I owe you a black eye && two — hhhhhh.

@ cortili di Hogwarts | ft. Paris

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    Lasciò che la cenere dell'ennesima sigaretta cadesse pigramente a terra, fumata più dal vento che non dal quindicenne che, dal canto suo, era troppo impegnato a respirare il profumo acre e familiare della nicotina che bruciava per rimpiazzare, laddove possibile, quello di pelle bruciata e morte che nell'ultimo mese aveva coperto ogni altro odore, impregnato i vestiti e scolpito memorie indelebili nella mente di un ragazzino che, a conti fatti, non avrebbe dovuto trovarsi lì.
    La guerra non era un gioco, e non era posto per uno studente del quarto anno con evidenti problemi di apprendimento; e non lo era nemmeno per le teste calde e avventate, incapaci di ragionare a mente lucida. Si dava il caso che Theo Kayne fosse entrambe. Duro di coccia e fin troppo impulsivo.
    Due qualità (ah!) che, tra le tante brillanti sfaccettature del suo carattere [derogatory], lo avevano portato ad assillare chiunque affinché lasciassero che partisse anche lui per il fronte. Lui, e Mis, erano nati e cresciuti per quello; non necessariamente per la guerra, ma per fare qualcosa che provasse a rovesciare il sistema. O, per lo meno, Theo aveva sempre creduto così. La ribellione era stata la sua casa, ancor più dell'istituto dov'erano cresciuti insieme a Lenny, e ancora più della sala comune rosso-oro; aveva imparato a ribellarsi ancora prima di camminare, e a rompere i coglioni prima di entrambe le cose. Non ci aveva pensato due volte prima di fuggire da scuola, dopo l'adunata di Abbadon, e a rifugiarsi nel QG già in fermento — a Lenny, poi, l'ingrato compito di fare l'adulto responsabile e coprire l'improvvisa assenza dei fratelli Jacksson-Kayne con una scusa banale come “eh sì, meglio la DAD in questi tempi di incertezza e terrore; preferisco tenerli vicini” o qualsiasi altra cosa avesse deciso di ricamare per convincere il corpo docenti.
    Come se alcuni di loro non sapessero perfettamente dov'erano in realtà.
    Non serviva che lo sapesse nessun altro, però.
    Alla Russa, Theo non l'aveva detto. Lei aveva mandato messaggi minatori e minacce di morte che avevano tutto l'aspetto di vere e proprie promesse; ma aveva perseguito nel suo stoico silenzio fatto di memes come uniche risposte. Non voleva mentirle, ma nemmeno dirle la verità. Non poteva. E, onestamente, non c'erano tante altre persone per cui avrebbe perso il sonno la notte, sapendo di essere sparito di punto in bianco senza motivo. Se Mini non voleva bersi la storia della didattica a distanza, cazzi suoi; in battaglia, Theo non poteva pensare anche all'ego ferito della sua migliore amica. Non poteva pensare a lei e basta; non voleva necessariamente tornarci, in quella cazzo di scuola, ma non voleva nemmeno rimetterci la pelle perché distratto da altri pensieri.
    Erano stati quaranta giorni intensi; e quaranta notti difficili da superare.
    Non aveva pensato neppure per un secondo che sarebbe stato un gioco, nonostante avesse provato a renderlo tale, prima che le occhiate e gli scappellotti e le ramanzine e le morti intaccassero via via quel divertimento, fino a renderlo sottile ed effimero; anche così, comunque, non s'era pentito della decisione presa, e anche se così fosse stato, non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce, orgoglioso com'era, figuriamoci.
    Ma adesso, tornato a casa da perdente, faceva tutto più male.
    I sacrifici che avevano fatto? Non erano serviti a un cazzo; avevano comunque perso la guerra. Perso degli amici, e dei colleghi. Non c'era stato quando Abbadon aveva prosciugato la magia dai sovversivi, e l'aveva sostituita con lo stesso potere che scorreva nelle vede di Mis; aveva commentato con un “figo!” perché lui, infondo, lo riteneva comunque magico. Non aveva capito la gravità della situazione, ciò che quel semplice gesto implicava: avrebbe potuto farlo con chiunque di loro, e in qualsiasi momento.
    Non aveva neppure realizzato quanto Abbadon si fosse preso, e a che prezzo, non finché cercando Moka, o Wren, o persino Just, nelle stanze del QG in fase di trasloco, non li aveva trovati da nessuna parte; aveva visto Kaz piangere — eh, sai che novità.
    Aveva saputo di Jane, del suo boss — ma nulla aveva atticchito davvero.
    Non finché non era tornato a scuola e aveva visto Neffi ed Erisha traslocare le loro cose fino a Diferent Lodge — lui era stato fortunato, le sue menzogne avevano tenuto duro, ma per le Corvonero non c'era stato nulla da fare, il cambiamento troppo radicale per nasconderlo; non finché non era entrato in sala comune e aveva visto le foto e le dediche per Rebekah; non finché non aveva letto il giornale e sentito qualche complottista bisbigliare che si trattasse delle nuove Ombre, che erano stati loro a devastare quelle sette città sparse nel mondo.
    Non aveva fatto suo assolutamente nulla — fino al primo incubo, dal quale si era svegliato con il cuore a battere furioso nel petto e il suono degli incantesimi che sferzavano l'aria, e delle armi da fuoco che sparavano colpi mortali, e delle grida strazianti dei soldati di ambo i lati che morivano a riempire la stanza silenziosa. Non erano arrivati subito, gli incubi; erano passati svariati giorni di tranquillità, notti abbastanza serene tutto considerato, durante le quali Theo aveva dichiarato amore eterno al proprio letto giurando che non lo avrebbe mai più lasciato così a lungo, neppure per le vacanze estive.
    Poi il primo. E il secondo, e il terzo. Uno dietro l'altro, rovinando le notti, e l'umore, di un ragazzo già votato alla violenza senza bisogno di essere ulteriormente istigato. C'aveva provato a rimanere calmo; aveva 'preso in prestito' l'alcol trovato nei bauli dei Linguini e s'era nascosto dietro qualche cespuglio del cortile stando attento a non farsi beccare; era stato il rimedio finale ed estremo prima di decidere di accettare passivamente gli incubi, che piuttosto avrebbe dovuto chiamare ricordi di quanto vissuto in quel terribile mese.
    Ora, col senno di poi, dopo indefiniti giorni di assestamento e notti insonni, un po' si pentiva. Ma non abbastanza da ammetterlo, né con Lenny, né con Mis. Rimaneva un suo problema, quello; e l'avrebbe affrontato da solo.
    Tirò quel che rimaneva della sigaretta, poi la spense contro la parete di pietra di fronte a sé; seduto in quella nicchia nel muro del cortile, con le ginocchia al petto e il mento poggiato sulle braccia incrociate, sembrava quasi (ridicolo — a malapena ci entrava) un ragazzino della sua età, buffo con le sue gambe lunghissime e i muscoli fin troppo accentuati, i lividi sul viso e l'occhio nero, ricordo dell'ultima battaglia. La caricatura di un quindicenne che era voluto crescere troppo in fretta e che, probabilmente, avrebbe dovuto godersi il viaggio fin tanto che ne avesse avuto la possibilità.
    Non l'aveva fatto, sempre troppo preso ad inseguire qualcosa che non sapeva nemmeno lui, piuttosto che ringraziare per ciò che già aveva. O per le seconde possibilità che gli venivano concesse. Ad esempio: Lenny era stato categorico. “Se sopravvivi alla guerra, ti metti sotto per farti promuovere” — che non aveva assolutamente alcun senso come logica, ma dopo aver visto morire più persone di quante riuscisse a ricordarne, si sentiva un pochino più incline a dare retta a quel fratello che, nonostante tutto, c'aveva sempre provato fortissimo con loro, con lui.
    Sbuffò, reclinando la testa all'indietro fino a sentire il marmo freddo premere contro i riccioli arruffati; fece per prendere l'ennesima sigaretta, e si rese tristemente conto di averle finite. «bene, ma non benissimo» chi cazzo aveva offeso, nella vita precedente, per meritarsi quella sfiga? Non ne aveva idea, ma si appuntò di chiederlo a Lenny alla prima buona occasione; immaginava lui avesse le risposte.
    Le aveva sempre.
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    Non era mai stato bravo a prendersi cura di qualcosa che non fosse se stesso, e vi erano giorni -la maggior parte- dove falliva anche in quello. Non era raro che perdesse uno o più di un pasto, la testa seppellita nei libri e una tazza di caffè accanto a sostenerlo per le prossime chissà quante ore. Alle volte si dimenticava di cambiarsi la camicia, oppure aveva deciso che non rifare il letto per una settimana di seguito era un modo accettabile di vivere. Paris soffriva di quella che era chiamata sindrome da studente in sessione, e non vi era niente che avrebbe potuto trascinarlo fuori da quell’inferno. Forse la morte, ma non era avvezzo a intraprendere quella strada come lo era stata sua sorella. Paris non era una persona funzionale, quindi non capiva come qualcuno avesse potuto pensare che lasciargli un gatto da crescere fosse una buona idea. Anche se, a vedere la sua cerchia di conoscenze, c’erano persone peggiori a cui affidare una bestia. Una bestia che parlava, una precisazione importante, per chi si era ritrovato con un animale demoniaco tra le braccia. Aveva considerato brevemente di sostituirlo a sua sorella, ma aveva deciso che Salem non si meritava di essere accostato a un qualcuno che non ci pensava due volte a pugnalare la sua stessa famiglia alle spalle. Non era stato un mese, quaranta giorni, facile per il corvonero, ogni fottuto giorno a domandarsi se Bengali fosse viva, o se invece il suo cadavere si trovasse dilaniato da qualche parte in terra nemica. La cosa più assurda di tutte, quella che più lo lasciava perplesso e con mille domande, era perché la Tipton avesse scelto di schierarsi da parte di Abbadon. Poteva capire la necessità di migliori condizioni di vita per gli special, ma a quel costo? Non lo so Rick, mi sa tanto di nazismo. E poi c’era sua madre, c’era suo padre, che nel mondo babbano si erano scavati una nicchia e avevano deciso di restarci. Suo padre, che era disperso da qualche parte. E poi c’erano Erisha e Neffi, che avevano dovuto lasciare il loro dormitorio e tutto ciò che avevano sempre conosciuto, perché qualcuno aveva deciso di giocare a fare Dio. Ma non ci avrebbe pensato, Paris Tipton, perché non credeva di poter registrare più di una emozione alla volta. E al momento l’unica sensazione su cui erano puntato il suo intero essere era la voragine che si era creata nel suo stomaco, ma che solo da qualche minuto aveva iniziato a percepire. Spostò lo sguardo sull’orologio a pendolo poggiato vicino a una delle pareti della sala comune, la lenta realizzazione di aver saltato yet un altro pasto a calare sul viso. Ah ecco, si spiegavano molte cose. Ricordava vagamente la mano di Ben a scuotere la sua spalla per avvisarlo di scendere, ma si era di nuovo perso nei meandri del tomo seduto sul tavolo. Sperava che qualcuno avesse dato da mangiare a Salem, e perché proprio Ficus. Si alzò dalla sedia, le braccia a distendersi in alto per sgranchirsi gli arti, uno sbadiglio a sfuggire dalle labbra. «indovina chi si è dimenticato la cena» prima di dirigersi verso le cucine, Paris fece un detour in camera sua per recuperare Salem- tanto non dormiva mai di notte, quel gatto bastardo. «tua madre» fair, davvero. Gli voleva bene così, anche un po’ derogatory. Stacchetto tattico perché qualcuno deve andare a dormire. A Paris bastò una zaffata di nicotina perché la sua attenzione fu immediatamente catturata, e perché il suo naso si trasformasse in quello di un dannato K9. Paris era proprio curioso di sapere quale altro demente fosse fuori a quell’ora, potenzialmente con il pericolo che un prefetto o caposcuola li sorprendesse fuori dai dormitori oltre il coprifuoco. Seguì quell’odore fino a una zona riparata del cortile, fino a una discreta nicchia che era in grado di ospitare un qualcuno che non aveva intenzione di essere trovato. Il corvonero la conosceva bene, si era rivelata utile per scopi- insomma, per la vita. L’ultima persona che si aspettava di trovare era Theo fuckin’ Kayne. Non l’aveva visto per tutto l’ultimo mese, e per un breve ma idilliaco momento aveva creduto che avesse deciso di concludere l’anno a casa sua. E invece. «bene, ma non benissimo» Paris si sporse oltre la vegetazione, scegliendo quell’attimo per rendersi visibile al grifondoro. Poggiò una spalla alla parete, appoggiandosi il suo peso così che potesse guardare il ragazzo dall’alto «non avrei saputo dirlo meglio» decise di essere misericordioso e di non sottolineare quanto sembrasse ridicolo al momento, giusto perché a vedere com’era conciato doveva esserne conscio anche da solo. «cristo kayne, qualcuno mi ha battuto sul tempo?» fece un cenno con il mento al suo viso, gli occhi nocciola a soffermarsi sui lividi e poi sull’occhio nero- era pura curiosità la sua, una ciatella che fiutava sangue e voleva saperne di più. Si passò una mano tra i capelli per rimettersi a posto, fin troppo conscio delle radici bionde che avevano iniziato a mostrarsi senza il suo consenso- ma cristo, chi aveva tempo di fare la tinta.
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    Edited by ambitchous - 17/6/2023, 03:33
     
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    Tutti sostenevano che Theo Kayne fosse una bestia, no? Beh, in quanto bestia, i suoi sensi erano più sviluppati e in allerta — in quel periodo, poi, ancora più del solito; niente a che vedere con i traumi ricordo delle battaglie, certo.
    Per questo motivo la testa scattò subito, percependo il fruscio del cespuglio che veniva smosso da qualcuno, i riccioli scuri a ricadere disordinati sul viso stanco. Quando la figura si palesò, Theo imprecò ad alta voce.
    «non avrei saputo dirlo meglio»
    Ovviamente, ovviamente, doveva essere Paris fucking Tipton, perché il mondo non ne voleva sapere di lasciarlo in pace almeno per una sera, vero? Doveva per forza mettergli davanti la persona più insopportabile sulla faccia della Terra. Rabbia ingiustificata si irradiò nel petto del grifondoro, lo sguardo a farsi più duro incrociando quello dell'altro portiere. «rimani in silenzio allora» perché di sentire la sua sua voce, in quel momento, Theo non ne aveva assolutamente voglia: era andato lì per cercare un po' di pace, e per esorcizzare a modo suo i demoni che popolavano gli incubi, non per farsi provocare dal Tipton. E purtroppo si conosceva abbastanza da sapere che che sarebbe finito esattamente così, a sferrare il primo pugno, mosso da una parola di troppo, o da uno sguardo troppo insistente da parte di Paris. Perché sapeva anche quello, e lo faceva vibrare di rabbia cieca l'idea di conoscere così bene il corvonero da poterne anticipare le mosse.
    Ed infatti, il primo (beh, secondo in realtà) commento non tardò ad arrivare. «cristo kayne, qualcuno mi ha battuto sul tempo?» Fece per aprire la bocca, il Kayne in questione, ma qualcosa lo fermò; maledizione, si ammonì, scuotendo la testa e distogliendo lo sguardo. «È colpa di Mis», una frase ripetuta così tante volte da essere ormai stramaledettamente familiare sulle sue labbra, ma una bugia in quel caso.
    Era stato un soldato a “battere sul tempo” il Tipton; un soldato con appena qualche anno in più di loro, che aveva pensato bene di afferrarlo per i capelli e sbattergli la faccia contro un muro di pietra. Theo gli aveva spaccato um ginocchio con un calcio, per ricambiare il favore, ed era una delle ultime cose chiare che ricordava di quel delirio generale che era stata la loro ultima battaglia sul campo.
    Non guardò verso Paris quando, facendo scattare la rondella dell'inutile accendino, borbottò «ma almeno a me tra qualche giorno passa» all'altro invece la faccia da pirla sarebbe rimasta lo stesso.
    Il suo stoicismo durò la bellezza di quattro secondi, poi cedette e ruotò di nuovo il viso verso il maggiore, pur senza staccarlo dalla parete alle sue spalle. Lo osservò attentamente, sforzandosi di non tornare con lo sguardo ai suoi capelli (erano lontani, poteva trattarsi benissimo di un gioco di luci e ombre — se solo non avesse già notato la cosa, a causa di tutte le volte che, tra una rissa e l'altra, aveva tirato le ciocche non così scure di Paris Tipton) e— aveva perso il filo dei suoi pensieri. Necessitava di un diversivo, e ovviamente lo trovò nell'unica cosa che poteva offrire a Paris: commenti antipatici e la promessa di insaccarlo di botte. Poteva essere effettivamente un rimedio valido al cattivo umore e agli incubi.
    O una scusa.
    «mi pareva di averti detto di starmi alla larga», l'ultima volta che si erano parlati, mentre usciva con la coda tra le gambe dalla sala comune del Ben10. A pensarci ora, gli sembrava successo una vita fa e non solo qualche mese prima. Ma lo ricordava benissimo nonostante le torture subite e la confusione dovuta alla colluttazione che aveva portato a suddette torture.
    Invece qualcun altro sembrava averlo dimenticato.
    Tirò le ginocchia al petto e le circondò con le braccia, un atteggiamento in netto contrasto con l'aria attaccabrighe che voleva ostentare: a dire la verità, non era così sicuro di voler picchiare Paris, o chiunque altro per quel che valeva, era semplicemente... Stanco. Sotto ogni punto di vista.
    «è ancora valido»
    L'attenzione di Hogwarts era paragonabile a quella di un bambino affetto da ADHD, volubile e facilmente distraibile, certo: era bastato poco (ciao comacolla) per riportare l'intera massa scolastica a ossessionarsi con altri video che non fossero quello del ballo della Ceppa, dimenticato ormai da mesi, ma in quel periodo Theo aveva fatto del suo meglio per tenere fede alle proprie parole; la guerra aveva fatto tutto il resto e le priorità, di Hogwarts e del mondo, erano state ben altre.
    Ma anche quelle di Theo.
    Non aveva pensato al Tipton a lungo, rilegandolo in un angolino remoto della sua mente, insieme a tutti i loro incontri spiacevoli come, appunto, il ballo.
    Avrebbe avuto un sacco di motivi futili ma sufficienti per saltargli addosso seduta stante e strappargli quell'espressione indecifrabile dalla faccia, ma non lo fece. (E ora che rileggo è davvero fraintendibile, ma intendevo per picchiarlo. Let it be noted.)
    In uno sconvolgente colpo di scena, Theo Kayne rimase al suo posto, limitandosi a chiedere «hai una sigaretta?» gettando il suo pacchetto vuoto, accartocciato, ai piedi del maggiore. «se la risposta è no, puoi anche andartene» Non aveva davvero voglia di affrontare lui, o chiunque altro. Non quella sera e probabilmente non fino a fine anno scolastico.
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    paris bentley tipton
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    Paris era sempre stato bravo a comunicare con gli animali. Il fatto che avesse stabilito un legame così forte con Salem nella DA ne era una prova. Eppure, quando si trattava di Theo, Paris perdeva ogni abilità comunicativa. Non tutti ne erano a conoscenza, ma il tipo di comunicazione che avveniva tra animali era di tipo relazionale, dunque volta a capire la relazione tra i due interlocutori. Al contrario di quella umana, e quindi di tipo referenziale, che permetteva di esprimere concetti complessi e lontani nel tempo e nello spazio. Forse avrebbe dovuto incominciare a comunicare con Theo abbaiando, chissà che non portasse a risultati inaspettati. «rimani in silenzio allora» ma che cazzo vuoi, queste le sue parole, se Paris fosse stato un bruto e una persona senza alcun riguardo per la quiete pubblica e il decoro. Invece, si limitò ad incassare il colpo senza mostrare alcun segno di irritazione sul volto, anche solo per non darla vinta al Kayne. Ancora si domandava che problema avesse con lui, quale grande torto gli avesse fatto. Al contrario, sarebbe dovuto essere Paris a intimarlo di star zitto, giusto per salvare il suo prezioso udito dalle cazzate che uscivano dalla fogna del grifondoro. Ma ok, davvero, nessun rancore da parte sua. «È colpa di Mis» il fatto che si degnò di rispondergli anzi di ringhiargli qualcosa di indecifrabile contro era un miracolo, tanto che non poté non alzare un sopracciglio, genuinamente stupito. Ah, il dono della parola, qualcosa di cui poteva beneficiare anche Theo. «Ma almeno a me tra qualche giorno passa» sapete cosa, forse lo preferiva in versione bestia. Ma ormai il Tipton era immune, un angolo della bocca si piegò appena, quasi divertito da quello scambio di battute «hai ragione, il problema è la testa» portò l’indice sulla tempia a picchiettarla un paio di volte, una chiara allusione ai neuroni mancanti del Kayne. Non era nemmeno detto con cattiveria, solo un dato di fatto che era inconfutabile come il fatto che vi fossero le stelle nel cielo. «mi pareva di averti detto di starmi alla larga» e come dimenticarsi il loro ultimo, memorabile incontro, e la figura di merda che avevano fatto in sala comune. Cristo, la sola memoria gli faceva prudere le mani e salire un istinto violento contro di Theo- ma non era il suo stile, a meno che provocato. «cosa sei, mio padre? e poi, non sono venuto a cercarti apposta» al contrario di qualcuno, non aveva nessuna tendenza stalker. Paris era solo l’ennesima vittima del sistema, portato allo stremo dagli esami e con un paio di ore di sonno alle spalle- era già tanto se era in grado di portare avanti una conversazione con un altro essere umano in quel momento. E una più attenta analisi del ragazzo vicino a lui raccontava una storia simile, sebbene Theo non avesse nessun esame per cui sgobbare. Dio, ma cosa gli era successo. Pareva un’altra persona, con quell’aria da cane bastonato provava quasi compassione nei suoi confronti, qualsiasi cosa fosse successa- poco ci credeva alla scusa che gli aveva rifilato, ma si rendeva conto che non fossero affari suoi. «stavo andando in cucina, mi-» cristo, ma lo stava davvero facendo? Una conversazione pacifica con Theo dove nessuno alzava le mani? «sono dimenticato di mangiare, di nuovo» Paris ebbe la decenza di mostrarsi un tocco sheepish, perché riconosceva che fosse imbarazzante alla sua età. Insomma, non era mica Bella Hadid che andava avanti ad iced coffees e preghiere. E sapete cosa? Stava davvero iniziando a vedere le stelle, tenersi in piedi richiedeva più energia di quella che aveva in corpo al momento. Ma non voleva che Theo si facesse idee strane, tipo che stesse rimanendo lì per avere una piacevole conversazione con lui. Aveva di meglio da fare nella vita. «hai una sigaretta? se la risposta è no, puoi anche andartene» Paris non gli fece il verso perché era una persona matura, ma ci pensò molto forte. Una bestia che non conosceva l’arte delle buone maniere, ma chi lo aveva cresciuto? «Come si dice?» il corvonero poggiò l’avambraccio sulla parte, il busto a chinarsi appena in basso in direzione del Kayne. Paris non si aspettava che gli chiedesse per favore, non davvero, ma cercare di estorcere quelle parole dalla sua bocca non gli costava niente- tutto intrattenimento, baby. Portò l’altra mano a frugare nella tasca dei pantaloni, dove sapeva esserci il suo fidato pacchetto di sigarette, ormai dimezzato da giorni difficili per il corvonero. Prima di tirare fuori il cilindro dal pacchetto, il Tipon decise di sedersi a debita distanza da Theo, schiena poggiata al muro e un sospiro a scappare dalle labbra «sono stanco, non rompere. Il tempo di fumare una sigaretta e me ne vado» fu solo in quel momento che sfilò una sigaretta dal pacchetto, per poi porgerlo al ragazzo accanto a lui «non sarà la merda che ti fumi te, ma bisogna accontentarsi di quello che passa il convento» ugh, Paris non capiva come si potessero fumare le Marlboro rosse a quindici anni, ma ok. Non giudicava! Ma chi, lui? Si faceva andare bene le sue fidate Winston blu, e tanto bastava. Che poi, non che avesse prestato particolare attenzione a cosa fumasse Theo, gli era giusto caduto l’occhio un paio di volte. «Bella merda, eh?» fece un vago gesto al cortile che li circondava, un gesto che voleva alludere alla guerra e a tutto ciò che ne era conseguito, ma dubitava che Theo avrebbe afferrato. Forse doveva davvero provare ad abbaiare. Ma che ne sapeva lui di come portare avanti small conversations con il grifondoro, non quando sembravano finire tutte in pugni e sangue. «Non ci credo che faranno di nuovo il prom, speravo de morì prima» non Elisa che la tocca piano e cerca di indagare.
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    Edited by ambitchous - 5/7/2023, 16:48
     
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    «hai ragione, il problema è la testa»
    Ma tu sentilo.
    Che razza di stronzo.
    Come se Theo non lo sapesse, che il problema stava nella (sua) testa. Letteralmente. Strinse i pugni intorno alle ginocchia, rivolgendo un'occhiata gelida al Tipton e un «vaffanculo» sibillato tra i denti. Ma chi gli aveva chiesto nulla? Perché non andava a rompere le palle a qualcun altro e lo lasciava in pace?!
    «e poi, non sono venuto a cercarti apposta» Alzò un sopracciglio, scettico. «qualsiasi cosa ti faccia dormire la notte, Tipton.» poi, studiandolo, facendo schioccare la lingua contro il palato e aggiunse: «ne hai bisogno» Aveva un aspetto peggiore del suo — e lui era stato al fucking fronte per un mese e mezzo. Non abbassò lo sguardo quando Paris fornì una spiegazione non richiesta (che si tenesse pure i suoi segreti e i suoi motivi, a Theo non interessavano) ma anzi, lo sostenne sfidandolo a fare un passo falso e fregarsi da solo, prima o poi sarebbe dovuto succedere no? Per la legge della probabilità, o dei grandi numeri, o di vattela a pesca cosa, che volete che ne sapesse Theo.
    Lo guardò senza compassione, e senza un minimo di preoccupazione, e anche se in quel periodo la dieta del grifondoro comprendeva quasi esclusivamente le schifezze che racimolava nel proprio baule, qualche pietanza trangugiata in fretta a pranzo o cena, senza rimanere troppo a lungo in mezzo alla gente radunata in Sala Grande, e tanto – tanto. – alcol, mettendolo in una posizione dove non gli era permesso giudicare, Theo a suo modo lo fece comunque. «Scommetto che ti stai ammazzando di studio,» derogatory, chiaramente, come lo era la smorfia e il tono di beffa nella voce del Kayne. Che cosa stupida, mettere il pausa tutta la vita per gli stupidi esami; le priorità del Tipton erano davvero fucked up.
    Ma quella non era di certo una novità per Theo: quante volte, durante l'anno, avevano litigato proprio a causa dell'eccessiva ossessione dell'unico e la totale mancanza di interesse da parte dell'altro, riguardo proprio la vita accademica?! Theo aveva perso il conto.
    Il fatto che ci fosse un di nuovo da aggiungere alla fine della frase, poi, la diceva lunga su Paris Tipton. Lo sguardo che Theo lasciò indugiare sul portiere era stanco, ma espressivo: si poteva leggere senza difficoltà tutto quello che il grifondoro, in quel momento, non aveva la forza di dire — riassumibile in un concetto molto semplice, e tre paroline magiche: sei un coglione.
    Un'espressione che non vacillò neppure quando Paris si sporse leggermente verso di lui, anche se il minore era davvero a tanto così dal tirargli una testata sulle gengive, arrivato a quel punto.
    «Come si dice?»
    Un ringhio, fu l'unica risposta che Theo fornì: Lenny non aveva cresciuto un buzzurro (o almeno, ci aveva provato a non farlo) ma spesso e volentieri Theo dimenticava di essere un ragazzo e non una bestia; incolpava la presenza costante di Mis e dei suoi animali, per quello.
    E incolpava anche Paris, per riuscire sempre a tirare fuori il peggio di lui. C'era qualcosa nel corvonero che triggerava esageratamente Theo, e gli faceva ribollire il sangue di rabbia e fastidio. Strinse la mascella, mentre l'altro si sedeva più in la sul muretto; Theo non aveva voglia di stare ai suoi stupidi giochetti, non quella sera, e se non aveva lo sbatti di offrirgli una sigaretta per qualche stupida ripicca, che se ne andasse. Era semplice.
    Come se avesse letto nei suoi pensieri, Paris tornò a parlare, porgendogli il pacchetto di sigarette.
    «sono stanco, non rompere. Il tempo di fumare una sigaretta e me ne vado» «hey, non fumo la merda» Purtroppo Theo non aveva il dono di curare la stupidità altrui, e se paris non voleva riconoscere la supremazia delle Marlboro rosse, non era un problema del Kane.
    Accettò comunque il pacchetto, ben lieto di approfittare di quella distrazione per non pensare ai nervi scoperti solleticati dalla mera presenza del maggiore; sentiva le mani prudere e dovette flettere le dita un paio di volte per calmarsi — quella di voler spaccare la faccia al Tipton era una reazione involtonaria e automatica del suo corpo, non decideva lui.
    «Bella merda, eh?» Per tutta risposta, Theo gli rifilò un sopracciglio appena arcuato, sigaretta stretta tra le labbra e la fiamma dell'accendino a specchiarsi nelle iridi nocciola. «questa roba? sicuro Perché non aveva fottutamente voglia di parlare di tutto il resto, e magari la guerra non era ciò che Paris intendeva, e Theo ci stava leggendo troppo nelle parole del corvonero, ma non riusciva a pensare ad altro in quelle settimane, ed era andato lì per svagarsi, non per peggiorare ulteriormente la situazione. Classic Paris, comunque, arrivare e ribaltare tutto quanto. Perciò finse ignoranza, tanto sapeva di essere credibile. Nessuno si aspettava mai niente da lui — nemmeno Theo stesso.
    Ancora una volta, il Kane non parlò subito, limitandosi a scrutare con palpebre socchiuse la figura del maggiore: minchia, gli esami lo avevano proprio distrutto, era messo malissimo se era così disperato da rifugiarsi in chiacchiere inutili che avevano come argomento il ballo scolastico.
    Ugh, l'ennesimo ballo scolastico, tra l'altro. Gente era morta, studenti erano morti, e Hogwarts organizzava il ballo di fine anno. Che coglioni, tutti quanti.
    Strinse le labbra intorno al filtro, ed aspirò il fumo fino a sentirlo bruciare nei polmoni. «Sai cosa? » Ed era forse la prima volta in assoluto che Theo Kayne si dimostrava in accordo con Paris Tipton. Un mondo davvero al contrario, quello, ecco cos'era. Ma non c'era sarcasmo nella voce di Theo, e non c'era nemmeno quella nota di mal di vivere tipica dei gen z.
    C'era, invece, amarezza: non era sopravvissuto alla fottuta guerra magica e mondiale per vedere la scuola vestita a festa. Che poi, lui al ballo non poteva neppure partecipare, se non come schiavo del comitato per questo o quell'altro compito, ma come tutte le cose a lui vietate, non vedeva l'ora di trovare il modo di disubbidire anche a quella regola, ed infrangerla sotto il naso di tutti; lo avrebbe fatto solo per dispetto, solo perché poteva farlo, nonostante tutti dicessero di no.
    «scommetto che ci andrai lo stesso, però» perché anche Paris era prevedibile, proprio come lui, e ancora una volta Theo sentì quella punta di fastidio alla bocca dello stomaco nel rendersi conto di aver imparato, suo malgrado, a conoscere il corvonero meglio di quanto fosse disposto ad ammettere. «debole» appena sussurrato, sguardo rivolto al cielo e aria esasperata — come se lo stesso Theo non avesse già in mente di imbucarsi alla festa, il “come” ancora tutto da decidere ma non un motivo per farlo desistere, quello.
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    Paris si domandava se sarebbe stata la sua bocca ad ucciderlo, prima o poi. Per quanto si sforzasse, alle volte non riusciva a mettere a tacere i pensieri a manifestarsi nella sua testa, fin troppo prepotenti per poterli sopprimere. Quando si trovava in compagnia del Kayne, poi, questo brutto vizio tendeva a peggiorare esponenzialmente. Un istinto naturale, una chiamata a cui non poteva fare a meno di rispondere. Percepiva lo sguardo truce del grifondoro sul suo profilo, quei dannati occhi nocciola a bruciare la sua pelle come il tocco del sole nei pomeriggi più caldi di agosto. «Qualsiasi cosa ti faccia dormire la notte, Tipton. Ne hai bisogno» se quello che disse Theo era standard per lui, un copione già scritto e recitato decine di volte, fu l’ultima parte a stupirlo. Piegò il capo verso di lui, la piega divertita del labbro a venire naturale «ti preoccupi per me, kayne?» sapeva che non fosse così, ma non voleva dire che non fosse divertente stuzzicare Theo. In effetti, il fatto che non avesse passatempi migliori al momento diceva molto del Tipton. Eppure aveva scelto di provocarlo, pienamente consapevole di rischiare un pugno in faccia- non era come se non fosse già successo prima e ormai ci avesse fatto l’abitudine. Faceva di lui un masochista? Mai affermato il contrario, a ognuno i propri pregi. Madonna scusa Pandi mi sembrano tante frasi sconnesse ma sono in un coma post cena assurdo. «Scommetto che ti stai ammazzando di studio» ma visto che se le cercava? Davvero, Paris non partiva con il presupposto di istigare il grifondoro, almeno non in maniera violenta ed esplosiva, ma le circostanze li portavano sempre alla stessa conclusione «al contrario di qualcuno, chiaramente» non era serio, non davvero, sebbene ormai fosse consapevole della situazione scolastica di Theo non era il tipo di persona da sputare veleno tanto perché poteva. Anche se gli stava chiaramente dando del coglione senza metterlo a parole. Ma d’altronde ce ne voleva uno per riconoscerne un altro ❤️. «hey, non fumo la merda» alzò gli occhi al cielo, riappropriandosi del pacchetto per infilarlo nuovamente in tasca «quando sarai più grande lo capirai» ovviamente Paris parlava dall’alto degli otto mesi che aveva su Theo, il che lo rendeva una guida morale e spirituale a cui look up to. «Sai cosa? Sì» il Tipton non era sicuro di come o quando ma a un certo punto della conversazione, doveva essersi aperto uno squarcio temporale, qualcosa che li aveva catapultati in un altro universo, perché Theo Kayne gli aveva dato ragione. Non era mai successo, anzi, sarebbe stato più probabile che nevicasse ad Agosto. Tentò di nascondere la sua sorpresa facendo per aspirare dalla sigaretta, ma non era sicuro di quanto vi riuscì- era davvero troppo strano, quasi aveva i brividi. «scommetto che ci andrai lo stesso, però. debole» ah, ecco che i loro ruoli cadevano nuovamente nelle loro rispettive posizioni, e l’universo tornava a ruotare sul suo asse. Paris portò una gamba al petto, il braccio appoggiato pigramente sul ginocchio «certo che ci andrò, vuoi mettere? un’occasione come un’altra per ubriacarsi» sì, ne aveva molto bisogno, giusto una notte dove poteva smettere di funzionare e pensare «magari trovare qualcuno, che ne so» era implicito che intendesse qualcuno da rimorchiare ma Paris era una persona di classe, era sicuro che Theo avrebbe compreso. Poggiò il capo sul braccio, già stanco di vivere, l’ennesimo sbuffo di nicotina a fuoriuscire dalle labbra «tanto dici a me, ma scommetto che troverai il modo di imbucarti» e si odiava per la certezza con cui lo disse, il fatto che ormai conoscesse il Kayne così bene da prevederne le mosse e riconoscerne i comportamenti- avevano passato troppo tempo insieme per fingere il contrario «non sono l'unico debole qui» non se la poté evitare quella frecciatina, dopotutto aveva play nice fin troppo.
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    Edited by ambitchous - 5/7/2023, 16:49
     
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    Theo era stanco, sì, e non aveva la minima voglia di avere a che fare con il Tipton, ma non poteva nemmeno tollerare le frecciatine (in risposta alle sue, certo, ma Theo non l'avrebbe mai ammesso) del corvonero, né passarci sopra e fare finta di nulla. Avrebbe dovuto, ma non poteva: quel genere di indifferenza richiedeva un livello di maturità che il Kayne non aveva ancora raggiunto.
    (E probabilmente non avrebbe raggiunto mai.)
    Era destinato a cadere in tutte le trappole di Paris, perché a quanto pareva non era possibile per Theo evitare di abboccare e rispondere verbalmente, o con la violenza, al Tipton. Era una risposta involontaria del suo organismo, uno spasmo più fastidioso di un tic nervoso e indispensabile come l'atto della respirazione. C'era proprio qualcosa, nell'altro, che lo triggerava tantissimo e suscitava in lui troppe emozioni, tutte forti e nessuna lusinghiera; gli faceva perdere la testa. E non in senso positivo. Con la sua faccia tosta, il sorrisetto sornione, l'aria da bulletto pariolino (termine tenico, elisa, giuro) e quelle dannatissime radici di qualche sfumatura più chiara, Paris Tipton stava praticamente implorando di essere preso a schiaffi. E chi era Theo per negargli un favore del genere?!
    Assottigliò ancora di più le palpebre, ormai due scheggie nocciola ad osservare l'altro con ostilità, e anche un pizzico di dubbio sulla sanità mentale del Tipton: era sempre più chiaro che non ne fosse rimasta granché, in quella testolina vuota. «preoccuparmi?» che cosa ridicola, ma chi? Lui? Tsk. «dico solo quello che vedo, Tipton» lo indicò con un cenno della mano, da capo a piedi. «ho visto cadaveri conciati meglio» e ne aveva visti un numero spaventosamente alto, per i suoi quindici anni (e mezzo); ma quello non lo disse. «non mi preoccupo per te» sottolineò ancora, enfatizzando quella ridicola parola a denti stretti e soffiando un po' più veleno del necessario in direzione dell'altro. Davvero, ma come gli veniva in mente? Gli si era per caso suicidato l'ultimo neurone? Ma per chi l'aveva preso?! «vabbè,» fece un altro cenno con la mano, stavolta di rigetto, dando alle parole di Paris l'importanza che avevano: nessuna. E quindi davano allo studio due priorità ben diverse: «che novità eh» il sarcasmo nella sua voce era praticamente palpabile, «sono stato in dad» una bugia che pesava sulla lingua, ma ancora di più sul cuore del grifondoro, ma una bugia necessaria, «non a farmi lotobo- lomotobi- lobomitiz- » una specie di grugnito misto a ruggito sfuggì dalle sue labbra, infuriato con sé stesso per essere inciampato in quella parola. «vabbè hai capito» e distolse lo sguardo, puntandolo altrove.
    Il succo della questione era comunque chiaro: era pur sempre Theo Kayne e, nonostante la mezza e vaga promessa fatta a Lenny, non avrebbe cambiato la sua natura da un giorno all'altro, dedicandosi anima e corpo allo studio. Nemmeno con gli giusti incentivi.
    «quando sarai più grande lo capirai»
    A quel punto, stufo di resistere, cedette all'impulso e tirò la pallina di carta con cui aveva giocato fino a quel momento, cercando di prendere il Tipton in un occhio. «la prossima volta ti tiro un sasso» e ci sarebbe stata una prossima volta; c'erano sempre, con Paris Tipton.
    Minchia oh, Theo ci stava provando davvero a non spaccargli la faccia ma Paris proprio non ne voleva proprio sapere di tenere la bocca chiusa, vedete?! Era il corvonero a provocare il grifondoro! Chiunque sostenesse il contrario (Paris) chiaramente non capiva niente di niente. Di quello, o di qualsiasi altra cosa. E infatti: «certo che ci andrò, vuoi mettere? un’occasione come un’altra per ubriacarsi» «da quando serve una scusa?» chiesto con tanto di sopracciglio arcuato, ad un Paris Tipton che ad ogni nuova parola dimostrava ancora di più quanto fuori forma fosse. Theo, perlomeno, sapeva bene di non voler andare al ballo per quel motivo; il suo era solo uno studio puramente scientifico per raccogliere dati e dimostrare ancora una volta qualcosa (che poteva infrangere qualsiasi regola e farla franca) a qualcuno (tutti, se stesso incluso). Ma sapeva anche un'altra cosa fondamentale: l'alcol, quella volta, se lo sarebbe portato da casa. Non voleva assolutamente rischiare di finire come all'ultima festa. E a giudicare dalle parole di Paris, era l'unico ad aver imparato la lezione del Ballo della Ceppa.
    «magari trovare qualcuno, che ne so» C'erano così tante battute che avrebbe voluto dire a riguardo ma non poteva dar fiato alla bocca senza rimanere vittima lui stesso delle proprie parole: a fare la figura dei fessi, all'ultimo ballo scolastico, erano stati in due. «ti conviene stare lontano dal punch» ed io starò lontano da te, per sicurezza «o è l'unico modo che hai per riuscire a paccare con le persone?» che era suonato più (gay) interessato di quanto non volesse, ma parafrasare bene gli insulti era un compito di difficile e Theo era più da attacchi fisici, che da quelli verbali: ecco perché cercava di limitare gli ultimi sempre al minimo indispensabile, preferendo di più spiegarsi a pugni e gesti.
    «tanto dici a me, ma scommetto che troverai il modo di imbucarti» Staccò la schiena dal muro e abbassò le gambe, sporgendosi verso il Tipton, l'accenno di un ghigno che non prometteva niente di buono a scoprire i denti. «perché sai benissimo che potrei figuriamoci se imbucarsi potesse mai essere un problema, per lui! La vera sfida sarebbe stata non farsi beccare. «ma il prom? Non ne vale la pena» mentire, mentire sempre e comunque: l'ultima cosa che voleva era dimostrare al Tipton che ci avesse azzeccato, che lo conoscesse abbastanza da poter predire una cosa del genere.
    Era appena diventato una persona in più da evitare la sera del ballo.
    Fece schioccare la lingua contro il palato, sguardo duro ad indugiare sul viso dell'altro con un'aria di aperta sfida. «mi pare di aver dimostrato in più di un'occasione chi è il debole tra i due, Tipton» lo scrutò per bene, stringendosi nelle spalle, «ma sono disposto a ricordartelo ancora una volta, qui e adesso.» e al diavolo il voler rimanere impassibile e pensare solo ai cazzi suoi. Se Paris stava solo cercando una scusa per istigare Theo, l'aveva trovata (già da svariati minuti) e il grifondoro era stufo di resistere.
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    Certe volte si chiedeva se fossero gli altri ad essere stupidi, o lui ad essere troppo intelligente. La risposta dipendeva dai giorni, anche se quella notte verteva più sulla seconda opzione. Theo Kayne lo confondeva, e ogni volta che gli rivolgeva la parola si sentiva strafatto di cocaina- nulla di quello che faceva, o peggio, diceva aveva senso alle sue orecchie. Forse aveva bisogno di un traduttore inglese americano-inglese britannico, forse gli sfuggiva qualcosa nelle parole accentate del grifondoro, aliene alle sue orecchie. Davvero, era più semplice capire la Russa alle volte. «Preoccuparmi? non mi preoccupo per te» evidentemente, Theo non doveva aver colto la nota ironica nelle sue parole, e l’aveva preso a face-value. Per qualche ragione assurda, il pensiero portò del calore al suo volto, il fumo nei polmoni a minacciarlo di strozzarlo per l'imbarazzo. E cristo santo, non si meritava nessuno del veleno che gli stava sputando contro il Kayne, non se lo meritava affatto: non era colpa sua se non sapeva leggere tra le righe. In un puro meccanismo di difesa, Paris assunse la stessa posa difensiva, lo stesso tono di voce velenoso e sbalordito «pensavi fossi serio, kayne? cristo, la capite l’ironia qui in inghilterra o cosa?» o sei solo te? Ma Paris era abbastanza sveglio da mordersi la lingua ed evitare quell’ultima parte. Ma guarda te, ma vaffanculo. «sono stato in dad» avrebbe potuto aggiungere qualcosa come beato te, ma la verità era che il Tipton non lo invidiava affatto. Quando gli era stata presentata l’offerta, aveva preferito rifiutare per stare insieme ai Ben. Non era come se avesse qualcuno ad aspettarlo a casa, non davvero, almeno lì al castello aveva compagnia, anche se significava condividere il suo spazio vitale con gente come Theo Kayne. «non a farmi lotobo- lomotobi- lobomitiz-» nascose un sorriso divertito dietro la mano, fingendo di star prendendo un tiro, perché era sicuro che se Theo l’avesse beccato gli avrebbe regalato un occhio nero. Non sarebbe stato il primo, Paris rifletté, e nemmeno l’ultimo- ormai si scambiava più pugni con il Kayne che con chiunque altro in quella scuola. C’era qualcosa nel suo modo di fare e nella sua stupida faccia che lo portava al limite, un limite che si imponeva di non superare in circostanze normali, perché nessuno era così importante da farlo uscire di senno in quel modo. Certo, ogni tanto vi era l’eccezione, ma con Theo sembrava essere diventata la regola. Alla fine, non poté trattenersi, l’istinto a prevalere sul suo istinto di autoconservazione «lobotomizzato» offrì al grifondoro, not unkindly, una semplice affermazione priva di qualsiasi inflessione. Come risposta ricevette una pallina di carta in faccia, e Paris rifletté che c’erano modi peggiori di lasciare quel pianeta. «La prossima volta ti tiro un sasso» ah ecco, gli sembrava che mancasse la classica minaccia, quella di cui Theo non poteva proprio fare a meno. Così come Paris non poté resistere dal battere lento le ciglia e piegare il labbro inferiore in un broncio, la perfetta immagine di un cucciolo bastonato «e rovinare quest’opera d’arte?» stava scherzando, in parte, ma davvero non ci teneva a prendersi una pietra in faccia- anche se le ragazze tendevano ad amare il suo volto martoriato. Forse poteva pensarci, Theo gli avrebbe addirittura fatto un favore per una volta in vita sua. «ti conviene stare lontano dal punch» il corvonero non aveva bisogno di quell’ immagine piantata nella testa, ma ormai il danno era stato fatto. Aveva tentato di rimuoverla dalla propria memoria, così come la sensazione delle labbra di Theo sulle sue, le lentiggini sparse sul suo viso che per la prima volta aveva visto da vicino- e avrebbe potuto continuare, ma non vi era alcun bisogno. Non era come se avesse ripetuto e rigirato quella serata nella sua testa, se non con profondo imbarazzo per essere cascato in quella situazione del cazzo. «O è l'unico modo che hai per riuscire a paccare con le persone?» il Tipton si vide costretto a distogliere lo sguardo da quello di Theo, le memorie a danzare davanti a lui, a strizzare l’occhio prima di sfumare nel fumo della sigaretta. Cristo, ma che problemi aveva. «sai cosa, forse hai ragione, non voglio il bis dell’ultima volta» testardo, continuò a mantenere il capo chino e la sua attenzione sui polpastrelli delle dita, tracce di inchiostro nero a macchiare la pelle laddove Paris aveva toccato la pergamena per sbaglio «non in pubblico, almeno» borbottò tra sé e sé, abbastanza a bassa voce perché il ragazzo non lo sentisse. Si pentiva di aver ficcato la lingua in gola a Theo Alessandro Kayne? Dipendeva dai giorni, ma Paris era stato associato a persone peggiori quindi Theo non rientrava nella sua top 5. Ciò che lo aveva infastidito era il fatto che fosse accaduto sotto gli occhi di tutti, qualcosa di imbarazzante persino per qualcuno con una faccia tosta come la sua. «E forse mi stai confondendo con te, al contrario di qualcuno non ho bisogno di avventarmi su persone ubriache» sventolò la mano in aria, dismissive, finalmente tornando a guardare il girfondoro- quello era un terreno familiare ad entrambi, fatto di insulti e frecciatine «e comunque non sei stato nemmeno tanto bravo» assottigliò gli occhi, un ghino a farsi strada sulle labbra, tanto perché stuzzicarlo era una delle sue attività prefer- cioè, un passatempo come un altro. Fece fatica a mantenere il suo sorriso quando Theo si sporse verso di lui, un’espressione simile alla sua, una che avrebbe volentieri strappato via. «perché sai benissimo che potrei» fare cosa? Paris aveva già perso il filo del discorso «ma il prom? Non ne vale la pena» «mh mh certo, farò finta di crederci» purtroppo, conosceva fin troppo bene il Kayne, e sapeva che avrebbe finito per trovarlo lì. Yay, che bello. «Mi pare di aver dimostrato in più di un'occasione chi è il debole tra i due, Tipton ma sono disposto a ricordartelo ancora una volta, qui e adesso» minchia, minchia, che faccia del cazzo. Ma come lo guardava, ma come osava. Paris fu sopraffatto dall’istinto di spaccargli la faccia, anche solo per metterlo a tacere una volta per tutte. Buttò la sigaretta da qualche parte davanti a sé, ormai dimenticata in favore del grifondoro. All’improvviso, Paris fece scattare la mano sul colletto della divisa di Theo, strattonandolo verso di sé e più vicino di quanto avrebbe voluto «ne sei sicuro? perché io non me lo ricordo» fu il suo turno di ricambiare quello sguardo duro, il sangue nelle vene a ribollire dalla voca di spaccargli quella faccia, di approfittare della loro vicinanza per zittirlo così come aveva fatto una volta prima. Ma non l’avrebbe fatto, perché aveva una dignità «attento, theo, se continui così potrei pensare che tu ci stia provando» soffiò sulle sue labbra, i denti a mostrarsi un momento in un sorriso di scherno prima di allontanare il capo. La presa sulla sua camicia, tuttavia, rimane. E prima che il Kayne potesse registrare cosa stesse succedendo, gli tirò una testata. «Chi è il debole adesso?» vaffanculo, se la meritava tutta.
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    Edited by ambitchous - 5/7/2023, 16:50
     
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    «pensavi fossi serio, kayne? cristo, la capite l’ironia qui in inghilterra o cosa?» Ma cosa stava dicendo. Ma cosa stava dicendo?! Maledetto Tipton.
    Theo indurì lo sguardo, rivolgendo al maggiore un verso misto tra un grugnito e un vaffanculo, l’ennesimo in pochi minuti. Non c’era che dire, Paris Tipton tirava fuori proprio il meglio del grifondoro, eh. «ma chi siete voi per criticare» ma si sentiva mai, quando parlava? Con quell’accento ridicolo? E il modo che aveva di troncare le parole, o quella dannata abitudine di dire cookies anziché biscuits?! CHI ERA LUI PER PARLARE. «fammi il piacere,» lo prese in giro, con una mezza risata soffiata tra i denti e un’espressione di scherno dipinta in volto, una cascata di riccioli disordinati a ballare sul viso tumefatto ad ogni cenno del capo. Che ridicolo quel Tipton.
    E poi aveva anche la faccia tosta di suggerirgli le parole! ‘ddio, Theo lo detestava.
    Con i suoi occhioni da cucciolo smarrito, e l’aria serafica, e il suo ridicolo vocabolario d’oltreoceano, e quella presunzione che Theo non avevai mai potuto soffrire: non c’era niente in Paris Tipton che il portiere rosso-oro tollerasse. Men che meno la presunta “opera d’arte” a cui Paris si riferiva. Un altro verso di scherno lasciò le labbra del Kayne, mentre distoglieva lo sguardo per portarlo altrove, lontano dal viso del Tipton che chiedeva disperatamente di essere preso a schiaffi: Theo era a tanto così dal cedere, e accontentarlo.
    Qualsiasi speranza di rilassarsi, e qualsiasi serenità che aveva disperatamente cercato, era sfumata nel momento stesso in cui Paris si era materializzato da dietro quel fottuto cespuglio; certo, era pur sempre una distrazione, ma una di cui Theo avrebbe fatto volentieri a meno. Tornò a guardare verso il corvonero solo quando lo sentì commentare con parole poco lusinghiere una delle ultime interazioni avute, di certo quella che entrambi avevano cercato di dimenticare il più in fretta possibile — o, perlomeno, così valeva per Theo. Che Paris avesse un problema con lui che andasse ben oltre lo studio era chiaro: si chiamava ossessione e non era sfuggita nemmeno al Kayne, il meno perspicace dei cretini.
    Molto subtle, Paris, complimenti.
    Lo fissò per qualche istante, occhi nocciola puntati sui capelli dell’altro, che a testa bassa borbottava cose che Theo non riusciva a sentire. Codardo. «che hai detto?!» Non ci voleva molto per suscitare in Theo Kayne delle reazioni irruenti, e se c’era qualcuno in grado di mandarlo su tutte le furie con un niente, era proprio lo studente seduto di fronte a lui. «ripetilo, se hai il coraggio.» In sostanza, Theo era già incazzato sulla fiducia.
    «al contrario di qualcuno non ho bisogno di avventarmi su persone ubriache»
    Va bene. Okay.
    D’ac-fucking-cordo.
    Un sopracciglio svettò verso i riccioli che ricadevano sulla fronte, confusione e incredulità a scurire appena lo sguardo già inferocito. «studiare ti ha fatto diventare ancora più stupido?» ecco perché Theo non lo faceva *smart guy meme* «devo ricordarti chi si è avventato su chi preferiva di gran lunga non doverlo fare, perciò proseguì subito oltre, senza attendere una risposta — ed ignorando il calore che sentiva salire sul collo, verso le gote. L’ira cieca al pensiero di quel dannato bacio era ancora fresca come il primo giorno; e Theo che pensava di averla superata. «mi pare proprio che sia tu ad avere bisogno di aiutini, Tipton, ma hey!» alzò le mani, con aria innocente, nonostante i denti digrignati suggerissero l’esatto contrario, «stai tranquillo, il tuo segreto è al sicuro con me» Si trattenne dal concedergli un occhiolino di derisione solo perché era un signore, lui, al contrario di quella bestia americana.
    «e comunque non sei stato nemmeno tanto bravo»
    Ma come osava. Come osava.
    Ora sì che Theo stava vibrando di rabbia — come succedeva ogni volta che qualcuno toccava un nervo scoperto o commentava con leggerezza qualcosa che colpiva troppo vicino a casa.
    E quindi va bene: Theo non era una puttana come il Tipton e non aveva baciato ogni studente del castello, e quindi?! E QUINDI?! Strinse i pugni per nascondere il tremolio alle mani: la voglia di spaccare la faccia all’altro era sempre più forte. Che gran pezzo di merda.... Che merda! Figuriamoci se Theo avrebbe mai confessato che quello dato al Tipton era stato il suo secondo bacio (e, per giunta, il primo se l’era scambiato con la Russa, quindi contava solo fino ad un certo punto)... Figuriamoci!!! Così come non gli avrebbe mai detto che, al fronte, in più di un’occasione aveva ceduto alla disperazione e alla stanchezza e alle avanches di studentesse appena più grandi della sua età che, come lui, avevano fatto la scelta sbagliata e si erano ritrovati a combattere una guerra persa in partenza; Theo aveva ceduto perché, in quei momenti, tra una battaglia e l’altra, aveva sentito di poter ritrovare un po’ di normalità almeno in quei gesti. Ma non era stato così, e ad ogni bacio, ad ogni mano scivolata un po’ più in basso e fermata dal grifondoro, Theo aveva avuto la sensazione che ci fosse qualcosa di incredibilmente sbagliato in tutto quello. Non nel limonare con delle sconosciute sporchi di sangue e con le ferite ancora aperte, ma nelle forme a premere contro il suo corpo che, chiaramente, stava ancora cercando di capire cosa preferisse.
    Quindi sì: le parole di Paris colpivano un po’ troppo vicino casa e riportavano a galla domande che rimanevano ancora senza risposta, e Theo lo odiava per quello.
    Lo faceva sentire inadeguato, sbagliato.
    Gli faceva venire voglia di chiudere fuori tutto e cedere all’istinto che gli diceva di alzare il pugno e lasciare che impattasse contro la mandibola dell’altro.
    Fu quasi grato, quindi, quando fu proprio il Tipton a muoversi per primo; non se lo aspettava, poco ma sicuro, e il gesto del corvonero lo prese alla sprovvista, facendo sì che Theo lo seguisse suo malgrado fino a ritrovarsi ad un soffio dalle labbra di Paris, in una scena già vista prima e che il grifondoro aveva tentato con tutto se stesso di dimenticare. «attento, theo, se continui così potrei pensare che tu ci stia provando» Il suo nome, pronunciato da Paris, non avrbebe dovuto suonare così— *versi intellegibili*. «nei tuoi sogni, tipton» non avrebbe ceduto, sarebbe rimasto saldo nei suoi principi e non avrebbe abboccato all’esc— «FIGLIO DI PUTT—AHIA » si portò entrambe le mani al naso, il sapore metallico del sangue già sulle labbra piegate in una smorfia di dolore. «ora sei un corvonero morto» finalmente, non vedeva l’ora: aveva aspettato quel momento per tutto il tempo.
    Piegandosi in avanti, fu la sua volta di stringere la divisa dell’altro nel pugno, e la usò per spintonare il Tipton, cercando di farlo cadere oltre il muretto dov’erano seduti, verso il cortile. «se volevi arrivare alle mani bastava chiedere,» gli soffiò addosso in un verso rabbioso, cadendo insieme a lui sul terreno ma cercando di rimanere almeno in ginocchio e di usare quel vantaggio per tenerlo pinned contro il pavimento, aiutandosi con un braccio premuto contro il torace di Paris. «non c’era bisogno di fare tutte quelle chiacchiere inutili» infondo entrambi preferivano l’azione, e lo sapevano bene.
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    Vi era una cosa importante da sottolineare, ed era il fatto che Paris non fosse una persona violenta, nonostante quello che suggerivano gli eventi recenti. Ma Cristo, quando si aveva a che fare con una bestia che non comprendeva il linguaggio umano era il minimo. Ci aveva provato ad essere civile, ci aveva provato così tanto ma alla fine erano ricaduti nella loro solita routine. «Che hai detto?!» oh Gesù, ora esplodeva- ma che cazzo si era mangiato a cena, pane e simpatia? «Ripetilo, se hai il coraggio» e sapete, Paris avrebbe evitato di ripetersi, se non fosse stato per quelle ultime parole. Di certo a lui non mancava il coraggio, cosa che non poteva dire di qualcun altro «vuoi davvero saperlo?» sogghignò, il Tipton, un’aria di sfida a bruciare nelle iridi nocciola. Oh, non voleva saperlo davvero, ma gli avrebbe dato tutto ciò che chiedeva, così imparava a non farsi i cazzi suoi «ho detto che hai una faccia del cazzo» o forse no, perché non era sotto a un treno come tutti pensavano. Ma quale treno, poi, mica aveva capito. «Studiare ti ha fatto diventare ancora più stupido?» il Kayne poteva anche non essere serio, ma in effetti: «sì, se no non starei qui a discutere con te» derogatory, ovvio. «Devo ricordarti chi si è avventato su chi?» fu quell’ultima cazzata a strappargli una risata dal petto, ma che cosa stava dicendo, ma con quale coraggio. Scosse il capo divertito, il Tipton, non potendo credere a quanto Theo fosse delusional «non mi sembra che te abbia fatto qualcosa per resistere, anzi sembrava esserti piaciuto» anche perché era certo che se non fossero intervenuti i Ben, sarebbero finiti da qualche parte a togliersi i vestiti di dosso. Ma il corvonero preferiva non concentrarsi su quel dettaglio umiliante, doveva ringraziare i suoi nove angeli custodi per quello. O carcerieri, dipendeva dal giorno. «mi pare proprio che sia tu ad avere bisogno di aiutini, Tipton, ma hey!» ma un cazzo proprio, il Tipton si ritrovò a digrignare i denti e a stringere la mano sui suoi pantaloni per evitare di tirargli un pugno «vivi nel tuo mondo immaginario perché sei troppo imbarazzato dalla realtà dei fatti?» spoiler: sì. L’accento di Paris si era fatto più marcato man mano che si alterava, ma a quel punto gli importava ben poco di essere capito «ma tranquillo, se hai bisogno di ripetizioni sono sempre disponibile» e- oh cristo. No, era stata la cosa sbagliata da dire, ma l’heat del momento gli aveva fatto perdere la lucidità per un momento. «Ora sei un corvonero morto» Paris osservò il sangue a scendere dal naso del Kayne, il labbro ora spaccato su un volto già tumefatto, e decise che non era per niente giusto il fatto che- un cazzo, ripigliati Tipton. «VIECCE DAI, VIECCE» sì, imparata da Romolo Linguini. Lo incitò con un sorriso di scherno, le dita ad invitarlo a colpirlo o almeno a provarci. Quello che Paris non si aspettava era di essere ripagato con la sua stessa moneta e di essere afferrato per la divisa, per poi essere spintonato a terra. La botta che prese alla nuca gli fece vedere le stelle per un momento, ma si morse l’interno della guancia per evitare di farsi scappare qualsiasi rumore imbarazzante. «se volevi arrivare alle mani bastava chiedere, non c’era bisogno di fare tutte quelle chiacchiere inutili» sbuffò incredulo, Paris, non poteva credere alle cazzate che stavano uscendo dalla bocca di Theo. Una bocca che era decisamente troppo vicina alla sua. Il corvonero registrò la posizione in cui si trovavano con un secondo di ritardo, con Theo a cavalcioni su di lui, il braccio a spingere sul suo petto per tenerlo fermo mentre il grifondoro era a un soffio dal suo volto. «Guarda che sei stato te a provocarmi» ci teneva a metterlo in chiaro, anche se la rabbia delle iridi del Tipton stava sfumando, la voce a farsi più bassa e meno tagliente «e dire che ci sono tanti modi di passare il tempo, e te scegli sempre il più noioso» roteò gli occhi, Paris, anche se non vi era nulla di noioso nella situazione in cui si trovavano. Si azzardò ad alzare la mano, lenta e cauta così che Theo non leggesse violenza nei suoi movimenti, il pollice e l’indice a stringere il mento del Kayne. Spostò il viso da una parte e poi dall’altra così da osservare il danno fatto «almeno hai ancora tutti i denti» un vero peccato, gli sarebbe servita da lezione. Lasciò andare il suo mento, i polpastrelli del corvonero occupati ad esplorare altre parti di Theo, a scivolare sulla pelle del collo, a seguire un pattern immaginario che solo Paris conosceva. I polpastrelli furono presto sostituiti dal palmo della mano, che si andò a posare sul collo del grifondoro, mentre l’indice era occupato a giocare con uno dei suoi ricci, avvolgendolo attorno al dito «cosa avevi detto a proposito di quegli aiutini?» dopotutto, se Theo era così bravo come sosteneva, era giusto che mantenesse la sua parola «a meno che non fossero tutte cazzate» sulle sue grandi abilità da baciatore, cosa alla quale Paris non avrebbe creduto fino a che non l'avesse vista con i suoi occhi. Lo sguardo che rivolse a Theo fu di sfida, perché tanto lo sapevano entrambi che non aveva le palle di fare un bel niente.
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    Non c'erano abbastanza parole nella lingua Inglese per poter descrivere quello Theo stava provando in quel momento — e anche se ci fossero state, lui probabilmente non le avrebbe sapute.
    Era tutto così assurdo.
    Surreale.
    Non di certo quello che si era aspettato quando aveva marciato a passo stanco ma deciso verso il cortile, poche ore prima. I suoi piani comprendevano una sigaretta – o una decina – in santa pace per rilassarsi ed esorcizzare i suoi demoni, e avrebbe anche dovuto farselo bastare dal momento che non aveva nient'altro per sopperire alla mancanza di alcol, quella sera. Paris Tipton si era rivelato la fottuta incognita che complicava tutta l'equazione.
    «vuoi davvero saperlo?» duhh, certo che voleva saperlo, cosa stava aspettando? Che glielo formalizzasse via richiesta scritta con firma e timbro del preside Chow?! Meglio per lui se ripeteva prima di subito — or else.
    «ho detto che hai una faccia del cazzo» inclinò leggermente la testa, osservando Paris. Era stupido, Theo, ma non idiota, e per qualche ragione non lo convinceva come scusa: da quando il Tipton perdeva l'occasione per ricordargli della faccia da cazzo che aveva, sussurrandolo a mezza bocca, anziché gridarlo ai quattro venti? Mh sus. Tutto ciò che disse, in risposta, fu un più che sentito «codardo» a vibrare sulle labbra serrate; avrebbe potuto pressare fino a che Paris non avesse ceduto e ripetuto esattamente ciò che aveva detto, o fino a che non avesse blaterato una bugia un po' più convincente, ma non lo fece.
    Avrebbero potuto fare entrambi qualcosa di diverso da ciò che stavano facendo, come dimostrò lo stesso Paris l'istante dopo. «sì, se no non starei qui a discutere con te» il fatto che fosse lì, quando nessuno gli aveva chiesto nulla se non una sigaretta, nessun invito a mettersi seduto e rimanere a fare due chiacchiere, avrebbe dovuto essere già di per sé allarmante. Non funzionavano così loro.
    Non che ci fosse alcun “loro”, eh. Erano solo Paris e Theo.
    Il grifondoro serrò maggiormente i pugni posati sulle ginocchia fino a vedere le nocche sbiancare, e fino a ricordarsi dove cadesse il loro status quo: quello era un terreno sul quale Theo avrebbe potuto camminare, e lottare. Tutto il resto erano fottute sabbie mobili che minacciavano di inghiottirlo e soffocarlo; e lui ci stava già dentro fino alla vita.
    Le parole del corvonero erano anche peggio, se possibile; una verità dopo l'altra, lo tiravano per la caviglia e lo trascinavano a fondo. «non mi sembra che te abbia fatto qualcosa per resistere, anzi sembrava esserti piaciuto» Stavolta Theo si trovò costretto a risucchiare aria tra i denti, occhi sbarrati ed espressione ferita, come se lo avessero appena sucker-punched alla bocca dello stomaco. Colpiva un po' troppo vicino casa. Un tassello che cadeva al suo posto si incastrava perfettamente e mandava il Kayne su tutte le furie. Perché era stato proprio così, e dare la colpa alle pozioni era servito solo fino ad un certo punto; quando aveva smesso di crederci pure Theo stesso, aveva iniziato a non pensarci affatto. Era meglio non farlo. Ma certi pensieri non l'avevano mai lasciato del tutto, accompagnandolo in ogni momento meno opportuno di quegli ultimi mesi, e aveva sentito il peso di ogni fottuto ricordo premere troppo forte contro la propria coscienza, cercando di farsi strada e di farsi capire: ma di interpretare quelle sensazioni poco familiari, il Kayne non ne aveva voglia.
    Non solo quelle legate al Tipton, ma in generale; preferiva rimanere ignorante, e ringhiare contro le occhiate confuse dei poveri malcapitati che finiva inevitabilmente col fissare senza rendersene conto, spinto da una volontà irrazionale che continuava testardamente a mettere a tacere, a sopprimere, fino a farla diventare solo un eco in sottofondo e un malessere generale.
    Chi era Paris Tipton per costringerlo a scenderci a patti proprio quella sera? Cazzo, se lo odiava. «Continua a crederci, Tipton.» Ringhiato a denti stretti, mentre distoglieva lo sguardo e provava davvero tanto a trattenersi: sentiva di essere arrivato però agli sgoccioli, di lì a breve non avrebbe più capito nulla e si sarebbe lasciato guidare dall'istinto e dalla rabbia cieca.
    Paris non stava facendo assolutamente nulla per aiutarlo a calmarsi. «vivi nel tuo mondo immaginario perché sei troppo imbarazzato dalla realtà dei fatti?» La doveva proprio smettere di parlare, perché ogni cosa che diceva alimentava l'ira del Kayne, che ormai praticamente vibrava forte come un diapason.
    Avrebbe dovuto imparare da tempo come ignorare le provocazioni e come tenere la mente lucida, ma se non c'era riuscito in quindici anni, dubitava ci sarebbe riuscito quella notte, non con la stanchezza nelle ossa e nella testa, non con il peso di quanto aveva visto nei mesi appena trascorsi a gravare sul cuore, non con Paris che continuava a provocare usando quello stupido accento che Theo non capiva ma che avrebbe potuto ascoltare per ore – per fuellare la sua ira eh, cosa pensate!
    E specialmente non se il corvonero continuava a fare quelle battutine del cazzo.
    «ma tranquillo, se hai bisogno di ripetizioni sono sempre disponibile» Theo trattenne per un attimo il fiato, gonfiando le guance e stringendo le palpebre: erano le stesse parole che Paris aveva usato al ballo della ceppa, e distrattamente Theo si domandò se fosse un pensiero sentito, quello del Tipton, o se semplicemente il suo repertorio fosse così scarno da non avere nient'altro di nuovo con cui ribattere. Decise autonomamente di optare per la seconda opzione — era più facile così.
    E anche di rispondere con la violenza, la cosa che riusciva meglio al grifondoro. Perché arrivati ad un certo punto bisognava guardarsi dentro ed ammettere: anche meno.
    «VIECCE DAI, VIECCE» ma non lo vedeva che era già andato? Erano ruzzolati a terra insieme, aveva bisogno di essere più esplicito di così? Beh, se voleva fare la fine di una piñata bastava chiedere!
    Premette con più forza contro lo sterno dell'altro, piegandosi in avanti fino a ritrovarsi a pochi centimetri dal viso di Paris. «non mi sembri nella posizione di poter sfidare, magari ora ti passa la voglia di provocare» «Guarda che sei stato te a provocarmi» was he? Non gli pareva di aver sferrato il primo colpo, e si era anche limitato nelle proprie reazioni, fino a quel punto. Con stizza, strinse la presa intorno alla divisa del maggiore e lo strattonò appena, una reazione involtonaria alle parole di Paris. «e dire che ci sono tanti modi di passare il tempo, e te scegli sempre il più noioso»
    Non— cosa— non aveva davvero—
    Theo ringhiò, un vero e sacrosanto ringhio a risalire lungo la gola, uno spicchio di denti sporchi di sangue ad fare capolino oltre le labbra; non l'aveva insinuato davvero. Per chi l'aveva preso?! Non era... non era uno delle sue tante conquiste. Quegli ultimi due mesi l'avevano davvero rincoglionito più del necessario; Paris Tipton aveva perso del tutto il lume della ragione.
    La posizione in cui si trovavano venne registrata solo marginalmente dal grifondoro: non era la prima volta che finivano in situazione simili. Per due come loro, sempre pronti a insaccarsi di botte, rotolarsi a terra e finire uno cavalcioni sull'altro non era affatto strano, o fraintendibile.
    ...no?
    Eppure, con le dita di Paris a stringere il mento e a forzarlo a ruotare il volto da una parte e dall'altra, Theo non poté fare a meno di sentire che, di nuovo, ci fosse qualcosa di sbagliato in tutto quello.
    Sbagliato nel mondo in cui non lo fosse affatto.
    Serrò la mascella, ma ringhiò comunque contro Paris, liberandosi dalla presa con un movimento impetuoso del capo, per sentire poi la mano del corvonero scivolare sul suo collo, le dita a disegnare percorsi sulla pelle calda e a giocare con i suoi ricci.
    San Crispino, ma cosa cazzo stava facendo Paris?
    E, ancora più importante, cosa cazzo stava facendo Theo? Perché rimaneva fermo come un cretino, a lasciare che l'altro accarezzasse i capelli e gli rivolgesse quelle battutine indecenti e — hhhhhhHHHHHH. «cosa avevi detto a proposito di quegli aiutini?» «non hai capito un bel niente,» la voce era bassa e più roca di quello che Theo aveva immaginato, e dovette mandare giù bile e imbarazzo prima di poter continuare, «non mi stavo offrendo» dove aveva sbagliato, quella volta? A che punto della loro conversazione c'era stato un lost in translation che aveva fatto capire al corvonero tutto il contrario di tutto?!
    Theo si specchiò per qualche istante negli occhi di Paris, ricambiando la sfida che leggeva nello sguardo dell'altro, il sangue a pompare sempre più velocemente nelle vene, rimbombando nelle tempie; in un momento di debolezza, si ritrovò ad abbassare lo sguardo sulle labbra di Paris. Fu solo un istante, ma bastò a suscitare in lui tutte le emozioni possibili, non per forza incoraggianti, e a farlo scattare come una molla. Tutto pur di negare qualsiasi cosa, e chiudersi ermeticamente per evitare che anche solo una di quelle sensazioni si palesasse nello sguardo nocciola.
    Fu difficile allontanarsi, ma alla fine lo fece; distolse lo sguardo e lo riportò in quello di Paris, scoprendo i denti in una smorfia che descrivere come adirata sarebbe stato comunque insufficiente a rendere l'idea: «qui l'unico che sta dicendo un sacco di cazzate sei tu, Tipton» e si allontanò ancora un po', divincolandosi dalla presa sul collo, per mollargli un pugno allo stomaco. «e smettila di— » inciampò nuovamente sulle propria lingua, a corto di parole; doveva smetterla di fare cosa, esattamente? «ti ho già detto una volta di starmi lontano,» perché doveva rendere tutto più difficile?! Tentò di tirargli un altro pugno, stavolta con più forza. «ti sei fatto l'idea sbagliata di me, Tipton» did he, now.....
    Ma sì, cazzo! Non era quello ciò che Theo intendeva quando diceva di volergli mettere le mani addosso.
    ...giusto?
    Con un ultima strattonata, fece per alzarsi e mettere definitivamente spazio tra i loro corpi; si meritava una tregua. Una bella vacanza, perché no. Honolulu, maybe?
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    Forse Theo aveva ragione, forse era davvero un codardo. Non era come lui, non era come Bengali, non era mosso da alcun impeto di coraggio o caparbietà che sfidasse le convenzioni. Paris funzionava sulle basi della logica e del rigore, troppo spesso preferiva chiudersi nella sua testa e stringere una benda attorno ai suoi occhi per impedirsi di vedere quello che aveva davanti. Eppure, l'espressione ferita del Kayne l’aveva vista eccome, anche se era sicuro che non fosse stato di proposito. Theo avrebbe preferito morire, che mostrarsi vulnerabile a lui. E come biasimarlo, lo stesso discorso valeva per Paris, che riservava la propria fragilità a pochi eletti. E nemmeno tutti e nove, a dire la verità. Era un’espressione sconosciuta, discordante, un qualcosa che mai si erano concessi in presenza dell’altro. Ma che problema aveva? «Non mi sembra che te abbia fatto qualcosa per resistere, anzi sembrava esserti piaciuto» Paris era sicuro che ci fosse qualcosa a sfuggirgli, ma non aveva abbastanza elementi per trarre le sue conclusioni. Dio, non ci credeva nemmeno morto che non gli fosse piaciuto, quindi non poteva essere quello. Forse l’aveva colto alla sprovvista con quel bacio, ma non era come se avessero avuto modo di parlarne- come se, di base, vi fosse qualcosa da dire che non fosse di dimenticarselo. E Paris era stato molto bravo a farlo, fino a quel dannato momento.
    Eppure, continuò imperterrito, perché evidentemente si voleva male. Il fatto che tutto il suo raziocinio finisse per sfumare nel momento in cui si trovava in compagnia del Kayne non contribuiva per niente. Quello che leggeva nel suo volto tirato era palese persino a lui, ed era il fatto che Theo fosse ormai arrivato al limite. Ci voleva molto poco, aveva la stessa pazienza di un bambino, ma Paris aveva la sensazione che quella volta fosse diverso- avrebbe potuto stare zitto, ma si voleva troppo male. Minchia, gli stava anche ringhiando contro come un cazzo di cane rabbioso, e Paris ignorò con nonchalance il fatto che trovasse quel- ma stai zitto coglione ma riprenditi che ti spacca la faccia. «Non hai capito un bel niente, non mi stavo offrendo» il Tipton lo studiò per un momento, tanto da notare un certo imbarazzo nei lineamenti del ragazzo. Oh, quello sì che era interessante. «Strano, perché a me era sembrato il contrario» si strinse tra le spalle, fingendo una nonchalance che non sentiva ormai più. La testata che gli aveva dato non era servita a niente, se non altro aveva peggiorato esponenzialmente la situazione, inclusa la prossimità in cui ora era costretto. Paris fu quasi grato quando Theo si allontanò, dato che aveva la sensazione di stare spiralling con ogni respiro del grifondoro sulle labbra «qui l'unico che sta dicendo un sacco di cazzate sei tu, Tipton» «ma stai zit-» ancora prima che Paris poté finire la frase, ricevette un pugno allo stomaco. Un cazzo di pugno che non si meritava affatto, ma che cazzo- MA CHE CAZZO «ma la vuoi smettere?» sbottò ormai esausto, portato anche lui al limite e pieno come poche cose. E sapete cosa? Vaffanculo, tanto che c’era ricambiò lo spintone, sperando che cadesse da qualche parte. Possibilmente di faccia. «ti ho già detto una volta di starmi lontano» alzò gli occhi al cielo, sbuffando fuori una risata derogatory «e da quando prendo ordini da te?» fuckin’ Alessandro, non era certo il suo cane che obbediva a ogni suo comando. Poteva fare qualsiasi cosa voleva, incluso rompere le palle a chiunque volesse. «ti sei fatto l'idea sbagliata di me, Tipton» arcuò un sopracciglio, come a domandargli ma davvero? Lo osservò alzarsi, dovendo resistere all’impulso infantile di tirargli un calcio alla tibia. In tutta risposta, Paris si alzò sui gomiti e poi fece leva sugli addominali per mettersi a sedere. Se solitamente si sentiva a suo agio in quella posizione, a guardare le persone dal basso all’alto per certe attività in quella situazione era solo umiliante. Fece per aprire la bocca e dare aria a parole che lo avrebbero portato nuovamente al limite, ma poi si ricordò dell’espressione insolita sul volto del Kayne, di come preferiva la solita rabbia e imbarazzo ad animare i suoi lineamenti. Si passò una mano sui capelli per rimetterli in ordine, gli occhi nocciola puntati nuovamente in quello del Kayne «sai cosa? forse hai ragione, non ho idea di quello che ti passa in testa» dio santo, aveva creduto che Theo fosse un ragazzo semplice da leggere, che portava le proprie emozioni sulla manica, palesi agli occhi del mondo, eppure finiva sempre con lo stupirlo «ma non è una scusa per comportarsi così» come un asshole, ecco come. Gli regalò un raro momento di onestà, uno che raramente si era concesso in compagnia del Kayne, e forse nemmeno avrebbe compreso quello che stava cercando di comunicargli. D’altronde, nemmeno Paris ne era sicuro.
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