[PROM '23] I'll sleep when I'm dead [prompose]

fino al 30.06

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    It's fate, not luck.

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    I'll sleep when I'm dead prom
    Vado di riciclaggio duro anche qui, no shame.

    Ed anche quest'anno è giunto il momento tanto atteso, ed in egual misura temuto, del prom. Come gli anni precedenti, il vostro comitato di fiducia si è impegnato per assicurarvi una serata che non dimenticherete facilmente - nel bene, o nel male.
    Ma non sarebbe un prom, se non ci fossero gli inviti: questa è la discussione che fa per voi.
    Come funzionano i prompose? (non funzionano) Può trattarsi di post, mini-post, o quel che vi pare: foto, canzoni, video. Potete spiare la discussione degli anni scorsi (2020 - 2021 - 2022). Siate fantasiosi o prevedibili, trash o sconvolgenti, ma soprattutto non state a sbattervi come uova in padella o a farvi mille paranoie: noi siamo qui per il drama, non per giudicare. Se non sapete chi parteciperà al prom, vi consiglio di tenere d'occhio la discussione con le iscrizioni (click) che tanto sono obbligatorie quindi insomma. Dovete per forza invitare qualcuno? No, ma se non promposate nessuno, sappiate che alla fine interverrà il Fato e vi darà un degno compagno di prom, perchè almeno il dolore del partecipare ad un ballo di fine anno sarà equamente diviso in due #cosa. Ultima cosa!! Dovrete per forza rispondere in questa discussione alle vostre prompose, sia per accettare che per rifiutare. Potete fare post, altri bigliettini, oppure scrivere semplicemente sotto spoiler "si" "no" "manco fossi l'ultima persona sulla faccia della terra"
    E niente, penso sia tutto. Ricordate gli achievment (cosa? cosa) Avete tempo fino al 30 Giugno, ma non fate le bestie dell'ultimo minuto altrimenti Dylan vi grida nell'orecchio tutta la sera perchè l'avete fatta aspettare
    coppie
    ― Adriana 'Dre' Aguilar & Kaz Oh
    ― Bennett Meisner & Mona Benshaw



    Edited by ad[is]agio - 26/6/2023, 12:41
     
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    C’erano momenti in cui Ciruzzo brillava per il suo estro, altri in cui brillava e basta.
    Questo era uno di quelli in cui stava per dare il meglio di sé.
    Attese paziente nel cortile interno del Castello che gli Special finissero le lezioni di quel giorno, lucidando gli ultimi mattoncini di quell’opera d’arte. Appena lo vide, fece segno a Gigio di far partire la canzone per attirare la sua attenzione. Le note di tempi ormai andati si diffusero man mano nell’ambiente circostante, una melodia che loro non erano più abituati a sentire, le orecchie ormai sature di un altro inno che aveva ormai iniziato a far loro compagnia nei pomeriggi domenicali.
    Una volta colto lo sguardo del cronocineta, sollevò il cartellone che aveva preparato solo per lui: “🏎GIACOMINO, WANNA MAKE VROOM VROOM AT THE PROM WITH ME???🏎”. Il tutto mentre era a bordo della sua Ferrari F-23 costruita da lui personalmente, lego dopo lego, iastima dopo iastima.
    Non era molto, ma sicuramente sarebbe riuscita a non andare a muro come una monoposto del cavallino rampante qualunque.
    Fece scendere gli occhiali da sole sul viso e, sguardo verso la cinepresa: “It’s Ciruzzo, bitch.”
    Read between the lines
    What's fucked up, and everything's alright
    Check my vital signs
    To know I'm still alive, and I walk
    Gryffindor, VII
    19 y.o., Italian
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    Ezra Nott
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    Erisha Byrne
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    Let me inside
    Wish I could get to know you
    La vita di Erisha Byrne era cambiata.
    Aveva preso, inizialmente, quel cambiamento come se fosse stato qualcosa di orribile, come se non fosse stato il suo corpo quello, guardava le sue mani e non riusciva ad accettare che in lei non ci fosse più magia in se
    e poi un giorno aveva visto nel suo nuovo potere una possibilità
    rinascita
    aveva l’abilità di creare la vita, di restituire bellezza a ciò che era appassito, grigio e renderlo colorato.
    Allora lo aveva accettato, aveva accettato di essere una geocineta e pian piano stava iniziando a convivere con i suoi poteri.
    C’era una cosa che non era cambiata però, da quando era partita per la guerra, qualcosa che non si sarebbe mai aspettata dopo la delusione d’amore che aveva ricevuto mesi prima, qualcosa di completamente nuovo, in un certo senso: il batticuore per qualcuno, le farfalle nello stomaco (vi vedo che state pensando che è tutto terribile, vi odio) e non per il ragazzo che era stato il suo primo bacio, non per colui con cui aveva avuto il suo primo appuntamento.
    Per qualcuno con cui si riuniva il sabato mattina in biblioteca, per leggere di festa amorose, qualcuno a cui aveva scattato una caramella, non sapendo ancora quanto fosse capace di entrare nel suo cuore (e non solo).
    «allora siamo d’accordo, no? io fischio e tu lo fai affacciare» disse erisha, osservando il portiere della sua ex squadra, quello faceva ancora male, ouch, mentre affondava le mani nelle tasche della felpa«mi raccomando, non fargli capire nulla» guardò paris alzare due pollici e incamminarsi verso chissà dove, sorrise mentre a piedi scalzi si incamminava sotto la finestra incriminata, quella dove si trovava il quadro della signora grassa, che aveva scelto per le sue grandi gesta; pantaloncini corti e felpa oversize, non si era nemmeno cambiata d’abito, tanto Ictus l’aveva vista in pigiama più volte di quante avesse voluto, ora che erano nello stesso dormitorio, poggiò le mani sul prato chiudendo gli occhi e sentendo fluire il potere fra le dita, uno sfregolio sopportabile e piacevole, quando sollevò le palpebre dei girasoli erano cresciuti in modo che potessero formare la scritta “PROM?” sul verde del cortile, ed erano fortunati che ci fosse il sole, quel giorno.
    Così fischiò, con due dita tra le labbra «PARIS! ci sei?» e sorrise, mettendo una mano dinnanzi al viso, braccio disteso, per ripararsi dai raggi solari ed osservare l’espressione di ictus mentre si affacciava «allora? ci vieni con me?» una mano di fianco alla bocca per amplificare il suono, mentre sorrideva verso ictus e sperava le dicesse di si.

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    Geokinesis
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    Edited by Melanie~ - 14/6/2023, 14:54
     
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    i see it, i like it, i want it, i got it
    adriana dre aguilar
    telekinete16 yomusician
    i've gottwo ticketsto ironmaiden, baby
    Aveva pensieri confusi, Adriana Aguilar.
    Sempre, ma in quel momento in particolare.
    La canzone sbagliata, le scimmiette che battono i piatti, l'immagine stampata sulla retina di Kaz Oh che si chiede ma chi è questa.
    Aveva la chitarra ancora sulla schiena, i piedi nelle sneakers ben saldati a terra alle porte di Different Lodge.
    Well, come on and let me know, should I stay or should I go?
    Appropriata, ma non era quella.
    If I go, there will be trouble.
    And if I stay, it will be double
    .
    E giustamente la sua testa non faceva altro che suonarle quella. Era proprio un classico della sua vita avere in testa l'esatto contrario di ciò che dovesse succedere, di quello che aveva preparato, di quello che voleva.
    Frustrata sì, ma arrendevole mai, si mise a sedere sullo sgabellino che si era portata dietro, che l'aveva seguita per i corridoi come un cagnolino obbediente.
    Memorie di un'adolescente telecineta ce l'aveva sul comodino, era il manoscritto che un giorno avrebbe voluto pubblicare, e che in realtà non era altro che il suo stupido diario pieno di appunti, canzoni, foto... ma perlopiù canzoni.
    «Il peggio che può succedere è un'umiliazione pubblica che mi porterebbe inevitabilmente a lasciare Hogwarts», dichiarò solennemente alla volta di Kul, il suo alleato in questa impresa titanica.
    A ripercorrere quelle vecchie memorie, effettivamente, il nome del fratello dell'Oh che l'affiancava compariva... qualche volta, okay? Solo qualche. Non è imbarazzante, look away, i said look away.
    (Era imbarazzante, ovviamente. Ma che volete, aveva sedici anni!)
    Dell'umiliazione pubblica, tra l'altro, Dre non aveva mai avuto paura. Ma quando si trattava di Kaz, my oh my. Una tragedia. Non era nemmeno mai così drammatica tranne per effetto comico ben piazzato. Le piaceva far ridere gli altri, era una cosa che la rendeva felice. E le piaceva farli cantare, anche.
    Mostrò un sorriso a trentadue denti dotato di ben poca convinzione all'amico - che poteva benissimo aver deciso autonomamente di non voler essere suo amico, ma per lei lo era -, e imbracciò la chitarra come si deve, cominciando ad accordarla, tra le dita il plettro dei Lynyrd Skynyrd che portava sempre nella tasca dei jeans, la sua most prized possession.
    Avrebbe pure strimpellato qualcosa per attirare qualche passante.
    «Vabbè dai ora vi faccio Wonderwall».
    Silenzio tombale. Aspettò una reazione. Agli inevitabili mormorii di fastidio avrebbe forzato una risatina.
    «... stavo scherzando». In effetti stava scherzando, ma non pareva in vena, palesemente vibrando a frequenze inesplorate.
    Il piano era chiaro (lo era?): l'ombrocineta avrebbe dovuto portare il fratello in mezzo alle altre (probabilmente due) persone lì davanti.
    Non appena l'avesse scorto, accenno di sorrisino ebete sul viso e tutto, avrebbe fatto finta di testare il microfono. Ce l'aveva? Ovviamente no, era la mancina stretta a pugno.
    «Prova prova? Questa è per te».
    Lo stava guardando e indicando, mentre la sua testa le suggeriva comunque che probabilmente non si sarebbe ricordato come si chiamasse. Vabbè, dettagli.
    Era abituata a dare concerti a caso senza che nessuno glieli chiedesse, esibendosi su palchi improvvisati che molto spesso erano gabbiette della frutta arrangiate l'una sull'altra per farla sembrare più alta. Ciò a cui non era abituata era cantare davanti alla sua crush storica, specialmente la sua rendition di Teenage Dirtbag che trovava così perfettamente accurata - e lo era, lo era davvero (cit.), l'unica cosa che mancava era una fidanzata per Kaz che a lei potesse stare sulle palle. Ma diciamocelo, andava bene.
    «... come with me Friday, don't say maybe...», ah, la sua parte preferita: lo sfigato finalmente riceve una gioia.
    Manifesting.
    «Mi chiamo Dre e di solito sono meno imbarazzante, vi prego venite ai miei concerti e donate qualcosa per le corde nuove, grazie e buona giornata!», annunciò, alzando la voce appositamente, per poi finalmente alzarsi in piedi.
    «... ah, sì, il punto». Forse. «Kaz», lo richiamò, e di nuovo ecco comparire il sorrisino ebete, «vuoi venire al ballo con me?». Ti prego.
    i'm just a teenage dirtbag, baby, like you
    no, she doesn't know what she's missing!
     
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    mood bigh
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    I am disruptive, I've been corrupted
    And by now I don't need a fucking introduction
    Aveva i suoi motivi, Mood. Sempre. Ogni decisione, presa o accettata che fosse. Ogni scelta, perfino quelle che parevano distratte e casuali. Ogni parola, pronunciata o trattenuta.
    Era machiavellico, ed un calcolatore. Pragmatico prima di tutto il resto, e certamente sopra principi e morale. A quel punto, quindi, aveva davvero importanza quali fossero le motivazioni dietro ogni gesto del Serpeverde? Avrebbe cambiato qualcosa?
    (.)
    La verità era che ciascuna di quelle cause avrebbe dipinto un Mood Bigh diverso, e lui lo sapeva. Sapeva anche di essere un disonesto bugiardo, ma che fossero tutte un po’ sincere, a loro modo. Conscio che alcune fossero più confortanti e semplici di altre, era a loro che si appellava quando il dubbio si insinuava suggerendo una strada diversa. Secondaria, magari, che lo tentasse a lasciare la via principale per esplorare le diramazioni. Ma era così che ci si perdeva, e Mood odiava le distrazioni: sceglieva l’obiettivo, valutava come arrivarci, e principalmente ignorava i mormorii a persuaderlo a fare qualcosa di diverso.
    Magari qualcosa che volesse realmente fare, e che non fosse un mero compromesso per altro.
    Tipo farsi i cazzi propri, banalmente. Era fra il Prefetto e Dio quanto volesse farsi i cazzi propri, lontano da Hogwarts, dalla Scozia, dal sistema, ma soprattutto dalle persone. Raramente erano un’incognita, loro; capitava, raramente ma capitava, che lo fosse lui stesso con loro - e quello, Mood Bigh, faticava ad accettarlo.
    Tendeva a non fingere, almeno per sè. Avrebbe voluto, ma nessuno l’aveva graziato con la mediocrità dell’essere umano di non saper scindere cosa fosse o meno dettato da egoismo, e cosa non lo fosse. Egoista lo era, d’altronde; soprattutto, voleva esserlo.
    Abbastanza da sapere che di motivi quel giorno ne avesse, e ne avesse una lista intera. Tutti razionali e giustificabili, logici e pensati.
    Abbastanza da sapere che se fossero stati abbastanza, l’avrebbe già fatto.
    ...O forse no. Magari aveva solo rimandato per lasciar credere che ci fosse qualcosa di più, dietro quel gesto. Magari davvero non aveva un cazzo di voglia di farlo, ed allora aveva eccezionalmente esitato fino all’ultimo giorno disponibile.
    Magari non gli importava.
    Magari sì.
    Più probabilmente no.
    Magari poco.
    Vi dirò: quasi sicuramente no.
    Quasi, uh?
    Sospirò. Le mani affondate nelle tasche della divisa, il labbro inferiore succhiato fra le labbra e stretto appena sotto gli incisivi. La catena di pensieri che l’aveva portato a quel punto, era piuttosto facile ed intuibile:
    1. al prom non voleva andarci, perché non sopportava nulla del concetto stesso di ballo di fine anno,
    2. ma ci sarebbe andato comunque, perché era quello che qualunque adolescente avrebbe fatto, e il Bigh tendeva sempre a rimanere nell’area grigia dell’abbastanza senza sforare né in eccesso né in mancanze. Andare al prom implicava farlo con qualcuno, e
    3. dopo una eterna relazione della durata di due mesi esatti con Kami (in lockdown si annoiava, e lei era stata un ottimo pretesto per fingersi normale mentre tutto andava a puttane; perfino divertente, quando non asfissiante), lei l’aveva lasciato, spezzandogli il cuore (che non aveva, quindi sarò breve: aveva scelto Kami apposta perché sapeva fosse la cotta storica della Remover, l’altra prefetta Serpeverde, quindi aveva fatto in modo che passassero abbastanza tempo insieme perché la scintilla alla fine scattasse, così da vincersi il senso di colpa di Starr, quando lei gli avesse rubato la ragazza, perché facesse anche i suoi turni di ronda: una vittoria per tutti) casualmente prima del ballo di fine anno, cosa della quale si era dispiaciuta tantissimo, ed aveva reso Mood molto triste ma comprensivo (come se non avesse cercato in tutti i modi di accelerare con i tempi per evitarsi di essere costretto ad andare al prom con interesse, e di lasciare prove tangibili della loro relazione negli annuari di Hogwarts) e, a conti fatti, senza accompagnatrice. Il che significava dovesse affidarsi al Fato, oppure
    4. osservare a tavolino le opzioni, chiedersi quale fosse la meno peggiore, ed al contempo la più utile. Aveva degli standard e delle normative in merito, sapete; c’era stato tutto un processo specifico per ricadere su quella persona. Proprio quella al fianco della quale si sedette, prendendo posto sul divanetto al suo fianco. Non era uno da grandi gesti, Mood Bigh, e non lo faceva perché lo vedessero gli altri. Solo per se stesso. Solo per se stesso?
    Quattro mesi prima avrebbe riso, se glielo aveste detto.
    Due? Pure. Un po’ di più, perfino.
    «ti donano» prese una ciocca rosa de capelli di Liz, sollevandola e lasciandola ricadere sulla spalla. Liz Monrique. Lei, che sapeva sempre come attirare l’attenzione, e gli avrebbe permesso di passare in secondo piano; lei, che in guerra aveva partecipato per Abbadon, ed anche se nessuno sapeva che quel demente di Just fosse suo fratello, Mood preferiva sottolineare da quale parte della barricata stesse in quel modo sottile che in qualunque momento gli avrebbe permesso di cambiare la propria versione; lei, sempre fatta, che non avrebbe capito nulla concedendogli di non pensarci troppo.
    Lei che c’era stata un po’ ovunque, come una maledizione, ad accompagnarlo in alcuni dei momenti più terribili della sua vita – Check con un’anima punto gemella, Balt che vomitava nel secchio dove avevano appena cercato di affogarsi – e di cui portava testimonianza nella tasca dei pantaloni. Ancora stretti nel palmo, come un segreto.
    Avrebbe potuto fermarsi lì la lista.
    E magari lo faceva.
    Ipoteticamente, potevano essercene altri, di punti. Tipo che Liz meritasse di andare al suo ultimo ballo con qualcuno che effettivamente volesse andarci con lei, e non con altri; che le offrisse il palmo sapendo di stringere il suo. Su quello, con Mood era in una botte di ferro, perché non c’era mezza anima al mondo con cui avrebbe voluto affrontare quel supplizio, considerando quanto poco volesse andarci. Poteva davvero essere l’unica; per una sera, poteva concedersi e concederglielo, e sarebbe stato credibile. Tipo che gli sarebbe, come una qualsiasi vittima della sindrome di Stoccolma, mancata quando si fosse diplomata.
    E la peggiore. La peggiore di tutte. Quella più facile da credere per chi non lo conosceva, perchè era un così bravo ragazzo, ed impossibile per Mood, perchè non lo era neanche un po’.
    «uno» tolse la mano dalla tasca per poggiare il primo oggetto sul tavolino di fronte alla concasata: una piccola lapide, con tanto di prato in zucchero e fiori in marzapane. «è commestibile» specificò, lanciandole un’occhiata di sottecchi. «questa volta» l’ombra di un sorriso, perfino sincero. «due» lo agitò nel palmo, prima di poggiare il secondo oggetto sul tavolo. Una di quelle palline che quando agitate facevano piovere neve su cittadine di montagna, e che in quel caso lasciava glitter sul profilo di una nave. Aveva valutato l’idea di regalarle un pappagallo, ma alla fine l’essere permaloso aveva vinto, ed era stato abbastanza arrogante da tenerlo – di nuovo – solo per sé, così Liz imparava a fare la rosicona infame. Quanti ricordi (derogatory) tutti i war flashback della sera del parrotgate [ed è sempre lele in background che ascolta i lunghi silenzi di sara, e le domanda con voce sottile, mentre giocano a lol: ma hai letto]. Ma «se guardi bene, c’è anche balt» no, non morto a galleggiare nell’acqua, anche se l’avrebbe sicuramente fatto sentire meglio in merito a tutto. Il suo ricordo migliore, aver ucciso Baltino. Ci pensava più spesso di quanto avrebbe dovuto, per self care. Era proprio lì, il Tassorosso, sulla nave. Con il secchio che aveva accolto prima il loro narcisismo, e poi il vomito del Monrique post rum avariato. L’aveva cercata con attenzione, quella pallina lì. In un mese. Perchè -
    «tre.» era un semplice bracciale con qualche fiore, il classico bouquet da ballo di fine anno. Extra, e con qualche piuma – non di pappagallo. - perché quella era Lissette Monrique, non la versione sbiadita di quell’ultimo mese. Potevano almeno fingere, per una sera.
    Esitò.
    Solo un istante.
    Aveva scelto l’ultimo momento possibile, consapevole che in quel mese la ragazza dovesse aver ricevuto – e accettato, rifiutato; non aveva importanza – altre richieste, perché magari non gliene fregava un cazzo del prom, a Mood. Magari voleva gli dicesse no.
    Perchè ...
    voleva solo ….
    …..?
    respiri profondi.
    «se non tutto,»
    risollevarle il morale?
    Derogatory.
    «almeno un ballo?»
    Non sarebbero mai stati amici, perchè il Bigh non ne aveva, ma – qualcosa.
    Di meno. Ma qualcosa, che era comunque più di quanto avesse concesso a molti altri. Abbastanza da volerle togliere quella patina di tristezza dallo sguardo almeno per quei trenta secondi di conversazione.
    «sono un ottimo» ballerino? Anche, ma soprattutto «toyboy» le sorrise, un po' più Mood del solito, ammiccando gentile.


    Meno male che non era telepate, perchè per sentirsi meglio rispetto all'idea che potesse effettivamente importargli qualcosa dei Monrique e non ironicamente, pensò fortissimo al momento in cui aveva ucciso Balt.
    Di nuovo? sì.
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    bennett meisner
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    She's a revolver, revolver, revolver
    Ci aveva provato, Bennett. Abbastanza da ritenere tutti i suoi sforzi imbarazzanti, e costringerla a peggiorare il proprio umore giorno dopo giorno: era intrattabile, e lo sapeva; insopportabile, ed era conscia anche di quello. Una lunga settimana di metà Giugno (late nights in the middle of juuuune) in cui aveva comunicato solo a versi come un Romolo Linguini qualunque – derogatory, sempre – ed a cui aveva permesso di stare al proprio fianco solo a Tuc (il magico uccello della giungla, sì, lui, con cui andava d’accordo perché ogni mattina cercava di cavare gli occhi alla scimmia palmata. Gini o Lollo? Entrambi).
    «UCCIDO QUALCUNO» e così aveva concluso l’ennesimo tentativo fallimentare, schiaffando una mano sulla torta glassata male poggiata sul tavolino delle cucine, panna e marmellata a schizzare sul musetto sorridente e confuso di Ficus. UGH! Strinse la mano a pugno sul pan di spagna, perché con il ben provava sempre uno specifico tipo di violenza intenerita che l’avrebbe voluta con le dita a strizzargli il faccino facendogli male. Ma non voleva, quindi inspirò profondamente, e poi afferrò un grumo di quel che era rimasto della torta ficcandoselo inviperita in bocca.
    Basta. BASTA. CI AVEVA PROVATO, OK? Quello era il suo sesto – ed ultimo - tentativo, e Bennett Meisner si vedeva costretta ad accettare la resa. Non aveva abbastanza pazienza, la Corvonero.
    Mai.
    Aveva chiesto a Paris di insegnarle ad usare la chitarra. Non riuscendo ad emulare i movimenti dell’altro, all’ennesimo ci vuole pratica, ce la puoi fare supportive della sua male waifu, si era vista obbligata a dirgli che lo amava, sì, ma l’avrebbe comunque accoltellato.
    Aveva provato con Balt ed il basso; aveva spaccato lo strumento preso in prestito da uno dei compagni contro la parete, gridando la propria frustrazione al broncio del Tassorosso – che aveva bisbigliato, piano, almeno non è la mia.
    Aveva provato a disegnare un murales con Dara, ma sceglieva i colori come fosse stata daltonica, e le sue linee erano tutte spezzate a metà. Lui le aveva detto che secondo il suo parere andasse bene comunque, ma forse fosse il caso di provare altro; Bennett gli aveva svuotato la bomboletta blu fra capelli e colletto.
    Si era seduta al fianco di Ictus sulla panchina del pianoforte. Uno spartito sapeva leggerlo, ma le mancava la coordinazione, ed allora aveva spalmato tutte le mani sui tasti nella cacofonia più infernale che fosse in grado di partorire.
    Appollaiata sul muretto alle spalle di Gol, aveva preso fra le mani il doc dove scrivere un essay con tutte le motivazioni per cui fosse impossibile dirle no, e dopo aver battuto le palpebre diverse volte a tutti gli interventi dell’amica, aveva scelto di chiudere il portatile prima di chiuderle la bocca.
    Viveva così, Ben. Tutta agli estremi, raramente quelli positivi, e se non riusciva nel proprio intento nell’immediato, alzava le mani in segno di resa. Una fortuna che nelle cose in cui fosse brava, lo fosse da sempre. Una laterale fortuna che dove non lo fosse, qualcuno lo fosse per lei. «però era buona!!!» Ruotò gli occhi scuri, molto lentamente, sul volto impiastricciato di zucchero di Ficus. «ti voglio troppo bene.» secca, senza ammorbidire il tono; non ne aveva comunque mai avuto bisogno, ed il sorriso del compagno quasi bastò a placare la furia omicida della Meisner.
    Quasi.
    «hai provato a chiedere -»
    «no.»
    «a -»
    «ficus»
    «bengali?»
    Alla fine l’aveva detto. Ovviamente, l’aveva detto.
    No, non aveva chiesto a Gali. No, non progettava di farlo nel futuro immediato, né nei cinque anni successivi. Sì, era arrabbiata, e sapeva mantenere quella furia per molto, molto tempo: perdonare non era il forte di Ben. E lo sapeva, Gali.
    Ma se n’era andata comunque.
    Ed era tornata. Diversa.
    «ti voglio davvero troppo bene» lo soffiò fra i denti con una violenza che avrebbe fatto interrogare sulle proprie scelte di vita perfino Balt - lo stesso Balt che si era lasciato uccidere da uno sconosciuto, proprio lui – ma a cui Benjamin non battè ciglio. «aw, anche io bennina!!»
    Ed allora Ben fu costretta a sospirare ed abbassare il capo, svuotando la propria rabbia al pavimento. «non so cosa fare» mormorò, muovendo appena le labbra. Magari non avrebbe fatto, per togliersi il pensiero. Magari l’avrebbe chiesto e basta, perché non era così che funzionava Ben? Non era così che funzionavano loro? Poteva infilarsi sotto le sue stesse lenzuola, stringerla da dietro, e domandarlo – demandarlo - con le labbra premute sulla sua spalla. Perchè no? Tanto non esisteva mezzo scenario al mondo in cui la storia non andasse così, scritta sull’Hogwarts Express cinque anni prima.
    Ma era il primo prom.
    Era diverso.
    E non le importava di uno stupido ballo, soprattutto non in quel periodo, ma le importava non perdersi l’esperienza - neanche una, neanche mezza. Aveva tutto il tempo del mondo, ma sentiva sempre che non fosse abbastanza.
    Lo era?
    Le sembrava contato. Misurato e calibrato per quegli anni lì, passati fra libri e ampolle. Una parentesi prima di una vita che immancabilmente avrebbe finito per allontanare tutti, perché si cresceva e si cambiava. Perchè delle scelte, prima o poi, bisognava farle.
    E Ben sapeva quale sarebbe stata la propria.
    «però scusa bennina, queste sono tutte cose che piacciono a noi, no? A te non piace cucinare. O ti piace?? possiamo farlo più spesso! Ho trovato una ricetta -» «ficus» adorava ascoltarlo, ma ogni tanto andava spento forzatamente: Ficus era come il computer di Elisa, tutte pagine aperte su argomenti diversi, e tutti insieme.
    Battè le palpebre, Ben.
    Una volta, due volte. «ripeti quello che hai detto» sentiva il pensiero lì, da qualche parte. Sulla punta della lingua.
    «della ricetta??»
    «no, prima»
    «...non lo ricordo, scusa»
    Sospirò.
    Ma sorrise perfino, perché lei invece lo sapeva: «sei un genio»
    «AWWWW LO SONO??? GRAZIE, ANCHE TU»
    «sì.» & that was it, avrebbe ucciso chiunque avesse detto il contrario, fuck you ALL.

    Gali era tornata dalla guerra, ma con le loro soiree Ben ci aveva preso gusto, quindi la tradizione della tavola Ouija e Ictus Medium (che rovinava sempre il divertimento dicendo che non ci fosse nessuno a parlare, ”kom’è poxibile che si muovi sulla ouija e dica w la fig -”, DUH TAKE A HINT GOBLIN) era rimasta.
    Quindi, tutti i ben erano riuniti per il solito incontro. Se Gali ci fosse o meno, non le importava: non la cercò neanche con lo sguardo, mentre porgeva a tutti dei palloncini.
    «il remake di it?» sei divertente, Balt.
    «il pagliaccio lo abbiamo» (derogatory)
    «forte!»
    Come li adorava e venerava. Alzò comunque gli occhi al cielo, perché era Ben. Accese la torcia stretta nel palmo, mandando un segnale al resto dei compagni – che confidava fossero da qualche parte – i quali avevano ricevuto precedenti, e specifiche, istruzioni: forse la Meisner non sapeva come farsi voler bene da tutti, ma era comunque persuasiva.
    Quindi.
    Annuì fra sé.
    Segnale: mandato.
    Ben10: avvisati.
    Indicò a tutti di lasciare i loro palloncini – rosa, ovviamente – nello stesso momento in cui altri palloncini, neri, si aggiungevano ai primi.
    E qualcosa che le piaceva fare, c’era: Bennett guardò Mona, arcuò entrambe le sopracciglia, e soffiò un bacio sui nove coltellini incastrati fra le nocche. Li lanciò uno ad uno, evitando quelli neri per far esplodere quelli rosa. Una frase un po’ da montare, forse, perché non era così magica e precisa da azzeccare l’ordine, ma una che avrebbe fatto tipo
    1. ma
    2. quindi
    3. ci
    4. vieni
    5. al
    6. prom
    7. con
    8. me
    9. mona
    (il 10 di Gali sarebbe stato un punto di domanda, ma era davvero una proposta? Così, era molto più Ben.)
    Se lo ripetè drizzando la schiena, ruotando un sorriso sulla concasata.
    «i coltellini li raccoglie balt, poi.» l’avevano addestrato al riporto apposta!
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    kaz oh
    I guess I maybe had a couple expectations
    Thought I'd get to them, but no I didn't
    I guess I thought that prom was gonna be fun
    Now I'm sitting on the floor and all I want to do is run
    Avrebbe voluto avere almeno una ferita, Kaz. Qualcosa di fisico e concreto su cui potere mettere un cerotto colorato, e poi disegnarci sopra una faccia. Qualcosa a cui togliere la crosta appena formata, così da giustificare il sangue sulla pelle.
    Qualcosa di tangibile da toccare, che lo rendesse più reale. Lo rendesse suo.
    Ed avrebbe voluto essere un bugiardo migliore, saper sorridere meglio e provarci un po’ di più, invece la prima notte al fianco di Clay aveva pianto e all’abbraccio di Dylan non era neanche riuscito a guardarla negli occhi. Lui che di parole ne aveva sempre avute mille, si ritrovava ad aprire la bocca con nulla da dire. Che di menzogne ne aveva inventate così tante da non essere mai stato credibile, non riusciva a trovarne neanche una per giustificare lo sguardo assente e gli spasmi ai rumori troppo forti. Andava bene anche così, no? Cosa poteva dire, dopotutto.
    Cosa poteva farci.
    Teneva la voce più alta del dovuto con Neffi ed Erisha perchè erano Neffi ed Erisha, e si svuotava come un palloncino non appena voltavano l’angolo, perchè era Kaz. Non un soldato, non un sopravvissuto, non un eroe né un martire; un sognatore, al massimo.
    Aveva smesso anche quello.
    Al comitato del prom si presentava solo quando glielo chiedevano. Sapeva - lo sapeva - che fossero tutte scuse stupide per averlo lì con loro, e che quel che gli domandavano di fare potessero farlo benissimo da soli, ma non significava che fosse anche in grado di reagire in proposito. Perfino mormorare un grazie sembrava fuori luogo – troppo poco, per così tanto.
    Per cosa, poi. Per chi.
    Quando invece di arrendersi allungavano una mano verso di lui, Kaz la prendeva ma chiudeva gli occhi. Da sempre, o perlomeno, quando contava di più e quelle dita facevano la differenza. Perchè….? Eh, perchè. Perchè “così andava la vita” non funzionava come risposta? Nel suo personale – ed egocentrico – AU, l’Oh si era convinto che lo facessero per compassione, e ogni tanto, non sempre, voleva qualcosa di più. Voleva sapere di meritarsi qualcosa di più. Guadagnarselo, forse. Così gli sembrava uno scambio troppo poco equo. NON LO SAPEVA, OK? SI VERGOGNAVA E BASTA. Di cosa, non avrebbe saputo dirlo.
    Erano giorni che si teneva lì quella cosa, Kaz. Doveva, come il rospo in gola di Lele, proprio sputarla. O vomitarla come Balt. Togliersela dal sistema. Ci pensava, e lo torturava, e non aveva senso, ed allora ci ripensava, e si sentiva stupido, e «kul» si odiava perché avrebbe dovuto fare come Gesù ma non sapeva se fosse in grado di seguire i suoi stessi consigli e «kul» cioè davvero era inconcepibile, al solo pensiero gli veniva da piangere, ma aveva forse un’alternativa scusa. «kul?» Corrugò le sopracciglia al fratello, fermo di fronte all’entrata al dormitorio. Non era mai stato il più sveglio in famiglia, ma di solito attendeva un momento aesthetic per buggarsi a fissare il vuoto.
    Ma non stava fissando il vuoto.
    Seguì lo sguardo dell’Oh su Dre, chitarra alla mano e sorriso sulle labbra.
    Oddio, erano capitati nel messo di una prompose. Ma proprio in quel momento? Davanti alla sua insalata? Perchè Kaz aveva appena deciso di ammettere al fratello, e di conseguenza a se stesso, che al prom non ci voglio andare, Kul, morirò da solo, ok, avevi ragione, essere quasi bello non è servito a niente, NIENTE, ma poi chi mi vuole alla festa, e perché qualcuno dovrebbe venirci con me, SONO UNA PERSONA TRISTE KUL, nessuno mi vuole, ma com’è possibile - alzò la mano per salutare la ragazza, un po’ confuso ma presente; alzò anche un pollice nella sua direzione, perché stava andando benissimo! . cioè assurdo, voglio solo essere amato un pochino, e invece ancora nessuno a stalkerarmi e scambiarsi le mie foto in pvt commentando quanto sono cute, nessuno mi ferma per strada per chiedermi il numero, MA SCUSA COSA DEVE FARE UN RAGAZZO NEL 2023 PER AVERE LA SUA - «oddio bro ma è per te?» - STUPIDA RELAZIONE DA ROMCOM, DOV’ERANO I SUOI HEART EYES, PERCHè NESSUNO GLI SCRIVEVA MESSAGGI ANONIMI DICENDOGLI CHE IL SUO SORRISO FOSSE BELLISSIMO ANCHE QUANDO NON SORRIDEVA COSì AVREBBE SORRISO E - «no vabbè a te prima che a me ma scusa» - E BASTA NON ANDAVANO COSì AVANTI LE SUE FANTASIE, VOLEVA SOLO ESSERE VISTO TM, e oh in effetti Dre lo stava guardando.
    Aveva parlato ad alta voce? Era abbastanza certo di non aver parlato ad alta voce.
    «bro ma ho detto -»
    «kaz»
    No vabbè, voleva sotterrarsi. Le aveva rovinato tutto? Portò una mano alle labbra, occhi spalancati.
    «oddio scusa non volevo è stato accidentale non era mia intenzione ma davvero cioè è che sono alto e arriva meno ossigeno è andata benissimo e » «vuoi venire al ballo con me?» «sei stata bravissima giuro continua pure come se non ci fossi non è colpa mia sono nato così e » thinkin.
    Si fermò. Corrugò le sopracciglia. Guardò Kul, e guardò il sorriso di Dre.
    E viceversa.
    E le persone.
    «ma»
    thinkin.
    Fece una piroetta sul posto cercando Clay o Dylan nascosti da qualche parte, l’avevano architettato loro?, o qualcuno alle proprie spalle a cui potesse riferirsi e -
    sospirò un sorriso. «oddio, hai detto raz. pensavo -»
    Dre:
    Kul:
    Kaz:
    Dre:
    Kul:
    Kaz:
    «pensavo? Haha. Niente! Cosa pensavo. Ti pare»
    «ha detto kaz»
    L’aveva fatta imprecare?? AVEVA ROVINATO DAVVERO TUTTO?? «ma per colpa mia??»
    «bro» pump. Pump pump.
    «bro…?»
    Thinkin. Buffering di tre secondi netti, sopracciglia corrugate e sguardo nel vuoto.
    Impossibile. Perchè avrebbe dovuto - a lui? Quelle cose mica succedevano davvero, a Kaz. Solo negli au (un derogatory molto preciso). Fitz l’aveva invitato, sì, ma erano amici, e molti interessi in comune, invece l’Oh non sapeva manco suonare il triangolo e Dre era troppo bella e lo rendeva NERVOSO QUINDI NON AVEVANO MAI AVUT VERE CONVERSAZIONI, LE PIACEVANO I GATTI O I CANI? NON LO SAPEVA, ECCO! «hhhh» ommmmmioddio. Premette i palmi contro le guance bollenti, cercando di rimpicciolirsi il più possibile.
    «ma il ballo il prom?» JUST CHECKIN.
    E sorrise, finalmente. Ridacchiò perfino, guardando ovunque eccetto che la ragazza, sventolando il piede al suolo. «con me?» era sicura. Ma proprio sicura sicura. «sì insomma. Se ti va? E non hai meglio di fare? lo capirei» Kaz, ma te l’ha chiesto lei. «e nessuno ti ha costretto vero» KAZ. «certochevogliovenirealballoconte?» AIUTO?
    «se vale ancora»
    Magari aveva cambiato idea.
    Magari era uno scherzo, ma a quello scelse di non pensare, perchè Kaz ancora credeva nelle persone.
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    Myrtille Roux
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    But every time I look at you, I just don't care
    'Cause all I wanna be, yeah, all I ever wanna be, yeah, yeah
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    «Iris, ti prego, devo proprio?» una sconsolata Myrtille Roux vestita, di proposito, con trench beige, pantaloni neri e scarpe da ginnastica veniva spinta da sua sorella verso il cortile della scuola «Non vorrai fare la froussarde! dai su!» Myrtille cercò di piantare i piedi per terra inutilmente, nonostante fosse lei quella col gene della licantropia delle gemelle «Ma gli ho mandato una lettera prima di tornare a scuola, je me suis déclaré! e mi ha ignorata platealmente, non sono pronta ad un altro rifiuto» era un discorso sentito e risentito, sua sorella si era sorbita quelle parole almeno un centinaio di volte durante il loro soggiorno in provenza, quando erano tornate a casa per la guerra, e non erano poche le volte in cui l’aveva presa senza tante troppe cerimonie per i fondelli, era possibile essere più sfigate? dichiararsi a voce ed essere fraintesa, SCRIVERE UNA LETTERA ED ESSERE IGNORATA, era palese il fatto che Giacomino non volesse avere niente a che fare con lei.
    e allora perché aveva fra le mani uno stereo portatile, che tra l’altro pesava un accidenti, fra le mani mentre sua sorella la spingeva verso il dormitorio degli special?
    Se lo chiedeva anche lei, a dirla tutta, aveva avanzato quella ipotesi suicida e irragionevole qualche settimana prima ed Iris era stata entusiasta, probabilmente felice di togliersi dalle orecchie i lamenti di Myrtille, e l’aveva aiutata, costretta, ad organizzare quella pazzia.
    Era basata sui film babbani, durante il periodo di vacanza dalla scuola ne aveva visti a bizzeffe, non assolutamente per fare colpo, nono, specialmente Say Anything, beh potreste immaginare quello che stava andando a fare.
    o forse no, effettivamente.
    Si era completamente dissociata, Myrtille, mentre sua sorella le faceva segno di accendere con lo stereo sbracciandosi, si guardava intorno come se volesse che qualcuno accorresse in suo aiuto, salvatemi dall’ennesimo cuore spezzato con annessa figuraccia avrebbe voluto dire, ed invece accese lo stereo e lo portò sulla testa, il che era abbastanza comico visto che era letteralmente un fuscello, e mentre partiva Your Eyes di Peter Gabriel Myrtille avrebbe voluto sprofondare sempre più nell’oblio, ed invece si ritrovava ad essere la versione scadente di Lloyd Dobler.
    Vide l’ex capitano corvonero spingere fuori dal dormitorio Giacomino, e distolse stupidamente lo sguardo mentre arrossiva «vuoi venire al ballo con me?» masticato, biascicato «più forte!! non ti ha sentito!» suggerì iris, e finalmente Myrtille guardò il ragazzo prendendo un grosso respiro «VUOI VENIRE AL BALLO CON ME GIACOMINO LINGUINI?» niente, aveva appena fatto la più grossa figuraccia di tutta la sua vita, ed era quasi certa che sarebbe stata rifiutata, al 99,9%
    wikihow come sotterrarsi

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    && all the stars aligned:
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    in the same room
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    desdemona benshaw
    Desdemona Fae Benshaw non era il genere di ragazza da cadere vittima dell'ansia; non cedeva nemmeno alle pressioni, sopportando ogni cosa con classe e un'infinita dose di pazienza e buon viso, figurarsi quindi se avrebbe lasciato mai che un pensiero da poco come quello del prom, quando doveva già affrontare gli esami del quinto anno e le conseguenze di un conflitto mondiale, facesse deragliare la propria vita, gettandola in spirali di tormento e nervosismo e— «benagol payne» appena un sussurro, il suo, e due tizzoni cerulei a premere come lame affilate contro l'amica, aldilà del tavolo, che come unica colpa aveva quella di aver girato la pagina del libro un po' troppo rumorosamente.
    Desdemona Fae Benshaw era assolutamente calma. Un fiore. Una cazzo di rosa — bella, pronta per essere colta, ma ricoperta di spine che non ci avrebbero pensato due volte prima di pizzicare e ferire e far sanguinare.
    Era il ritratto della serenità. «fai silenzio, o ti faccio cacciare dalla biblioteca» Un fottuto giardino zen, ecco cos'era.
    Distolse lo sguardo da Gol, riabbassandolo sugli appunti.
    No, non gli appunti di Storia della Magia che avrebbe dovuto ripassare in vista degli esami, affatto. Erano appunti molto più importanti, una lista di idee alcune irrealizzabili, altre troppo banali, altre ancora potenzialmente pericolose (le sue preferite). Ma nessuna clamorosa abbastanza da farle esclamare sei proprio tu, quella che cercavo — che era esattamente il tipo di messaggio che voleva far passare, la cheerleader, con quella maledetta proposta. Perché nonostante tutto, nonostante camminassero sempre sul filo del rasoio, due punti di vista, e due mondi, troppo distanti per trovare un punto in comune, in qualche modo, lei e Bennett Meisner funzionavano, e la compagna di casata era esattamente quello: ciò che Mona aveva inconsapevolmente cercato, e trovato, anni addietro. Sapeva che Ben sapesse, ma non era mai stata nemmeno il tipo di ragazza da lasciare le cose non dette, o solo accennate: Mona era incredibilmente e brutalmente onesta, le sue opinioni e le sue credenze sempre espresse affinché il resto del mondo conoscesse perfettamente da che parte si trovasse, dove mettessero radici i suoi ideali. Bennett Meisner era sempre stata il suo punto fermo, a undici anni come a sedici e come a trenta; su quello, Mona ci avrebbe scommesso qualsiasi cosa, anche la più cara che avesse mai stretto fra le dita.
    Tuttavia, quella della proposta per il prom si stava rivelando una questione complicata, una che la corvonero era intenzionata a sbrigarsi da sola, perché se Cherry le aveva mai insegnato qualcosa, in quella vita, era che facendo da soli non si poteva sbagliare. Mai. Avrebbe potuto tranquillamente chiedere idee ai Ben10, fare un brainstorming con ciascuno di loro, persino chiedere alla prof Hatford, ma non voleva. Doveva essere una sua idea, dall'inizio alla fine.
    Non fraintendete: di idee, Mona, ne aveva avute in quantità industriali, abbastanza per fare una promposal diversa ad ogni bella ragazza del castello; ma nessuna adatta all'unica che le interessasse davvero.
    Aveva pensato di scriverlo sulle tette, audace e provocante come sapeva essere, conscia che Ben avrebbe sicuramente apprezzato la vista ma anche che non sarebbe stata una proposta adatta a lei; poi aveva pensato di essere diretta e tagliare corto, pragmatica come loro sapevano essere, fermandola dopo uno degli incontri del comitato e ricordarle perché fosse inevitabile che andassero insieme, loro due; aveva pensato anche di chiederglielo mentre studiavano, nei bagni, come prendere le sembianze animali e mantenerle per più di qualche minuto, ma non l'aveva fatto. Nessuna di quelle volte, e nemmeno quelle dopo; le era quasi scivolato dalla bocca una sera, sul divano della sala comune, mentre studiavano per gli esami, con la testa di Ben sulle sue gambe e le dita della mancina intracciate a quelle di lei. Ma non l'aveva fatto. E aveva tenuto la bocca chiusa anche quando la giocatrice aveva aizzato Tuc contro Romolo Linguini, in mezzo al cortile pieno zeppo di studenti tornati tra i banchi post guerra, facendolo finire di faccia contro una delle colonne; lì Mona aveva chiaramente sentito qualcosa di più scaldarle il petto, oltre il divertimento causato dalla scena, ma non aveva ceduto, stava ancora cercando l'occasione perfetta, e il modo migliore per farlo non era di certo sbottare davanti a tutti, senza senso e senza rifletterci. Non era una cosa da Mona Benshaw.
    Aveva perso il conto delle volte in cui aveva dovuto mordersi il labbro inferiore per evitare di rovinare tutto.
    Ma finalmente, finalmente!, ormai a pochi giorni dal ballo, aveva trovato l'idea perfetta e la situazione perfetta in cui realizzarla. Doveva solo resistere ancora qualche ora, superare la seduta spiritica ormai divenuta rito anche se la special era, ahimè, tornata dalla guerra.
    (Se Bennett serbava rancore, per Mona non esisteva più alcuna Gali.)
    Non aveva nemmeno prestato più di tanta attenzione a Gol che, chissà dopo quanto tempo, aveva deciso di riprendere le sue cose e andarsene, salutandola con un breve "a dopo" al quale Mona non aveva risposto. Sì, sì, a dopo, bla bla. C'era quell'unica idea non ancora cancellata da testarde linee nere, ma bensì sottolineata più volte, ad osservarla di rimando sapendo di essere quella giusta.
    O almeno così sperava Mona.
    Quando raggiunse gli altri Ben, da sola, lo fece a testa alta e sicura di sé, un piccolo secchio di latta stretto al petto come se ne andasse della sua vita, e per il quale aveva riservato occhiate assassine a chiunque avesse cercato di avvicinarsi e chiedere cosa contenesse, o peggio, sbirciare dentro. Era una cosa tra Mona, la Ramos, e tra poco, sperava, Ben. Perché alla fine aveva deciso di vivere quella promposal così come aveva vissuto gli ultimi cinque anni: condividendola con la sola persona che meritasse di sapere; degli altri non le interessava assolutamente nulla.
    Si aspettava di trovare i ben già tutti lì, certamente, e considerando che fosse anche in ritardo di qualche minuto (a causa della deviazione verso le serre di erbologia) non fu certo quello a fermarla all'improvviso sui suoi passi. Ma piuttosto i palloncini lanciati in aria, rosa e neri, inconfondibili; e il cenno che Ben le rivolse prima di tirare fuori i coltelli e iniziare a colpire uno ad uno i palloncini rosa.
    Mise in terra il secchio, Mona, per portare le mani al petto, euforica. Monet FTW. E ancora con il sorriso sulle labbra, prima di dare una vera risposta alla mora, diede un calcio al secchio, rovesciando in terra il contenuto: terriccio. Banale, normale, umido. Le chiese di attendere un attimo, dito a mezz'aria, mentre recuperava una fialetta direttamente dal reggiseno (come Sara e gli accendini) per poi rovesciarne il contenuto (sangue, di cosa o chi non è dato saperlo). Tempo qualche minuto, e dal terreno iniziarono ad apparire i primi boccioli, che in poco divennero un cespuglio di rigogliose rose nere macchiate di rosso; un tipo di fiore particolare, trovato quasi per caso in uno dei libri presi in prestito per preparare una pergamena di Erbologia, ma capitato così al momento giusto, che Mona non era riuscita a non considerarlo un segno del destino. Attese pazientemente che tutte le rose sbocciassero, più delicate di tante piccole farfalle, e con una vita ancora più breve: quel particolare fiore, infatti, appassiva nel giro di poche ore, rimanendo in vita solo se colto. Con un colpo di bacchetta, arrangiò le rose di modo che le macchie di sangue potessero formare, sui petali pece, una parola chiara ed inequivocabile: prom. Senza punto di domanda, e a giudicare dalla proposta appena ricevuta, aveva fatto benissimo a non avere il minimo dubbio.
    Prese dunque il coltellino con manico rosa e cosparso di brillantini, regalo proprio della Meisner, e lo utilizzò per cogliere una delle rose, facendo ben attenzione a pizzicare il polpastrello con una spina, per far sì che il proprio sangue rendesse possibile parte della magia che teneva in vita la rosa una volta strappata dal cespuglio.
    Ad un passo da Ben, allungò il fiore verso la concasata e le sorrise. «se non si fosse capito, è un sì.» solo una persona fuori di testa avrebbe mai potuto pensare che la loro storia non sarebbe andata precisamente così.
    mona @bitchcraft
    soulmates are stupid I ♡ U on purpose
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    ficus millepied
    Sweet creature
    We're running through the garden
    Oh, where nothing bothered us
    But we're still young
    I always think about you
    and how we don't speak enough

    aveva atteso pazientemente il suo turno, ficus.
    seduto a gambe incrociate sul pavimento, i gomiti a premere sulle cosce e il mento appoggiato contro i palmi. quella era la sua posizione™, perché a stare seduto su una sedia finiva sempre per sentirsi a disagio: non riusciva a stare fermo, le ginocchia gli finivano sempre in bocca perché evidentemente fuori misura (mai come ictus, povero goblin), e non sapeva mai dove mettere le mani.
    per terra, così raggomitolato su se stesso, si sentiva già più in pace con il mondo.
    «sai cosa, Paris? sei una merda» il tono morbido della Meisner aveva appena decretato la fine di una discussione particolarmente accesa, durante la quale nessuno dei ben era riuscito a cavare dalla bocca del Tipton più di quanto già non sapessero — va bene Parigi, tieniti pure i tuoi segreti.
    tanto Theo era condannato comunque, ammissioni spontanee o meno.
    il che riportava, seppure indirettamente, al bigliettino che Benjamin teneva appoggiato sulla gamba, il numero 6 scritto sopra a pennarello.
    perché si, alle riunioni dei ben10 bisognava mettersi in fila come dal macellaio della esselunga al sabato mattina.
    «oh Ficus, ci sei?» c'era? ottima domanda. annuì, il diciassettenne, passando una mano nei capelli biondi prima di distendere le gambe davanti a sé; sembrava nervoso? era nervoso??? una data da segnare in rosso sul calendario «si, allora—» le iridi cerulee del diciassettenne fecero un giro passando da un volto all'altro, il cuore a scaldarsi un po di più man mano che incrociava i loro sguardi — la sua famiglia.
    sorrise, e si fece un po più di coraggio; grande e grosso com'era, la contrapposizione con il lieve rossore a tingere le guance imberbi era letale «il prom» ah, il prom [derogatory per molti, ma non per Ficus]: aveva sempre sognato di andarci in gruppo con i ben, perché senza la loro presenza costante al proprio fianco non era del tutto certo di poter sopravvivere.
    e voleva ancora andarci con loro, eh!!!!! la gang non si infama! però
    però.
    «stavo pensando» e già qui abbiamo un problema «che potrei invitare Jojo. cioè, vorrei??» nove paia di occhi presero a fissarlo con maggiore intensità, qualcuno vibrando un po' più di altri. e il Tassorosso accolse quelle vibrazioni per ciò che erano: love language «magari ha già degli impegni» annuì, la zazzera bionda a seguire i movimenti del capo.
    non un'ombra di tristezza o apprensione nella voce del ragazzino, mentre preventivava a se stesso la possibilità di ricevere in cambio un rifiuto — faceva parte della sua natura, accettare i no senza leggere motivazioni più profonde tra le righe. dopotutto, nessuno gliele aveva mai fornite.
    batté lentamente le palpebre, entrambe le sopracciglia inarcare, in attesa.
    poteva quasi vedere gli ingranaggi muoversi dentro quelle nove teste [redacted] e gli venne spontaneo sorridere; morbido, da orecchio ad orecchio.
    quando tutti guardarono ben, non si sorprese, ficus. dopotutto, era lei che li aveva presi uno ad uno per la collottola e messi insieme come ingredienti di una porzione: tanti, apparentemente slegati tra loro, tenuti insieme da una forza che andava oltre la disperazione. la guardò anche lui, raddrizzando le spalle.
    «ok ficus, adesso ascoltami bene»
    e ficus ascoltò.


    ficus: quali sono i piatti tipici australiani?
    nessuno:
    nessuno:
    ma proprio nessuno:
    google: zUPpa di oSTRiChE e tORTinO di cANgURo
    ficus: [yikes].
    ci voleva poco a confondere il Tassorosso, ma niente come quella ricerca su Internet. anche perché aveva reso il suo (di ben) piano più complicato del previsto: mica poteva nascondere la pallina dentro una zuppa di ostriche, no? quanto alla carne di canguro... eh, troppo extreme persino per lui.
    quindi alla fine aveva optato per una onesta via di mezzo.
    «jojo! ehi!» quando l* vide, sedut* su una delle panchine nel cortile della scuola, ficus sollevò il braccio destro per richiamare la sua attenzione, il sinistro nascosto dietro la schiena. ci mise poco a raggiungere l* special, con quelle gambe da fenicottero che si ritrovava, e ciondolando sul posto piantò i piedi proprio davanti alla panchina «ti stavo cercando!» non era il solito sorriso, quello che apparve sulle labbra del sedicenne, ma uno leggermente più tirato — si trovava in un territorio inesplorato, ficus.
    fuori dalla sua comfort zone, per la prima volta abbandonato a se stesso.
    beh, piu o meno.
    potevamo come non potevano esserci delle losche figure (9) nascoste dietro i cespugli alle loro spalle, ma it was none of JoJo's business.
    «volevo darti questi» mostrò finalmente la mano nascosta, le dita a stringere un sacchetto bianco di carta che porse a Jojo invitandol* ad aprirlo. all'interno avrebbe trovato una scatola di latta con dentro una manciata di biscotti Anzac, tipici del continente, e un avocado intero «ho provato a seguire la ricetta, spero ti ricordino un po' l'Australia. paese stranino forte comunque, ma è vero che si mangiano i canguri?» che vi devo dire, aveva già perso il filo del discorso.
    da un cespuglio giunse un *delicato* colpo di tosse, quasi in codice morse, e ficus annuì: back on track.
    «quello invece dovresti aprirlo» indicò il frutto, che era già stato tagliato precedentemente a metà e poi riassemblato.
    ed è qui che parte la musica? grazie Paris.
    e le mille lucciole a fare ambient? idea di benagol.
    ciascun ben aveva partecipato all'Operazione Jojo, chi assicurandosi non passasse nessun altro (come servizio d'ordine avevano piazzato ictus a spaventare la gente), chi assaggiando i biscotti (ben), chi costringendo ficus a cambiarsi d'abito almeno sette volte in dieci minuti — alla fine mona gli aveva ribaltato tutto l'armadio senza trovare qualcosa che le andasse a genio, e aveva rimediato portandolo a fare shopping: un sogno, forse una favola.
    e fu nel colletto della camicia nuova che ficus strinse entrambe le mani, incapace di stare fermo sul posto, mentre Jojo apriva l'avocado in due: all'interno, dove normalmente sarebbe dovuto esserci il seme, l* special avrebbe trovato una pallina di plastica; come quelle che si prendono alle macchinette con dentro i Winnie the Poo, esatto.
    dentro quest'ultima, un bigliettino piegato in quattro
    siamo sopravvissuti insieme alla casa infestata, cosa vuoi che sia un prom! ci vieni con me? potrebbe essere SPAVENTOSAMENTE divertente!!!!! e ci aveva pure disegnato i fantasmini?
    oh, ficus.
    età media: 5 anni.
    bubi.

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    park jojo
    But I don't want to stay in the middle
    Like you a little
    Don't want no riddle
    말해줘 say it back, oh, say it ditto
    아침은 너무 멀어 so say it ditto
    La volpe non smise di ringhiare (nè spostò lo sguardo) neanche quando Jojo puntò gli occhi scuri su di lei.
    «Noona» la richiamò non senza una nota di rimprovero, trattenendo a malapena la tentazione di inserirci altro in quella parola, la magia a sfrigolare sulla lingua. La fennec allora alzò la testa, il rumore gutturale ancora a vibrare fra loro. «le stai spaventando. Per favore»
    Ci fu uno sbuffò - quasi umano - e Noona si acquattò sulla panchina, muso posato sulle zampine mentre tornava a fissare il grembo di Jojo dove le ranette colorate non sembravano particolarmente a loro agio.
    Jojo alzò una mano per accarezzare il pelo fra le orecchie della volpe (che chiuse gli occhi, immediatamente più tranquilla), mentre con l'altra mano libera sfiorò uno a uno con l'indice i musetti delle rane.
    Non poteva chiedere alla volpe di non essere gelosa, ma poteva chiederle di controllarsi - che era una po' la morale di vita di Jojo. Poteva non essere perfettx, poteva provare sentimenti sbagliati, ma poteva anche impegnarsi a essere la versione migliore di se stessx, perchè aveva la possibilità di scegliere le proprie azioni, e sceglierle bene.
    «riproviamo dall'inizio?» chiese von voce bassa alle ranette.
    Noona fu la prima ad accorgersene.
    Si era tranquillizzata (forse alla fine Jojo aveva usato un po' di magia; poca, davvero), ma alzò la testa sentendo i passi avvicinarsi, le grosse orecchie a scattare leggermente.
    «cosa c'è?»
    Anche Jojo lo sentì nell'aria prima di spostare lo sguardo e vederlo, l'empatia a far palpitare l'aria (e non solo). Sorrise un po' inebetita, agitando la manina in aria. C'era chi la faceva impegnare a essere la versione migliore di se stessx, e chi semplicemente la rendeva tale solo standogli vicino
    «jojo! ehi!»
    La ragazza si svegliò giusto in tempo per rendersi conto che non era pronta, e con una certa urgenza e mormorii bassi («ci siamo. ci siamo! scusate. Vi chiamo io. Scusate») nascose le ranette dentro il terrario con cui le aveva portate fuori. Un miagolio in risposta, ma non sembrava di lamentela, quanto un "buona fortuna".
    «ciao, Ficus!» Restò seduta per qualche istante, guardando dal basso verso l'alto il ragazzo che la torreggiava. Visto che era un po' inopportuno quello a cui stava pensando, la special si alzò di scatto, le guance ad arrossarsi leggermente sotto il trucco - «ti stavo cercando!» - e poi ancora di più, ma per un altro motivo. Si sistemò automaticamente la parrucca e la camicetta.
    «mi hai trovata»
    Quando finalmente riuscì a mettere da parte i propri sentimenti, e lo guardò negli occhi, sentì qualcosa. L'empatia gli sussurrò all'orecchio le emozioni di Ficus (anche se Jojo non avrebbe voluto vederle, per rispettare la sua privacy; era stato semplicemente istintivo), e aggrottò le sopracciglia, un po' spaventata.
    «va tutto bene?» pensò che forse Ficus aveva bisogno del suo aiuto, e pensò che glielo avrebbe dato, di qualsiasi cosa si fosse trattato - che le fosse piaciuto o no.
    «volevo darti questi»
    Prese titubante il sacchettino, guardando dentro e- ah.
    Incurvò le labbra, rialzando lo sguardo. «ho provato a seguire la ricetta, spero ti ricordino un po' l'Australia»
    «ficus»
    «paese stranino forte comunque, ma è vero che si mangiano i canguri?»
    «ficus» ripetè, cercando di attirare la sua attenzione, mordendosi il labbro inferiore mentre sorrideva, pronta a saltargli addosso, abbracciarlo più forte che poteva perchè non ricordava nessuno fosse mai stato tanto gentile con lei e- l'insinuazione sui canguri la distrasse a scoppio ritardato. «non è così strano» fece una smorfia pensierosa, l'accenno di un sorriso ancora sulla bocca; non era offesa, solo incuriosita «insomma, non più strano che mangiarsi un cervo, o un cinghiale, anche se a me-»
    «quello invece dovresti aprirlo»
    «ah! Scusa» era stata maleducata a non farlo subito? Voleva assaggiarlo con lei? Magari non l'aveva mai preso, e voleva che fosse con Jojo la sua prima volta! ("Title of- nO") Chissà se doveva dirglielo che non era originario dell'australia, o poteva tenersi per sè la cosa. Si era persa il momento di abbracciarlo, ma l'avrebbe fatto dopo l'avocado. Dopo avergli passato il sacchetto per avere le mani libere lo prese in mano e
    partì la musica.
    Sollevò di nuovo la testa, labbra verso l'alto e sguardo curioso su Ficus per chiedergli con gli occhi se la sentiva, e se- un attimo. Non era- no dai. Non era stato- era stato lui? Per lei? Occhi sempre più grandi sul tassorosso, manco si accorse subito delle lucciole, ma quando lo fece il cuore iniziò a battere un po' più felice (typo, volevo dire veloce, ma anche felice è azzeccato), ed era contenta che Ficus non potesse sentirlo.
    «le lucciole non sono tipiche australiane» mormorò, una domanda nascosta fra le righe, di cui sperava la risposta fosse no, non stava facendo tutto quello solo per farla sentire a casa (non serviva il cibo dall'australia, per quello).
    Aprì l'avocado, già tagliato. Labbra strette fra loro, perchè il sorriso non diventasse troppo grande, mentre prendeva la pallina da gatcha, e come a un gatcha pregava dentro di sè che fosse la sorpresa che aveva puntato.
    Lo era.
    «oh, Ficus, pensavo non me l'avresti mai chiesto» finalmente gli lancio le braccia al collo, abbracciandolo, abbastanza alta da riuscire a nascondere il viso alla base del suo collo (o forse no, non ho cercato le loro altezze) e annusare il profumo di biscotti e di buono. Lo strinse forte, un po' più a lungo del dovuto, e solo quando si rese conto che era Ficus, e l'abbraccio e basta poteva non essere sufficiente, disse contro la sua pelle: «certo, certo che ci vengo al prom con te»
    Si staccò, a un certo punto, fremendo, sorriso ebete, non certa di cosa dirgli- finchè non sentì un miagolio.
    pensavo non me l'avresti mai chiesto
    Cioè.
    Sinceramente.
    Non pensava ormai glielo avrebbe chiesto. Ficus aveva tanti amici, e Jojo sapeva che nel suo cuore loro si piazzavano più in alto di lei - e le andava bene (se lo faceva andare bene). Ma anche per questo «ti avrei invitato io» ci avrebbe provato, almeno, pronta ad un rigiuto in caso.
    si voltò verso il terrario (e fu quasi sicura di vedere un paio di ranette farle il pollice alzato), e si chinò per prendere sulla mano libera una ranetta gialla e luminosa, con un cappellino a forma di banana. E un piccolo papillon di carta con un "?" disegnato tante volte sopra, come se fosse stato un cattivo di Batman.
    Tutte le ranette nel terrario lo indossavano, con lettere diverse.
    P
    R
    O
    M
    ?
    (dal cespugli: «aaaahhhhh ecco perchè- ouch! non mi hanno mica sentito!»)
    «avevo un- piano. Ma ci stavamo lavorando» un miagolio. Un altro. Quattro in tutto, contando la ranetta gialla, che con un po' d'impegno potevano sembrare una canzone, che però si perdeva sopra la musica di Ficus. Jojo abbassò lo sguardo imbarazzata, perchè nella sua testa suonava meglio. Forse non era stata un'idea intelligente cercare di insegnare a delle rane mutate a cantare una canzoncina di fantasmi (per la strada abbandonata, capito? no? ah) che magari lui neanche conosceva-... ma si chinò comunque a dare un buffetto col naso alla rana banana, un "siete bravissime!" non detto. «non sono abituata a non poter fare magie o al low budget, e mamma non voleva che comprassi- quindi ho pensato di- non importa» Allungò la rana gialla a Ficus, sguardo basso «potresti tenerla tu, nell'estate. Lei è d'accordo» questa miagolò per confermare.
    Jojo indicò il terrario. «non le terrò tutte io, ma- sono amiche. Le ranette. Quindi ogni tanto potremmo-» si strinse nelle spalle, mordendosi il labbro e rialzando lo sguardo, cercando di suonare allegra e leggera. «vederci. per farle giocare insieme. Anche quando la scuola sarà finita e non-... ci vedremo più» implicito: quando non sarai obbligato a vedermi a lezione, e sarà facile scordarsi che siamo amici.
    Ed era un po' più di una proposta per il prom, ma era anche un po' meno di un appuntamento perchè capiva che Ficus non avrebbe voluto quello. Si sarebbe accontentata, se poteva tenerselo per un po', se poteva averlo nella sua vita.
    «hai tempo? se vuoi te le presento mentre mangiamo i biscotti. Sono sicura che sono buonissimi, si sente già dall'odore!! E- grazie. Davvero» sorriso furbo «e anche ai tuoi amici»
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    ft. ficus



    @ficus
     
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    "True friendship consists in being able to reveal the truth of the heart to others."
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    clayton morales
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    madonna ho perso davvero un sacco di tempo, chiedo umilmente scusa.
    cerchiamo di andare dritto al sodo: clay non stava esattamente un fiore.
    cercava di mostrarsi allegro, un sorriso sempre pronto per l'occasione, ma dentro si sentiva come accartocciato.
    non era stata la guerra, a fargli quell'effetto, forse più l'idea di non averla saputa affrontare: si era sentito spaccato in due, lo special, quando Kaz gli aveva annunciato che sarebbe andato, doveva andare!, e insieme a lui altri membri della Resistenza che forse con il senno di poi avrebbero fatto una scelta diversa.
    tutti quei morti.
    e clay? clay alla fine aveva scelto la via più semplice.
    raccontando a se stesso che rimanere ad Hogwarts non era una mossa da codardo — qualcuno doveva pur stare accanto agli studenti e dare una mano a mantenere l'ordine. ma il tarlo, quel dubbio martellante alla base della nuca, un retrogusto di inderogabile verità a solleticare il palato, quello proprio non era riuscito a toglierselo.
    «forse non è stata una grande idea» il passo del diciassettenne era rallentato fino a fermarsi, e quando sollevò lo sguardo vide la schiena di Joni già ad almeno tre metri da lui; lei nemmeno si girò, limitando i movimenti ad un'occhiata oltre la spalla.
    lo stava giudicando?
    l'espressione di Joni Peetzah dava sempre un po quell'impressione, perennemente derogatory, ma dentro racchiudeva altro — un giudizio ancora più marcato, se possibile «vuoi fare di nuovo l'elenco dei pro e dei contro?» preferì evitare di rispondere, clay, attorcigliando una ciocca di capelli al dito, le iridi nocciola improvvisamente attratte da un sassolino sotto la suola «ok. pro: siete amici; non hai niente da perdere; è probabile che ci vada comunque con gli altri linguini; è una patata quindi dubito qualcosa possa andare davvero storto.» aveva sollevato le dita contando ogni singolo punto, Joni, e finito con un elenco gli mostrò la mano destra chiusa a pugno «contro: non ce ne sono. se dovesse dirti che è già impegnato amen, puoi sempre decidere di non andarci»
    questa volta clay la guardò.
    indeciso, come sempre, se ringraziarla o sentirsi vagamente minacciato; decise, così a brucio, che entrambe le cose fossero legittime «sai cosa?! hai ragione» ma si, non aveva niente da perdere, il Morales.
    la dignità, d'altronde, era un optional.
    «lo so, clay. adesso muoviti, la tua finestra d'azione sta per chiudersi» e si indicò il polso con l'indice, Joni, puntando un orologio immaginario. quello, in effetti, si era rivelato un problema: i momenti in cui giacomino linguini poteva essere approcciato senza tutto il clan di italiani al seguito, si potevano contare sulle dita di una mano.
    non che clay avesse problemi con i linguini, sia chiaro, ma erano troppi e lo mettevano in soggezione; qualcuno più di altri — e perché proprio Ciruzzo.
    quindi se li era studiati per un po, i movimenti dello special, approfittando per osmosi delle tecniche di stalkeraggio tanto care a rob, e alla fine aveva scelto di agire nel preciso span temporale a sua attuale disposizione «si ok, vado! joni—» ma la peetzah era già sparita. volatilizzata. l'eroina (non la droga. unless) di cui questa città ha bisogno. clay soffiò un bacio al cielo, seguito da un breve segno della croce.
    non rivolto ad un Dio in particolare, ma a qualunque divinità fosse interessata a guardare giù e dargli una mano.
    «it's showbiz baby» convinto, convintissimo, mentre avanzava a testa bassa verso Dwight e immediatamente si pentiva di ogni scelta mai fatta nella vita «GIACOMINO!» hhhh meno clay, meno «cioè, volevo dire. ciao!» molto meglio, continua così vai alla grande.
    dove fossero, o cosa stesse facendo l'italiano (dava da mangiare a Spirit???????) non è dato saperlo; il contesto non rientra nelle nostre priorità. quello che ci interessa, prestate bene attenzione, è il foglio piegato in due che clay si affrettò a tirare fuori da sotto la divisa, passando la mano libera dietro la nuca e poi sulla spalla sinistra: gli stava venendo un infarto? probabile «senti, volevo dirti..anzi no, darti! una cosa.» porse il foglio al ragazzo, aprendo il. biglietto per lui.
    all'interno non c'era nemmeno una parola, manco l'ombra di una firma; certo non una domanda.
    ma un disegno in formato A4, la riproduzione fedele di uno degli stickers più usati da clay (soprattutto nella chat con Kaz, ma andava bene per quasi tutte le conversazioni):
    39d27bfdbab33514c8bc65bc6ebc320c
    «è un buono. sai, per una spalla su cui piangere nel caso l'occasione lo richiedesse» been there done that, giusto? spostò il peso del corpo da una gamba all'altra, rendendosi conto con una smorfia di aver saltato l'intro del suo discorso «scusa, intendevo al prom. se ci vai. cioè non dico che avrai bisogno di piangere, spero di no» mani avanti: clay aveva partecipato una sola volta al prom e si era divertito molto, ma per un piantino su una spalla amica l'occasione saltava sempre fuori «puoi usarlo con chi vuoi, ovviamente»
    già.
    gli sorrise, decidendo in quel momento di fermarsi li. andava bene così, giusto? la sua parte l'aveva fat— incrociò lo sguardo di Joni peetzah, riapparsa dal nulla solo per minacciarlo silenziosamente da dietro un angolo. ok, ominous. «hm..ecco, che poi, insomma. se proprio non sapessi con chi andare, no??» fece spallucce, il cinetico, affondando entrambe le mani nelle tasche, il mento sollevato nel tentativo di apparire abbastanza sciallo mentre già si preparava al "certo che so con chi andare" «io ci verrei. cioè ci andrei. al prom. e in quel caso potremmo andare, che ne so, insieme? » una domanda, un'affermazione, both.
    difficile a dirsi.
    «come amici, eh» non lo dire. taci. non
    [sospiro]
    [sospiro]
    [soso8ro]
    «bros!»
    l'ha detto.
    [bestemmia]

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    17 | vi
    kinetic
    hhhh


    oops. ciao giacomino sali a 3 un bacio ❤
     
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    Nahla Hilton
    I want to drive away with you
    I want your complications too
    I want your dreary Mondays
    Wrap your arms around me, baby boy
    «allora?» Nahla, da poco Hilton, porto lo sguardo scuro su Dre, sistemandosi gli occhiali da vista sul ponte del naso «allora niente, sono un’impedita» osservò il foglietto verde fluo dinnanzi a lei spiegazzato in più punti, non era il primo che finiva così, e non sarebbe stato decisamente l’ultimo visti i vari tentativi della Hilton «potresti usare la magia» Nahla scosse il capo poggiando la guancia al palmo della mano «ma non sarebbe lo stesso, capito?» alzò le spalle, osservando dre con degli occhi da cerbiatto, l’aveva incontrata poco tempo prima, quando effettivamente era arrivata ad Hogwarts, dopo la guerra, sapeva che avrebbe perso l’anno, arrivata troppo in ritardo rispetto agli altri, ma le stava bene perché aveva potuto incontrare Yale e perché sarebbe riuscita a passare la sua prima vera estate in vacanza, in famiglia, inoltre nonostante si conoscessero relativamente da poco dre era corsa in suo soccorso ed aveva iniziato a tenerle la mano, e lei non l’aveva di certo disdegnata, era diventata una delle sue maggiori confidenti insieme ad Harmony.
    Ed erano coloro che se l’erano sorbita durante l’ultimo mese a scuola, mentre parlava di un ragazzo appena conosciuto, l’aveva incrociato fra i corridoi ed era sicurissima che lui non l’avesse nemmeno notata, dopotutto aveva una schiera di amici invidiabile, ma il colpo di fulmine di Nahla era stato più forte e l’aveva convinta a perseverare, le erano piaciuti i capelli di colori sempre diversi, quell’aria da duro menefreghista, lo sguardo stanco con cui scrutava il mondo, e con cui aveva guardato anche lei, i suoi modi di fare.
    Ed ora voleva chiedergli di andare al prom con lei, in modo carino «e se poi mi rifiuta? insomma platealmente intendo» non avrebbe potuto biasimarlo, non la conosceva affatto, era lì da poco più di un mese e sembrava un po’ da psicopatiche invitarlo senza avergli parlato se non per sbaglio «almeno puoi dire di averci provato», Nahla posò nuovamente lo sguardo sul foglietto spiegazzato, poi lo accartocciò e lo getto via rimboccandosi le maniche e prendendone uno nuovo «hai ragione, ci provo» disse prima di rimettersi all’opera.

    e ci era riuscita davvero, aveva fra le mani un origami inferno e paradiso verde fluo, incantato in modo da essere utilizzato per quello che aveva intenzione di fare.
    aveva chiesto ai suoi amici dove avrebbe potuto trovarlo, in modo da poter fare il prima possibile quella cosa super imbarazzante, in biblioteca le avevano risposto con un sorrisetto malizioso che aveva ignorato di proposito; si era avviata perdendosi un paio di volte, alle scale piaceva cambiare fin troppo per i gusti di Nahla, ma poi alla fine ce l’aveva fatta.
    Eccolo lì, seduto a fare chissà che cosa, per un attimo pensò di tornare indietro e lasciar perdere, ma poi immagino la faccia delusa di Dre e la strigliata che ne sarebbe conseguita, così si avviò verso il tavolo che aveva occupato.
    Darae Sunwoo si faceva beatamente i fatti suoi, e Nahla Hilton lo stava disturbando «uhm… ciao?» si mordicchiò il labbro inferiore mentre poggiava sul tavolo l’origami «so che non ci conosciamo… o meglio non mi conosci ma…. ecco…» afferrò la bacchetta dando un colpetto sulla carta in modo che questo iniziasse a girare e alzasse man mano le alette mostrando in questa sequenza le parole:
    Vuoi
    Venire
    Al Ballo
    Con me?
    A quel punto Nahla Hilton avrebbe avuto le guance rossissime nonostante la pelle scura, avrebbe distolto lo sguardo e sarebbe stata inerte nell’attesa di una risposta «non devi per forza dire si… volevo solo chiedertelo» il cuore che le batteva all’impazzata e la gola secca erano solo un contorno, poiché le farfalle nello stomaco stavano facendo il loro dovere anche fin troppo bene.

    gif code
    16 y.o.
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    she has a crush


    ciao dara. non ci offendiamo se ci rifiuti, bacini ❤️
     
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    Lissette Monrique
    Somebody else
    'Round everyone else
    You're watching your back
    Like you can't relax
    You try to be cool
    You look like a fool to me
    depressa non era il giusto termine per definire Lissette Monrique in quel periodo.
    non era di certo un segreto che la bionda, dopo essere tornata integra (insomma) dalla guerra, avesse perso quel brio presente negli occhi color zaffiro, era cambiata, e lo dimostrava anche il fatto che avesse deciso di fingere di rosa i suoi capelli di solito super ossigenati, in cerca di qualcosa che le smuovesse l’animo.
    non ci era riuscita.
    ogni volta che poggiava il capo sul cuscino, ogni volta che le palpebre si abbassavano, non faceva altro che pensare a Wren che diventava un’ombra, Wren così buono, anima pura, che veniva posseduto da… chissà cosa, che… faceva ciò che non avrebbe mai fatto, non nella sua indole.
    Era anche colpa sua.
    era stata parte di quel massacro, quella guerra che avevano vinto, ma a che prezzo.
    ed ora non riusciva a trovare più nulla che la stimolasse, persino la quantità enorme di pillole che inghiottiva pareva non farle più effetto, aveva lo sguardo spento, era perennemente stanca, aveva solo voglia di rimanere a letto.
    Se ne stava in sala comune con il cellulare fra le mani, non era mai stata tipa da libri, seppur non fosse poi così male il suo rendimento scolastico, leggeva di gossip, di notizie sportive, di stupidaggini, evitava di proposito gli articoli sulle ombre, per evitare che il suo umore peggiorasse ancora.
    «ti donano» lo sguardo di liz andò a posarsi sul volto da bravo ragazzo di mood, immediatamente le labbra si incurvarono leggermente all’insù, uno degli effetti che le faceva il Bigh «a cosa devo questa galanteria?» disse voltandosi verso il concasato e poggiando il telefono sul divanetto, lo osservò tirar fuori dal cilindro la lapide di marzapane, la palla di neve, il bellissimo bracciale con le piume, lo sguardo andò più volte dal bracciale al ragazzo e viceversa, poi aggrottò le sopracciglia«è perché moodina è morta di già? di la verità stai cercando di addolcirmi?» parlava della ranetta verde che gli aveva dato qualche giorno prima, l’aveva presa per lui, non sapendo perché ce lo rivedesse così tanto in una ranocchietta profumata, stava cercando di indorarle la pillola per farle accettare la sua prematura morte? «se non tutto, almeno un ballo?» un attimo… le stava chiedendo di andare al ballo con lui? okay era già convinta che sotto sotto mood le volesse in un certo senso bene, lei in compenso lo adorava e, quando era di buon umore, gli ronzava intorno nel modo fastidioso che solo lei sapeva avere «sicuro di volerci venire con me?» gli occhi color zaffiro di lissette cercarono quelli scuri di mood, non meritava una compagna al ballo che non era altro che un involucro vuoto della vecchia se, con più nulla di sgargiante o eccentrico da poter offrire, davvero gli piaceva anche così? «io…» fece per dire qualcos’altro ma l’altro la interruppe dicendole che era un ottimo toyboy, Liz scoppiò a ridere portando una mano davanti la bocca «va bene» disse fra le risate, prima di fermarsi e con l’indice raccogliere una lacrima che minacciava di uscire dall’occhio sinistro «sarò la tua sugar mommy» gli fece un occhiolino «per quanto tempo vuoi» era un’offerta? forse

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    Slytherin
    2003
    Cheerleader


    accetta!! duh, ti ho pure preso moodina
     
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