlo, lo sapeva anche lui.
    Si precipitò verso la riproduzione della famosa monoposto – la bocca lievemente dischiusa, gli occhi sgranati pronti a registrare ogni dettaglio fedelmente ricostruito e le dita ad accarezzare la carrozzeria spigolosa disegnata da migliaia di mattoncini LEGO. «l'hai fatta tu?» quando? E quanto ci aveva messo? Potevano smontarla e rifarla insieme? «e la posso provare?» sarebbe stato come tornare alla loro infanzia (ma anche a pochi mesi prima), quando lui e Ciruzzo si divertivano in giardino con le loro macchine giocattolo, replicando le sfide automobilistiche che avevano visto in televisione poco prima; uniti da una passione che, per gli unici cugini costretti a rimanere in Puglia oltre le vacanze estive, aveva un significato speciale. «non è che ce n'è una anche per me?» così, chiedeva. Non voleva dare l'idea di disprezzare i regali che riceveva di solito dai cugini (tra cui i sex toys di Ciruzzo o un ingresso al Lilum per festeggiare la maggiore età), ma quella? Quella sarebbe stata un sogno! Soltanto alla fine tornò sul cartellone mostrato dal Nott e su quell'evento che, per carattere e per i recenti avvenimenti storici, aveva del tutto rimosso.
    es. «O. MA È DAVVERO SAY ANYTHING una volta superata la soglia d'ingresso del dormitorio, si trovò davanti Myrtille, che aveva con sé uno stereo, sollevato oltre la sua testa, esattamente come il protagonista della commedia in questione. Aveva trovato la clip di quell'iconica scena su youtube o «lo hai visto anche tu?» non così scontato dal momento che si trattava di un film del 1989. Non era neppure il genere preferito dal Linguini, a onor del vero, ma (aveva visto un film a luci rosse per prepararsi al primo prom) (esistevano dei cult che non poteva permettersi di trascurare, se voleva avere successo nel mondo del cinema) era sinceramente emozionato per quella citazione! Era già pronto a chiederle quanto le fosse piaciuto, se lo considerasse ancora attuale, se i protagonisti le fossero sembrati credibili, se i personaggi secondari avessero avuto il giusto spazio, se avesse avuto l'impressione che la pellicola fosse troppo breve o troppo lunga, e una serie di altre domande, quando «VUOI VENIRE AL BALLO CON ME GIACOMINO LINGUINI?» uh. Non se l'aspettava. Avrebbe dovuto, ovviamente, per una serie di lampanti motivi, ma fu colto ugualmente alla sprovvista.
    es. «O.» gli sorrise e non aggiunse altro soltanto perché l'unica cosa che il Vega avrebbe voluto fare sarebbe stata abbracciare Clay e ringraziarlo per quel regalo inaspettato. Ma «scusa, intendevo al prom» si bloccò, chiaramente confuso da quella nuova informazione. Che doveva succedere al ballo? Perché avrebbe dovuto mettersi a piangere? Ci sarebbe stato un emozionante saluto agli studenti dell'ultimo anno, preludio dei fiumi di spumante che avrebbero versato studenti e staff dopo la liberazione del castello dalla dinastia Linguini? «devo... sapere qualcosa?» possibile, eh, non capiva mai nulla di quello che succedeva «cioè non dico che avrai bisogno di piangere, spero di no» non del tutto rassicurante, ma iniziò ad abbassare il sopracciglio, e mostrare un'espressione via via più distesa, prima di sentire quel «puoi usarlo con chi vuoi, ovviamente» che lo lasciò interdetto ancora una volta. Era un regalo di Clay, perché avrebbe dovuto usarlo con qualcun altro? E perché qualcuno avrebbe dovuto accettare di sorbirsi un Giacomino in lacrime, se si fosse presentato con il suo nuovo coupon? «ma io voglio usarlo con te» nel pronunciare quelle parole, si rese conto che non suonavano esattamente come aveva immaginato. «cioè, aspetta, non è che voglio farti piangere» portò le mani avanti, per impedirgli di parlare prima che potesse spiegarsi meglio – anche se sperava che Clay avesse capito da sé quello che lo special avrebbe voluto lasciar intendere. «dico, se dovessi averne bisogno. In futuro. O a breve, chissà» non lui, non aveva mica capito se dovesse preoccuparsi o meno del prom «ma, ecco, potrei venire da te?»
    3) spavento, agitazione
    es. «oddio?»
    La stessa preoccupazione che avrebbe dovuto provare se avesse anche solo tentato di immaginare che i progetti di Ciruzzo per l'ultima festa del loro ultimo (professori: *manifesting*) anno scolastico. Eppure, «mi passi a prendere con questa vero?» non contava nient'altro in quel momento.
    O quella che lo avrebbe animato se si fosse soffermato sul testo di Your Eyes, se avesse colto i segnali lanciati da Myrtille o se non avesse scelto di credere che anche lei, come Dylan, gli avesse chiesto di andarci come amici. «oh, grazie, mi piacerebbe» un incipit che avrebbe potuto essere accompagnato da un ma, se a pronunciarlo non fosse stato lo special. Valutò per un istante i pro e i contro della faccenda, sforzandosi in un esercizio cui era così poco abituato da fallire immediatamente. «c'è anche mio cugino, Ciruzzo» e forse, in seguito, sarebbero stato raggiunti dal resto della famiglia, pronta a festeggiare la fine del percorso scolastico ancor prima di sapere se sarebbero riusciti a superare i MAGO. «ti va se ci andiamo insieme?»
    Quella che avrebbe dovuto provare, sapendo che Nonno Lino avrebbe impugnato il testamento dopo aver scoperto la nazionalità di Myrtille.
    O quella che– nah, non si preoccupò affatto quando anche Clay gli fece la stessa proposta. Era semplicemente senza parole, sopraffatto dagli inviti che aveva ricevuto e dalle manifestazioni d'affetto nei suoi confronti. Si lanciò verso il ragazzo e lo strinse in un abbraccio, prima di liberarlo dalla presa, allontanarsi e sorridergli con occhi e fossette – pack completo. «certo!» «come amici, eh» e lo special era anche stato chiaro fin da subito! Quindi non sarebbe stato un problema andarci in quattro, giusto? «ci troviamo in sala comune!»
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    18 | VII
    vega
    crono
     
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